Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 28 aprile 2017

«Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto».

Resta qui con noi si fa sera.
RnS 2013 - Il canto del tuo popolo
José A. Pagola

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana,] due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Emmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: 
Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l'un l'altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
(Luca 24,13-35)


By antoniobortoloso.blogspot.it


MONS.ANTONIO RIBOLDI, "RESTA CON NOI, SIGNORE, SI FA SERA"

Omelia del 30 aprile 2017
III Domenica di Pasqua
Resta con noi, Signore, si fa sera
Stando al racconto del Vangelo, siamo sempre nella giornata della domenica di Resurrezione, come a ricordarci che quel giorno non ha più fine anche per noi.Ovunque, quel giorno, si parlava di Gesù, a diritto e a rovescio, come del resto si fa oggi.Non si riesce a comprendere come tanti non credano nella resurrezione di Gesù e nella propria.Vivono nella convinzione che la vita sia un breve passaggio su questa terra… senza un domani…senza una ragione che giustifichi gioie e tante sofferenze!Ma domandiamoci: se non ci fosse la certezza che anche noi un giorno risorgeremo, sperando nella Gloria del Cielo, che senso avrebbe nascere e vivere? Un poco come affaticarsi a fare una squadra che ad un certo punto finisce e si dissolve senza alcuna possibilità di continuità.Che senso avrebbe soffrire o lottare?È nella nostra natura – o così dovrebbe essere – sapere che non stiamo percorrendo la vita senza un traguardo, ma – anche se non crediamo – parliamo, lavoriamo, soffriamo, gioiamo sempre con l’occhio teso al domani. Quale domani?Ci aiuta in questa riflessione il racconto del due discepoli di Emmaus, che stavano allontanandosi da Gerusalemme, delusi, dopo la morte del Maestro, che avevano amato, seguito, in cui avevano creduto. “Due discepoli – racconta l’evangelista Luca – … conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.”È quello che capita a tanti di noi, quando siamo in difficoltà, emotivamente turbati, sentendoci tremendamente soli: quella solitudine che è il più grande dolore che noi uomini possiamo provare.Non la solitudine, piena di Presenza di Gesù, capace di infondere un’incredibile serenità, o di chi vive con lo sguardo al futuro, che è nella vita eterna con Dio, trovando la forza, sempre, di dare una ragione alle sue azioni, alle sue fatiche ed alle sue sofferenze, ma una solitudine che è isolamento, senso di abbandono, incomunicabilitàE Gesù disse loro: ‘Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?’.Si fermarono con il volto triste e uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: ‘Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?’.Domandò: ‘Che cosa?’. Gli risposero: ‘Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, profeta potente in parole ed opere, davanti a Dio e a tutto il popolo: come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele. Con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne delle nostre ci hanno sconvolti. Recandosi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di avere avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma Lui non l’hanno visto’..Sono due discepoli smarriti, come spesso siamo noi, ma a cui sono giunte voci di qualcosa da loro ritenuto impossibile: la resurrezione, un Evento divino, inconcepibile per il nostro ‘buonsenso’, ma che, se fosse vero – ed è vero! - darebbe alla loro e nostra vita la gioia piena, di chi sa che la vita va oltre il ‘qui’ ed ‘ora’. In questa ridda di emozioni sospese, Gesù si manifesta, conducendoli per mano nella conoscenza delle Scritture.E Gesù disse: ‘Stolti e tardi di cuore nel credere alle parole dei profeti. Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze, per entrare nella gloria?’. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro le Scritture, in ciò che si riferiva a Lui…”La Parola di Gesù ascoltata e accolta, ieri come oggi, può aprire i cuori e illuminare le menti!Il racconto è commovente, perche ha parole che sono tante volte sulle nostre bocche, espressione della nostra necessità di essere certi che Lui è con noi, il Vivente.Quante volte questa preghiera sale spontanea alle nostre labbra, quando ci sentiamo soli o smarriti!“Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero:‘Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno già volge al declino’.Ma la gioia può essere piena solo con la rivelazione di Chi Lui è per noi, con cui il Vangelo chiude questo incontro: “Gesù entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese del pane, diede la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: ‘Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando spiegava le Scritture?’ (Lc. 24, 13-35)E’ davvero commovente la delicatezza con cui Gesù ci mostra quanto ci sia vicino!Questa è la vera Pasqua di ogni giorno, per noi che tante volte camminiamo nella vita con la delusione dei due che ritornavano ad Emmaus. Ha detto Papa Francesco che “la vita a volte ci ferisce e noi ce ne andiamo tristi, verso la nostra ‘Emmaus’, voltando le spalle al disegno di Dio. Ma Gesù ci spiega le Scritture e riaccende nei nostri cuori il calore della fede e della speranza”.Con lui preghiamo per noi e per i nostri fratelli di riscoprire “la grazia dell’incontro trasformante con il Signore risorto. C’è sempre una Parola di Dio che ci dà l’orientamento dopo i nostri sbandamenti; e attraverso le nostre stanchezze e delusioni c’è sempre un Pane spezzato che ci fa andare avanti nel nostro cammino”.Ed è il mio augurio … per noi, che, troppo spesso, per la nostra poca fede, tanto somigliamo ai due discepoli di Emmaus ‘tristi’, ma poi capaci di’andare’, dopo aver incontrato davvero il nostro Signore!Antonio Riboldi - Vescovo


