Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 8 aprile 2014

"Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo...


Martedì della V settimana del Tempo di Quaresima






L'ANNUNCIO


In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire". Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".
E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati".
Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui". Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". A queste sue parole, molti credettero in lui. (Dal Vangelo secondo Giovanni 8,21-30)




Dal Vangelo secondo Giovanni 8,21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire". Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?". 

E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati". 

Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui". Non capirono che egli parlava loro del Padre. 
Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". A queste sue parole, molti credettero in lui.  

*

Spesso e senza rendercene conto guardiamo a Cristo come a unsuicida. Forse non elaboriamo il concetto in maniera così cruda, ma, analizzandoci di fronte alle nostre croci, scopriamo che è esattamente quello che pensiamo. Si tratta della scelta imposta da Pilato alla folla tumultuante: "Volete che vi liberi Gesù o Barabba?". La giustizia umana fondata sulla violenza o l'agnello di Dio che si carica di ogni ingiustizia? Per noi la via intrapresa dal Servo di Yawhè, l'agnello muto che non apre bocca e si lascia umiliare sino ad offrire la propria vita è puro suicidio: "Il Dio in croce è una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene" (F. Nietzsche). Non siamo lontani dal filosofo; quando la storia frappone ostacoli al compimento dei nostri desideri e alla realizzazione dei nostri progetti guardiamo al crocifisso come a una maledizione, e sentiamo, irrefrenabile, l'impulso a liberarci dalla sofferenza. Scegliamo Barabba e ci incamminiamo sul sentiero opposto a quello della Croce. "Apparteniamo al mondo, siamo di quaggiù", le logiche "di lassù"  non le comprendiamo. Quante volte "lo abbiamo cercato" senza trovarlo? Perché lo abbiamo cercato nelle nostre concupiscenze, mentre ci facevamo giustizia, increduli che "Io sono" è amore sino alla fine, sino al nemico. Per questo il Signore dice ai Farisei e a ciascuno di noi che "non possiamo andare dove egli va". Non possiamo seguirlo sulla via della Croce, l'assurdo ci spaventa, il dolore ci annichilisce. La nostra esistenza sembra basarsi sulle tragiche parole riportate nel libro della Sapienza: "La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati" (Sap. 2, 1-2). Dietro a ogni rifiuto della Croce vi è sempre l'incredulità cinica di chi non ha conosciuto Colui che libera dagli inferi: "se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati". La tomba ci fa paura, e, se una lapide decreta la fine, siamo condannati a lottare con tutte le forze per allontanare il più possibile la morte. Per questo non possiamo accettare un figlio che uccida i nostri progetti su di lui; che la moglie o il marito entrino in crisi e distruggano affetto e dolcezza, polverizzando l'immagine di matrimonio che abbiamo coltivato; la suocera che ci guarda di traverso obbligandoci sempre sulla difensiva; un lavoro che ci umilia senza un briciolo di rispetto; una malattia che sconvolga i ritmi e inchiodi la vita alla precarietà. Non accettiamo, e ci dimeniamo, cercando ragioni, soluzioni, vie di fuga, ma senza successo: la vendetta non ci consola, farci giustizia non ci placa, accaparrare tutto per offrire ogni cosa alla nostra carne ferita non ci sazia. "Moriamo nei nostri peccati", perché non sappiamo rispondere alla domanda cruciale: "Tu chi sei?"Ma ancora una volta si avvicina la Pasqua per rinnovare il prodigio: i peccati nei quali siamo morti, quelli che si ripetono giorno dopo giorno come gocce che scendono da un rubinetto mal chiuso, "innalzano" per noi Cristo davanti ai nostri occhi. E' questo l'assurdo che può trasformare la nostra vita: nell'amore sconvolgente di Dio, il peccato diventa lo strumento per conoscere e sperimentare che Gesù è "Io sono", ovvero Dio Onnipotente. I nostri fallimenti, le paure, la Croce che abbiamo preparato per Lui sono anche oggi il modo folle attraverso il quale Dio ci viene incontro per offrirci una roccia su cui appoggiare la nostra fede: morti nei peccati, nei peccati possiamo incontrare la vita. La maledizione che tante volte abbiamo lanciato contro la nostra storia ha crocifisso "Io sono". E Lui era lì, a lasciarsi "innalzare", perché sapeva bene che solo "allora" lo avremmo riconosciuto. Guarda bene la tua vita, e conta quanti giudizi, quante menzogne, quante porcherie nascoste nel cuore ti ha perdonato. Perché sei ancora vivo? Perché oggi puoi ancora ascoltare una Parola che ti chiama a conversione? Perché hai ancora una possibilità per non distruggere del tutto il matrimonio, per riconciliarti con tuo figlio? Perché c'è ancora una Pasqua che ti aspetta per ridarti la vita? Perché il Signore "non ha mai fatto nulla da se stesso, ma come gli ha insegnato il Padre ha parlato" annunciandoci la verità. A differenza di tutti noi "ha sempre fatto le cose gradite al Padre", sino a donarsi sulla Croce. Convertiamoci allora, e fissiamo il crocifisso. Non è stato suicidio, ma il dono più grande; su quel legno  erano scritti i peccati nei quali siamo andati a morire, noi sì suicidandoci... Alziamo gli occhi e scopriremo Gesù "innalzato" al centro della nostra vita, per strapparci alle cose di quaggiù e insegnarci a pensare a quelle di lassù. Proprio dove più dura è la sofferenza e più forte è il desiderio di sfuggirla, sperimenteremo allora che Lui è Dio, e che il suo amore è più forte del peccato e della morte. "Io sono" ci attende sulla Croce per farci "essere" con Lui. Rinneghiamo noi stessi e lasciamoci "innalzare" con Lui. Solo allora chi ci è accanto "saprà" che Dio è amore, che in Lui si può ricominciare. Così, crocifissi con Cristo, potremo finalmente andare dove Lui ci ha preceduto per prepararci un posto, compiendo la volontà di Dio. Al Padre, infatti, è gradita una famiglia santa,sposi, genitori e figli che si amano perché sperimentano che con Cristo  "non saranno mai soli".



