Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 31 marzo 2014

Va’, tuo figlio vive.

QUI IL COMMENTO AL VANGELO DELLA IV DOMENICA DI QUARESIMA. ANNO A 


"Và, tuo figlio vive"



Essendo un allenamento a vivere bene, la Quaresima ci insegna l'atteggiamento adeguato da assumere dinanzi agli eventi che odorano di morte, come quello in cui si è imbattuto il "funzionario del re". In questo padre possiamo incontrarci tutti, protesi verso Cristo, cercando in Lui la salvezza. Anche in noi vibra questo tempo meraviglioso della Quaresima, il grembo dove la Chiesa gesta la gioia della Pasqua. Infatti, abbiamo anche noi un "figlio" che "sta per morire". E' a "Cafarnao", la Patria di Gesù, ma non sa dargli "onore". Non può riconoscerlo come "profeta". Siamo nella Chiesa, eppure proprio la prossimità con Gesù, con la sua Parola, con i sacramenti, con le attività della parrocchia, con le celebrazioni di gruppi e comunità, ci ha fatto scivolare in un rapporto superficiale e scontato con Lui. Siamo diventati professionisti del cristianesimo, pensieri e gesti partono in automatico, ma è pura ipocrisia. Ci siamo abituati al suo amore, non siamo più capaci di stupirci per le Grazie con le quali ci accompagna istante dopo istante. E non ci siamo accorti che il "figlio" di Dio che è in noi è malato. Non abbiamo saputo discernere i sintomi che si andavano manifestando: disattenzioni ai bisogni della moglie, piccoli egoismi nei confronti del marito, insofferenza crescente agli atteggiamenti lunatici dei figli, giudizi che covano da tempo, accidia nella preghiera, attaccamento al denaro, e quel sottile e pernicioso senso di frustrazione accolto e coccolato, sino a farci sentire incompresi dal mondo intero. Il demonio, subdolamente, si è infilato nei pertugi lasciati incustoditi e ci ha chiusi lentamente nella prigione dell'orgoglio. E ora è ira travolgente a ogni inconveniente, parole pesanti in risposta alle incomprensioni del coniuge, chiusura netta a ogni richiesta dei figli, avarizia nevrotica, pregiudizi sottili verso chiunque. Il "figlio" ha perso le sembianze del Padre, incapace di donarsi, di amare salendo sulla Croce che la storia ci presenta. Stiamo morendo. Ma Gesù, in questo tempo di Grazia, torna di nuovo" a "Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino", scende ancora nella nostra vita per riaccendere la memoria degli inizi, quando abbiamo ascoltato e accolto la sua Parola e abbiamo sperimentato il suo potere. Torna per guarirci, compiendo in noi "quello che ha fatto a Gerusalemme", viene cioè a purificarci scacciando venditori e cambiavalute dal nostro cuore, per ricostruire in noi il suo Tempio. Viene per fare Pasqua con noi. La Chiesa ci annuncia oggi che Lui è qui, proprio dove lo abbiamo rifiutato. Accorriamo allora, a "chiedergli" di "scendere" nei nostri peccati. E' vero, per "credere" abbiamo ancora bisogno di "vedere segni e prodigi". Ma Gesù ci conosce, e, come già alle nozze, si lascia di nuovo strappare il suo potere, per condurre la nostra debolezza alla fede adulta. Per questo, con misericordia infinita, ci annuncia ancora la sua Parola, offrendoci un "secondo segno", una seconda possibilità di convertirci e credere. La Quaresima ci insegna a non tralasciare alcuna delle Parole che Dio ci dice attraverso i fatti della storia. A non abbassare la guardia e a vigilare su tutto il fronte, perché le malattie si possono prevenire, sottoponendo istante dopo istante cuore e mente alla Parola di Dio. Il demonio ci gira intorno per divorare il bambino appena nato, il figlio di Dio che si accinge ad amare, perdonare, scusare, pazientare. L'unica forma per assumere l'ora che ci è data è ascoltare e obbedire alla sua Parola che la Chiesa ci predica. E incamminarsi, come il "funzionario del re", per andare a sperimentare che è vera e compie esattamente ciò che annuncia. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. Un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato quel padre. Questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi, ci accoglie con le parole di Gesù: "Và, tuo figlio vive". Siamo chiamati ad entrarvi custodendo, come Maria, questa profezia, per riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci è stata annunciata e abbiamo obbedito, la Parola aveva giàoperato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva già dischiuso la vita. Così Gesù guarisce il "figlio", insegnandoci, attraverso un serio cammino di fede, a vedere il suo amore operare nell'istante in cui la sua Parola è deposta, come il suo corpo nella tomba, nel matrimonio che credevamo fallito, nel lavoro senza senso, nell'amicizia tradita, in ogni nostro peccato. La fede adulta che vince il mondo e accompagna ad essa anche la nostra "famiglia", è quella che spera contro ogni speranza. Accogliamo questo Vangelo, per guarire il "figlio" che è in noi, ma anche i nostri "figli" nella carne, perché la loro fede dipende dalla nostra conversione, non dai moralismi imbastiti dalle chiacchiere che gli propiniamo ogni giorno. La fede che illumina la ragione, altro che salto nel buio. La fede che si sperimenta empiricamente, orologio alla mano, perché Dio è puntuale, si è fatto carne per dare alla carne "segni" da ascoltare, vedere e toccare, vita autentica nella morte altrettanto vera.

Lunedì della IV settimana del Tempo di Quaresima


La Parola di Dio ci spinge a cambiare 
il nostro concetto di realismo:
realista è chi riconosce nel Verbo di Dio 
il fondamento di tutto.

Benedetto XVI





Dal Vangelo secondo Giovanni, 4,43-54


In quel tempo, Gesù partì dalla Samaria per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Ma il funzionario del re insistette: “Signore, scendi prima che il mio bambino muoia”. Gesù gli risponde: “Va’, tuo figlio vive”. Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: “Tuo figlio vive!”. S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: “Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato”. Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: “Tuo figlio vive”, e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.