 «Resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto»
 III Domenica di Pasqua-Rosa Notaro

giovedì 27 aprile 2017

Chiunque incontri Gesù risorto cambia. ,,,

13 cose che potrebbero accadervi 

quando incontrate Gesù risorto


Chiunque incontri Gesù risorto cambia. I racconti del Nuovo Testamento mostrano le tante emozioni e risposte diverse delle persone quando hanno visto Gesù vivo dopo che avevano assistito alla sua morte sulla croce e alla sua sepoltura appena tre giorni prima. Riuscite a immaginare cosa devono aver provato?
La buona notizia è che possiamo fare di più che immaginare. Possiamo sperimentare Gesù risorto nella nostra vita. Non è una cosa del passato. Come cattolici, la maggior parte di noi è stata battezzata in Cristo da piccola, ma è molto probabile che possiate ricordare un momento della vostra vita in cui Gesù è diventato “vivo” per voi. Forse è stato durante un ritiro o in occasione del sacramento della Confermazione, ma il momento e il luogo non contano tanto quanto il cambiamento che ha portato nella vostra vita.
Come ai tempi biblici, quando le persone della nostra generazione sperimentano Cristo ne derivano emozioni e risposte diverse. Nessuna di queste reazioni è “giusta” o più corretta di un’altra. Quali delle 13 cose seguenti avete sperimentato conoscendo Gesù?




1. Grande gioia e stupore


Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annunzio ai suoi discepoli (Matteo 28, 8)
Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: “Avete qui qualche cosa da mangiare?” (Luca 24, 41)

2. Obbedienza alla Parola di Dio

Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato (Matteo 28, 16)

3. Paura

Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura (Marco 16, 8)

4. Desiderio di adorare e lodare Dio

Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano (Matteo 28, 17)
E stavano sempre nel tempio lodando Dio (Luca 24, 53)

5. Disponibilità a sembrare pazzi per il bene del messaggio evangelico

Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse (Luca 24, 11)

6. Dubbio

Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano (Matteo 28, 17)
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: “Abbiamo visto il Signore!”. Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò”. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Poi disse a Tommaso: “Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!”. Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!”. Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!” (Giovanni 20, 24-29)

7. Può ardere il cuore

Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Luca 24, 32)

8. Si può sentire il bisogno di aggrapparsi a Gesù

Gesù le disse: “Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro” (Giovanni 20, 17)

9. Una nuova comprensione della Bibbia

Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture e disse… (Luca 24, 45)

10. La necessità di parlare agli altri dell’amore, del potere e della grazia salvifica di Cristo

Gesù disse loro: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Marco 16, 15-18)
Ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra” (Atti 1, 8)

11. Il desiderio di trascorrere molto tempo in chiesa con Dio

E stavano sempre nel tempio lodando Dio (Luca 24, 53)

12. Una devozione più profonda nei confronti della preghiera

Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui (Atti 1, 14)

13. Convinzione, fede e speranza in Gesù

Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome (Giovanni 20, 31)
Lasciate un commento e fateci sapere cosa aggiungereste a questa lista!
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]
aleteia.org

domenica 23 aprile 2017

La gioia di Dio è perdonare!




 Perché il mondo sia trasformato. Le sette opere di misericordia


Le opere di misericordia (2) - Anselm Grün

*Resterò fedele alla divisione classica tra le sette opere di misericordia corporale e le sette di misericordia spirituale. * *Vorrei però cercare di descriverle in modo che noi oggi ci sentiamo chiamati in causa.* * Nell'apprestarmi a questo compito vedo due difficoltà: l'una è il pericolo di fare della morale. Non intendo presentarmi come il sapientone che fa la predica agli altri perché finalmente compiano queste opere e donino in abbondanza per gli affamati. * *L'altra difficoltà sta nella dimensione politica dell'assistenza. * *Le opere cristiane della misericordia sono soltanto ... altro »
leggoerifletto

sabato 22 aprile 2017

Dio si lascia scacciare dal mondo, sulla croce. Dio è impotente e debole nel mondo e così e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. ..

Mixtura: #MOSQUITO 

Dio, è impotenza 

Dio si lascia scacciare dal mondo, sulla croce. Dio è impotente e debole nel mondo e così e soltanto così rimane con noi e ci aiuta. Matteo 8,17 è chiarissimo: Cristo non aiuta in virtù della sua onnipotenza, ma in virtù della sua debolezza, della sua sofferenza:
 qui sta la differenza determinante rispetto a qualsiasi altra religione.

*** Dietrich BONHOEFFER, 1906-1945, filosofo e teologo luterano tedesco, ucciso dai nazisti per la partecipazione alla congiura contro Hitler, citato da Giovanni Reale e Dario Antiseri, Storia della filosofia, 10, Fenomenologia, esistenzialismo, filosofia analitica e nuove teologie, Bompiani RCS Corriere della Sera, 2008.

