Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 17 agosto 2013

Domenica della XX settimana del Tempo Ordinario. Anno C



Gesù ci ha detto: Sono venuto per gettare fuoco alla terra 
e come desidererei che fosse già acceso. 
Origene ci ha trasmesso una parola del Signore: 
«Chi è vicino a me è vicino al fuoco». 
Il cristiano non deve essere tiepido. 
L’Apocalisse ci dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: 
che non dica di no, ma un sì molto tiepido. 
Questa tiepidezza proprio discredita il cristianesimo. 
La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, 
fiamma che realmente accende il mio essere, 
diventa grande passione del mio essere, 
e così accende il prossimo. 
Questo è il modo dell’evangelizzazione: 
«Accéndat ardor proximos», 
che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro.
Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, 
cresce realmente l’evangelizzazione, 
la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta.


Benedetto XVI, Meditazione dell' 8 ottobre 2012



Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 12,49-53. 

Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!
C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.
D'ora innanzi in una casa di cinque persone
si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera». 



Il commento



Dietro ad ogni “angoscia” sofferta dall’uomo vi è quella di Gesù in attesa che sia “compiuto” il “battesimo” per il quale si era incarnato. Non importa se siamo angosciati per un figlio, per il lavoro, per i risultati delle analisi cliniche o per la risposta della ragazza alla richiesta di fidanzarsi. In ogni nostra angoscia è vergata l’attesa del compimento per il quale siamo nati. Esse ci prendono quando alcuni eventi bruciano come sale sparso sulle ferite lasciate in dote dal peccato. Allora il dolore restringe il campo visivo ai luoghi dove crediamo si soffra di meno e ci spinge verso le persone apparentemente più affidabili.


Ma sappiamo per esperienza che nulla e nessuno può liberarci dall’angoscia; siamo nati per compiere la nostra vita e non per vederla scivolare nel sonno di un’anestesia. Per questo ci attende lo stesso “battesimo” che ha sepolto il Signore nella morte dalla quale risorgere vittorioso. Vi è in noi come una calamita che ci attrae verso ciò che seppellisca il nostro uomo vecchio, perché possiamo rinascere e camminare in una vita nuova. 


Nelle gocce di sangue che cadevano come tizzoni ardenti sulla terra del Getsemani , era l’“angoscia” accesa dal “fuoco” dell’amore che solcava il viso di Gesù. Era la sua vita che scivolava via offerta in riscatto per tutti, come il seme caduto in terra era destinato a morire per non restare solo. L’amore, infatti, dà compimento all’esistenza e trasforma l’angoscia in pace. Come già nel deserto quando furono esaurite le tentazioni, anche alla fine del combattimento nell’orto degli ulivi un angelo si è avvicinato a Gesù per confortarlo: Gesù entrava così nella sua Passione immerso in una pace che già sapeva di Paradiso.


Essa nasceva dal seno dell’angoscia, bruciava come fuoco purificatore, e si irrobustiva nella divisione portata dal Gesù. Non esiste pace, infatti, laddove non si assume, sino in fondo, la realtà. Questa ci dice che l’autore della “divisione” è il demonio, sin dall’inganno con cui ha sedotto Adamo ed Eva per separarli da Dio e tra di loro. Gesù non “porta la divisione” per infettare gli uomini, ma per debellarla e vaccinarli. Le vaccinazioni, infatti, si effettuano iniettando nel sangue proprio il virus dal quale ci si vuole difendere.


Per questo Gesù ha “portato” nella sua carne e nella sua anima la “divisione” che già covava nei cuori. Prendendola su di sé sino a lasciarsi uccidere, Gesù ha trasformato ogni divisione in un vaccino; iniettato nell’uomo attraverso l’annuncio del Vangelo e i sacramenti, ha il potere di sconfiggere il virus: è la carne crocifissa di Cristo che distrugge l’inimicizia, fa la pace, e riunisce chi si è diviso.