Il commento
Il miracolo è già compiuto nella Parola. L'annuncio del Vangelo dice di un fatto che si compie nello stesso istante in cui è annunciato. Come fu per la notte della creazione. Come fu per Abramo, per Mosè ed il popolo in Egitto. Come fu per la Vergine Maria quando udì le parole dell'angelo. Come per i discepoli sulle rive di Cafarnao e del Giordano. Come per il figlio del centurione: “Accade un fatto imprevedibile e incredibile, eppure reale: nello spessore della vita, in cui l’impotenza e la rassegnazione sembrano inevitabili, c’è una presenza che cambia i termini della questione. Li cambia oggettivamente per una pretesa che pone” (L. Negri, Essere prete oggi). La pretesa di essere vera. Reale. La pretesa di avere un’autenticità e un potere unici. Una pretesa che si può “verificare”. La fede è questa verifica, un cammino nella storia reale dove si realizza la Parola, ed in essa tutto ciò che "pretende". La fede è un cammino al vero appoggiato a una parola, spesso assurda e in contrasto con l'evidenza. L'annuncio svela sempre un impossibile che si fa possibile, un figlio nato da una carne sterile, il concepimento in un seno vergine, la guarigione di chi è ormai senza speranza, il perdono dei peccati e la possibilità reale d’una vita nuova nella sequela del Signore. Nell'annuncio del Vangelo appare sempre la vita trionfante sulla morte. Ascoltare e credere è andare a vedere il prodigio operato dalla Parola. Verificarlo. Abramo esce dalla sua terra e spera contro ogni speranza. Mosè lancia il popolo nel mare, Maria corre da Elisabetta, i discepoli lasciano tutto e seguono il Signore, il centurione va abbrancato ad una Parola, e "scende" da suo figlio. Vi è dunque un cammino in discesa da percorrere, la scala che conduce alle acque del battesimo; una notte da attraversare, e trepidazione, speranza, desiderio, stanchezza, scoramento per incontrare la luce della resurrezione, la vita nuova in Cristo. E un tempo, l'esistenza che ci è data, come quello nel quale Gesù aveva inviato il centurione. Un tempo, questa giornata che si dischiude dinanzi ai nostri occhi. E le sue orme, le parole che ci dice nella Sua Parola, proclamata, ascoltata, meditata, pregata.

Un crinale che lambisce li morte si spalanca ogni giorno davanti a noi, la reale situazione di preoccupazione, di precarietà, di solitudine, di angoscia: quel letto d’ospedale, quelle analisi, quel fidanzato che se n’è andato, quel figlio che sembra perduto, quel lavoro stressante, il combattimento per difendere la castità nel fidanzamento prima e nel matrimonio poi, il timore nell'aprirsi alla vita dopo cinque parti cesarei, le angherie sul lavoro, la fatica dei pomeriggi sui libri mentre fuori sboccia la primavera. E l'unica forma per assumere l'ora che ci è data, scendere nella realtà, che è obbedire e ascoltare, che è libertà sciolta dalla sua Parola che scende con noi. Anche quando essa non si ode più: "È senza parola la Parola del Padre, che ha fatto ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita" (Massimo il Confessore, La vita di Maria, n.89). È quando il Signore ci chiama ad entrare nella notte oscura della vita come Gesù è entrato nel Sabato santo, per sperimentare il potere straordinario della Parola che si è fatta silenzio per dare una Parola di vita al silenzio delle speranze umane: "Il mistero più oscuro della fede è nello stesso tempo il segno più chiaro di una speranza che non ha confini. Solo attraverso il silenzio di morte del Sabato santo, i discepoli poterono essere portati alla comprensione di ciò che era veramente Gesù. Dio doveva morire per essi perché potesse realmente vivere in essi. Noi abbiamo bisogno del silenzio di Dio per sperimentare nuovamente l’abisso della sua grandezza e l’abisso del nostro nulla che verrebbe a spalancarsi se non ci fosse lui... C’è un’angoscia che non può essere superata mediante la ragione, ma solo con la presenza di una persona che ci ama. La solitudine insuperabile dell’uomo è stata superata dal momento che Egli si è trovato in essa. A partire dal momento in cui nello spazio della morte si dà la presenza dell’amore, allora nella morte penetra la vita"" (J. Ratzinger, Meditazione sul sabato santo). Sì, l'odore di morte, la sofferenza, le delusioni, non ci sono estranee. Questa nostra vita scorre in una "valle di lacrime", ed è inutile ogni alienazione. Eppure a ogni lacrima è data una Parola. Tutte sono raccolte nelle sue mani, e in ciascuna vi è deposto un seme di vita. Anche laddove sembra impossibile. Siamo chiamati a scendere oggi e ogni giorno dove Lui è già sceso, per sperimentare che il sepolcro  invece della morte ci consegna la vita: "Cristo ha oltrepassato la porta della solitudine, è disceso nel fondo irraggiungibile e insuperabile della nostra condizione di solitudine. Nella notte estrema nella quale non penetra alcuna parola, nella quale noi tutti siamo come bambini cacciati via, piangenti, si dà una voce che ci chiama, una mano che ci prende e ci conduce" (J. Ratzinger,ibid.). Scendere e riconoscere che "proprio nell'istante" in cui ci era stato annunciata la parola e avevamo ascoltato l'invito a scendere nella storia di dolore e morte che ci attendeva, in quel momento la Parola aveva già operato il prodigio: dove la carne aveva visto la morte, lo Spirito aveva dischiuso la vita. Il matrimonio che credevamo fallito, il lavoro senza senso, l'amicizia tradita, la malattia gravida di morte, in tutto ci è dato di verificare il potere della Parola predicata dalla Chiesa. 


APPROFONDIRE

Silvano Fausti. VA', IL TUO FIGLIO VIVE! 

Baldovino di Ford. Quell'uomo credette alla parola che gli era stata annunciata

sabato 29 marzo 2014

«Due uomini salirono al tempio a pregare:...

"Chi si umilia sarà esaltato"


Oppresso da un nugolo di colpe,
ho superato il pubblicano per eccesso di malizia,
e ho assunto per giunta la boria millantatrice del fariseo,
rendendomi da ogni parte privo di qualsiasi bene.
Signore, usami indulgenza.
Aprimi le porte del pentimento,
Datore di vita,
perché fin dall'alba si leva il mio spirito,
si volge in preghiera al tuo santo tempio,
portando con sé il tempio contaminato del mio corpo.
Ma nella tua compassione purificami,
per la tenera benevolenza della tua misericordia.
Guidami sulla via della salvezza,
o Madre di Dio,
perché ho profanato la mia anima con peccati vergognosi
e ho dissipato la mia vita nella negligenza.
Ma per la tua intercessione liberami da ogni impurità.

Tropari della domenica del fariseo e del pubblicano della liturgia bizantina


Lc 18, 9-14


In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».