“L’innalzare” mediante la Croce
costituisce in un certo qual senso la chiave 
per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava.
La Croce è la soglia, attraverso la quale
sarà concesso all’uomo di avvicinarsi 
a questa realtà che Cristo rivela.

Giovanni Paolo II, Messa con gli universitari, 30 marzo 1982



Gv 8,21-30 

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire". Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?". 
E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati". 
Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico. Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui". Non capirono che egli parlava loro del Padre. 
Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite". A queste sue parole, molti credettero in lui. 


COMMENTO 

Spesso e senza rendercene conto guardiamo a Cristo come ad un suicida. Di fronte al suo atteggiamento ne restiamo talmente sconvolti da ritenere che la sua morte in croce volontariamente accettata sia stata un vero e proprio suicidio. Forse non elaboriamo il concetto in maniera così cruda, ma, analizzandoci di fronte alle nostre croci, scopriamo che è esattamente quello che pensiamo. Si tratta della scelta imposta da Pilato alla folla tumultuante: "Volete che vi liberi Gesù o Barabba?". La giustizia umana fondata sulla violenza o l'agnello di Dio che si carica di ogni ingiustizia? Per noi la via intrapresa dal Servo di Yawhè, l'agnello muto che non apre bocca e si lascia umiliare sino ad offrire la propria vita è puro suicidio. "Il Dio in croce è una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene" (F. Nietzsche, La volontà di potenza). Non siamo lontani dal filosofo, quando ci chiudiamo in un rancore sordo e lottiamo contro l'ingiustizia; quando la storia frappone ostacoli e trappole al compimento dei nostri desideri e alla realizzazione dei nostri progetti guardiamo al crocifisso come ad una maledizione e sentiamo, irrefrenabile, l'impulso a liberarci dalla sofferenza. Scegliamo Barabba e ci incamminiamo sul sentiero opposto a quello della Croce. Apparteniamo al mondo e non vi è in noi la vita celeste.

