Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 31 maggio 2012

Visitazione della Beata Vergine Maria

Da: il Vangelo del Giorno - Visitazione  B. Maria V.


Anche a ognuno di noi, 
con la trasmissione della fede, 
è stato detto che la vita ha un destino.
Nella sincerità del nostro cuore 
può riecheggiare in modo vero il Magnificat.
Qualunque sia la condizione attuale della nostra vita
è gratitudine perché cammino a quel destino in cui vedremo Dio.

Don Luigi Giussani


Dal Vangelo secondo Luca 1,39-56

 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo.
 Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:
 «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore».
 Allora Maria disse:
 «L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Il Commento
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.
Il Signore viene a visitarci. E viene a noi sempre attraverso una carne ben concreta. Il seno purissimo di Maria, tabernacolo della presenza di Dio tra noi. E' sempre Lei che ci visita, ambasciatrice dell'amore di Dio. E' Lei che ci dona il Signore, celato nelle Sue castissime viscere. Lei è l'immagine più fedele della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo. Per noi. Da sempre. E oggi. E domani. Per sempre. Dio incarnato, Dio adagiato nel seno d'una donna, Dio disceso alla nostra vita, Dio che visita e impregna le nostre ore. Dio incarnato nelle nostre carni incamminate nella storia. Maria è lo specchio fedele di quel che accade ogni giorno nelle nostre povere vite. In noi è già seminato il miracolo d'una vita celeste, come lo fu Giovanni per Elisabetta. Proprio ora è vivo in noi qualcosa che le nostre forze, le nostre opere, i nostri desideri non hanno avuto il potere di generare.

Sterili siamo, come ogni uomo, incapaci di darci vita, e di donarla. Sterili per accogliere la Grazia. Come Elisabetta intuiamo ma abbiamo bisogno d'una visita perchè il miracolo di Grazia si schiuda in un canto di lode. Viviamo l'amore di Dio dentro di noi, ne sentiamo spesso tutta la portata soprannaturale, proprio come una donna incinta vive ogni cosa in modo particolare, come afferrata da una presenza interna, misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge. Con Elisabetta abbiamo bisogno di Maria. E Maria è la Chiesa, il Suo saluto che risuona nel profondo è l'annuncio che il nostro cuore attende senza posa. La Parola capace di sciogliere in noi quel che, da sempre, la Grazia ha seminato. La Parola che muove in noi la Vita in un sussulto di gioia. E' l'annuncio che desta la gioia: Dio s'è fatto carne nella nostra carne, proprio nelle vicende che ci visitano per coinvolgerci, la storia nostra di ogni giorno.

Maria, il mistero della nostra vita racchiuso nella dolcissima fanciulla di Nazaret. Nella storia l'eco dell'annuncio della Chiesa. Ed è vero che fuori della Chiesa non v'è salvezza, perchè in ogni istante della storia che scorre dentro ogni angolo della terra risuona la Parola, unica, di salvezza, Cristo Gesù, nascosto nel seno verginale di Maria, Madre della Chiesa e Madre nostra. La Chiesa, con la sua voce, abbraccia l'universo in attesa della salvezza. La storia è il tabernacolo del Figlio incarnato. Da quel giorno a Nazaret quando Dio ha deposto il Suo seme nel seno di Maria, nulla è più lo stesso. Tutta la storia, passata, presente e futura è stata inondata d'una Grazia nuova, e tutte le cose sono state rinnovate, e il Signore, l'Emmanuele, ha preso dimora in ogni istante del tempo. Tutto di noi dunque, miracolosamente, è stato santificato, salvato, redento. Il mistero nascosto agli angeli è stato svelato, l'uomo è salvo. La vita non è più una corsa verso la morte. Il Cielo s'è dischiuso dinanzi ad ogni uomo. Ogni esistenza, anche quella che appare più distrutta dal peccato, anche quella che odora di morte, tutte sono pronte ormai per essere salvate. Un annuncio, una parola, la visita di Maria e quel che era perduto sarà riscattato.

I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale delle montagne di Giuda sono i passi urgenti degli apostoli di ogni tempo. I passi degli eventi stessi che abbracciano ogni uomo in un saluto di Pace sono nient'altro che la rivelazione del progetto di Dio. "Infatti io so i pensieri che medito per voi», dice il Signore: «pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una speranza" (Ger. 29,11)Shalom! Il saluto di Maria che sveglia la gioia nel seno di Elisabetta. Pace! Il saluto di Maria che ridesta la gioia che abbiamo dimenticato tra le tristezze di ciò che ormai pensiamo come perso irrimediabilmente. La gioia della risurrezione di tutto quello che in noi era morto. La risurrezione della speranza. La storia nostra di oggi, e di ogni giorno, ci arriva al cuore attraverso il saluto di Maria. E tutto si illumina, il passato ci ha preparato a questo incontro, ed è questo quello che davvero conta. Anche le debolezze, anche i peccati brillano d'una luce nuova nell'ascoltare la voce di Maria. La stessa del Figlio risorto: Pace a voi! Si, la nostra carne, la nostra storia sono la dimora di Dio, il Cielo sulla terra perchè tutto quello che di noi appatrtiene alla terra giunga, un giorno, in Cielo. Salvi, santi, Suoi.

Apparteniamo a Gesù, come Maria, con Maria, Donna umile ebbra di gioia, che canta le meraviglie di Dio. La gioia della verità. Immacolata nella concezione, priva del veleno che distrugge le nostre vite, la superbia che tiene Dio fuori dalle nostre porte. Creati per essere veri, e liberi, e felici, gemiamo sotto la dura legge della superbia, la menzogna primordiale iniettataci dal mentitore. Pensare, credere d'essere quel che non siamo. Dilapidare tutte le nostre energie per diventare quel che non saremo mai. Immaginare futuri impossibili, cambi di marcia, le ore cucite sui sogni bambini che rincorrono professioni e mestieri da fare quando si diventerà grandi. Grandi. Le nostre cose, i nostri pensieri, le nostre opere. Noi, sempre più grandi, in amore, al lavoro, nello sport, ovunque il mondo abbia la ventura d'incontrarci. Anche quando non riusciamo, e il volto s'appesantisce di depressi pensieri. In fuga dal nulla precipitiamo nel nulla più duro, l'acre malessere di chi non riesce a smaltire la sbornia dei sogni infranti, degli ideali spezzati, dei progetti falliti. E non v'è posto infatti per Maria e Giuseppe in nessun albergo, il mondo di cartapesta, i "bed and breakfast" di sogni e chimere che segnano i nostri giorni non hanno un angolo per accogliere il Signore. Meglio, a Lui non si addice nessuna delle nostre torri di Babele lanciate in improbabili scalate alla divinità. Lui è la Verità, e cerca il vero. Cerca Maria, lo scrigno della Verità.

Dio cerca la Sua umiliazione, la semplice verità, vergine e non deturpata da alcun veleno di superbia. Vergine nella carne perchè vergine nello spirito, nella mente e nel cuore. Maria, donna vera, la creatura pura che non teme e non ricusa d'esser creatura. Maria, l'umile di Nazaret, il culmine della storia d'ogni uomo, vera perchè semplice nella quotidianità d'una vita sciolta nella volontà del Creatore. Umile perchè serva, serva perchè creatura. La gioia che Eva ci tolse è in Lei ridonata. Nessun cedimento dinanzi al frutto avvelenato dalla superbia. Maria, umile perchè Maria, e null'altro. Maria, una vergine di Nazaret, nulla di più, niente di diverso desiderato. In Lei è ciascuno di noi così come dipinto nella mente di Dio, prima d'ogni inalazione mortifera di superbia originale. La Sua umiliazione, la verità che ci costituisce creature in tutto dipendenti dal Creatore. Il Suo seno verginale è tutto quel che di noi appartiene al Creatore. Le Sue viscere materne sono la grotta povera, spoglia, di nessun valore che si addice - l'unica - al Dio che si fa uomo. La Sua umiliazione accoglie oggi ogni frammento divino che è in noi, il cuore, la mente, il corpo che ci è donato per servire e che giace schiavo del tiranno che ci ha insegnato l'orgoglio con le parole della menzogna.