IL COMMENTO

Pregare non basta. Anzi. Salire al Tempio a pregare ed uscirne assolutamente identici è una possibilità tutt'altro che remota. Presumere di se stessi è infatti un veleno che infetta anche i momenti più sacri. La presunzionedal latino praesuntionem, participio passato di praesumere, prae-innanzi e sumere-attribuirsi, è aver chiuso in anticipo il cuore a qualunque altra possibilità, parere, alla stessa Verità. Quante volte nelle discussioni in famiglia, con il coniuge, con i figli, con i genitori, e poi nella comunità, o con gli amici, ci attribuiamo ragione a priori, forti di chissà quali esperienze, studi, letture; sempre "pre" e mai "post"sempre avanti e mai dietro, in un atteggiamento opposto a quello del discepolo che segue il suo Maestro, umilmente, nella verità che ci colloca nell'autentica povertà e indigenza, ignoranti nella fede come nella vita. Come Pietro che, presuntuosamente, salta avanti a Gesù intimandogli di non andare a Gerusalemme a compiere la sua missione, perchè la Croce mai e poi mai... Prigionieri di un Io sconfinato, consideriamo gli altri solo dei poveri scarti di noi stessi, schiavi della presunzione di essere gli unici giusti sempre nel giustoIo sono diverso, un ritornello che risuona spesso in questa società edonistica e carnale dove il diverso a tutti i costi rivendica più diritti degli altri. La presunta diversa immacolatezza morale nella politica, la propria diversa onestà al lavoro, e poi nello studio, in amore, in famiglia, nello sport, anche nella Chiesa che opta per la "tolleranza zero" verso chi si ritiene pubblicano, gettando così con l'acqua anche il bambino. Ovunque, io sono unico, diverso, migliore. E anche chi crede di essere immune da questo virus, sprofondato nelle proprie incapacità intellettuali, chi pensa d'essere inferiore agli altri, forse meno brillante, scopre che, alla fine, è proprio in questa "presunta" inferiorità che trova unicità e diversità dalle quali giudicare e disprezzare. Non a caso il disprezzo degli altri, inseparabile compagno della presunzione, è un criterio infallibile nel discernimento degli spiriti. Dal presumere di se stessi al presumere di pregare ed essere pii, il passo è breve"Per questo, bisogna non soltanto pensare a praticare il bene, ma anche vegliare con cura sui nostri pensieri, per tenerli puri nelle nostre opere buone. Perché se sono fonte di vanità o di superbia nel nostro cuore, combattiamo allora soltanto per vana gloria, e non per la gloria del nostro Creatore" (S. Gregorio Magno). 
Il fariseo infatti, superficiale nei confronti dei propri pensieri, "pregava così tra sé". Ma l'originale greco invece utilizza un'espressione diversa: "il fariseo stando in piedi pregava rivolto verso se stesso". Il centro del dialogo è lui stesso. Lui è dio. Per questo la "presunta" giustificazione gli perviene dalle sue stesse opere. Il Tempio è solo un luogo puramente convenzionale, la passerella dell'ipocrisia. La preghiera diventa per lui "un puro occuparsi di se stesso, recidendo così la radice dell'autentica adorazione" (J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo); adorando se stesso abbandona Dio, l'unica fonte di giustificazione, e torna a casa senza giustificazione. E' di fronte a Dio come davanti ad uno specchio nel quale non vede che se stesso travestito da dio. Tanti sforzi per nulla! "Con la vanità, ha concesso al suo nemico di poter entrare nella città del suo cuore, che purtuttavia egli aveva chiuso con i chiavistelli dei suoi digiuni e delle sue elemosine. Tutte le altre precauzioni sono dunque inutili, quando rimane in noi qualche apertura attraverso la quale il nemico possa entrare...  dalla breccia di una sola colpa..." (S. Gregorio Magno).
Il pubblicano invece non osa neanche ad alzare lo sguardo, posato invece sulla terra che definisce la verità su se stesso. Il testo greco suggerisce che egli non si sentiva semplicemente un peccatore, ma il peccatore. Non ha null'altro in cui confidare se non la misericordia di Dio. La mano tesa a percuotersi il cuore dal quale sgorga ogni malvagità, per spezzettarlo e farne un cuore contrito ed umiliato. "Dio ascoltò il gemito del pubblicano e, giustificandolo, mostrò a tutti che egli si lascia sempre piegare se gli chiediamo il perdono delle colpe con gemiti e lacrime" (Tropario della Domenica detta del Fariseo e Pubblicano). Isacco il Siro scrisse nel sesto secolo: "Non dire mai che Dio è giusto. Se lo fosse, saresti all'inferno. Confida solo nella sua ingiustizia, che è misericordia, amore, perdono". Il pubblicano ha sperato contro ogni speranza come Abramo, che non si fermò di fronte alla sua sterilità, ma credette a Colui che aveva promesso l'impossibile, e questo gli fu accreditato come giustiziaLa folle ingiustizia divina, la misericordia che non ha riscontro in nessun codice umano, giustifica l'ingiustificabile"Rendi degni della tua beatitudine coloro che per te si trovano mendicanti di spirito.... L'umiltà guadagna la giustizia proprio con l'estrema indigenza di questa: anche noi possiamo acquisirla!" (Tropario).
Nel pubblicano, peccatore pubblico e reietto, rinveniamo le sembianze del Signore Gesù, l'esatto opposto del Fariseo: Lui non è mai rivolto verso se stesso, ma perennemente rivolto verso il seno del Padre ("eis ton kolpon", Gv 1,18). La sua confidenza nel Padre lo ha spinto sino all'audacia. Sulla Croce Gesù ha gridato implorando perdono per tutti noi; è sceso all'ultimo posto, nel buio di morte di ogni pubblicano, "a distanza" - e che distanza... - sino a sentire l'abbandono del Padre, e così dare una voce umiliata a tutti noi innalzati nella menzogna e per questo umiliati nella morte. Gesù si è fatto pubblicano tra i pubblicani, disprezzato dai religiosi e clericali come dagli agnostici e laicisti ad oltranza: nella penombra non si vede bene e non si comprende che, in Gesù, la stessa struttura del Tempio risulta rovesciata, esattamente come canta la Vergine Maria nel Magnificat. Il Santo dei Santi non si trova più laddove il fariseo si era inoltrato a presentare la propria pretesa giustizia. Il cuore del Tempio, le viscere di misericordia di Dio, sono precipitate laddove è sceso Cristo, accanto al pubblicano umiliato e così esaltato sino all'intimità con il Padre. 
