Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 4 agosto 2013

XVIII.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.


MESSALE
Antifona d'Ingresso  Sal 69,2.6
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto, in mio aiuto.
Sei tu il mio soccorso, la mia salvezza:
Signore, non tardare.

Colletta

Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre, e assisti il tuo popolo, che ti riconosce suo pastore e guida; rinnova l'opera della tua creazione e custodisci ciò che hai rinnovato. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo...

 Oppure:
O Dio, principio e fine di tutte le cose, che in Cristo tuo Figlio ci hai chiamati a possedere il regno, f
a' che operando con le nostre forze a sottomettere la terra non ci lasciamo dominare dalla cupidigia e dall'egoismo, ma cerchiamo sempre ciò che vale davanti a te. Per il nostro Signore Gesù Cristo... 

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura  Qo 1,2; 2,21-23
Quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica?

Dal libro del Qoèlet
Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!
 

Salmo Responsoriale
  Dal Salmo 89
Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda.
 
Seconda Lettura
  Col 3,1-5. 9-11
Cercate le cose di lassù, dove è Cristo.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossèsi
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.


Canto al Vangelo 
  Mc 1,15
Alleluia, alleluia.

Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
.
Alleluia.

  
  
Vangelo  Lc 12,13-21
Quello che hai preparato, di chi sarà?