Per questo il Signore dice ai Farisei e a ciascuno di noi che non possiamo andare dove egli va. Non possiamo seguirlo sulla via della Croce, l'assurdo ci spaventa, il dolore ci annichilisce. Anche se frequentiamo la Chiesa e ascoltiamo assiduamente la Parola di Dio e ci accostiamo ai sacramenti, la nostra esistenza sembra basarsi sulle tragiche parole riportate nel libro della Sapienza: "La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati" (Sap. 2, 1-2). Dietro al rifiuto della Croce vi è sempre l'incredulità cinica di chi non ha conosciuto Colui che libera dagli inferi. La tomba fa paura, è il luogo della fine. "Non c'è rimedio" e il "caso" governa la storia, dopo la morte "saremo come se non fossimo stati". Se la lapide decreta la fine dovremo lottare con tutte le forze per allontanare la morte il più possibile. Per questo non possiamo accettare un figlio che uccida i nostri progetti su di lui. Non possiamo accettare che la moglie o il marito entrino in crisi e distruggano affetto e dolcezza, l'immagine di matrimonio che abbiamo coltivato e per la quale abbiamo lottato illudendoci fosse amore. Non possiamo accettare la suocera che ci guarda di traverso obbligandoci sempre sulla difensiva. Non possiamo accettare un lavoro che ci umilia, l'ingiustizia di un collega che frustra le nostre iniziative. Non possiamo accettare una malattia che sconvolga i ritmi e inchiodi la vita alla precarietà.

Non possiamo seguire il Signore prendendo ogni giorno la nostra Croce e rinnegando noi stessi. Non possiamo perchè non crediamo. Ma l'esito della nostra fuga è il precipitare in un baratro sempre più oscuro. La vendetta non ci consola, il farci giustizia non ci placa, accaparrare tutto per non sentire i rantoli della morte incipiente non ci sazia, offrire ogni cosa alla nostra carne non ci colma di vita. Moriamo nei nostri peccati. La moglie si fa sempre più lontana sino a separarsi da noi, il figlio si dilegua nei suoi errori, il lavoro si trasforma in un inferno sempre più duro, la malattia non regredisce ma sottrae anche le ultime forze. Abbiamo lottato e ci ritroviamo morti più di prima. Scopriamo così che i veri suicidi siamo noi, che vivere la vita come una perenne lotta contro l'ingiustizia è un togliersi la vita a poco a poco. Sperimentiamo amaramente, come il figliol prodigo, e come Adamo ed Eva prima di lui, che fuggire dalla croce per alienarci con interessi e ideali, divertimenti e vizi, significa suicidarsi ogni giorno di più. Scappare dalla Croce si traduce sempre, inevitabilmente, nel peccare.

Moriamo nei nostri peccati perchè è rimasta senza risposta la domanda cruciale: "Tu chi sei?". Solo chi ha conosciuto davvero il Signore non pecca, vive una vita santa crocifissa con Lui. Solo chi, dal buio della tomba, come Lazzaro, ha ascoltato la sua voce capace di dare la vita ai morti, e ha fatto l'esprienza di uscirne risuscitato, può credere e appoggiarsi a Lui per entrare ogni giorno nella sofferenza. Lui è Colui che Egli stesso ha detto di se stesso, il Figlio di Dio che compie l'opera del Padre, la misericordia nascosta nella sua carne che scandalizza per la debolezza. Lui è il Figlio che rinnega la propria volontà per obbedire alla volontà di suo Padre; Lui fa ciò che gli è gradito, amare sino alla fine. "Se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati". Solo chi crede che Lui è Dio, che è l'essere che vince la morte ed il peccato, può passare dalla morte alla vita; possiamo crederlo oggi, contemplando la Croce su cui è innalzato per la nostra salvezza. Crederlo fissando la nostra storia crocifissa ed accogliere la sua parola che ci attira nella sua comunione di vita e misericordia.