Nell'attitudine del Pubblicano si riscontrano i tratti di chi ha percorso un cammino di fede e conversione attraverso la discesa dei vari gradini dell'umiltà che portano alle acque della piscina battesimale. Nella sua preghiera umile perchè umiliata dalla scoperta della propria realtà, e contrita nell'accettare d'essere un povero peccatore, lo vediamo pronto ad immergersi nella viscere della misericordia rigeneratrice. Il pubblicano, nell'abisso del suo nulla ha incontrato Cristo sino ad assumerne la stessa confidenza filiale; così anche noi, proprio laddove gli eventi illuminati dalla Parola, dall'insegnamento della Chiesa e dalla Grazia ci hanno umiliato svelandoci la verità, possiamo imparare con Cristo ad abbandonare presunte e inutili autogiustificazioni e a volgere noi stessi al seno misericordoso di Dio.
"Questa è la sorte di chi confida in se stesso, sarà loro pastore la morte". Ma sì! Ben venga la morte, la distruzione degli ideali che ci infilzano ai sogni. Che giunga presto la piccola pietruzza a distruggere la statua di quei miserevoli Nabucodonosor che siamo. Il carattere della moglie, la ribellione del figlio o i pantaloni a vita bassa della figlia, quel professore o la vicina di casa. Una malattia, la morte di chi ami di più; anche un terremoto. Tutto ad uccidere il nostro uomo vecchio, per diventare finalmente come il pubblicano, stravolti, impauriti, insicuri, contriti e umiliati, per entrare nella vita nuova sussurrando "Signore pietà di me..... davvero mi ami così?". Come Pietro che ha imparato a non presumere di se stesso dagli eventi che ha vissuto, sino alle lacrime, sino all'incontro decisivo con la misericordia fatta carne nello sguardo del Signore risorto sulle sponde del Mare di Galilea. 
Pregare, andare al tempio, fare sacrifici, essere impegnati nelle attività parrocchiali, la stessa filantropia volontaristica infatti non bastano, anzi. La domanda di Grazia d'un condannato a morte. Se non è questo, la nostra preghiera, la nostra relazione con Dio, resterà vuota, non varcherà la soglia delle nostre labbra e rimbalzerà sul soffitto ricadendoci addosso. Chi ha conosciuto la misericordia di Dio, chi è tornato a casa giustificato, risuscitato ad una vita giusta, santa, conforme alla volontà di Dio, ha imparato a guardare le cose secondo un criterio nuovo, opposto a quello della carne, fosse anche carne religiosa. Un pubblicano giustificato entra nel Tempio e si volge subito al fondo, certo di incontrarvi il Servo di Yahwè, il Buon Pastore alla ricerca della pecora perduta, e con Lui ogni uomo. Il Pubblicano che ha conosciuto la giustificazione vive ogni relazione in modo nuovo, da umiliato graziato: nel marito, nella moglie, nei figli, nei fratelli cerca l'indigente peccatore in attesa di misericordia, il condannato in attesa di un'impensabile grazia. Non guarda alla pretesa giustizia di chi gli è accanto, non si ferma a contestarla in sterili polemiche per averla vinta, va diritto al cuore umiliato, intercetta il dolore profondo che si nasconde, spesso, dietro a tanta tronfia sicurezza. Sa che la situazione nella quale giace ad esempio suo figlio - di fallimento, solitudine, dolore - è esattamente quella giusta per conoscere la giustificazione; non si attarda a discutere con lui, ma scende in quella "distanza" che è stata ed è anche la sua, e, con Cristo ed in Lui, si fa voce all'umiliazione di suo figlio, lo aiuta a implorare misericordia, lo ama umiliandosi con lui. Il Pubblicano giustificato va oltre l'apparenza, il Tempio della vita e della storia è, ai suoi occhi, un'architettura diversa da quella che la sapienza mondana e carnale suggerisce. Il Pubblicano che ha conosciuto la misericordia gratuita di Dio non si allontana dal fondo della storia, perchè sa che solo lì può davvero incontrare i fratelli, perchè è "a distanza" dall'apparenza che Dio scende a cercare ogni uomo. 
Condannato a morte tra i condannati a morte, in attesa della medesima Grazia: così il cristiano nel mondo, così la Chiesa a far risplendere la Luce delle Genti, la misericordia giustificatrice di Dio, negli angoli più fetidi della terra. E da quella "distanza" da Dio, accompagnare ogni uomo nel "ritorno a casa giustificato": chi ha incontrato la giustificazione gratuita vedrà la sua "casa", la sua famiglia, la sua vita, trasformata nello stesso Tempio dove ha incontrato la misericordia. Tutto diviene luogo di prossimità perchè laddove e abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia. La Chiesa e ciascuno di noi esiste, si sveglia ogni mattina, perchè si compia questo mistero di perdono, perchè ogni uomo incontri viscere di misericordia dove essere accolto e giustificato. 
Per questo è necessario che la Chiesa innanzi tutto si ponga a pregare "a distanza", scenda nella verità, che ciascuno di noi viva nell'umiliazione che apre alla conversione. Un grande monaco della Chiesa Orientale, Silvano del Monte Athos lo aveva compreso bene: "Signore, vedi che i demoni mi impediscono di pregare con uno spirito puro. Ispirami ciò che devo fare perché i demoni mi lascino in pace". E nell'anima il Signore gli risponde: "Le anime orgogliose soffrono sempre a causa dei demoni". "Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E di nuovo, nel suo cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza"(Vita di San Silvano del Monte Athos narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio). Accettare le conseguenze amare del nostro peccato, lo struggimento e la nostalgia della pace, il dolore per il male commesso verso chi ci è vicino, questo è rimanere all'inferno e non disperare. E dal fondo della verità più aspra attendere con speranza la Verità che giustifica.