ll Santo curato d’Ars

Pensieri del Santo curato d’Ars

Dio contempla con amore un'anima pura, le concede tutto quello che essa chiede. E come potrebbe resistere ad un'anima che vive soltanto per Lui, per mezzo di Lui e in Lui? Essa lo cerca e Dio si mostra a lei; Lo chiama e Dio viene; è tutt'uno con Lui. Essa incatena la sua volontà.
Non si può capire il potere che un'anima pura ha sul buon Dio. Non è lei che fa la volontà di Dio, è Dio che fa la sua.
Un'anima pura ? come una bella perla. Finché è nascosta in una conchiglia in fondo al mare, nessuno pensa ad ammirarla, ma se la mostrate al sole, essa risplende e attira gli sguardi: cosí è dell'anima pura, nascosta adesso agli occhi del mondo, risplenderà un giorno dinanzi agli angeli, nel sole dell'eternità.
Quanto piú i giusti sono nell'innocenza, tanto piú riconoscono la loro povera miseria e praticano l'umiltà senza la quale non si può andare in cielo.
L'umiltà è come la catena del rosario; se la catena si rompe, i granelli se ne vanno; se cessa l'umiltà, tutte le virtú spariscono.
L'umiltà è come una bilancia: quanto piú ci si abbassa da un lato, tanto piú si è innalzati dall'altro.
Fu chiesto ad un santo qual era la prima virtú: «È l'umiltà», rispose - E la seconda? - «L'umiltà» - E la terza? - «L'umiltà».
L'umiltà disarma la giustizia di Dio.
Un'anima pura súscita l'ammirazione delle tre Persone della Santissima Trinità. Il Padre contempla la sua opera: «Ecco dunque la mia creatura…». Il Figlio, il prezzo del suo Sangue: si conosce la bellezza di un oggetto dal prezzo che è costato … Lo Spirito Santo vi abita come in un tempio.
Quanto piú ci si rende poveri per l'amore di Dio, tanto piú si è ricchi in realtà!
Non tutti coloro che si avvicinano [ai Sacramenti] sono santi, però i santi saranno sempre scelti tra coloro che li ricevono spesso.
I santi sono come tanti piccoli specchi nei quali Gesú Cristo si contempla.
Nei suoi apostoli [Gesú] contempla il suo zelo e il suo amore per la salvezza delle anime; nei martiri, contempla la sua pazienza, le sue sofferenze e la sua morte dolorosa; nei solitari, egli vede la sua vita oscura e nascosta; nelle vergini, ammira la sua purezza senza macchia, e in tutti i santi, la sua carità senza limiti, di modo che, ammirando le virtú dei santi, non facciamo altro che ammirare le virtú di Gesú Cristo.
Sí, con una preghiera fatta bene, possiamo comandare al cielo e alla terra; tutto ci obbedirà.
Se siete nell'impossibilità di pregare, nascondetevi dietro al vostro angelo, e incaricatelo di pregare al posto vostro.
Non dovremmo perdere la presenza di Dio, piú di quanto non perdiamo la respirazione.
La preghiera è per la nostra anima ciò che la pioggia è per la terra. Concimate una terra quanto volete, se manca la pioggia, tutto quello che farete non servirà a nulla.
Non c'è bisogno di pregare tanto per pregare bene. Si sa che il buon Dio è lí, nel santo Tabernacolo; gli si apre il cuore, ci si compiace della sua presenza. Questa è la migliore preghiera.
Quando prego, mi figuro Gesú mentre prega il Padre suo.
Il buon Dio ama essere importunato.
Bisogna pregare molto semplicemente e dire: Mio Dio, ecco un'anima ben povera che non ha niente, che non può nulla, fammi la grazia di amarti, di servirti e di conoscere che non so nulla.
Il buon Dio non ha bisogno di noi: se ci comanda di pregare, è perché Egli vuole la nostra felicità, e perché la nostra felicità può trovarsi soltanto là.
Quando siamo dinanzi al Santo Sacramento, invece di guardare attorno a noi, chiudiamo i nostri occhi e la nostra bocca, apriamo il nostro cuore, il buon Dio aprirà il suo, andremo a Lui, Egli verrà a noi, l'uno per chiedere e l'altro per ricevere; sarà come un soffio dall'uno all'altro.
Venite alla comunione, venite a Gesú, venite a vivere di Lui, al fine di vivere per Lui.
Tutti gli esseri della creazione hanno bisogno di nutrirsi per vivere; per questo il buon Dio ha fatto crescere gli alberi e le piante; è una bella tavola ben servita dove tutti gli animali vengono a prendere ognuno il cibo che gli conviene. Ma anche l'anima deve nutrirsi… Quando Dio volle dare un nutrimento alla nostra anima, per sostenerla nel pellegrinaggio della vita, Egli pose il suo sguardo sulla creazione e non trovò nulla che fosse degna di lei. Allora si ripiegò su sé stesso e decise di dare sé stesso… O anima mia, quanto sei grande, dal momento che soltanto Dio può appagarti.
«Tutto quello che chiederete al Padre nel nome mio, Egli ve lo concederà».  Mai avremmo pensato di chiedere a Dio il suo proprio Figlio. Ma ciò che l'uomo non può dire o concepire, e che non avrebbe mai osato desiderare, Dio, nel suo amore, l'ha detto, l'ha concepito e l'ha adempiuto.
(CURATO D'ARS, Scritti scelti, a cura di Gérard Rossé, Città Nuova Editrice)
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MEDITAZIONI


 

San Giovanni-Maria Vianney (Curato d’Ars)