Le parole di Gesù non chiamano a una rivoluzione familiare, nello stile dei testimoni di Geova. Gesù annuncia invece il suo amore, che lo ha spinto tra le braccia assassine del rifiuto. Tu ed io siamo stati salvati nel momento in cui il nostro rifiuto ci ha “diviso” da Lui, spingendolo nella morte al posto nostro. Per caricarsi dei peccati e perdonarli, il Signore li ha dovuti smascherare e incendiare. Per donare la pace autentica, ha dovuto prima “portare la divisione”.


Se, a causa di Gesù, nelle nostre famiglie non si dividessero “il padre dal figlio, la madre dalla figlia e la suocera dalla nuora”, l’ipocrisia occulterebbe il virus che le avvelena, impedendo al Signore di salvarle. Per questo dovremo sperimentare la “divisione” dal figlio che non accetta più che gli si trasmetta la fede; o la “divisione” dalla figlia che si è infilata in una del tutto ipotetica età adulta, e guai a chi le contesta guardaroba e orari. Se non sapremo accettare la “divisione” significherà che amiamo più noi stessi che i nostri figli; se ci comporteremo con loro da amiconi, come il mondo insegna, facendo finta di nulla e tacendo il Vangelo, condanneremo i nostri figli alla schiavitù della carne, drogati dal pensiero unico che ammorba scuole e ogni dove. Cosa vogliamo somministrare alle persone che amiamo, placebo o vaccini?


Siamo chiamati ogni giorno ad entrare con Cristo nel Getsemani, dove soffrire l’angoscia dell’amore autentico. Esso si incarna anche nei no e nei sì che “portano la divisione”; le parole in più spese per non soffrire il rifiuto dialogando e relativizzando il Vangelo, vengono dal maligno. Nella Chiesa, unica Madre realista e colma d’amore, impariamo a non temere le tensioni in famiglia: sono benedette perché spazzano via la pace di marmellata che il mondo vorrebbe darci e ci preparano a ricevere quella autentica, primizia della vittoria sul peccato e la morte.


Il “fuoco” acceso da Gesù sulla Croce riduce in cenere i legami morbosi e ci fa liberi di osare, per amore, la fedeltà alla Verità sino a vederci rifiutati anche da chi ci ha dato la vita. Come Edith Stein, che, pur soffrendo la “divisione” nella sua carne, non ha esitato ad abbandonare religione e madre quando queste erano divenute "un nemico per l'uomo rigenerato" (S. Ilario). Ma sarà proprio nella camera a gas del suo martirio, dove offrirà tutta se stessa, ebrea e cristiana, che tutto si illuminerà e compirà: nell'amore che la consumava attirava e salvava anche ciò che aveva dovuto abbandonare.



L’amore che circoncide il cuore e desidera il bene dell’altro non è mai senza dolore. Il Signore lo sa, e per questo ci attira anche oggi nel suo “fuoco” che ci purifica, per discendere con Lui nel “battesimo” che ci immerge nel dolore del prossimo per deporvi il vaccino dell’amore di Cristo: "Sappiamo che il fuoco è all’inizio della cultura umana; il fuoco è luce, è calore, è forza di trasformazione... con il fuoco si può distruggere, ma con il fuoco si può trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione - certamente - che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio" (Benedetto XVI, Meditazione al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, 8 ottobre 2012).








«Come una madre carezza il suo bimbo, così vi consolerò, 
vi porterò sul mio cuore, 
e vi terrò sulle mie ginocchia!» (Is 66,13). 
Ah, mai parole più tenere, 
più armoniose hanno allietato l'anima mia, 
l'ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo sono le vostre braccia, 
Gesù! Per questo non ho bisogno di crescere, 
al contrario bisogna che resti piccola, 
che lo divenga sempre più. 
Dio mio, avete superato la mia speranza, 
ed io voglio cantare le vostre misericordie.


Santa Teresa di Lisieux




Dal Vangelo di secondo Matteo 19,13-15. 

Allora gli furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani e pregasse; ma i discepoli li sgridavano.
Gesù però disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, perché di questi è il regno dei cieli».
E dopo avere imposto loro le mani, se ne partì. 