Uomo, fratello mio -chiunque tu sia, per quanto grande sia il tuo peccato, per quanto oscura sia la tua tenebra - tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!


Fratello, se vedi il tuo peccato
sei più grande di chi risuscita i morti!
Quando guardi gli uomini, di' nel tuo cuore:
tutti saranno salvati, io solo sarò dannato.
Se pensi all'inferno, credi che esso esiste
ma solo per te che sei peccatore.
Tieni il tuo spirito agli inferi
e non disperare mai dell'amore di Dio.
Se pensi di andare all'inferno
sappi che anche là
potrai sempre cantare l'amore di Dio.
Se il tuo Signore è asceso in alto
egli è pure disceso in basso, agli inferi.
Se il tuo Signore ha preso l'ultimo posto
tu non potrai mai rubarglielo.
Se scenderai agli inferi, 
troverai il Signore, 
se salirai nei cieli, egli ti attende.
Da quel giorno, da quell'alba pasquale
il Tabor e il Golgota sono un unico monte!




APPROFONDIMENTI

venerdì 28 marzo 2014

Qual'è il primo dei comandamenti?

Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi»

Shemà Israel (Dt. 6, 4-9)

"Shemà Israel"

La "saggezza"

 dell'uomo consiste nel
saper rispondere a una
 domanda, quella decisiva

"Qual'è il primo
 dei comandamenti?".

"Quale è 

la missione


 che mi è affidata?"




La "saggezza" dell'uomo consiste nel saper rispondere a una domanda, quella decisiva:
 "Qual'è il primo dei comandamenti?".
La parola comandamento traduce diversi termini ebraici che indicano, tra l'altro, una parola che affida un incarico. Il comandamento è, dunque, una missione. La domanda che appare nel Vangelo allora, può significare: "Quale è la missione che mi è affidata?". Per rispondere dobbiamo andare all'incipit del Decalogo, le Dieci Parole di Vita vergate con il fuoco dell'amore divino e rivelate sul Sinai. Esse iniziano con la memoria di un'esperienza: la liberazione dall'Egitto. Lo stesso incipit dello Shemà, nel quale l'amore esclusivo a Dio e al prossimo scaturisce dall'esperienza dell'unicità di Dio: "Il Popolo ebraico attesta, compiendo il primo comandamento, che "solo il Signore suo Dio" può fare questo. Testimonia che ne è beneficiario. Accetta e decide, per quanto possibile, di assumere la liberazione dalla servitù del faraone. Vuole servire il solo Signore, rendergli culto, orientare tutte le sue forze, tutto il suo cuore, tutta la sua anima, tutto il suo tutto, a questo solo culto" (Marie Vidal, Un ebreo chiamato Gesù). Per questo lo Shemà è un annuncio, una profezia che sgorga da un memoriale, la rivelazione di un'identità: Ascolta Israele, il Signore è uno. La missione affidata a Israele prima e alla Chiesa poi, l'incarico che costituisce la vita di ciascuno di noi, rivela l'identità di Colui che incarica e affida la missione. Nella relazione di intima comunione tra Liberatore e liberato è gestato, nasce e si compie il comandamento più grande. Nel dialogo tra lo scriba e Gesù si legge in filigrana tutta la storia di Israele che, proprio in quel momento, trova pienezza e compimento. Per questo Gesù conclude congratulandosi con lo scriba dicendogli che non è lontano dal Regno di Dio: ascoltando le parole dello Shemà non pensa ad un impegno moralistico, ma rivede la sua vita salvata e condotta nella Terra Promessa, che diviene segno come quella del suo Popolo. Anche per noi risuonano in questa Quaresima le stesse parole, per ridestare in noi la memoria delle meraviglie compiute da Dio nella nostra vita, seno benedetto della missione che ci è affidata.   Essa consiste proprio in ciò che la Quaresima significa, l'esodo dalla condizione servile alla libertà, dall'Egitto alla Terra Promessa, dalla morte alla vita, dal peccato all'amore totale e senza condizioni. Per questo al cuore della Quaresima vi è l'ascolto. In ebraico i termini "ascolto" e "obbedienza" coincidono: così, nella parola dello Shemà, l'ascolto si fa obbedienza, nella quale l'amore si rivela autentico e incorruttibile. Solo nell'obbedienza che si abbandona senza riserve all'amore di Cristo si compie il "comandamento più grande", il comandamento dell'uomo libero. Non esiste vita autentica dove non esiste libertà, perché non esiste amore laddove permane la schiavitù. Dove regna il faraone vi è disordine, (secondo l'etimologia del termine faraone), e l'uomo vive dissipato; cuore, anima e forze si combattono conducendo l'uomo a una schizofrenia interiore che lo distrugge. La sperimentiamo quando chiudiamo l'orecchio al fratello, al catechista, al presbitero, a Dio; e cominciamo a non raccapezzarci più, non capiamo la moglie, non riusciamo a perdonare il marito, al lavoro è una lotta senza pietà; lo stesso che accade ai figli quando non ascoltano e non obbediscono: nervosismo, insoddisfazione, la vita diventa come i pantaloni che indossano, sfilacciati eppure costosissimi. Apriamo allora l'orecchio in questo tempo di conversione e invitiamo tutti a farlo; molto meglio che discutere e polemizzare. Per perdonarci tra coniugi, per strappare i figli alla tristezza e ai peccati, mettiamoci all'ascolto della Parola, l'unica possibilità offerta all'uomo per essere libero davvero, affrancato dal potere del demonio: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi". A chi consegnare se stessi se non a Gesù sul letto d'amore della Croce, dove Lui si è consegnato a noi? Dio infatti è "unico" perché il suo amore è l'unico che scende, con noi e in noi, nella sofferenza più profonda, nei dolori di un cancro, nelle angosce dei tradimenti e dei fallimenti, nei tormenti dei dubbi, in tutti gli istanti delle nostre vite. Lui è l'unico che ci ama così come siamo. Come dividere il nostro amore con idoli vani, inesistenti, incapaci di amare e di salvare? Non si tratta di un impegno, di buona volontà, ma dell'amore a chi ci ha amato per primo, dal quale sgorga, naturalmente, l'amore al prossimo, il dono totale che giunge sino al nemico. Per questo lo Shemà è il "comandamento più importante", la roccia su cui erigere l'esistenza, la stabilità nell'instabilità, la certezza nella precarietà. Lo Shemà crocifisso è il fondamento del matrimonio, del fidanzamento, dell'amicizia, del lavoro, della Chiesa stessa. Lo Shemà irrora di eternità tutto il transitorio della vita generando la libertà di amare in qualunque circostanza, senza illusioni, nella santa indifferenza che sbriciola ogni preteso assoluto che vorrebbe rubare mente, anima e corpo. Non vi è argomento di discussione, non vi è problema, difficoltà o sofferenza, non vi è precarietà, non vi è differenza e attrito, non vi è male che abbia ragione dell'amore che compie lo Shemà. Esso incarna il Cielo in ogni questione della terra, mette in fila le priorità e i valori, illumina le questioni più intricate. Lo Shemà è l'antidoto al fallimento dei rapporti: chi vive lo Shemà non dirà mai "non ti amo più, sono cambiati i miei sentimenti, non è più come prima", perché esso inchioda ogni relazione sul robusto Legno della Croce, il luogo della libertà che si fa dono, sia quel che sia, costi quel che costi. Lo Shemà è il sigillo della Grazia e dell'elezione a vivere sulla terra l'amore celeste, la missione affidata alla Chiesa e a ciascuno di noi.




canto: Shemà Israel (Kiko Arguello) - ESP.