Dal vangelo secondo Luca

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
  

*
Il commento
“Eredità” e “cupidigia”, ogni conflitto tra “fratelli” sorge dalla inconciliabilità di questi due termini. Dove vi è eredità non può esservi cupidigia. L'eredità è un dono che scaturisce dal legame con colui che fa testamento. E' frutto della sua liberalità, del suo amore. Noi tutti, per pura Grazia, siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo. Di nostro abbiamo messo solo ribellioni e peccati. Come il figlio prodigo abbiamo dilapidato tutto.Come Adamo abbiamo perduto il Paradiso.
"O uomo!" ci dice oggi il Signore, perché nel “tale” tra la folla e in ciascuno di noi Egli intercetta proprio Adamo: ricco "presso Dio" nel Paradiso, di fronte al "raccolto abbondante" ricevuto in "eredità", si è fermato a "dialogare con se stesso" ed è rimasto intrappolato nella menzogna del demonio. Come accade a noi quando, di fronte alla storia, ci rintaniamo nella nostra ragione facendo spazio alle adulazioni del nemico che ci convincono d'essere come dio.
E allora, a testa bassa ad "accumulare tesori per noi stessi", moglie, marito, amici, denaro; "non sappiamo che fare" dei doni di Dio, non "abbiamo dove metterli" tanto il cuore è indurito; e così, nella paura di perderli, li serriamo nei "granai" del nostro egoismo, sempre "più grandi" per saziare il vuoto incolmabile di un dio senza paradiso.
“Dirò a me stesso”: è la follia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura; la“stoltezza”demoniaca che si fa cupidigia, desiderio rapace, perché sempre inappagato.
O si è Dio o si è creatura. Siamo tutti “uomini ricchi”la cui vita può dare sempre un raccolto abbondante, Cristo Gesù vivo in noi. Pensare di servirsi di Lui per installarsi e “mangiare, bere e divertirsi”, è trasformare la vita in una folle corsa verso il nulla, preda dell’illusione di “averea disposizione molti beni, per molti anni”.
Spendiamo i giorni a progettare e mettere in agenda "per molti anni" riposo e godimento, e non riserviamo neanche un giorno alla morte, unica certezza. Offriamo a noi stessi la sessualità, con la quale Dio ci ha fatti “eredi” della creazione e della vita, per farne uno strumento di piacere che trasforma l’altro in un oggetto di consumo.
Così come in tante circostanze, quando un "fratello" - moglie o marito, figli o amici - un altro Adamo ingannato come noi, ci “ruba l'eredità", l’affetto, il nostro tempo, l'onore, la carriera, i diritti; quando la "notte" degli eventi oscuri e dolorosi viene a "chiederci la vita", rivelando la "stoltezza" di chi fa "dipendere la vita dai beni" destinati a corrompersi.
E’ allora che ci facciamo maestri del Maestro, insegnandogli come e cosa giudicare per giustificare la nostra cupidigia:“chi mi ha costituito giudice” secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a “mediare” tra una cupidigia e l'altra?
Ma Gesù, che è Dio, “giudica” anche oggi attraverso la croce: i progetti fondati sull'egoismo sono spine conficcate nella testa, preoccupazioni, angosce e notti insonni; le ricchezze accumulate con avidità sono chiodi che ci sottraggono la libertà di donarci.
La croce ci è data per comprendere che “la vita non dipende da ciò che l’uomo possiede”, ma dall'usoche se ne fa: un solo modo rende la vita autentica e innestata nell'eternità, “arricchire presso Dio”, che significa vivere con la sapienza della croce.
Il sapiente vive crocifisso con Cristo, fissando lo sguardo sul Cielo; è figlio del Padre,sa che la vita può essere vissuta solo donandola, esattamente come è stata ricevuta.
Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Per il sapiente la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono che non teme la morte. Lo stolto progetta e si tormenta, incalzato dalla paura di morire, senza sapere “di chi sarà quello che ha preparato”.
Per divenire sapienti abbiamo bisogno di Gesù, il “giudice” che sulla Croce si è fatto “mediatore”. Ha giudicato il peccato e ha posto la sua vita come mediazione per il riscatto.Il Signore si è lasciato uccidere dalla nostra cupidigia ed è risorto per donarci l'autentica "eredità".
Per riceverla e custodirla occorre “fare attenzione” a ogni istante della nostra vita, discernendo eventi e relazioni per imparare come, in tutto, rimanere "presso" il Signore per “arricchirci” del suo amore; se accolto, esso si moltiplica a dismisura perché “Caritas Christi urget nos: l’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti… perché quelli che vivono non vivano più per se stessi” ma per Lui (cfr. 2 Cor. 5,14).
Il suo amore, nel matrimonio ci spinge al perdono, e ci apre alle nuove vite che Dio vuole donarci, "tenendoci lontani" da settimane bianche e schermi ultrapiatti che le famiglie numerose non possono permettersi. Nello studio, ci fa spendere le ore nel sacrificio che ci fa adulti e "ricchi" di maturità e responsabilità. Nel lavoro, ci "allontana" dalla cupidigia della carriera per fare dell'ufficio un altare dove offrirsi a colleghi e dirigenti. Nel fidanzamento ci difende dalla concupiscenza per rispettare l’altro e imparare a donarsi.
Siamo chiamati nell’urgenza di donare, ovunque e a tutti, "il raccolto abbondante" dell'amore che colma la "campagna" della nostra vita, “accumulando tesori” per arricchirne il Cielo, accompagnando“presso Dio”i "fratelli" che cercano in noi l'Eredità perduta.
Siamo chiamati a donare, ovunque e a tutti, "il raccolto abbondante" dell'amore che colma la "campagna" della nostra vita, “accumulando tesori” per arricchirne il Cielo, accompagnando “presso Dio”i "fratelli" che cercano in noi l'Eredità perduta.