 - Biografia, preghiere

Chi è più soggetto alla tentazione - San Giovanni Maria Vianney (curato d'Ars) 
"Chi sono dunque coloro che subiscono di più la tentazione? Sono senza dubbio gli ubriachi, i mormoratori o gli spudorati che si gettano alla cieca nelle lordure, o l’avaro, che pensa solo ad arricchirsi in ogni modo, direte voi. No, non sono affatto costoro; al contrario, il demonio li disprezza, o meglio, li protegge perché possano fare il male per il maggior tempo possibile, dal momento che più a lungo essi vivranno, più i loro cattivi esempi trascineranno le anime all’inferno. Infatti, se il demonio avesse incalzato troppo fortemente questo vecchio impudico, egli, per i suoi vizi, avrebbe accorciato i suoi giorni di quindici o vent’anni e quindi avrebbe avuto meno tempo per indurre a peccare questa vergine, della quale ha violato il fiore della verginità; o questa giovane che ha gettato nel più infame pantano dei peccati contro la purezza. Non avrebbe avuto il tempo di iniziare al male quel giovane, che forse vi resterà avviluppato fino alla morte. Se il demonio avesse indotto quel ladro a rubare in modo sfrenato, già da tempo sarebbe incorso nel patibolo, e non avrebbe avuto l’opportunità di trascinare qualche altro nel suo vizio. Se il demonio avesse sollecitato quest’ubriaco a riempirsi di vino fino all’orlo, già da tempo sarebbe morto nella crapula; invece, prolungando i suoi giorni, riuscirà a trascinare molti altri col suo cattivo esempio. Se il demonio avesse tolto la vita a questo musicista o a questo maestro di ballo o a questo cabarettista, quanta gente in loro assenza avrebbe scampato il pericolo, mentre se quelli restano in vita, si dannerà per loro. Sant’Agostino ci insegna che il demonio non tormenta troppo queste persone, ma, al contrario, li disprezza e sputa loro addosso. Ma, mi dirai, chi sono dunque quelli che il demonio preferisce tentare? Ascolta attentamente, amico mio. Sono proprio coloro che si mostrano più pronti, con l’aiuto di Dio, a sacrificare ogni cosa per la salvezza della loro povera anima; che sanno rinunciare a tutto ciò che, sulla terra, gli altri ricercano con ansia e con ardore. E non è solo un demonio che li tenta, ma sono milioni quelli che gli piombano addosso, per farli cadere nei loro lacci. Eccovi un esempio. La storia racconta che San Francesco d’Assisi era riunito un giorno con tutti i suoi religiosi, in un grande campo dove erano state costruite delle piccole capanne di giunchi. San Francesco, vedendo che facevano penitenze così straordinarie, ordinò che gli fossero portati tutti gli strumenti di penitenza, e li ammassò come si fa con la paglia. C’era lì un giovane a cui il buon Dio aveva fatto la grazia di vedere il suo angelo custode. Egli vedeva, da una parte, questi buoni religiosi che non potevano saziarsi mai di fare penitenza, e dall’altra, il suo buon angelo custode, gli fece vedere una assemblea di diciottomila demoni, che tenevano consiglio per trovare il modo di travolgere questi religiosi con la tentazione. Ci fu un demonio che disse: “Voi non capite niente; questi religiosi sono troppo umili, (ah! bella virtù!), troppo distaccati da se stessi, troppo attaccati a Dio. Essi hanno un superiore che li guida così bene, che è impossibile poterli vincere. Aspettiamo che il superiore muoia, e allora tenteremo di introdurre in mezzo a loro, dei giovani che non hanno una vera vocazione, e che li spingeranno a rilassarsi, e in tal modo saranno nostri”. Qualche tempo dopo, entrando in città, vide un demonio tutto solo, seduto alla porta della città, per tentare tutti quelli che vi abitavano. Il santo giovane chiese al suo angelo custode, perché, per tentare quei religiosi occorrevano tante migliaia di demoni, mentre per una intera città ce n’era solo uno e anche seduto oziosamente. Il suo buon angelo gli rispose che la gente del mondo non ha affatto bisogno di tentazioni, perché ci pensa da sola a trascinarsi verso il male, mentre i religiosi si comportano bene, nonostante tutte le trappole e le battaglie che il demonio procura loro."
(S. Giovanni M. Vianney)


Gli spiriti cattivi si manifestano in tutt’altro modo che gli Angeli: irradiano una luce torbida, come un riflesso, sono pigri, stanchi, sognanti, malinconici, arrabbiati, selvaggi, rigidi e passivi, oppure leggermente mobili e passionali. Ho notato che questi spiriti sprigionano gli stessi colori che avvolgono gli uomini durante le sensazioni dolorose, provenienti da situazioni di sofferenze estreme e travagli dell’anima. Sono gli stessi colori che avvolgono i martiri durante la trasfigurazione della gloria del martirio. Gli spiriti cattivi hanno visi affilati, violenti e penetranti, si insinuano nell’animo umano come fanno gli insetti quando sono attratti da determinati odori, sulle piante o sui corpi. Questi spiriti penetrano dunque negli animi risvegliando negli esseri ogni genere di passione e pensieri materiali. Il loro scopo è di separare l’uomo dall’influsso divino gettandolo nelle tenebre spirituali.
beata-anna-katharina-emmerick 

Buona giornata a tutti. :-)
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venerdì 21 aprile 2017

«Il male è una lima. Secondo la natura delle nostre virtù, le assottiglia fino al nulla o le aguzza sino a Dio».

il blog di Costanza Miriano

Adriano Stagnaro, l’uomo che si è preparo alla morte amando la vita fino all’ultimo secondo