Di seguito il testo del canto e gli accordi:

SHEMÀ ISRAEL(Dt 6, 4-9)
Barrè al IV tasto

La- Sol
C. Shemà Israel, shemà Israel
Fa
Adonai Elohenu
La-
Adonai Ehad.
La- Sol
A. SHEMÀ ISRAEL, SHEMÀ ISRAEL
Fa
ADONAI ELOHENU
La-
ADONAI EHAD.
La-
ASCOLTA ISRAELE (*) - SHEMÀ ISRAEL
Sol
ASCOLTA ISRAELE - SHEMÀ ISRAEL
Fa
IL SIGNORE È IL NOSTRO DIO - ADONAI ELOHENU
La-
IL SIGNORE È UNO. - ADONAI EHAD.
La-
C. Amerai il Signore Dio tuo
Fa La-
con tutto il tuo cuore,
Fa La-
con tutta la tua mente,
Fa Mi
con tutte le tue forze.
La- Re-
Poni queste mie parole
Sol La-
come segno ai tuoi polsi,
Re-
come segno fra i tuoi occhi,
Sol
sugli stipiti della casa
Mi
e sulle porte.
La-
A. ASCOLTA ISRAELE (*) - SHEMÀ ISRAEL
Sol
ASCOLTA ISRAELE - SHEMÀ ISRAEL
Fa
IL SIGNORE È IL NOSTRO DIO - ADONAI ELOHENU
La-
IL SIGNORE È UNO. - ADONAI EHAD.
La-
C. Inculcale ai tuoi figli, Israele,
Fa La-
parlane in casa,
Fa La-
quando cammini per la strada,
Fa Mi
quando ti corichi e ti alzi.
La- Re-
Questo è il primo comando per la vita,
Sol La-
e il secondo è simile al primo:
Re-
ama il prossimo come te stesso
Sol Mi
fa questo e avrai la vita eterna.
La-
A. ASCOLTA ISRAELE (*) - SHEMÀ ISRAEL
Sol
ASCOLTA ISRAELE - SHEMÀ ISRAEL
Fa
IL SIGNORE È IL NOSTRO DIO - ADONAI ELOHENU
La-
IL SIGNORE È UNO. - ADONAI EHAD.
La- Sol
C. Shemà Israel, shemà Israel
Fa
Adonai Elohenu
La-
Adonai Ehad.
______________
(*) Si canta a due cori.


ALTRI CANTI ...

 CANTO DI BALAAM. (Nm 23, 7-24) Barrè III tasto
    Mi-                 Re
C.  Da Aram mi ha fatto venire
Mi- Re
    Balak, il re di Moab,
Mi-
    dalle montagne d'Oriente:
Re Mi-
    vieni e maledicimi Giacobbe,
Re Mi
    vieni e profetizza per me contro
    Israele.
Sol Re SolSi- Mi-
    Come maledirò se Dio non mi lascia?
Sol Re SolSi- Mi-
    Come profetizzerò se Dio non lo
    vuole?
Re Mi-
    Dall'alto di questa rupe io lo vedo,
C.
Fa Mi
GIACOBBE, GIACOBBE?
Re- Mi
CHE BELLE SONO...
Mi- Re
Ma che cosa stai facendo?
Mi-
Tu lo stai benedicendo;
Re
vieni da un'altra parte,
Re
    dall'alto di questa cima lo
    contemplo:
Re
    questo è un popolo diverso
Mi-
    da tutte le nazioni!
                          Re
A.  CHE BELLE SONO LE TUE TENDE   |
                    Mi-           |
forse di là Dio lo vorrà maledire.
Sol Re
Ascolta, figlio di Zippor,
Sol Si- Mi-
porgi l'orecchio, re Balak,
Re
che Dio non è un uomo
Mi-
che dice e poi si pente:
Re Mi-
una stella sorge da Giacobbe,
Re Mi-
sento acclamazioni per un re,
Re Mi-
Dio, Dio è suo padre:
Re Mi-
si accovaccia come leone,
Re Mi-
si distende come leonessa,
Re Mi-
nessuno lo farà rialzare.
CHE BELLE SONO...
SolRe
Sia la mia morte
Sol Si- Mi-
come la morte del tuo Giusto,
Re Mi-
SIA LA MIA VITA DOV'È LUI,
Re Mi-
SIA LA MIA VITA DOV'È LUI.
CHE BELLE SONO...
v.)
CHE BELLE SONO
CHE BELLE SONO
CHE BELLE SONO
LA LA LA LA...
ISRAELE.
      Sol   Re
C.  Chi conterà la tua moltitudine,
        Re-       Mi-
A.  GIACOBBE, GIACOBBE,
LE TUE TENDE
Mi-
ISRAELE.
|
| | | |
(2
Sol Si-
Mi-
| Re|
A. C.
A.
Mi-
Mi- 
**********************
 VIENI DAL LIBANO. (Ct 4, 8 ss) Mi- Re
C. Vieni dal Libano, mia sposa, C.+A.
Mi- Re Mi-
vieni dal Libano, vieni!
Mi- Re C. Avrai per corona le vette dei monti,
Mi- Re Mi-
le alte cime dell'Ermon.
Mi- Re
Tu m'hai ferito, ferito il cuore
Mi- Sol La
CERCAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA...
Mi- Re
Alzati in fretta, mia diletta,
Mi- Re Mi-
vieni, colomba, vieni!
Mi- Re
L'inverno ormai è già passato
Mi- Re Mi-
il canto della tortora si ode.
Mi- Re
I fiori son tornati sulla terra,
Mi- Re
o sorella
Mi-
Vieni dal
Mi-
vieni dal
Mi-
Mi-
mia sposa.
Re
Libano, mia sposa,
Re Mi-
Libano, vieni!
Sol La
Mi-
il grande
Mi-
Re Mi-
sole è venuto.
Re
C.+A.  CERCAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA,
La- Mi-
       LO CERCAI SENZA TROVARLO;
Sol La
       TROVAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA,
C.+A.
Alzati in fretta, mia diletta,
Mi- Re Mi-
vieni, colomba, vieni!
Mi- Sol La
CERCAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA...
Mi-
Andremo all'alba
Mi- Re
vi raccoglieremo
Mi- Re
Re
nelle vigne,
Mi-
i frutti.
Do Re Mi- Mi- Re
L'HO ABBRACCIATO, NON LO LASCERÒ MAI! C.
Mi- Re
C.  Io appartengo al mio diletto
Mi- Re Mi-
    ed egli è tutto per me;
Mi- Re
    vieni usciamo alla campagna,
Mi- Re Mi-
    dimoriamo nei villaggi.
Come sigillo sul tuo cuore
Mi- Re Mi-
come sigillo sul tuo braccio,
Mi- Re
ché l'amore è forte come la morte
Mi- Re Mi-
e le acque non lo spegneranno.
Mi- Re
Dare per esso tutti i beni della casa
Mi- Re Mi-
sarebbe disprezzarlo.
Mi- Mi-
Come sigillo sul tuo cuore
Mi- Re Mi-
come sigillo sul tuo braccio.
Mi- Sol La
CERCAI L'AMORE DELL'ANIMA MIA...
Io appartengo al mio diletto
Mi- Re Mi-
ed egli è tutto per me. C.+A.   