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CONGREGAZIONE PER IL CLERO
È una lezione molto severa, ma anche terribilmente attuale, quella che ci viene proposta dalla liturgia della  Parola di oggi,  XVIII domenica del tempo ordinario.
Infatti, il tema di fondo che i brani biblici pongono alla nostra meditazione  è quello del denaro: spesso una falsa sicurezza.
È, la sicurezza, uno dei bisogni fondamentali dell’uomo. Egli ricerca appassionatamente e necessariamente un fondamento stabile su cui poggiare la propria esistenza.
La mentalità dell'uomo lo chiama e lo invita a scegliere come pietra angolare della propria esistenza il denaro, mostrandogli addirittura che esso può costituire “tutto” per lui e può fare raggiungere il potere che diventa causa di guerre, violenze, sopraffazioni, omicidi.
La sete del denaro quindi oppone l’uomo all’uomo.
La Chiesa in questa domenica offre alla nostra riflessione alcuni brani che ci aiutano a considerare il problema del valore della vita, il significato di ogni azione umana e il rapporto che deve intercorrere tra l’uomo e il denaro.
Il primo brano proposto è tratto dal libro di Qoèlet, in cui l’autore, cercando il senso della vita, il perché di tante necessità, conclude che tutto è vanità: espressione che indica una somma di delusioni, di cose inconsistenti, inafferrabili; la delusione della vita concepita e vissuta nell’ambito ristretto dei soli beni di consumo immediati, delle ricchezze.
Ci offre anche un esempio dicendo che l’uomo, dopo aver lavorato tanto, aver accumulato un’abbondanza di beni, ad un certo momento della sua vita sarà costretto a lasciare i propri averi in eredità, forse persino a chi  non ha contribuito ad accrescerli, anzi magari avrà già dimostrato di essere pigro e dissipatore.
L’autore del Qoèlet non vuole, sicuramente, con le sue parole lasciare il lettore in uno stato di tristezza, ma vuole invitarlo a valutare e a preferire i beni veramente duraturi.
Questo messaggio si perfeziona nel brano evangelico, in quanto Gesù lo completa introducendo una misura in più: la vera ricchezza è Dio.
Il Vangelo ci parla di un problema di divisione di eredità che viene sottoposto a Gesù da un tale fra la folla, per ricevere una risposta dirimente e, come è ovvio, a lui favorevole. La richiesta dimostra quanta autorità e prestigio veniva riconosciuto a Cristo. La risposta a Lui richiesta comunque mirava ad un interesse privato.
Ma Gesù non si lascia coinvolgere nella questione, rimane al proprio livello di Maestro, indicando le ragioni ultime che determinano le divisioni fra gli uomini e che si riassumono nell’egoismo e nella cupidigia. A tal proposito si aggiunge la parabola del ricco stolto, che si sente ormai sicuro dei suoi beni e non pensa all’imprevedibilità della sorte futura.
Crede di essere in una botte di ferro, per cui non si preoccupa di risparmiare, anzi demolisce vecchi granai e ne costruisce dei nuovi più grandi. Pensa di aver ormai un’ideale assicurazione sulla vita.
Ma Dio viene a disilluderlo e a richiamarlo alla realtà: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita.“
La morte che sorprende il ricco al colmo dell’euforia dimostra l’assurdità di un certo modo di concepire la vita. I beni terreni, infatti, non durano a lungo e sono esposti ad ogni attentato, per cui è saggio recepire la provocazione con cui termina il brano e cioè arricchirsi presso Dio. In Lui acquista significato anche l’uso delle cose che non saranno più strumento di divisione, bensì di comunione.
Infine, san Paolo ci esorta a dare una risposta cristiana alle vicende terrene, invitandoci a volgere lo sguardo alle cose di lassù dov’è Cristo e così Cristo sia tutto e in tutti!