Maria è l'eletta che ha riassunto in sé ogni creatura perduta, immacolata per i macchiati, umile per i superbi, vera per i falsi. E Dio ha guardato la Sua umiliazione, gli occhi misericordiosi del Padre hanno fissato in Lei il Suo primo progetto, un figlio, una figlia, e l'abbandono totale tra le braccia dell'amore. Dio ha guardato all'umiliazione di Maria, la verità di Maria fatta di terra, la Sua storia, le sofferenze e le angosce di tutti noi scappati dall'ovile della verità. Maria ci accoglie nella sua umiliazione, e ci conduce nel Magnificat della creatura che esiste nel Creatore, che è del Creatore, che vive per il Creatore. Dio guarda l'umiliazione di Maria come ha guardato il popolo gemente sotto il giogo del Faraone. E si prende cura di Lei, e, in Lei, di tutti noi schiavi della menzogna. Maria visita oggi la nostra vita, sulla soglia delle nostre ore, perchè con Lei possiamo accogliere il Salvatore. Maria ci conduce alla verità della nostra condizione e ci insegna a gridare, ad aspettare, ad accogliere. Maria ci mostra il vuoto che ci pervade, ci insegna a non averne paura, ad accettare quel che siamo, a lasciare ogni sogno, ogni desiderio alla volontà di Dio per noi. Maria ci accoglie e ci aiuta a schiuderci alla Grazia, allo stupore di fronte alle meraviglie della misericordia di Dio preparate per ciascuno di noi. Maria ci chiama, ci aiuta a lasciare che vengano dispersi i superbi pensieri annidati nei nostri cuori; che Dio faccia vuote le nostre mani piene di false ricchezze per riempirle dei suoi doni incorruttibili; che siamo oggi rovesciati dai troni del potere, dell'arroganza, dei vani sogni di gloria. Maria ci guida nel cammino di conversione che sono la vita e il tempo che ci son donati. Maria ci abbraccia oggi come abbracciò Elisabetta, e ci unisce al Suo canto di lode, quello per cui siamo stati creati. La lode di povere, umili creature che, istante dopo istante, sono ricolmate di Grazia dal proprio creatore. Maria ci accompagna oggi, nella verità e nella gioia, pieni di stupore e di esultanza.


APPROFONDIRE



San Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra, dottore della Chiesa


« Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente »

È caratteristico dello Spirito Santo, quando colpisce un cuore, cacciarne ogni tiepidezza. Egli ama la prontezza, ed è nemico degli indugi, dei ritardi nell'adempiere la volontà di Dio... « Maria partì in fretta » ...
Quante grazie si riversarono sulla casa di Zaccaria, quando Maria vi entrò ! Se Abramo ricevette tante grazie per aver ospitato tre angeli nella sua casa, quante benedizioni inondarono la casa di Zaccaria nella quale entrò l'angelo del superno consiglio, l'arca vera dell'alleanza, il divino profeta, Nostro Signore portato nel seno di Maria ! Tutta la casa fu piena di gioia : il bambino sussultò, il padre riebbe la vista, la madre fu piena dello Spirito Santo e ricevette il dono di profezia. Vedendo la Madonna entrare nella sua casa, esclamò : « A che debbo che la madre del mio Signore venga a me ? »... E Maria, udito quello che sua cugina diceva a sua lode, umiliò se stessa e rese gloria a Dio per tutto. Confessando che la sua felicità procedeva dal fatto che Dio « aveva guardato l'umiltà della sua serva », intonò il suo bel e mirabile cantico del Magnificat.
Quanto, anche noi, dobbiamo essere pieni di gioia, quando quel divino Salvatore ci visita nel Santissimo e nelle grazie interiori, le parole che dice ogni giorno nel nostro cuore!



Promemoria:
"Florentia domus"

mercoledì 30 maggio 2012

Mercoledì della VIII^ settimana del Tempo Ordinario

 
È questa la «sequela» cui Gesù ci chiama: 
lasciarsi attrarre dentro la sua nuova umanità 
e dunque nella comunione con Dio.  

Benedetto XVI


Dal Vangelo secondo Marco 10,32-45.

Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà». E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

IL COMMENTO
Con Gesù si sale a Gerusalemme. Sappiamo, o dovremmo sapere..., dove stiamo andando. Lo aveva ben compreso San Paolo: "Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio" (Atti, 20, 22-24). Ma i discepoli non l'avevano compreso. Seguono Gesù, ma sono imbalsamati nella mummia del proprio Io. A loro preme raggiungere i propri scopi, e Gesù, per quanto ammirato ed amato, è, alla fine, solamente colui che, ai loro occhi, può realizzare i  desideri. Come quando un computer affetto da virus non riesce a leggere un documento e i caratteri che appaiono sul monitor sono un collage di segni strani senza logica. Anche le parole più chiare di Gesù subiscono uno stravolgimento ad opera del virus dell'orgoglio e delle superbia, segni dell'uomo vecchio.

Oggi ad esempio, che progetti abbiamo? In famiglia, a scuola, al lavoro, con amici e fidanzati, che cosa speriamo, che cosa desideriamo? E' importante chiedercelo perchè, con tutta probabilità, scopriremo che la cesura netta che appare nel Vangelo tra l'annuncio della Passione e della Risurrezione di Gesù e le richieste dei due fratelli figli di Zebedeo, è la stessa che apre le nostre giornate. Ogni mattina il Signore ci annuncia un giorno di combattimenti, un cammino che conduce a Gerusalemme, alla Croce, per passare alla Resurrezione. Gesù ci prende in disparte e ci annuncia quello che gli deve accadere in noi. Per questo San Paolo scriveva che in lui si completava quello che manca alla Passione di Gesù, quello che manca alla vista degli uomini di questa generazione perchè si possano salvare.

Ma a noi, confessiamolo, importa poco. Al risveglio siamo sintonizzati su ben altro canale. Le cose da fare, i soldi, gli amici, i figli, i genitori, gli affetti vari da curare, gli obbiettivi da raggiungere. Ma, quel che è peggio, tutto pensiamo di farlo con Gesù. Giacomo e Giovanni infatti non chiedono un potere empio, senza Dio. No, loro desiderano una cosa santa, regnare con Gesù. Essere alla sua destra e alla sua sinistra. Come noi, che, nelle vicende della vita, desideriamo stare con il Signore, per carità, ci affidiamo a Lui in tutto. Forse... Ma la risposta di Gesù ci fa comprendere che neanche sappiamo che cosa chiediamo e desideriamo. La buccia sembra buona, ma è l'interno ad essere marcio. Chiediamo cose sante, ma lo spirito e i criteri sono mondani. Ci sfugge l'essenziale: il calice che Dio ha preparato per il Suo Figlio, e per ciascuno di noi. Infatti quando ci viene presentato, normalmente ce la diamo a gambe.

Ma proprio per questo, anche oggi il Vangelo è per noi una Buona Notizia. Da soli non possiamo nulla. Noi vogliamo che Gesù ci faccia quello che gli chiediamo. Siamo pronti a strumentalizzarlo, come sposi, madri, figli, presbiteri, non vi è differenza. E Gesù ci annuncia che sì, lo berremo il suo calice, che coincide con quello preparato per noi. Non abbiamo nulla da temere, Lui lo già bevuto! Lui sa come si fa, come si sale sulla croce, come non si scappa, come si entra nella morte. Gesù è in noi davanti alla Croce. "Ora Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l'intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio, viene da Dio e fonda così il vero essere uomini. Non è una persona sola, bensì ci rende tutti «uno» in sé (cfr. Gal 3,28), ci trasforma in una nuova umanità... È questa la «sequela» cui Gesù ci chiama: lasciarsi attrarre dentro la sua nuova umanità e dunque nella comunione con Dio." (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, pag.382-383). Abbandoniamoci a Lui, lasciamo che ad ogni risveglio ci annunci il nostro destino, ci attiri nella sua "nuova umanità", battezzandoci nel suo stesso battesimo. Ogni giorno che si schiude è come il fiume Giordano che attende il corpo benedetto del Signore vivo nella nostra carne. La moglie, il marito, i figli, i genitori, gli amici, il fidanzato, i colleghi sono come i flutti nei quali immergere la nostra vita perchè sia distrutto l'uomo vecchio e possa apparire quello nuovo, creato a immagine di Cristo: donarsi a chi reclama la nostra attenzione, il nostro tempo, i nostri schemi, la nostra vita. Spesso violentemente, ingiustamente, senza apparente ragione. Scendere nelle acque del Giordano per riemergervi pronti a ricevere lo Spirito Santo che fa della nostre giornate il compiacimento di Dio, che ci fa figli amatissimi che seminano ovunque lo stesso amore del quale sono ricolmi. Dare la vita significa infatti innanzi tutto deporre nelle acque del battesimo quotidiano l'egoismo, la superbia e ogni opera della carne; lasciare che sia crocifisso con Cristo l'uomo vecchio che si corrompe, proprio attraverso le vicende e le persone che il Padre prepara per noi ogni giorno. E' questa la porta che introduce al compimento della missione che ci è affidata: lasciarci trasformare da Cristo, essere docili alla volontà del Padre, seguendo le sue orme che ci conducono a Gerusalemme, alla concretissima realtà che attende i nostri passi, dove si realizza in noi lo stesso Mistero Pasquale del Signore. 