DI Costanza Miriano
Per poche, pochissime persone che hanno chiesto di essere uccise, ce ne sono migliaia solo in Italia che chiedono di essere aiutate a vivere con dignità, di essere assistite, ci sono migliaia di famiglie lasciate sole a portare un carico enorme, e che mai se ne vorrebbero liberare. Queste famiglie avrebbero diritto di essere aiutate, insieme ai loro malati. Per loro, però, non si perde tempo in Parlamento.
Ma di fronte al dolore, alla carne sofferente che alcuni usano per affermare i loro deliri di autodeterminazione, invece che litigare sui principi io oggi vorrei parlare di un eroe. Senza polemica con chi non ce l’ha fatta, vorrei raccontare di un vero lottatore. Di un uomo grande, grandissimo. Di un modo virile ed eroico di vivere il dolore senza scappare. Ne ho sentito parlare da Padre Maurizio Botta, ai Cinque Passi. Adriano Stagnaro era nato nel 1970. Quando aveva 36 anni si è accorto di avere la SLA, una malattia terribile, degenerativa, mortale.
“La Sla mangia i progetti, i sogni, le speranze, le passioni. Vuole diventare il tuo pensiero unico. Ma la SLA non ha fatto i conti con me” – scriveva Adriano, che da malato ha aperto il Sito delle Anime Fiammeggianti, “baluardo di tutto ciò che mi appassiona, di tutto ciò per cui vale la pena combattere”. E ciò per cui vale la pena combattere per lui è Cristo, la fede in lui. “Se nessuno berrà alla fonte della tua anima, la sorgente diverrà pantano e non servirà più a niente”. L’opera di Adriano è monumentale. Un documento pdf di 478 pagine, che non è mai stato stampato. Solo chi lo ha scaricato adesso ce lo ha. Padre Maurizio Botta lo aveva scoperto da novizio, lo ha conservato per noi, e ce lo regala. A 41 anni appena compiuti Adriano è morto, il 4 ottobre 2011. Ma ha lasciato due eredità meravigliose. Una è stato il suo modo di affrontare la malattia: quando scopri che tutta la tua vita è alle spalle, cominci inevitabilmente a farti delle domande – dice. Lui non ha imprecato, maledetto, non si è lamentato sterilmente. È stato magnificamente uomo fino in fondo. Virile. Coraggioso. Una via segnata anche per noi, per le nostre spesso ben più piccole battaglie. Si è messo davanti al suo posto in trincea e ci è stato meglio che ha potuto. Senza sprecare un momento, andando avanti fino alla fine, anche dopo che i muscoli lo avevano completamente abbandonato (non so come abbia fatto, se non ho capito male negli ultimi tempi con l’aiuto della madre, e questo è un pensiero che mi toglie il fiato da quanto è doloroso). Il sito è stato aggiornato fino a quattro mesi prima della morte. Immagino che negli ultimi tempi sia stato impossibile scrivere, chissà che lotta è stata. E chissà come è stata feconda e preziosa agli occhi di Dio la sua sofferenza apparentemente improduttiva…
La sua seconda eredità è invece la sua opera, che si chiama E voi chi dite che io sia? È qualcosa di incredibile, davvero una miniera di informazioni sul Vangelo, su Gesù, una raccolta organica e organizzata del lavoro di altri “che io mi sono limitato a scremare, a vagliare criticamente, a collazionare”, dice lui, anche se a me invece dire che si sia limitato sembra davvero riduttivo. È un lavoro che io troverei ciclopico anche nel pieno possesso delle mie forze. Un lavoro fatto con intelligenza e serietà, e con amore per la Verità, che mi onora e mi commuove contribuire a far conoscere. Mi sento davvero sorella di questo grande uomo.
Parlare di lui in questi giorni in cui si discute di dat non vuole essere polemico con chi non ce la fa, ma significa dare onore a un combattente. Provo compassione per chi si vuole suicidare, ma non credo che vada aiutato ad ascoltare la voce della sua disperazione. Credo che gli vadano dette altre parole. Credo invece che chi vuole disperatamente vivere abbia il diritto di essere aiutato. Nessuno o quasi si dà da fare per loro. Lo trovo indegno di un paese civile, indegno di un Parlamento che si riempie la bocca di parole come diritti civili, ma che è stato assorbito per un tempo infinito per battaglie imposte dal nuovo ordine mondiale che non hanno a che fare con la vita vera delle persone, militarizzato solo per difendere diritti che già esistevano e la cultura della morte, nel momento in cui siamo il paese che fa meno figli in assoluto in tutto il mondo, un paese in via di estinzione, letteralmente, e con un quarto della popolazione vecchia.
I parlamentari che stanno discutendo di DAT sarebbero più credibili se qualcuno di loro si desse minimamente la pena di occuparsi almeno ANCHE di chi vuole vivere. Certo, sarebbe bello se qualcuno avesse un’opzione preferenziale per la vita, comunque sia. Se qualcuno dicesse che tra vita e morte è comunque meglio la vita. Noi che crediamo che la vita è data da un Padre che ci ama molto pensiamo che la vita, anche malata, sofferente, faticosa, sia comunque un bene. Come è stata un bene incredibile la vita di Adriano Stagnaro.
Ci sarebbero molte altre cose da dire su questa assurda legge che si sta discutendo. Per esempio che trovo inquietante che non siano passati gli emendamenti che prevedono che tu possa cambiare idea sulla tua morte, ammesso che la vita sia un bene disponibile. Quando si sta bene sembra impossibile rinunciare a qualsiasi cosa, ma quando si sta male ci si attacca alla vita. forse se ne capisce solo allora il senso. Che io non possa cambiare idea sulla mia stessa vita è agghiacciante. Il 75% delle persone che compilano il questionario a distanza di tempo, in due momenti diversi, cambiano idea, pur senza rendersene conto, cioè dichiarando che sono rimasti della stessa opinione. Ci sarebbe da dire che già oggi le cure palliative si fanno, che nessun medico fa soffrire inutilmente un paziente destinato a morire, già oggi si aiuta, si accelera la morte quando è inevitabile. Che questa è una legge assurda che toglie ai medici la possibilità di agire secondo coscienza ma anche in serenità, senza paure di denunce e senza essere costretti a eseguire la volontà di altri che magari non sanno niente di medicina. Ci sarebbe da dire che non si possono chiamare cure il cibo e l’acqua, perché toglierli significa ammazzare di fame e di sete qualcuno. Ci sarebbe da dire che dovrebbe insospettire il fatto che una iniezione letale costa pochi euro, curare qualcuno molto di più, e quindi è logico incoraggiare una mentalità mortifera. Ci sarebbe da dire che crederemo alla buona fede di chi vuole questa legge quando per ogni copertina stucchevole dedicata a Fabiano che si è suicidato ce ne sarà un’altra per ciascuno dei tanti Adriano che continuano a lottare per vivere, perché almeno almeno hanno la stessa dignità, non è che chi si uccide è un eroe e chi resiste no.