Ma anche oggi si rinnova per noi il prodigio; i peccati nei quali siamo morti, quelli che si ripetono giorno dopo giorno, come gocce che scendono da un rubinetto mal chiuso, proprio questi peccati innalzano per noi Cristo davanti ai nostri occhi . E' questo l'assurdo che può trasformare la nostra vita, il peccato stesso, nell'amore sconvolgente di Dio, diventa lo strumento perchè appaia davanti a noi la sua misericordia. I nostri fallimenti, le nostre paure, la Croce che abbiamo preparato per Lui sono oggi il modo folle attraverso il quale Dio ci viene incontro perchè possiamo credere. Morti nei peccati, nei peccati possiamo incontrare la vita.

Dio Crocifisso, la maledizione lanciata contro la vita, "Io sono" consegnato al patibolo e al sepolcro: è questa e nessun'altra la nostra salvezza, la porta sulla pienezza e la gioia. E' l'unico segno, l'opera di Dio, la Sua volontà compiuta: l'amore senza limiti, Lui consegnato a noi senza riserve. Lì, sulla Croce, la Sua che è la nostra. La Sua carne crocifissa in una carne sola con la nostra, ferita, moribonda, distrutta. Lui innalzato al centro della nostra vita, quella di oggi, è il Suo Golgota. La nostra storia, tutta, diventa così il centro della Storia, dove il Suo cuore squarciato ha effuso sangue ed acqua a guarire le nostre ferite. Proprio dove più dura è la sofferenza e più forte è il desiderio di sfuggirla, sperimentare che Lui è, che Lui è Dio, che la sua vita ed il suo amore sono più forti di ogni dolore, di ogni peccato, di ogni morte. La Sua Vita ora a distruggere la nostra morte. Amati, amati, amati. Una porta stretta, la nostra croce. La Via, la Verità, la Vita. Lui, crocifisso per noi. E noi crocifissi con Lui. La Sua Croce ad aprirci il cammino per andare dove Lui ci ha preparato un posto. La nostra vita, assunta nella fede nel suo amore, è il cammino al cielo. Lui torna anche oggi a prenderci e a portarci con Lui. Tutto ciò che in noi non è Lui e appartiene alla terra, tutto quello che ci separa da Lui, è ormai crocifisso nei suoi chiodi e distrutto. E, finalmente liberi, abbandonati al Suo amore possiamo entrare, oggi, con Lui nel Regno di pace, di gioia e di amore. Con Lui scoprire di non essere mai soli, anche nel buio della sofferenza, godere della letizia di chi fa sempre quello che è gradito al Padre.


Sant'Atanasio (295-373), vescovo d'Alessandria, dottore della Chiesa
Discorso sull'incarnazione del Verbo, 21-22

« Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono »

Qualcuno potrebbe domandare : se era necessario che Cristo abbandonasse il suo corpo alla morte per il bene di tutti, perché non l'ha abbandonato semplicemente come qualsiasi uomo, ma si è lasciato crocifiggere ? Era più conveniente per lui deporre il suo corpo dignitosamente, piuttosto che subire una morte ignominiosa. Ma costui si domandi se la sua obiezione non sia troppo umana. Quello che ha fatto il Salvatore è veramente divino e degno della sua divinità per più ragioni.
Anzitutto la morte per cui muoiono gli uomini accade per la debolezza della loro natura : non possono durare a lungo e col tempo deperiscono, si ammalano, perdono le forze e muoiono. Ma il Signore non è debole, è la potenza di Dio, il Verbo di Dio : è la stessa vita. Se avesse deposto il suo corpo in forma privata, su di un letto, al modo comune degli uomini, si sarebbe pensato... che egli non aveva nulla di più degli altri uomini... E poi non sarebbe stato conveniente che soccombesse a una malattia, lui che guariva le malattie degli altri...
Perché allora non ha evitato la morte come ha evitato le malattie ? Egli possedeva un corpo appunto per poter morire, e non conveniva che si sottraesse alla morte impedendo così la risurrezione... Qualcuno dirà : Egli avrebbe dovuto schivare il complotto dei suoi nemici, per conservare il suo corpo del tutto immortale. Costui impari dunque che neppure questo conveniva al Signore. Come non era degno del Verbo di Dio, che è la vita, mettere a morte il suo corpo per sua iniziativa, così non era conveniente che egli sfuggisse la morte che gli veniva dagli altri... Tale atteggiamento non mostrava affatto la debolezza del Verbo, ma lo faceva conoscere come Salvatore e Vita... Il Salvatore non veniva a consumare la propria morte, ma quella degli uomini.


Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di Giovanni, 12, 11

« Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono »

Cristo prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: « E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 14-15). Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia... Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9).

Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente (Gen 3). Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte... ; la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: « O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? » (1 Cor 15, 55).
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Gv. 8,21-30 

Altro COMMENTO 


Una porta stretta, il cammino alla vita. Impossibile andare con il Signore, seguirlo fin dove Lui va, senza passare per la porta stretta. Impossibile per il peccato, l'incredulità. Lo scandalo della debolezza. Da Nazaret non può venire nulla di buono, Galilea dei Gentili, lontana, perduta, maledetta. Un branco di cani, così erano chiamati i pagani. E Gesù, questo presunto Messia, proprio da quel posto doveva venire. No. Non sorge profeta in Galilea. No, nessuna salvezza in questa nostra Galilea di oggi, impossibile. Questa famiglia, questi figli, questo lavoro. E la salute, e i soldi, e questo niente che siamo, disprezzati, incompresi, abbandonati. E il peso della storia, la violenza subita, l'ingiustizia patita, la scuola sbagliata, gli amici violenti, la povertà. Galilea dei Gentili, il Messia non viene da queste parti, tutto troppo lontano, diverso da Gerusalemme. La nostra vita dimentica di Dio e da Lui dimenticata. Non cambierà nulla. Mai. Ecco il peccato. L'incredulità, lo scandalo, l'inciampo davanti alla carne di Dio, inverosimile, incredibile. Le Sue piaghe, le Sue lacrime, il Suo dolore. Non si può credere d'essere amati così, al punto che Dio quasi rinunci d'essere Dio per puro amore nostro. Dio fatto carne perchè nulla di noi ci separasse da Lui. Nessuno ci ha mai amati così, non è credibile , è folle il solo pensarlo. E morire nei nostri peccati. Tutti quelli che si ripetono giorno dopo giorno, come gocce che scendono da un rubinetto mal chiuso. L'incredulità, madre d'ogni peccato. Dio non è amore, e questo basta. Appartenere alla terra, il cielo chiuso, nessuna speranza, e gli occhi stampati sull'angusto momento che viviamo. Senza amore, senza senso. E una Croce. Innalzata. E Dio Crocifisso, "Io sono" consegnato al patibolo e al sepolcro. A ciascuno di noi. Per amore. Gratuitamente. E' l'unico segno, l'opera di Dio, la Sua volontà compiuta: l'amore senza limiti, Lui consegnato a noi senza riserve. Lì, sulla Croce, la Sua che è la nostra. La Sua carne crocifissa in una carne con la nostra ferita, moribonda, distrutta. Lui innalzato al centro della nostra vita, quella di oggi, è il Suo Golgota. La nostra storia, tutta, diventa così il centro della Storia, dove il Suo cuore squarciato ha effuso sangue ed acqua a guarire le nostre ferite. La Sua Vita ora a distruggere la nostra morte. Amati, amati, amati. Ora, così come siamo. Ora, laddove noi siamo. Una porta stretta, la nostra croce. La Via, la Verità, la Vita. Lui, crocifisso per noi. E noi crocifissi con Lui. La Sua Croce ad aprirci il cammino per andare dove Lui ci ha preparato un posto. La nostra vita, assunta nella fede nel suo amore, è il cammino al cielo. Lui torna anche oggi a prenderci e a portarci con Lui. Tutto ciò che in noi non è Lui e appartiene alla terra, tutto quello che ci separa da Lui, è ormai crocifisso nei suoi chiodi e distrutto. E, finalmente liberi, abbandonati al Suo amore, crocifissi nella Sua misericordia possiamo entrare, oggi, con Lui nel Regno. Di pace. Di gioia. D'amore.

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