Conformati a Lui possiamo vivere un'altra vita nel capovolgimento dei criteri mondani: non possiamo aspettarci nulla dal potere di questo mondo; per quanta indignazione gettiamo nelle piazze, per quanto possiamo impegnarci per la realizzazione di una politica più onesta e giusta, per quanto ci sforziamo di costruire una cultura della legalità, "coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere". il Signore conosce il veleno che divora il mondo che lo rifiuta, e con Lui anche i suoi discepoli sanno della corruzione che vi si nasconde. Siamo chiamati, nella Chiesa e con essa, a qualcosa di molto diverso: "tra di voi invece..."  dice il Signore, chiamando a sé i suoi discepoli. Tra i fratelli nati dallo stesso battesimo, che si accostano allo stesso calice, ogni relazione è celeste, e per questo capovolta rispetto alle relazioni mondane. Il primo è l'ultimo e l'ultimo è il primo, e sembra quasi una gara a perdere, perchè fra i cristiani, vi è la certezza della vittoria di Cristo sulla morte, il demonio e il peccato. "Fra di voi" è diverso, perchè voi siete stati perdonati, rigenerati, risuscitati con Cristo e già siete stati assisi con Lui alla destra del Padre. Non si tratta di un posto di prestigio, perchè quel che sarà nel Regno dei Cieli non è affar nostro. Ma si tratta di aver ricevuto lo stesso Spirito del Signore, di regnare già oggi con Lui nella storia perchè, seppur non in pienezza, nel battesimo abbiamo già oltrepassato il guado della morte, siamo le primizie dei santi del Cielo, e per questo ci è dato il potere di sottomettere i demoni, la carne e il mondo che così diviene il potere di dare la propria vita. Si tratta di amare, di regnare come regna Lui, dal Legno della Croce, il battesimo che ci fa ultimi, servi di tutti. Si tratta della libertà di chi, dall'ultimo posto, accompagna ogni uomo al Paradiso, all'incontro con Dio. A questo siamo chiamati, a mostrare e a offrire al mondo la vita "fra di noi", figli nel Figlio. Il posto non conta, il ruolo nella società ancor meno: servire e amare, donarsi senza riserve è il luogo dove essere autenticamente se stessi, felici, realizzati, colmi della stessa pienezza di Cristo. E' questa la grandezza della nostra vita, perderla per amore, per riscattare chi è perduto. "Non è il potere che redime, ma l’amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore" (Benedetto XVI, Omelia nella Messa di inizio Pontificato).




Benedetto XVI, La sequela di Gesù

"Ora Colui che è il Verbo assume Egli stesso un corpo, viene da Dio come uomo e attira a sé l'intera esistenza umana, la porta dentro la parola di Dio, la tramuta in «udito» per Dio e dunque in «obbedienza», in riconciliazione tra Dio e l'uomo (cfr. 2 Cor 5,18-20). Egli stesso diviene il vero «sacrificio», come Colui che si è donato, entrando totalmente nell'obbedienza e nell'amore, amando «sino alla fine» (Gv 13,1). Viene da Dio e fonda così il vero essere uomini. Come dice Paolo, rispetto al primo uomo che era ed è di terra, Egli è il secondo uomo, l'uomo definitivo (l'ultimo), che viene «dal cielo» ed è «spirito datore di vita» (cfr. 1 Cor 15,45-49). Egli viene, ed è al tempo stesso il nuovo «regno». Non è una persona sola, bensì ci rende tutti «uno» in sé (cfr. Gal 3,28), ci trasforma in una nuova umanità... È questa la «seque-la» cui Gesù ci chiama: lasciarsi attrarre dentro la sua nuova umanità e dunque nella comunione con Dio. Ascoltiamo ancora una volta Paolo: «Quale è l'uomo fatto di terra [il primo uomo, Adamo], così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti» (1 Cor 15,48). L'espressione «Figlio dell'uomo» è rimasta riservata a Gesù stesso, ma la nuova visione dell'unione di Dio e uomo che vi si esprime pervade e plasma tutto il Nuovo Testamento. Nella sequela di Gesù Cristo è in gioco questa nuova umanità che viene da Dio" (J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, pag.382-383).


Sant' Alfonso-Maria de Liguori
« Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito ma per servire »

L'uomo è stato creato per servire il suo Creatore. Cosa c'è di più giusto infatti che servire colui che vi ha dato alla luce, senza il quale non potete esistere? E cosa c'è di più felice che servirlo, poiché servirlo è regnare? Eppure l'uomo ha detto al suo Creatore: «Non ti servirò» (Ger 2,20). «Allora ti servirò io, disse il Creatore all'uomo. Siediti, ti servirò, ti laverò i piedi»...
Sì, Cristo «servo buono e fedele» (Mt 25,21), hai veramente servito, hai servito in tutta fede e in tutta verità, in tutta pazienza e in tutta costanza. Senza tiepidezza ti sei lanciato come un prode per percorrere la via dell'obbedienza (Sal 18,3); senza fingere, ci hai dato in sovrappiù, dopo tante pene, la tua stessa vita; senza fiatare, flagellato e innocente, non apristi la bocca (Is 53,7). Sta scritto ed è vero: «Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse» (Lc 12,47). Ma questo servo, vi domando, quali degne azioni non ha compiuto? Cosa ha ommesso di ciò che doveva fare? «Ha fatto bene ogni cosa», esclamavano coloro che osservavano la sua condotta, «fa udire i sordi e fa parlare i muti» (Mc 7,37). Ha compiuto ogni sorta di opere degne di ricompensa, allora come mai ha sofferto tante umiliazioni? Ha presentato le sue spalle alla frusta, ha ricevuto numerosi colpi atroci, dappertutto il suo sangue scorre. È stato interrogato in mezzo agli obbrobri e ai tormenti, come uno schiavo o un malfattore che sottopongono alla tortura per strappargli la confessione di un crimine. O superbia detestabile dell'uomo sdegnoso nel servire, e che non poteva essere umiliato se non con l'esempio della servitù del suo Dio!...
Si, mio Signore, hai molto faticato per servirmi; sarebbe giusto ed equo che d'ora in poi ti riposassi, mentre il tuo servo, a sua volta, cominciasse a servirti, è venuto il suo turno... Hai vinto, Signore, questo servo ribelle; stendo le mani per ricevere i tuoi legami, chino il capo per ricevere il tuo giogo. Permetti che io ti serva. Accoglimi per sempre come tuo servo, ancorché servo inutile finché la tua grazia non mi assista e mi affianchi nella mia fatica (Sap 9,10).




Padre R. Cantalamessa. Come combattere la 'volontà di potenza' che minaccia tutti


"Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti". Dopo quello sul denaro, il vangelo di questa domenica ci fa conoscere il giudizio di Cristo su un altro dei grandi idoli del mondo: il potere. Neppure il potere è intrinsecamente cattivo, come non lo è il denaro. Dio è definito lui stesso "l'onnipotente" e la Scrittura dice che "il potere appartiene a Dio" (Sal 62, 12).
Poiché, però, l'uomo aveva abusato del potere a lui concesso, trasformandolo in dominio del più forte e in oppressione del debole, che cosa ha fatto Dio? Per darci l'esempio, si è spogliato della sua onnipotenza; da "onnipotente", si è fatto "impotente". "Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2, 7). Ha trasformato la potenza in servizio. La prima lettura del giorno contiene una descrizione profetica di questo salvatore "impotente": "È cresciuto come virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che conosce il patire".


Si rivela così una nuova potenza, quella della croce. "Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti" (1 Cor 1, 24-27). Maria, nel Magnificat, canta in anticipo questa rivoluzione silenziosa operata dalla venuta di Cristo: "Ha rovesciato i potenti dai troni" (Lc 1,52). Chi viene messo sotto accusa da questa denunzia del potere? Solo i tiranni e dittatori? Magari così fosse! Si tratterebbe, in questo caso, di eccezioni. Invece ci riguarda tutti. Il potere ha infinite ramificazioni, si inserisce dappertutto, come certa sabbia del Sahara, quando tira il vento di Scirocco. Anche nella Chiesa. Il problema del potere non si pone dunque solo per il mondo politico. Se ci fermiamo qui, non facciamo che unirci alla schiera di coloro che sono sempre pronti a battere le proprie colpe... sul petto degli altri. È facile denunciare le colpe collettive, o del passato; più difficile quelle personali e del presente.


Maria dice che Dio: "Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni" (Lc 1, 51 s.). Ella addita implicitamente un ambito preciso nel quale bisogna cominciare a combattere "la volontà di potenza", quello del proprio cuore. La nostra mente ("i pensieri del cuore") può diventare una specie di trono sul quale ci sediamo, per dettare legge e fulminare chi non si sottomette. Siamo, almeno nei desideri se non nei fatti, dei "potenti sui troni". Nella famiglia stessa è possibile, purtroppo, che si manifesti la nostra innata volontà di dominio e di sopraffazione, causando continue sofferenze a chi ne è la vittima; spesso (non sempre), la donna.