E voi chi dite che io sia?  di Adriano Stagnaro SCARICA IL PDF 










E’ vero. E’ come un tuono: l’imprevisto che squarcia il silenzio e fa sobbalzare, il sito di Adriano Stagnaro, in arte “Thunder”, l’araldo della Divinità.
Nel giro di una settimana, il link ad Anime fiammeggianti mi è arrivato da due amiche che non si conoscono, che abitano lontanissime. E siccome ha ragione Anatole France nel dire che «il Caso è lo pseudonimo di Dio quando non vuole firmare per esteso», quel link è una calamita. Impossibile non cliccare. Impossibile non leggere. Entro e non uscirei più…
Adriano Stagnaro, nato il 29 settembre del 1970, ad un certo momento della vita viene colpito dalla SLA, malattia che morso dopo morso si mangia tutto. Prima inghiotte il futuro, i progetti, i desideri, poi inizia a sbocconcellare il presente. «Ma non ha fatto i conti con me», scrive. E così nasce il sito, con un intento ben preciso.
«Fin dal primo momento in cui ho scoperto di essermi ammalato – racconta –, ho cominciato a chiedermi: “Perché Dio ha permesso che mi accadesse questa cosa terribile?” Alla fine, ho trovato due risposte. Credo che Dio abbia permesso – badate bene, “permesso”, non “voluto”! – che io conoscessi la SLA sulla mia pelle, affinché io gli rendessi testimonianza direttamente dall’inferno del dolore, riuscendo a trasformare un evento tragico, come questa malattia, in un’occasione di salvezza per me e per gli altri».
In una delle sezioni, quest’uomo racconta la sua “traversata”, in un diario di bordo lucidissimo, a tratti persino ironico, che inizia ad agosto del 2008 e si interrompe a maggio 2011, quando peggiora la funzionalità polmonare ed è costretto ad utilizzare il respiratore 24 ore su 24, viene attivato il servizio a domicilio, aumentano le difficoltà di comunicazione vocale e di nutrizione, e l’atrofia muscolare comincia ad interessare tutto il corpo. 
La forza sono le visite degli amici, la presenza costante e amorevole dei famigliari, i piccoli, ingegnosi stratagemmi per fare meno fatica a scrivere, a muoversi, a leggere, a… vivere.
La forza è il suo sito. «Anime fiammeggianti vuole raccontare di come io mi preparo alla morte, amando la vita fino all’ultimo secondo – scrive – e di come si possa continuare ad amare Dio e ad avere fede in Lui anche dopo che la vita ci è stata strappata da Male».
La forza sono altri amici, come lui malati di SLA, che attraverso il sito donano a chi li “incontra” la loro testimonianza e la loro passione, intensissima, per la vita.
Sebastiano Marrone, missilista della Marina, direttore di un Istituto scolastico, atleta, arbitro, maestro di arti marziali, allenatore olimpico della Nazionale di tiro con l’arco, la cui vita, nel 2002 «si è schiantata su uno scoglio infido e bastardo», la SLA. Eppure «Sebastiano non ha mai smesso davvero di navigare» e così, basta cercare, e in un’altra sezione si trovano alcune sue intense, drammatiche poesie, che vanno dritte al cuore.
Luana Gorza, bellunese, sciatrice e maratoneta, che ama l’arte, la pittura, la lettura, le sue montagne. Nel 2005 le viene diagnosticata la SLA, ma non si scoraggia; nemmeno quando si trova costretta in sedia a rotelle. «Non lascia tempo alle cose inutili, ama le conversazioni intelligenti, cerca di trasmettere la propria sensibilità ai tanti amici che la circondano e l’aiutano… Consapevole del tempo che passa preferisce vivere il presente, cogliendo le sfumature più profonde di un vissuto che è già stato tutto un regalo».
Gian Luca Fantelli, musicista e scrittore che si definisce “inversamente sano” e che vede la SLA «come opportunità per tirare fuori i sogni dal cassetto (già trasformare la Sfiga Letale Abominevole in un’opportunità non è da tutti)». Fante scrive canzoni insieme ad un amico. «Finché ha voce canta e, quando non canterà più, scriverà canzoni che altre voci canteranno per lui. Di una cosa sola è sicuro: non alzerà mai bandiera bianca».
Un altro collaboratore e amico è Gian Cavallo, “scrittore di razza”, che nonostante la SLA continua a scrivere, ha devoluto il ricavato del secondo romanzo all’AISLA ed è diventato un testimonial della lotta alla malattia.
L’ultimo aggiornamento al sito – entro e mi muovo in tutte le sezioni per cercare qualcosa di recente – risale ad un anno fa.
Non so come stia Adriano Stagnaro, né come stiano, ora, i suoi amici. So che “Thunder” questo pensava e questo, nel 2011 ha scritto: «Se qualcuno, attraverso la mia testimonianza di fede, si avvicinerà a Dio, allora il mio sacrificio sarà stato utile e, per quanto vi potrà sembrare assurdo, ne sarà valsa la pena». E ancora: «Non avrei la forza di accettare questa prova se non fossi certo che Dio stesso, facendosi carne e sangue, l’abbia affrontata prima di me, sperimentando di persona la solitudine, la paura, l’abbandono, il dolore e la morte».
So che la sezione del sito che Adriano-Thunder considera la più importante è quella dedicata all’apologia, che, come scrive, è nata «per difendere la mia Speranza contro chi, nel nome di una ragione onnisciente, vorrebbe togliermela». E’ una parte ricchissima e commuovente.
So che quest’uomo, nonostante la malattia, ha iniziato ed è riuscito a terminare un libro di oltre 400 pagine, dal titolo “E voi, chi dite che io sia?”, la domanda che Gesù, da duemila anni, rivolge al cuore di ogni uomo. Un impegno enorme, a testimonianza e a difesa della Verità.
Nel sito così scrive: «T.S.Eliot, onirico poeta inglese, chiuse il suo capolavoro “The Wasteland” con la sezione V, intitolata “What the Thunder said”. Chiamato a dirimere una contesa tra dei, demoni e uomini, la Divinità suprema risponde con una sola parola, “DA”, che ciascun gruppo interpreta a suo modo. Eliot reinventa l’antica leggenda: il Tuono si rivolge all’umanità richiamando l’uomo alle sue responsabilità terrene, tanto più urgenti quanto più la vita é caduca, gli suggerisce il modo di liberarsi dalla prigionia dei propri limiti, gli promette serenità nell’abbandono alla sua Volontà».