    Carmen    “63.
La-Mi Fa Re La
C.Sono rotti i miei legami C.+A. GUADAGNERO’  IL  MIO  REGNO, ReMi Re La
Pagati i miei debiti.
Fa
Le mie porte spalancate,
Mi
me ne vado da ogni parte.
Re-
GUADAGNERO’  IL  MIO  REGNO, Mi La
ME NE VADO DA OGNI PARTE
La- Mi Fa
C.+A. SONO ROTTI I MIEI LEGAMI, Re- Mi
PAGATI I MIEI DEBITI,
Fa
LE MIE PORTE SPALANCATE,
Mi
ME NE VADO DA OGNI PARTE.
(2 v.)
Re-
Mi
Essi, accovacciati nel loro angolo,
continuano a tessere la pallida tela delle loro ore;
Fa
o tornano a sedersi nella polvere
Mi
a contare le loro monete,
Mi-
Fa MiFa Mi Re La
e  mi  chiamano,  e  mi  chiamano,  perche’  torni  indietro.
La- Mi-
Ma  gia’  la  mia  spada  è  forgiata,
La Mi-
gia’  ho  messo  l’armatura,
Sol Si
gia’  il  mio  cavallo  è  impaziente
Re La Fad
e  io  guadagnero’  il  mio  regno,
Si- Sol Fad
e  io  guadagnero’  il  mio  regno.
C.+A. GUADAGNERO’  IL  MIO  REGNO, Re La
GUADAGNERO’  IL  MIO  REGNO, Mi La
ME NE VADO DA OGNI PARTE
(2 v)     