Che cosa oppone, il Vangelo, al potere? Il servizio! Un potere per gli altri, non sugli altri. Il potere conferisce autorità, ma il servizio conferisce qualcosa di più, autorevolezza, che significa rispetto, stima, ascendente reale sugli altri. Al potere, il Vangelo oppone anche la non-violenza, cioè un potere di altro tipo, morale, non fisico. Gesù diceva che avrebbe potuto chiedere al Padre dodici legioni di angeli per sbaragliare i nemici che stavano per venire a crocifiggerlo (Mt 26,53), ma preferì pregare per essi. E fu così che riportò la sua vittoria. Il servizio non si esprime, tuttavia, sempre e solo con il silenzio e la sottomissione al potere. A volte esso può spingere ad alzare coraggiosamente la voce contro il potere e contro i suoi abusi. Così ha fatto Gesù. Egli ha sperimentato nella sua vita l'abuso del potere politico e religioso del tempo. Per questo è vicino a tutti quelli che, in qualsiasi ambiente (nella famiglia, nella comunità, nella società civile), fanno su di sé l'esperienza di un potere cattivo e tirannico. Con il suo aiuto, è possibile, come ha fatto lui, non "soccombere al male" e vincere anzi "il male con il bene" (Rm 12, 21).

 (1696-1787), vescovo e dottore della Chiesa
Opere, t.14

« Dare la propria vita in riscatto per molti »

Un Dio che serve, che spazza la casa, che si dedica a lavori penosi – quanto uno solo di questi pensieri dovrebbe colmarci di amore! Quando il Salvatore ha cominciato a predicare il suo Vangelo, si è fatto “il servo di tutti”, dichiarando lui stesso che “non era venuto per essere servito, ma per servire”. È come se avesse detto che voleva essere il servitore di tutti gli uomini. E, al termine della sua vita, non si è contentato, dice san Bernardo, “di aver preso la condizione di servo per mettersi al servizio degli uomini; ha voluto prendere la forma del servo indegno, per lasciarsi colpire, e subire la pena che era dovuta a noi, a causa dei nostri peccati”.
Ecco che il Signore, obbediente servo di tutti, si sottomette alla sentenza di Pilato, per quanto ingiusta sia, e si consegna ai suoi carnefici... Così, Dio ci ha tanto amato, da voler obbedire come schiavo, per amore nostro, fino a morire e a morire di una morte dolorosa e infame, il supplizio della croce (Fil 2,8).
Ora, in tutto questo, obbediva non in quanto Dio, ma in quanto uomo, che aveva assunto la condizione di schiavo. Un certo santo si è consegnato come schiavo per riscattare un povero, e si è attirato l’ammirazione del mondo per questo atto eroico di carità. Ma cos’è questa carità in confronto a quella del Redentore? Essendo Dio e volendo riscattarci dalla schiavitù del diavolo e della morte che avevamo meritata, si fa lui stesso schiavo, si lascia legare e inchiodare sulla croce. “Perché il servo diventasse maestro, dice san Agostino, Dio ha voluto farsi servo”.





Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense
Discorso 1 sui rami delle palme





lunedì 28 maggio 2012

Martedì della VIII^ settimana del Tempo Ordinario


I SEGNIDEITEMPI.WORDPRES   &   blogspot

DA IL VANGELO DEL GIORNO



Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno 
in questo momento della storia sono uomini che,
attraverso una fede illuminata e vissuta,
rendano Dio credibile in questo mondo.
Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio,
imparando da lì la vera umanità.
Abbiamo bisogno di uomini 
il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio 
e a cui Dio apra il cuore,
in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri
e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri.
Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio,
Dio può far ritorno presso gli uomini.

J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture,
Conferenza tenuta il 1 aprile 2005 a Subiaco


Dal Vangelo secondo Marco 10,28-31.


Pietro allora gli disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva gia al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi».

Il Commento


Pietro, nel Vangelo di oggi, ancora una volta dà voce alla Chiesa in una professione di fede che è un atto d'amore. Ma è un balbettio, non è ancora fede adulta. Centrale è infatti l'enfasi su quel "noi abbiamo...." che, nei passi paralleli degli altri vangeli, si fa anche domanda. Vi è ancora la carne che cerca un premio. Altre volte gli apostoli chiederanno a Gesù i posti migliori, riconoscimenti ufficiali. Nelle parole di Pietro possiamo ravvisare la tensione che sempre anima la Chiesa. E' vero che i suoi figli sono quelli che hanno lasciato tutto per seguire il Signore. Ma è ancor più vero che l'abbandono di ogni sicurezza mondana è proprio l'impossibile fatto possibile da Dio, il miracolo che fa presente il Cielo, quello di cui ha parlato Gesù nel passo immediatamente precedente. Seguire Gesù è innanzitutto una liberazione. E' il segno di un incontro con la misericordia che strappa dalla schiavitù del peccato e della carne.

La Chiesa che segue Gesù sul cammino della precarietà è così un segno per il mondo, una profezia del Cielo per tutti gli uomini. La risposta di Gesù indica un nuovo modo di vivere sulla terra, quello di coloro che non sono del mondo pur essendo nel mondo. Le parole di Gesù mostrano come nella Chiesa vi sia un rapporto nuovo tra le persone, un anticipo della vita beata che si incarna nella comunione dei santi. Ovunque i cristiani sono a casa propria. Non vi sono barriere legate alla razza, alla lingua, alla condizione sociale. Ovunque vi sono fratelli, sorelle, madri, figli. Ovunque la vita è feconda, e piena, e realizzata. Per questo anche Pietro, e la Chiesa, nella continua tensione tra il Cielo e la terra, è chiamata ad uscire da se stessa, dai vincoli della carne; la Chiesa è ogni giorno chiamata a conversione, a lottare con la tentazione di costruire qui la propria patria, di farsi agenzia sociale, di restringere i propri orizzonti e mettere se stessa al servizio di ideali pur nobili ma carnali, di farsi promotrice di assicurazioni per la terra e non per il Cielo, di mettere radici, di cercare riconoscimenti mondani, di essere accettata per sfuggire, in qualche modo, alle persecuzioni. "Come c’è uno zelo amaro che allontana da Dio e conduce all’inferno, così c’è uno zelo buono che allontana dai vizi e conduce a Dio e alla vita eterna. È a questo zelo che i monaci devono esercitarsi con ardentissimo amore: si prevengano l’un l’altro nel rendersi onore, sopportino con somma pazienza a vicenda le loro infermità fisiche e morali… Si vogliano bene l’un l’altro con affetto fraterno… Temano Dio nell’amore… Nulla assolutamente antepongano a Cristo il quale ci potrà condurre tutti alla vita eterna” (S. Benedetto, Regola Pastorale, capitolo 72).

Non a caso infatti le parole di Gesù che annunciano per la Sua Sposa il centuplo già in questo mondo profetizzano, contemporaneamente, per essa le persecuzioni. La missione della Chiesa e di ogni suo membro consiste nell'essere un segno di contraddizione, una denuncia piena d'amore che, mostrando una vita diversa da quella mondana, ne attira, conseguentemente, le reazioni, anche le più violente. Il rifiuto di chi non accetta che vi sia la possibilità di una vita migliore, più autentica di quella che il mondo propone e che si possiede, e per la quale ci si sforza e si lotta. Il rigetto di chi si è fatto da solo, e i propri criteri ne sono il tesoro più geloso. Basta ricordare come, tra gli invitati al banchetto, vi siano anche quelli che non solo non accettano l'invito, ma uccidono gli inviati del Signore, segno di un'ira incontrollata che non può accettare un annuncio che sveli, in qualche modo, la propria pochezza, la propria incompletezza.

La Chiesa in fondo non "dialoga" mai, secondo l'idea di dialogo che circola di questi tempi, irrimediabilmente coniugata in relativismo. La Chiesa annuncia. E se annuncia una buona notizia, un banchetto, è perchè ha qualcosa da annunciare e offrire, qualcosa che gli altri non hanno. E questo, nella maggior parte dei casi, è inaccettabile. Per sua stessa essenza è missionaria, è un segno, un sacramento di salvezza. Noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita… Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui” (Benedetto XVI, Omelia all’inizio del ministero petrino, 24 aprile 2005)”. La Chiesa è il corpo di Cristo vittorioso sulla morte, il suo solo esistere sulla terra, il suo solo essere quello che è costituisce un annuncio: "Se sarete quello che dovete essere, voi incendierete il mondo" (S. Caterina da Siena). La Chiesa, come Cristo, ascolta il gemito, il dolore, e accoglie con misericordia; ma non può mettere in discussione se stessa, che è una cosa sola con quanto annuncia. La Chiesa non va nei salotti televisivi, non si fa irretire nella fiera delle opinioni. Basta leggere il Vangelo e osservare il Signore: ogni dialogo nascondeva insidie, quel suo "ma io vi dico" e quel "Amen, amen (autenticamente, con certezza) io vi dico" rivelavano un'autorità indiscutibile. Lui era, è la Verità. E la Chiesa non può annunciare qualcosa di diverso dalla Verità, l'unica.