Il Gange era basso, e le foglie flosce 

attendevan la pioggia, mentre nubi nere 
si agglomeravano distanti sull’Himavant. 
La giungla stava appiattita, acquattata in silenzio. 
Allora parlò il Tuono: 
DA 
Datta: che cosa abbiamo dato? 
O amico, sangue che mi rimescola il cuore, 
il terribile ardire di un momento di abbandono 
che un secolo di prudenza non potrà mai ritrattare, 
per questo, e questo soltanto, noi siamo esistiti. 
Questo, che non si troverà nei nostri necrologi, 
né sulle lapidi velate dal benefico ragno, 
né sotto i suggelli rotti dallo scarno notaro, 
nelle nostre camere vuote 
DA 
Dayadhvam: io sentii la chiave
girar nell’uscio una volta e girare una volta sola.
Noi pensiamo alla chiave, ciascuno nella sua prigione.
Pensando alla chiave, ciascuno conferma una prigione.
Solo al calar della notte, eterei rumori
ravvivano per un momento un affranto Coriolano 
DA 
Damyata: la barca rispondeva
lietamente alla mano esperta con la vela e con il remo.
Il mare era calmo, anche il tuo cuore avrebbe corrisposto
lietamente, invitato, battendo obbediente
alle mani regolatrici.(T.S.Eliot. What the Thunder said

Sì, basta un click ed è davvero un tuono imprevisto e “impertinente” quello che irrompe nelle case. Così fragoroso che è impossibile fingere di non aver sentito. Così potente che non può non provocarci.
Che il suo rimbombo scuota le nostre tiepide coscienze di “fintamente sani”…
«Il male è una lima. Secondo la natura delle nostre virtù, le assottiglia fino al nulla o le aguzza sino a Dio».
(Gustave Thibon)