Il commento

I discepoli di Gesù sono un vero mistero. Gesù li ha istruiti sino ad ora mostrando loro che cosa sia un discepolo. Li ha chiamati, eletti, amati proprio perché piccoli, perché "bambini". Ed essi "sgridano" chi presenta a Gesù dei bambini perché "imponesse loro le mani e pregasse". Un mistero di stoltezza, come la nostra. Lo stolto non può penetrare il pensiero di Dio, e così, non capendo, non sa accogliere. La gratuità non è nel registro dei suoi pensieri, nonostante l'abbia sperimentata. Pietro ne aveva dato dimostrazione quando si è messo di traverso sul cammino d'amore di Gesù. 

Cos'ha da offrire un bambino? Quali meriti? Nell'Israele del primo secolo il bambino era un simbolo di mancanza di stato sociale e di diritti legali. Era una sorta di "non-persona", completamente dipendente dagli altri per il sostentamento e la protezione. Poco più che nulla. San Paolo scrivendo ai Corinzi circa la loro elezione dirà: " Considerate bene la vostra chiamata fratelli. Non esistono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti di nobili natali. Ma quel che esiste di folle nel mondo, proprio questo Dio ha scelto per confondere i sapienti; quel che esiste di debole nel mondo, ecco che Dio lo ha scelto per confondere la forza; quel che nel mondo è di ignobili natali (i figli di nessuno), e quel che viene disprezzato, ecco quel che Dio ha scelto. quel che non è per annientare quel che è, affinché nessuna carne abbia a gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor. 1,26-29). 

Dio ha scelto gente ignobile, disprezzata, figli senza genitori, abbandonati. Dio è andato per orfanotrofi a cercarsi i discepoli. E' sceso nei luoghi senza amore, senza dignità, nel nulla dimenticato dal tutto che è solo apparenza. Così ha creato l'uomo al principio, ricco di tutto perché creatura disegnata per accogliere il suo amore. Così ha chiamato Abramo, così il suo Popolo e i profeti, così Davide. Così il Suo Figlio, disprezzato, reietto, rifiuto degli uomini. Così ciascuno di noi, bambini incapaci di tutto e, per questo, in tutto dipendenti da Dio. Vi è una pagina di rara bellezza che, nel libro del profeta Ezechiele, descrive l'amore infinito e gratuito di Dio verso il suo popolo, verso ciascuno di noi: "Così dice il Signore, l'Eterno a Gerusalemme: La tua origine e la tua nascita sono dal paese di Canaan; tuo padre era un Amorreo e tua madre una Hittea. Alla tua nascita, il giorno in cui fosti partorita, non ti fu tagliato l'ombelico, non fosti lavata con acqua per pulirti, non fosti sfregata con sale né fosti avvolta in fasce. Nessun occhio ebbe alcun riguardo di te per farti una sola di queste cose, avendo compassione di te; il giorno in cui nascesti tu fosti invece gettata in aperta campagna, per la ripugnanza che avevano nei tuoi confronti. Io ti passai vicino, vidi che ti dibattevi nel sangue e ti dissi mentre eri nel tuo sangue: "Vivi!" Sì, ti dissi mentre eri nel tuo sangue: "Vivi!". Ti feci crescere a miriadi come i germogli dei campi; e tu crescesti, ti facesti grande e diventasti molto bella. Il tuo seno si formò la tua capigliatura crebbe abbondante ma tu eri nuda e nel bisogno. Io ti passai vicino e ti guardai, ed ecco, il tuo tempo era il tempo dell'amore. Così stesi il lembo della mia veste su di te e copersi la tua nudità, ti feci un giuramento, stabilii un patto con te e tu divenisti mia", dice il Signore, l'Eterno. "Ti lavai con acqua, ti ripulii interamente del sangue e ti unsi con olio. Ti feci quindi indossare vesti ricamate, ti misi calzari di pelle di tasso, ti cinsi il capo di lino fino e ti ricopersi di seta. Ti abbellii di ornamenti ti misi i braccialetti ai polsi e una collana al collo. Ti misi un anello al naso, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul capo.Così fosti adorna d'oro e d'argento e fosti rivestita di lino fino di seta e di ricami" (Cfr. Ez. 16). 