Di conseguenza, come il suo Signore, per il solo fatto di essere qui ed ora nella storia, suscita contrasti, spesso violenti. Essi sono il segno dell'autenticità e del successo della sua missione. Perchè per la Chiesa il successo si misura con il rifiuto. Perchè se davvero l'annuncio del Vangelo è rifiutato, significa che ha colto nel segno, non ha lasciato indifferente, come un amo si è conficcato nel cuore di chi lo ha udito, e la sua vita rimarrà per sempre legata a quel filo che lo conduce al pescatore, a Pietro, alla Chiesa, al cuore stesso di Cristo. Quando Lui vorrà darà il colpo decisivo, un problema, una sofferenza, la Croce che si fa evidente, e quell'uomo sarà tratto dall'acqua della morte per essere issato a bordo della barca che lo condurrà al porto della Vita. Sempre libero di divincolarsi sino in fondo, e, alla fine, spezzare quel filo. Alla Chiesa la missione di annunciare e prendere su di sè il rifiuto, il disprezzo, la stessa morte, per lasciare aperta la porta della Vita. Così Cristo ha salvato il mondo, così, attraverso il suo Corpo visibile, continua a farlo nel fluire della storia. "Come l’apostolo Paolo dimostrava l’autenticità del suo apostolato con le persecuzioni, le ferite e i tormenti subiti (cfr 2 Cor 6-7), così la persecuzione è prova anche dell’autenticità della nostra missione apostolica" (Benedetto XVI, Discorso all'Assemblea Generale delle Pontificie Opere Missionarie, 21 maggio 2010).

L'orgoglio e la gelosia demoniache emergono con violenza all'apparire della Chiesa. Per questo le parole di Gesù sono anche per tutti noi una luce importantissima. Ci chiamano a conversione. Innanzi tutto ci scrutano perchè possiamo renderci conto, oggi, su che cosa stiamo fondando la nostra vita. Se vi siano compromessi tra Gesù e il mondo. Le parole di Gesù illuminano il nostro modo di seguirlo. E poi, penetrando più a fondo, ci rivelano i nostri sentimenti più profondi. Stiamo forse camminando nella Chiesa con qualche pretesa? Abbiamo sì lasciato tutto, come preti, suore, catechisti, famiglie missionarie, oppure aprendoci alla vita con il quarto, quinto, nono figlio, ma il cuore che cosa cerca davvero? Abbiamo fatto l'esperienza che essere cristiani, essere con Gesù, seguirlo nella Chiesa è stata ed è per noi una liberazione, una Grazia, un'elezione gratuita e meravigliosa, oppure, celata dietro ad un'apparenza di dedizione, vi è la mormorazione, l'attesa di una ricompensa, un'esigenza? Il cuore nostro è oggi colmo di gratitudine o no? Gesù è oggi la nostra ricompensa, quella che sazia di beni e di felicità la nostra vita oppure stiamo cercando qualcosa d'altro?

Comunque stiano le cose accogliamo oggi le parole di Gesù come una Buona Notizia, come una parola capace di compiersi nella nostra vita, spezzando le catene che ancora ci fanno schiavi: la reputazione, l'onore, il denaro, la concupiscenza, i nostri progetti, i nostri criteri. I nostri ideali. E abbandoniamoci all'amore di Dio, l'unico che, anche oggi, può colmare la nostra vita donandoci una famiglia meravigliosa, quella dei santi figli di Dio.


Cardinal John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo
PPS, vol. 8, n° 2 « Divine Calls »

« Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito »

Non veniamo chiamati una sola volta, ma tante volte ; per tutta la nostra vita, Cristo ci chiama. Ci ha chiamati dapprima nel battesimo, ma anche dopo ; sia che ubbidiamo alla sua voce oppure no, ci chiama ancora nella sua misericordia. Se veniamo meno alle promesse battesimali, ci chiama al pentimento. Se ci sforziamo di rispondere alla nostra vocazione, ci chiama sempre più avanti, di grazia in grazia, di santità in santità finché ci sarà lasciata la vita per questo.
Abramo è stato chiamato a lasciare la sua casa e il suo paese (Gen 12,1), Pietro le sue reti (Mt 4,18), Matteo il suo lavoro (Mt 9,9), Eliseo la sua fattoria (1 Re 19,19), Natanaèle il suo luogo in disparte (Gv 1,47). Senza sosta tutti siamo chiamati, da una cosa ad un’alta, sempre più avanti, senza avere nessun luogo per riposarci, ma salendo verso il nostro riposo eterno, e ubbidendo ad una chiamata interiore nell’unico scopo di essere pronti a sentirne un’altra.
Cristo ci chiama senza sosta, per giustificarci senza sosta ; senza sosta e sempre di più, egli vuole santificarci e glorificarci. Occorre che lo capiamo, ma siamo lenti ad accorgerci di questa grande verità, che cioè Cristo cammina, in un certo senso, in mezzo a noi, e con la mano, gli occhi, la voce, ci fa cenno di seguirlo. Non comprendiamo che la sua chiamata ha luogo proprio in questo momento. Pensiamo che ha avuto luogo al tempo degli apostoli ; ma non ci crediamo, non l’aspettiamo veramente per noi stessi.


San Bernardo (1091-1153), monaco cistercense e dottore della Chiesa
Discorsi 37 sul Cantio dei Cantici




« Già al presente cento volte tanto »

«Seminate nella giustizia, dice il Signore, e raccoglierete la speranza della vita». Non vi rimanda nell'ultimo giorno, quando tutto vi sarà dato realmente e non più nella speranza; egli parla del presente. Certo, grande sarà la nostra gioia, infinita la nostra esultanza, quando comincerà la vita vera. Ma già la speranza di una tale gioia non può essere senza gioia. «Siate lieti nella speranza», dice l'apostolo Paolo (Rm 12,12). E Davide non dice che sarà nella gioia, bensì che vi è stato il giorno in cui ha sperato di entrare nella casa del Signore (Sal 121,1). Non possedeva ancora la vita, eppure aveva già mietuto la speranza della vita. E faceva l'esperienza della verità della Scrittura che dice che non soltanto la ricompensa ma anche «l'attesa dei giusti finirà in gioia» (Prv 10,28).Questa gioia è prodotta, nell'animo di chi ha seminato per la giustizia, dalla convinzione che i suoi peccati sono perdonati...
Chiunque tra voi, dopo gli inizi amari della conversione, ha la fortuna di vedersi alleggerito dalla speranza dei beni che attende... ha mietuto fin d'ora il frutto delle sue lacrime. Ha visto Dio e lo ha sentito dire: «Dategli del frutto delle sue mani» (Prv 31,31). Come colui che ha «gustato e visto quanto è soave il Signore» (Sal 33,9) non avrebbe veduto Dio? Il Signore Gesù sembra molto soave a chi riceve da lui non soltanto la remissione delle sue colpe, ma anche il dono della santità e, meglio ancora, la promessa della vita eterna. Beato chi ha già raccolto una così bella messe... Il profeta dice il vero: «Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo» (Sal 125,2)... Nessun profitto né onore terreno ci sembrerà superare la nostra speranza e questa gioia di sperare, ormai profondamente radicata nei nostri cuori: «La speranza non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5).

Lunedì della VIII^ settimana del Tempo Ordinario

Da <> Il Vangelo del giorno <>

Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! 
Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, 
vi guarda con amore!
La consapevolezza che il Padre 
ci ha da sempre amati nel suo Figlio, 
che il Cristo ama ognuno e sempre, 
diventa un fermo punto di sostegno 
per tutta la nostra esistenza umana.

Giovanni Paolo II, Lettera ai giovani, n. 7



Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27.

Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!». I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: «Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». 