mercoledì 19 aprile 2017

Lectio della II Domenica di Pasqua (A)o della Divina Misericordia

COMBONIANUM - Formazione Permanente

II Domenica di Pasqua (A)o della Divina Misericordia 
Giovanni 20,19-31

seconda domenica di Pasqua1
Otto giorni dopo venne Gesù (Gv 20,19-31) Questo brano di vangelo chiude il vangelo di Giovanni ed è considerato la “prima conclusione” del quarto evangelo. Il vangelo di Giovanni si chiude quindi con la figura di Tommaso. A questa figura, dunque, viene dedicato tempo, spazio, importanza. Ma dove sta la grandezza di Tommaso? La grandezza di Tommaso sta in ciò che chiede di vedere. C’è una fede che Tommaso sa di dover chiedere, ma questa fede nasce dal vedere e toccare i segni dei chiodi, i segni della passione del Signore, i segni della continuità tra la croce e la Risurrezione.Questi sono i segni che Tommaso chiede di vedere! Se qualcuno chiede di mostrargli in qualche modo la possibilità di credere in Dio, lo portiamo là dove si mettono le mani nelle piaghe, nei luoghi della fede rappresentati dai luoghi delle piaghe del Signore: all’OPG, nel campo sosta degli zingari, in un reparto di malati gravi…v.19: È il primo giorno dopo il sabato, quindi è l’inizio di una settimana nuova, l’inizio di un tempo nuovo, proprio di un tempo nuovo; perché la resurrezione di Gesù ha creato un tempo alternativo e nuovo rispetto al cronos della vita umana, della cronaca umana. Ha fatto irrompere nel tempo l’eternità di Dio, e ha fatto entrare nell’eternità il tempo dell’uomo. Quindi siamo davvero davanti ad un mondo nuovo che inizia, che si manifesta.La “paura” è la condizione del discepolo nel mondo, dove è un estraneo, perché pur vivendo nel mondo non appartiene al mondo, e proprio per questo subisce nel mondo una emarginazione che può diventare anche persecuzione e rifiuto violento. Quando san Giovanni dice che “i discepoli sono nel Cenacolo a porte chiuse per paura dei Giudei”, vuole indicare fondamentalmente questa condizione: il mondo ha crocefisso il Signore, e di fronte al mondo i discepoli del Signore si trovano in questa situazione di estraneità e di paura.Così è per quello che riguarda il senso della “gioia”, che è evidentemente gioia psicologica, emozione, sentimento… ma è ancora di più, è molto di più: è quel senso di pienezza che il discepolo sperimenta quando percepisce la presenza del Signore. Il discepolo vive per il Signore, nel rapporto con il Signore; e quando questo rapporto gli è donato, viene sperimentato in pienezza, c’è la pienezza della gioia. E questo passaggio “dalla paura alla gioia” è un elemento importante dell’esperienza della Pasqua, del Signore risorto.Questa immagine del Signore come “colui che viene” è caratteristica di Giovanni. È addirittura la parafrasi del nome di Dio che si trova nell’Apocalisse (Ap 4, 8): “Colui che era, che è, che viene!”: è una presenza dinamica, ricca di salvezza, di consolazione, di speranza.v.21: Gesù è essenzialmente un mandato, che nella sua missione rende presente la parola, l’amore, la misericordia, il progetto e le promesse di Colui che lo ha mandato. Attraverso Gesù, Dio si fa visibile: proprio perché è un Mandato, quindi non ha autorità propria, rimanda continuamente a quel Padre da cui ha ricevuto tutto. La sua missione non è altro che l’espressione del dono totale di sé, dell’identità del Figlio come “colui che riceve la vita da…”.Questa missione non è proporzionata alle nostre forze, ma è proporzionata all’amore del Signore, quindi al suo dono. Perché il dono del Signore è esattamente questo: lo Spirito. Nel nostro brano è dono del Signore la pace, ed è dono del Signore lo Spirito. Qualcuno ha detto che “lo Spirito Santo è capace di fare una cosa sola, ma la fa molto bene: è capace di fare Gesù Cristo”. Dove arriva lo Spirito Santo, il mondo assume la forma di Gesù Cristo. Dove c’è lo Spirito, lì il mondo viene plasmato secondo quella forma precisa che era la forma del Figlio di Dio, la forma di Gesù.v.22: Perché lo Spirito viene dal Cristo morto? Evidentemente, perché lo Spirito è la forza dell’amore di Dio. E questo amore di Dio è liberato nell’uomo, nel mondo, nel momento in cui il Signore ha donato se stesso. Per cui san Giovanni descrive (o racconta) la morte di Gesù con quelle parole: “Dopo aver ricevuto l’aceto, Gesù disse: Tutto è compiuto! E, chinato il capo, rese lo spirito” (Gv 19, 30). Nell’ottica di san Giovanni non solo emette lo “spirito”, ma lo trasmette, lo comunica; quella vita che Gesù ha, quello Spirito che abita dentro di lui, lo trasmette proprio perché tutta la sua vita è trasformata in amore. Non è stata una vita ripiegata su di sé nella difesa di quello che possedeva, ma è stata “una vita per”, una vita offerta, una vita donata.v.23: Un primo elemento di questa difesa del discepolo che lo Spirito Santo compie è di rimanere con il discepolo in modo tale che il legame del discepolo al Signore sia permanente. C’è stato un periodo in cui il Signore era con i suoi discepoli e il legame era immediato, era un legame di ascolto, di discussione, di contemplazione… Questo tipo di presenza del Signore ci è tolto, ma non ci è tolto il rapporto con il Signore.Il discepolo non può vivere se non rimanendo nel Signore; e questo com’è possibile? Per lo Spirito! È lo Spirito di Cristo, è lo Spirito donato dal Risorto, quello che permette al discepolo, nel tempo, nel tempo anche dell’assenza fisica del Signore (assenza fisica per modo di dire perché in un certo senso c’è anche fisicamente nel Sacramento), comunque in questo tempo il rapporto con il Signore diventa attuale, continuo, un rimanere in Gesù.v.27: Non essere un rimprovero che ciò che Gesù dice a Tommaso: “Non essere incredulo, ma credente…”. Da una condizione di incredulità si passa ad una condizione di fede, per un incontro unico e personale con il Cristo e con il Cristo nel cui corpo ci sono i segni dell’amore che ha avuto per noi. Su questo non c’è dubbio.Non è: “Non ti vergogni di essere incredulo…”, ma “Bene, c’è, per quello che vedi e tocchi del Risorto, una condizione nuova alla quale sei chiamato: questo è quello che vediamo della tua fede; passare da una condizione a un’altra”.v.29: Non è poi così facile credere dopo aver veduto. Chi di noi per poter credere chiede di vedere ciò che chiede Tommaso? Nessuno. Questa è la difficoltà della fede: toccare i segni della crocifissione del Signore per credere. C’è da chiedersi come questo toccare, suscitato dall’invito che Lui ci rivolge, possa essere stato. Di sicuro, dopo questo toccare, Tommaso ha potuto esprimere la più alta professione di fede, dopo la quale Giovanni non ha più ritenuto necessario continuare il suo vangelo.Maria Chiara Zulato