  
ALTRI CANTI ... >>>>>>>>>>>>>


Canti del Cammino Neocatecumenale
Abba Padre (Rom. 8,15-17)
Abramo (Gen 18, 1-5)
Acclamate al Signore. Sal 99 (100)
Acclamazioni al Vangelo
Agnella di Dio
Akedà. Sal 86 (87)
Al risveglio mi sazierò del tuo volto, Signor. Sal 16 (17)
Alla vittima pasquale
Alleluja pasquale
Alzate o porte. Sal 23 (24)
Alzo gli occhi verso i monti. Sal 120 (121)
Amen - Amen - Amen. (Ap 7, 12-14)
Amo il Signore. Sal 114 - 115 (116)
Andate ed annunziate ai miei fratelli (Mt. 28, 16-20)
Andiamo, già pastori
A te levo i miei occhi. Sal 122 (123)
A te Signore con la mia voce. Sal 141 (142)
A te Signor, innalzo la mia anima. Sal 24 (25)
A te Signor si deve lode in Sion. Sal 64 (65)
Ave Maria
Ave, o Maria, Colomba incorrotta
Benedetta sei tu, Maria (Lc. 1, 42-44)
Benedici Anima mia Jahvè. Sal 102 (103)
Benedirò il Signore in ogni tempo. Sal 33 (34)
Benedite il Signore. Sal 133 (134)
Benedizione dell'acqua del fonte battesimale
Benedizione per la celebrazione penitenziale
Cantiamo, Cantiamo. (Es. 15, 1-2)
Cantico di Zaccaria (Lc. 1, 67-69)
Canto dei bambini nella veglia di Pasqua
Canto dei tre giovani nella fornace. (Dn. 3, 57-88)
Canto dell'agnello. (Ap. 5, 9ss)
Canto di Balaam. (Nm. 23, 7-24)
Canto di Giosuè. (Gs. 24, 2-13)
Caritas Christi. (2 Cor. 5, 14-17.21; 1 Cor. 9, 16b)
Carmen '63
C'erano due angeli
C'è un tempo per ogni cosa (Qo. 3, 1-15)
Che mi baci
Chi ci separerà
Chi è colei (Ct. 8, 5-7)
Come condannati a morte (1 Cor. 4, 9-13)
Come è bello, come dà gioia, Sal 132 (133)
Come una cerva anela. Sal 41 - 42 (42 - 43)
Consolate il mio popolo (Is. 40, 1-11)
Così parla l'amen (Ap. 3, 14-22)
Cristo Gesù è il Signore - Inno della Kenosis (Fil. 2, 1-11)
Dà lode al Signore. Sal 145 (146)
Dal profondo a te grido. Sal 129 (130)
Davanti agli angeli. Sal 137 (138)
Debora (Gdc. 5, 1ss)
Dice il Signore al mio Signore. Sal 109 (110)
Dite agli smarriti di cuore. (Is 35, 4ss)
E' la Pasqua del Signore
Ecco il mio servo: I canto del servo di Jahvè (Is. 42, 1-4)
Ecco lo specchio nostro. (Ode XIII di Salomone)
Ecco qui io vengo presto. (Ap. 22, 12-16)
Eli, Eli, Lammà Sabactani? Sal 21 (22)
Esultate giusti nel Signore. Sal 32 (33)
Evenu Shalom Alejem. (canto ebraico)
Felice l'uomo. Sal 1
Felicità per l'uomo, Sal 127 (128)
Figlie di Gerusalemme. (Lc. 23, 28.31.34.43.46)
Fino a quando. Sal 12 (13)
Fratelli non diamo a nessuno (2 Cor. 6, 3-16)"
Gesù percorreva tutte le città (Mt. 9, 35ss; 10)
Già viene il mio Dio
Già viene il regno (Ap. 19, 6-9)
Giacobbe (Gen. 32, 23-29)
Giorno di riposo
Giunga la mia preghiera fino a te. Sal 118 (119)
Gloria, Gloria, Gloria (Is. 66, 18ss)
Gloria a Dio nell'alto dei cieli
Grazie a Jahvè. Sal 135 (136)
Gridate con gioia. (Is. 12, 1ss)
Guardate com'è bello. Sal 132 (133)
Ho sperato, ho sperato nel signore. Sal 39 (40)
Ho steso le mie mani
I bambini di Betlemme
Il popolo che camminava nelle tenebre (Is. 9, 1-5)
Il seminatore (Mc. 4,3 ss)
Il Signore annuncia una notizia. Sal 66(68) vv 12-16.33.34
Il Signore è mio pastore. Sal 22 (23)
Il Signore è mia luce e mia salvezza. Sal 26 (27)
Il signore mi ha dato: III canto del servo. (Is. 50, 4-10)
Il Padre che è nei cieli
In una notte oscura (S. Giovanni della Croce)
Innalzerò la coppa di salvezza. Sal 114-115 (116)
Inno alla carità. (1 Cor. 13, 1-13)
Inno dei vespri di Pasqua.
Inno delle Lodi di Avvento
Inno di Pasqua
Jahvè tu sei il mio Dio. (Is. 25, 1-8)
La colomba volò. (Ode XXIV di Salomome)
La Marcia è dura
La mia diletta è per me. (Ct. 1, 13ss)
LA mietitura delle Nazioni (Gv. 4, 31-38)
La voce del mio amato (Ct. 2, 8-17)
Le sue fondamenta. Sal 86 (87)
Lo spirito del Signore è sopra di me. (Lc. 4, 18-19)(Is. 61, 1-3)
Lo stesso Iddio (2 Cor. 4, 6-12)
Lodate Iddio. Sal 150
Lodate il Signore. Sal 116 (117)
Lodate il Signore dai cieli. Sal 148
Lo stolto pensa che non c'è Dio. Sal 14(13)
Magnificat (Lc. 1, 46-55)
Maria, casa di benedizione
Maria di Jasna Gora. Inno alla Madonna di Czestochowa
Maria, Madre del Cammino ardente
Maria madre della Chiesa. (Gv. 19, 26-34)
Maria, piccola Maria
Mi hai sedotto, Signore. (Ger. 20, 7-18)
Mi indicherai il sentiero della vita. Sal 15(16)
Misericordia Dio, Misericordia. Sal 50 (51)
Molto mi hanno perseguitato. Sal 128(129)
Nessuno può servire due padroni (Mt. 6, 24-33)
Noli me tangere (Gv. 20, 13-17)
Non c'è in lui bellezza: IV canto del servo. (Is. 53, 2ss)
Non è qui. E' risorto (Mt 28, 1 ss)
Non lascerai la mia vita nel sepolcro. Sal 15 (16)
Non morirò. Sal 117 (118)
Non resistete al male. (Mt. 5, 38ss)
Non ti adirare. Sal 36 (37)
O Dio, per il tuo nome. Sal 53 (54)
O Dio, tu sei il mio Dio. Sal 62 (63)
O Gesù, amore mio
O morte dov'è la tua vittoria? (1 Cor. 15)
O Signore nostro Dio. Sal 8
Omelia pasqule di Melitone di Sardi
Pentecoste
Per amore di miei fratelli. Sal 121 (122)
Perchè le genti congiurano? Sal 2
Pietà di me o Dio. Sa 50 (51)
Portami in cielo
Preconio pasquale
Preghiera eucaristica II
Pregiera eucaristica II - seconda parte
Preghiera litanica penitenziale
Quando dormivo. (Ct. 5, 2ss)
Quando Israele era un bimbo. (Os. 11, 1-11)
Quando Israele uscì dall'Egitto. Sal 113 (114)
Quanto sono amabili le tue dimore. Sal 83 (84)
Questo è il mio comandamento (Gv. 15,12.13.16.18; 17,21)
Risuscitò (1 Cor. 15)
Rivestitevi dell'armatura di Dio (Ef. 6, 11ss)
Sale Dio tra le acclamazioni. Sal 46 (47)
Salve, Regina dei cieli
Santo (1983)
Santo del tempo ordinario
Santo è il Signor - Santo delle baracche
Santo è Santo (Tempo di Quaresima)
Santo Santo Santo - Osanna delle palme (Tempo di Pasqua)
Santo, santo, Santo (1988)
Se il signore non costruisce la casa. Sal 126 (127)
Se nel signore mi sono rifugiato. Sal 10 (11)
Se oggi ascoltate la mia voce. Sal 94 (95)
Sermone della montagna. (Lc. 6, 17-49)
Shemà Israel (Dt. 6, 4-9)
Shloch Lech Mariàm
Siedi solitario e silenzioso. (Lam. 3, 1-33)
Signore, il mio cuore non ha più pretese. Sal 130 (131)
Signore aiutami, Signore
Signore, non punirmi nel tuo sdegno. Sal 6
Signore tu mi scruti e mi conosci. Sal 138 (139)
Signore ascolta la mia preghiera. Sal 143 (144)
Sola a solo
Sorga Dio. Sal 67 (68)
Stabat Mater
Sui fiumi di Babilonia
Te Deum
Ti amo Sigore. Sal 17
Ti ho manifestato il mio peccato. Sal 31 (32)
Ti sto chiamando. Sal 140 (141)
Ti vedranno i re: II canto del servo. (Is. 49, 1-16)
Tu che abiti nei giardini. (Ct. 8, appendici)
Tu sei bella, amica mia (Ct. 6-7)
Tu sei il più bello. Sal 44 (45)
Un germoglio spunta dal tronco di Jesse (Is. 11)
Una donna vestita di sole (Ap. 12)
Urì, Urì, Urà
Vedo i cieli aperti (ap. 19, 11-20)
Venite a me voi tutti. (Mt 11, 28-30)
Venite applaudiamo al Signore. Sal 94 (95)
Verso te, o città santa
Viene il Signore vestito di maestà
Vieni dal Libano (Ct. 4, 8ss)
Vieni, figlio dell'uomo (Ap. 22, 17ss)
Vi prenderò dalle genti (Ez. 36, 24-28)
Voglio andare a Gerusalemme. (Canto sefardita)
Voglio cantare. Sal 56 (57)
Voi siete la luce del mondo (Mt. 5, 14-16)
Zaccheo (Lc. 19,1-10)