IL COMMENTO

Gesù esce per mettersi in viaggio, Lui è sempre in cammino. Gesù è il cammino. Passa, chiama, attira, e coinvolge nel movimento che strappa all'installazione, all'imborghesimento, al grigio della vita. Gesù è un vortice che purifica e stana chi vorrebbe nascondersi e fuggire dalla realtà. Il "tale" che appare nel Vangelo di oggi non ha nome, perchè non ha consistenza. E' immagine dei tanti che scivolano nella vita aggrapati alle proprie ricchezze, non solo economiche. Vuole la vita eterna, come ciascuno di noi. Ma è davvero quello che il suo cuore desidera? 
Corre incontro a Gesù, e si mette in ginocchio. Quante volte ci mettiamo in ginocchio davanti a Gesù! Quante volte ci mettiamo a pregare chiedendo luce su quel che dobbiamo fare. E nulla, ce ne torniamo tristi alla vita di ogni giorno, magari mormorando per non aver sentito nulla, per non aver capito, per essere rimasti al punto di partenza. La Parola del Vangelo di oggi invece è una luce di libertà, capace di smascherare quello che davvero vi è nel nostro cuore, l'atteggiamento ultimo e decisivo con il quale ci avviciniamo al Signore. Non basta mettersi in ginocchio. Non basta correre in Chiesa. Non bastano neanche le nostre opere di giustizia, perchè il cammino di Gesù è qualcosa di diverso. 
Esso svela l'essenza della Legge che non è un cumulo di articoli del codice da rispettare. La Legge del Sinai, i Dieci Comandamenti sono le Parole della Vita, il cammino che Dio ha lasciato all'uomo per ereditare la vita che non muore. Ne sono un anticipo perchè sgorgano dal cuore stesso di Dio. I comandamenti sono pura Grazia perchè mostrano, nella vita quotidiana, la libertà di chi appartiene totalmente a Dio. Egli infatti "ha scritto sulle Tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori" (S. Agostino, Enarratio en Psalmum 57,1). Per questo, nel dialogo di oggi, cominciando con l'elencare i comandamenti da "non uccidere", Gesù è come se nascondesse la prima parte del Decalogo, quella che fonda e genera ogni comandamento, e che fa riferimento proprio al cammino che Dio ha aperto al suo popolo quando lo ha liberato dall'Egitto. Da quel miracolo d'amore che è stata la liberazione dall'angoscia della schiavitù sorge un amore nuovo, l'amore a Dio con tutto il cuore, con tutta la mente, con tutte le forze. Pensare di compiere la Legge senza aver conosciuto l'amore di Dio nella propria vita è pura illusioneQuando Gesù scopre le carte e presenta al ricco la perfezione, che nel linguaggio del Nuovo Testamento indica i cristiani sine-glossa, (i "perfetti" erano i battezzati), il "tale" si spaventa, si rattrista, perchè si rende conto che, in realtà, non aveva compiuto nessun comandamento. Aveva rispettato alcuni codici della Legge, ma il suo cuore era lontano, e la sua relazione con Dio era solo un vestito indossato. E' un cuore liberato la sorgente di una vita santa, separata, consacrata. 

Così il Signore, attraverso la tristezza del "tale" del vangelo, ci dice che cosa sia essere cristiani. Non sono parole esclusive per frati o monache, sono per noi, oggi. Gesù non si rivolge a un'elite si super cristiani, quasi che la libertà sia riservata ad un club esclusivo. Il "tale" che desiderava la vita eterna, in fondo desiderava essere cristiano, ma, all'udire l'annuncio di Gesù, torna alla sua vita triste, perchè il suo cuore non aveva conosciuto l'amore, quell'amore con il quale il Signore lo aveva amato fissandolo e annunciandogli la verità. Non aveva compreso che Colui che lo invitava a lasciare tutto e seguirlo, era Dio stesso, l'unico che poteva fissare in quel modo, giungere al cuore, amare e chiamare con quella autorità. Un cristiano è invece immagine della gioia di chi, come gli apostoli, ha incontrato in quello sguardo, l'amore di Dio, e per quell'amore unico, lasciare i propri beni non è una rinuncia ma una liberazione. Quel "tale" invece non ama che se stesso, non è mai uscito dall'Egitto, continua a fare mattoni, opere di buona fattura, ma impiegate per costruire una cattedrale al proprio io. La gioia e la pienezza della vita non derivano dal compiere la Legge, ma dalla rettitudine di intenzione con la quale si opera. C'è chi lavora e studia con grande profitto, ma resta incatenato alla tristezza. C'è chi paga le tasse sino all'ultimo centesimo, ed è pieno di livore e odio per chi evade il fisco. Senza amore, nella vita tutto non è che vanità... Nel "tale" del vangelo infatti, si riflette l'immagine di tutti coloro che credono di poter raggiungere il Cielo con le proprie forze e che la vita eterna sia una questione di meriti da porre dinanzi a Dio; o, più laicamente, un attestato di "civiltà" presso la "società civile", tanto di moda in questi tempi di moralismi amorali. Da qualunque parte lo si consideri, è lui, il proprio ego, il centro della sua vita. E' immagine di chi si sforza, di chi si impegna per compiere la legge, di non sgarrare, dell'uomo che vive l'orizzonte della religiosità naturale, dove non c'è posto per la Grazia. San Tommaso d'Aquino, commentando l'affermazione di San Paolo «Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legittimamente» (1 Tim. 1,8): scriveva «L'Apostolo si riferisce qui ai precetti morali perché aggiunge che si tratta di legge posta per i peccati... Il loro uso legittimo [potremmo anche tradurre ragionevole] è che l'uomo non attribuisca a questi precetti più di quanto è in essi contenuto. La legge è data per conoscere il peccato. Non vi è dunque in questi precetti morali la speranza di essere resi giusti, ma solo nella grazia della fede».

Il "tale" chiama buono Gesù, ma nel fondo non lo riconosce come Dio, il solo buono, non gli dà credito, non si abbandona al potere della sua parola. Le ricchezze, segno del proprio io che la fa da padrone, gli impediscono di ascoltare, credere, e seguire Gesù nel cammino verso la Pasqua. E' la nostra realtà. Preghiamo, andiamo a messa, facciamo opere di carità, ci sforziamo cercando come fare per essere felici, ma siamo tremendamente gelosi di noi stessi, delle nostre ricchezze. Qualcuno ci ha nascosto la verità che sostiene e colma la nostra esistenza: il demonio ci sta ingannando con arte, proprio occultandoci l'incipit del Decalogo, l'amore di Dio nel quale siamo stati creati! Gesù vuole accompagnare il giovane ricco e ciascuno di noi alle fonti e alle radici della nostra storia, laddove si annida l'inganno, per svelarci di nuovo la verità: "Una sola cosa ti manca...", la sola cosa buona, necessaria, fondamentale che aveva scelto Maria mettendosi ai suoi piedi in ascolto della sua Parola. Abbiamo tutto e ci manca l'unica cosa davvero importante! E' uno shock, è lo tsunami che accompagna l'irrompere della verità. Quel giovane, come ciascuno di noi, sbatte violentemente contro se stesso, e si scopre usurpatore, insediatosi nel posto riservato a Dio. E' figlio di Adamo, la sua vita sgorga dalla menzogna primordiale: si sta corrompendo nel peggiore dei modi, perchè irretita nell'illusione di voler compiere la volontà di Dio mentre il cuore è inceppato sui desideri della propria carne. L'esito non può che essere la tristezza, la stessa che sperimentiamo anche quando abbiamo realizzato qualcosa di importante; dopo un breve entusiasmo, al seccarsi delle lacrime commosse, ci resta l'amaro dell'insoddisfazione, ci "manca qualcosa" per essere felici davvero, perchè quella gioia si stabilisca nel nostro intimo senza evaporare irrimediabilmente. Ci manca "una sola cosa"....  

Ci manca vendere tutti i nostri beni per entrare, già oggi, nel Cielo, e pregustare, in questa terra, le primizie della vita eterna: vendere tutto per avere un tesoro in Cielo; liberi da se stessi perchè Cristo sia il centro della nostra vita; lasciare il posto che abbiamo usurpato schiacciando l'esistenza sul triste e infecondo orizzonte terreno, perchè vi si insedi Colui che ci ha amati e introdotti nel Cielo, il nostro destino autentico, luce che illumina ogni istante attirandolo nell'orizzonte infinito dell'amore, di una vita donata sino all'ultimo spicciolo, senza risparmiare nulla. Gesù dice quello che hai, perchè può camminare dietro a Lui solo chi è tutto suo, chi non si ritaglia spazi di autonomia nelle scelte. Seguire Gesù è lasciarsi liberare sino in fondo dal suo amore che fa possibile l'impossibile, cioè far nascere la vita divina in una carne corruttibile. Per questo il Vangelo di oggi è una Buona Notizia. Ci denuncia schiavi ma ci annuncia la liberazione: "Se vuoi essere perfetto...Traduci in opere queste parole e seguendo nudo la nuda Croce salirai con più prontezza la scala di Giacobbe" (S. Girolamo, Lettera a Paolina).

Non possiamo, è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che oggi, così come siamo, decidiamo di lasciare tutto e abbandonarci al suo amore per seguirlo. Ma scoprire oggi la tristezza dell'impossibilità, la frustrazione dei nostri limiti disegnati dall'egoismo, è il principio di una vita nuova, la porta stretta che conduce alla libertà. Non possiamo, forse neanche lo desideriamo davvero, ma non importa! Lui è oggi davanti a noi, e ci guarda fissandoci con amore infinito! Lui vuole compiere in noi quanto ci annuncia: Ci ha detto la verità, non abbiamo scampo, ma proprio per questo possiamo abbandonarci a Lui: Gesù non cerca i sani, i perfetti, gli illusi; Lui è venuto per te e per me esattamente come siamo oggi, tristi perchè avvinti alle nostre ricchezze che ci si corrompono tra le mani, incapaci di liberarci dal nostro io, dai nostri progetti, anche da quelli che crediamo ci debbano condurre la felicità e alla vita eterna; Lui ci ama così, ora! Lui freme di compassione, ci fissa sino al fondo del nostro cuore malato e paralizzato per entrarvi e compiere l'impossibile. La Buona Notizia di oggi è che proprio la nostra totale debolezza è il nostro autentico trofeo, la porta dischiusa sulla Vita che non muore, la pienezza cui aneliamo. Lui è il cammino al Padre e al Cielo, Lui oggi può strapparci all'Egitto e condurci, sulle sue spalle, al riposo del suo amore, compiendo in noi e con noi, sino al più piccolo iota della Legge, liberandoci da ogni ricchezza avvelenata. Guardiamolo, fissiamolo e lasciamoci rapire dal suo amore, è questa l'unica cosa che ci manca, per sperimentare la gioia della fede invece della tristezza dell'idolatria: "La forza con cui la verità si fa strada deve essere la gioia in cui essa si manifesta. Essa - la gioia della fede - porta direttamente al centro della natura umana, che attende questa gioia con tutte le fibre dell'anima" (J. Ratzinger, La festa della fede).