Eravamo bambini abbandonati dunque, di nessun valore agli occhi del mondo. Bambini capricciosi, spesso egoisti, ancor più spesso orgogliosi. Bambini che si sono creduti adulti, ricchi, potenti e autonomi. Bambini ingannati dallo splendore effimero di ciò che appariva bello e desiderabile. Bambini buttati via, ridotti a nulla, assolutamente nulla. Sin qui è giunto l'amore di Dio. In questo abisso è sceso il Signore, negli inferi del nostro nulla. perché questo era il luogo dell'appuntamento, dove, come i bambini del Vangelo, siamo stati condotti. Dietro a quei bambini c'è una storia lunga quanto quella dell'umanità, la nostra stessa storia. Venti, quaranta, ottanta, non importa quanti anni abbiamo compiuto; importa che oggi qualcuno ci conduca da Gesù, che la storia ci spinga, forse con le sofferenze e i fallimenti, ad incontrare il suo amore; le sue mani benedicenti, le sue mani crocifisse ci vengono incontro oggi a svellere i cardini dell'orgoglio. Il suo amore disarma l'orgoglio. Il suo amore proteso oggi su ciascuno di noi è la buona notizia d'una speranza. 

Il veleno che portiamo dentro si ribella, si agita, e la carne, anche se carne sangue di discepolo, "sgrida" chiunque ci voglia condurre al Signore perché ci benedica. Lo spirito malvagio che s'è impossessato di noi non può accettare il cammino di conversione sul quale la Chiesa ci accompagna. L'avversario sa bene che nell'incontro con le mani di Gesù la nostra vita sarebbe salva, ci si chiuderebbero le porte del Regno dei Cieli. Ma è più forte lo zelo di Gesù, geloso di tutti noi. La sua voce e le sue parole diradano le nebbie dei nostri pensieri, delle paure, delle mormorazioni. La sua voce incatena il demonio al suo rantolo di gelosia: "Lasciate che i bambini vengano a me". Lui ci vuole a sé. Ci ha chiamati per stare con Lui. E' Lui che il Padre ha inviato all'orfanotrofio che è la nostra vita. E' Lui il Fratello che viene a riscattarci per farci, in Lui, figli adottivi del suo Padre. E' Lui che brucia ogni tentativo del demonio di impedire, vietare, proibire che la nostra debolezza sia oggetto del suo amore e delle sue benedizioni. La nostra debolezza, l'essere bambini, disprezzati, deboli, capricciosi, inutili, dipendenti in tutto, l'essere quel che siamo non impedisce l'essere di Gesù. Anzi, "il Regno dei Cieli", la Vita eterna in Lui è proprio "dei bambini". La costruzione greca della frase infatti dice letteralmente che il Regno " a costoro appartiene". Il Cielo è dei bambini. Dio ha scelto i piccoli per mostrare la sua grandezza. Dio ha chiamato chi nessuno chiamerebbe per annunciare il Vangelo e testimoniare il Cielo ai grandi e potenti, già sconfitti dalla loro superbia. Dio ha scelto noi perché la sua benedizione che fa bella e buona la nostra piccolezza sia una Buona Notizia per la piccolezza di ogni uomo. 

Ecco perché, e non lo sapevamo, le mani di Gesù che ci abbracciano e ci stringono, sono il nostro vero desiderio, l'unico, il più profondo. Aspettavamo qualcuno che ci accogliesse così come siamo, che ci stringesse a sé senza chieder nulla, senza esigere, gratuitamente. Il suo amore è il Cielo qui ed ora dinanzi a noi, quello che abbiamo atteso, desiderato, sperato. E' la libertà da noi stessi, dal dover essere, dal dover fare. E' la felicità piena, la beatitudine riservata ai poveri: è il Regno dei Cieli che, per i bambini, è tutto in quelle braccia che lo stringono con la forza di un infinito amore che non delude mai.

Nessun commento:

Posta un commento