San Giovanni Crisostomo (verso il 345-407), vescovo di Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia sul debitore di diecimila talenti, 3 ; PG 51, 21




« Chi mai si può salvare ? »
San Giovanni Crisostomo (verso il 345-407), vescovo di Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa
Omelia 63 su San Matteo ; PG 58, 603s

« Cosa devo fare per avere la vita eterna ? »

Questo giovane non aveva dimostrato una premura mediocre; egli era come un innamorato. Mentre gli altri si avvicinavano a Gesù per metterlo alla prova o per parlargli delle loro malattie, di quelle dei parenti o di altri ancora, lui invece si avvicina per intrattenersi con lui sulla vita eterna. Il terreno era fertile, ma era pieno di rovi pronti a soffocare il seme (Mt 13,7). Considera quanto egli sia ben disposto ad obbedire ai comandamenti: “Cosa devo fare per avere la vita eterna?”... Nessun fariseo aveva mai manifestato tali sentimenti; erano piuttosto furiosi di essere stati ridotti al silenzio. Il nostro giovane, invece, ripartì con gli occhi abbassati dalla tristezza, segno non trascurabile del fatto che non era venuto con cattive disposizioni. Era soltanto troppo debole; aveva il desiderio della vita, ma una passione difficilissima da superare lo tratteneva...
“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dàllo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi... Udito questo, il giovane se ne andò triste” (Mt 19,21). L’evangelista mostra quale è il motivo di tale tristezza: è cioè il fatto che aveva “molte ricchezze”. Coloro che hanno poco e coloro che sono immersi nell’abbondanza non possedono i beni allo stesso modo. In costoro l’avarizia può essere una passione violenta, tirannica. Ogni nuova acquisizione accende in loro una fiamma più viva, e coloro che ne sono affetti sono più poveri di prima. Hanno più desideri eppure sentono più fortemente la loro sedicente indigenza. Comunque considera quanto qui la passione abbia mostrato la sua forza... “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!” Non perché Cristo condannasse le ricchezze, ma piuttosto coloro che da esse sono posseduti.




Benedetto XVI. Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?
Messaggio per la XXV Giornata mondiale della Gioventù. 22 Febbraio 2010



Questo racconto esprime in maniera efficace la grande attenzione di Gesù verso i giovani, verso di voi, verso le vostre attese, le vostre speranze, e mostra quanto sia grande il suo desiderio di incontrarvi personalmente e di aprire un dialogo con ciascuno di voi. Cristo, infatti, interrompe il suo cammino per rispondere alla domanda del suo interlocutore, manifestando piena disponibilità verso quel giovane, che è mosso da un ardente desiderio di parlare con il «Maestro buono», per imparare da Lui a percorrere la strada della vita. Con questo brano evangelico, il mio Predecessore voleva esortare ciascuno di voi a “sviluppare il proprio colloquio con Cristo - un colloquio che è d'importanza fondamentale ed essenziale per un giovane” (Lettera ai giovani, n. 2).

Gesù lo guardò e lo amò

Nel racconto evangelico, San Marco sottolinea come “Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò” (cfr Mc 10,21). Nello sguardo del Signore c’è il cuore di questo specialissimo incontro e di tutta l’esperienza cristiana. Infatti il cristianesimo non è primariamente una morale, ma esperienza di Gesù Cristo, che ci ama personalmente, giovani o vecchi, poveri o ricchi; ci ama anche quando gli voltiamo le spalle.
Commentando la scena, il Papa Giovanni Paolo II aggiungeva, rivolto a voi giovani: “Vi auguro di sperimentare uno sguardo così! Vi auguro di sperimentare la verità che egli, il Cristo, vi guarda con amore!” (Lettera ai giovani, n. 7). Un amore, manifestatosi sulla Croce in maniera così piena e totale, che fa scrivere a san Paolo, con stupore: “Mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). “La consapevolezza che il Padre ci ha da sempre amati nel suo Figlio, che il Cristo ama ognuno e sempre – scrive ancora il Papa Giovanni Paolo II -, diventa un fermo punto di sostegno per tutta la nostra esistenza umana” (Lettera ai giovani, n. 7), e ci permette di superare tutte le prove: la scoperta dei nostri peccati, la sofferenza, lo scoraggiamento.
In questo amore si trova la sorgente di tutta la vita cristiana e la ragione fondamentale dell'evangelizzazione: se abbiamo veramente incontrato Gesù, non possiamo fare a meno di testimoniarlo a coloro che non hanno ancora incrociato il suo sguardo!


La scoperta del progetto di vita

Nel giovane del Vangelo, possiamo scorgere una condizione molto simile a quella di ciascuno di voi. Anche voi siete ricchi di qualità, di energie, di sogni, di speranze: risorse che possedete in abbondanza! La stessa vostra età costituisce una grande ricchezza non soltanto per voi, ma anche per gli altri, per la Chiesa e per il mondo.
Il giovane ricco chiede a Gesù: “Che cosa devo fare?”. La stagione della vita in cui siete immersi è tempo di scoperta: dei doni che Dio vi ha elargito e delle vostre responsabilità. E’, altresì, tempo di scelte fondamentali per costruire il vostro progetto di vita. E’ il momento, quindi, di interrogarvi sul senso autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C'è qualcosa che manca?”.
Come il giovane del Vangelo, forse anche voi vivete situazioni di instabilità, di turbamento o di sofferenza, che vi portano ad aspirare ad una vita non mediocre e a chiedervi: in che consiste una vita riuscita? Che cosa devo fare? Quale potrebbe essere il mio progetto di vita? “Che cosa devo fare, affinché la mia vita abbia pieno valore e pieno senso?” (Ibid., n. 3).
Non abbiate paura di affrontare queste domande! Lontano dal sopraffarvi, esse esprimono le grandi aspirazioni, che sono presenti nel vostro cuore. Pertanto, vanno ascoltate. Esse attendono risposte non superficiali, ma capaci di soddisfare le vostre autentiche attese di vita e di felicità.
Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Con fiducia, chiedetegli: “Signore, qual è il tuo disegno di Creatore e Padre sulla mia vita? Qual è la tua volontà? Io desidero compierla”. Siate certi che vi risponderà. Non abbiate paura della sua risposta! “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,20)!


Vieni e seguimi!

Gesù, invita il giovane ricco ad andare ben al di là della soddisfazione delle sue aspirazioni e dei suoi progetti personali, gli dice: “Vieni e seguimi!”. La vocazione cristiana scaturisce da una proposta d’amore del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d’amore: “Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della loro vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio. I santi accolgono quest'invito esigente, e si mettono con umile docilità alla sequela di Cristo crocifisso e risorto. La loro perfezione, nella logica della fede talora umanamente incomprensibile, consiste nel non mettere più al centro se stessi, ma nello scegliere di andare controcorrente vivendo secondo il Vangelo” (Benedetto XVI, Omelia in occasione delle Canonizzazioni: L’Osservatore Romano, 12-13 ottobre 2009, p. 6).
Sull’esempio di tanti discepoli di Cristo, anche voi, cari amici, accogliete con gioia l’invito alla sequela, per vivere intensamente e con frutto in questo mondo. Con il Battesimo, infatti, egli chiama ciascuno a seguirlo con azioni concrete, ad amarlo sopra ogni cosa e a servirlo nei fratelli. Il giovane ricco, purtroppo, non accolse l’invito di Gesù e se ne andò rattristato. Non aveva trovato il coraggio di distaccarsi dai beni materiali per trovare il bene più grande proposto da Gesù.
La tristezza del giovane ricco del Vangelo è quella che nasce nel cuore di ciascuno quando non si ha il coraggio di seguire Cristo, di compiere la scelta giusta. Ma non è mai troppo tardi per rispondergli!
Gesù non si stanca mai di volgere il suo sguardo di amore e chiamare ad essere suoi discepoli, ma Egli propone ad alcuni una scelta più radicale. In quest'Anno Sacerdotale, vorrei esortare i giovani e i ragazzi ad essere attenti se il Signore invita ad un dono più grande, nella via del Sacerdozio ministeriale, e a rendersi disponibili ad accogliere con generosità ed entusiasmo questo segno di speciale predilezione, intraprendendo con un sacerdote, con il direttore spirituale il necessario cammino di discernimento. Non abbiate paura, poi, cari giovani e care giovani, se il Signore vi chiama alla vita religiosa, monastica, missionaria o di speciale consacrazione: Egli sa donare gioia profonda a chi risponde con coraggio!
Invito, inoltre, quanti sentono la vocazione al matrimonio ad accoglierla con fede, impegnandosi a porre basi solide per vivere un amore grande, fedele e aperto al dono della vita, che è ricchezza e grazia per la società e per la Chiesa.


Orientati verso la vita eterna

“Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Questa domanda del giovane del Vangelo appare lontana dalle preoccupazioni di molti giovani contemporanei, poiché, come osservava il mio Predecessore, “non siamo noi la generazione, alla quale il mondo e il progresso temporale riempiono completamente l'orizzonte dell'esistenza?” (Lettera ai giovani, n. 5). Ma la domanda sulla “vita eterna” affiora in particolari momenti dolorosi dell’esistenza, quando subiamo la perdita di una persona vicina o quando viviamo l’esperienza dell’insuccesso.
Ma cos’è la “vita eterna” cui si riferisce il giovane ricco? Ce lo illustra Gesù, quando, rivolto ai suoi discepoli, afferma: “Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,22). Sono parole che indicano una proposta esaltante di felicità senza fine, della gioia di essere colmati dall'amore divino per sempre.
Interrogarsi sul futuro definitivo che attende ciascuno di noi dà senso pieno all’esistenza, poiché orienta il progetto di vita verso orizzonti non limitati e passeggeri, ma ampi e profondi, che portano ad amare il mondo, da Dio stesso tanto amato, a dedicarci al suo sviluppo, ma sempre con la libertà e la gioia che nascono dalla fede e dalla speranza. Sono orizzonti che aiutano a non assolutizzare le realtà terrene, sentendo che Dio ci prepara una prospettiva più grande, e a ripetere con Sant’Agostino: “Desideriamo insieme la patria celeste, sospiriamo verso la patria celeste, sentiamoci pellegrini quaggiù” (Commento al Vangelo di San Giovanni, Omelia 35, 9). Tenendo fisso lo sguardo alla vita eterna, il Beato Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925 all'età di 24 anni, diceva: “Voglio vivere e non vivacchiare!” e sulla foto di una scalata, inviata ad un amico, scriveva: “Verso l’alto”, alludendo alla perfezione cristiana, ma anche alla vita eterna.
Cari giovani, vi esorto a non dimenticare questa prospettiva nel vostro progetto di vita: siamo chiamati all’eternità. Dio ci ha creati per stare con Lui, per sempre. Essa vi aiuterà a dare un senso pieno alle vostre scelte e a dare qualità alla vostra esistenza.


I comandamenti, via dell'amore autentico

Gesù ricorda al giovane ricco i dieci comandamenti, come condizioni necessarie per “avere in eredità la vita eterna”. Essi sono punti di riferimento essenziali per vivere nell’amore, per distinguere chiaramente il bene dal male e costruire un progetto di vita solido e duraturo. Anche a voi, Gesù chiede se conoscete i comandamenti, se vi preoccupate di formare la vostra coscienza secondo la legge divina e se li mettete in pratica.
Certo, si tratta di domande controcorrente rispetto alla mentalità attuale, che propone una libertà svincolata da valori, da regole, da norme oggettive e invita a rifiutare ogni limite ai desideri del momento. Ma questo tipo di proposta invece di condurre alla vera libertà, porta l'uomo a diventare schiavo di se stesso, dei suoi desideri immediati, degli idoli come il potere, il denaro, il piacere sfrenato e le seduzioni del mondo, rendendolo incapace di seguire la sua nativa vocazione all'amore.
Dio ci dà i comandamenti perché ci vuole educare alla vera libertà, perché vuole costruire con noi un Regno di amore, di giustizia e di pace. Ascoltarli e metterli in pratica non significa alienarsi, ma trovare il cammino della libertà e dell'amore autentici, perché i comandamenti non limitano la felicità, ma indicano come trovarla. Gesù all'inizio del dialogo con il giovane ricco, ricorda che la legge data da Dio è buona, perché “Dio è buono”.


Abbiamo bisogno di voi

Chi vive oggi la condizione giovanile si trova ad affrontare molti problemi derivanti dalla disoccupazione, dalla mancanza di riferimenti ideali certi e di prospettive concrete per il futuro. Talora si può avere l'impressione di essere impotenti di fronte alle crisi e alle derive attuali. Nonostante le difficoltà, non lasciatevi scoraggiare e non rinunciate ai vostri sogni! Coltivate invece nel cuore desideri grandi di fraternità, di giustizia e di pace. Il futuro è nelle mani di chi sa cercare e trovare ragioni forti di vita e di speranza. Se vorrete, il futuro è nelle vostre mani, perché i doni e le ricchezze che il Signore ha rinchiuso nel cuore di ciascuno di voi, plasmati dall’incontro con Cristo, possono recare autentica speranza al mondo! È la fede nel suo amore che, rendendovi forti e generosi, vi darà il coraggio di affrontare con serenità il cammino della vita ed assumere responsabilità familiari e professionali. Impegnatevi a costruire il vostro futuro attraverso percorsi seri di formazione personale e di studio, per servire in maniera competente e generosa il bene comune.
Nella mia recente Lettera enciclica sullo sviluppo umano integrale, Caritas in veritate, ho elencato alcune grandi sfide attuali, che sono urgenti ed essenziali per la vita di questo mondo: l'uso delle risorse della terra e il rispetto dell'ecologia, la giusta divisione dei beni e il controllo dei meccanismi finanziari, la solidarietà con i Paesi poveri nell'ambito della famiglia umana, la lotta contro la fame nel mondo, la promozione della dignità del lavoro umano, il servizio alla cultura della vita, la costruzione della pace tra i popoli, il dialogo interreligioso, il buon uso dei mezzi di comunicazione sociale.
Sono sfide alle quali siete chiamati a rispondere per costruire un mondo più giusto e fraterno. Sono sfide che chiedono un progetto di vita esigente ed appassionante, nel quale mettere tutta la vostra ricchezza secondo il disegno che Dio ha su ciascuno di voi. Non si tratta di compiere gesti eroici né straordinari, ma di agire mettendo a frutto i propri talenti e le proprie possibilità, impegnandosi a progredire costantemente nella fede e nell'amore.
In quest'Anno Sacerdotale, vi invito a conoscere la vita dei santi, in particolare quella dei santi sacerdoti. Vedrete che Dio li ha guidati e che hanno trovato la loro strada giorno dopo giorno, proprio nella fede, nella speranza e nell'amore. Cristo chiama ciascuno di voi a impegnarsi con Lui e ad assumersi le proprie responsabilità per costruire la civiltà dell’amore. Se seguirete la sua Parola, anche la vostra strada si illuminerà e vi condurrà a traguardi alti, che danno gioia e senso pieno alla vita.


Che la Vergine Maria, Madre della Chiesa, vi accompagni con la sua protezione. Vi assicuro il mio ricordo nella preghiera e con grande affetto vi benedico

In risposta alla domanda che gli faceva l'uomo ricco, Gesù aveva rivelato come uno potesse giungere alla vita eterna. Ma il pensiero di dovere lasciare le sue ricchezze rattristò l'uomo che se ne andò. Allora Gesù dichiarò: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel Regno di Dio». A sua volta, si avvicina a Gesù Pietro, che si è spogliato di tutto, rinunciando al suo mestiere, alla sua barca, che non possiede più neanche un amo. E fa a Gesù questa domanda: «E chi mai si può salvare?»
Nota insieme la riserva e lo zelo di questo apostolo. Non ha detto: «Ordini l'impossibile, questo comandamento è troppo difficile, questa legge è troppo esigente». Né rimase zitto. Ma pur senza mancare di rispetto e mostrando quanto era sollecito per gli altri, disse: «E chi mai si può salvare?» Prima infatti di essere pastore, ne aveva il cuore; prima di venire investito dell'autorità..., si preoccupava già della terra intera. Un uomo ricco avrebbe probabilmente fatto questa domanda per interesse, per preoccupazione della sua situazione personale e senza pensare agli altri. Invece Pietro, che è povero, non può essere sospettato di aver fatto questa domanda per tali motivi. Questo è il segno che si preoccupava della salvezza degli altri, e che desiderava imparare dal suo Maestro come uno può giungere ad essa.
Da qui la risposta confortante di Cristo: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio» . Vuole dire: «Non pensate che io vi abbandoni. Io in persona vi assisterò in un'affare così importante, e vi renderò facile ciò che è difficile».