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Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la XVIII.ma domenica del Tempo Ordinario – Anno C.
Come di consueto, il presule propone anche una lettura (quasi) patristica.
***
LECTIO DIVINA 
Il BENE e i beni 
Come le perle sono tenute insieme da un filo, così le virtù dalla carità (S. Pio da Pietrelcina), che ci fa ricchi di Dio.
Rito romano
XVIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C – 4 agosto 2013.
Qo 1, 2; 2, 21-23; Sal 94; Col 3,1-5. 9-11; Lc 12,13-21
La vera ricchezza: Cristo, il vero Bene. 
Rito ambrosiano
XI Domenica di Pentecoste
1Re 21,1-19; Sal 5; Rm 12,9-18; Lc 16,19-31
Lazzaro e il ricco “epulone (=mangione)”, povero di carità. 
1) Accumulare il Bene e non i beni.
Nella prima lettura della liturgia romana, Qohelet individua, in particolare, tre forme di vanità: la sterilità dello sforzo dell'uomo; la fragilità dei traguardi raggiunti; le numerose anomalie e ingiustizie di cui è piena la vita. Nel brano evangelico Gesù parla del ricco che è sicuro e contento della sua ricchezza e a cui è detto “Stolto, questa notte morirai”  (cfr Lc 12,20). Dunque questo speculatore non era poi così intelligente: non aveva “investito” bene. Il Redentore quindi non si limita a constatare la vanità, l’inconsistenza e la precarietà dei beni materiali. Non credo che il Messia intenda semplicemente disincantare l'uomo, liberandolo dal fascino del possesso. Il Cristo indica più profondamente la vera via della liberazione: “Cosìè di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio” (id. 12, 21). Dunque è il “per sé” che è sbagliato, e deve essere sostituito da un altro orientamento (davanti a Dio).
Ma che significa questo in concreto? La spiegazione, credo, si trova nei versetti che seguono, che purtroppo la liturgia non riporta. Tre insegnamenti sono visibili in questi versetti. Arricchire davanti a Dio significa ad esempio, non cadere nella tentazione dell'affanno, dell'ansia, come se tutto dipendesse da noi. Arricchire davanti a Dio significa subordinare tutto – il lavoro, il possesso, la vita stessa – al Regno di Dio. Arricchire davanti a Dio significa, infine, “dare in elemosina”. Il “davanti a Dio” si concretizza nel «per altri» (v. 33). L'arricchire “per sé” è prigioniero della vanità. Invece la ricchezza donata, la fraternità, l'amore sono valori che non vengono meno.
2) Due esempi di santi della povertà
Fra i tanti santi della povertà di cui la Chiesa è ricca ne cito due.
Il primo è San Giovanni Maria Vianney, noto anche come il Santo Curato d’Ars.
Lo cito anche perché oggi ricorre la memoria liturgica di questo umile e povero parroco di campagna. A suoi tempi Ars ero un paesino di 200 abitanti. Egli fu un vero seguace di San Francesco d'Assisi, di cui fu discepolo nel Terz'Ordine Francescano. Ricco del Bene dava i beni che aveva agli altri. Povero per sé, visse in un totale distacco dai beni di questo mondo e il suo cuore veramente libero si apriva largamente a tutte le miserie materiali e spirituali che affluivano a lui. “Il mio segreto - egli diceva - è semplicissimo: Dare tutto e non conservare niente”. Il suo disinteresse lo rendeva premuroso verso i poveri, soprattutto quelli della parrocchia, ai quali dimostrava un'estrema delicatezza, trattandoli “con vera tenerezza, con molti riguardi, si deve dire con rispetto”. Raccomandava che non bisogna mai mancare di riguardo ai poveri, perché tale mancanza ricade su Dio; e quando i miseri bussavano alla porta, egli era felice di poter loro dire, accogliendoli con bontà: “Io sono povero come voi; sono oggi uno dei vostri!”. Alla fine della vita amava ripetere: “Sono contentissimo: non ho più niente e il buon Dio può chiamarmi quando vorrà”. Per lui i poveri erano anche i poveri peccatori, che da tutta la Francia si recavano da lui e lui dava loro l’elemosina del perdono di Dio e della pace de cuore.
Il secondo é Sant’Omobono Tucenghi, Patrono della mia diocesi di Cremona. Mentre chiedo scusa per questa vena di campanilismo, mi sta a cuore dire che è un santo pertinente al tema di oggi perché la Chiesa gli ha dato fin dall’inizio il titolo di “Padre dei Poveri”, “consolatore degli afflitti”, “uomo di pace e pacificatore”, “uomo buono di nome e di fatto”. Mi si potrebbe obiettare che è un santo medievale, lontano nel tempo. Ma io lo propongo perché è davvero significativo. Questo Santo cremonese è il primo e unico fedele laico, commerciante sposato, che è stato canonizzato nel Medioevo. Sul finire del XII secolo non era facile che un laico sposato e immerso negli affari terreni, non appartenente a famiglie reali o nobili venisse proclamato Santo e ciò fu fatto a meno di due anni dalla sua morte avvenuta il 13 novembre 1197).
Ma Sant’Omobono (=Uomo buono) Tucenghi aveva fatto davvero onore al suo nome. Uomo intelligente egli s'era dimostrato particolarmente abile negli affari, acquistando ricchezze e prestigio in un periodo in cui quella dei tessuti era a Cremona una tra le principali attività commerciali facendone una città ricca. Nell'epoca dei Comuni, in cui denaro e mercato tendevano (come tendono oggi) a costituire il centro della vita cittadina, Omobono coniugò giustizia e carità e fece dell'elemosina il segno di condivisione, con la spontaneità con cui dalla assidua contemplazione del Crocifisso imparò a testimoniare il valore della vita come dono
Dallo sguardo a Cristo derivò la sua santità, che gli fece intuire che il denaro da lui guadagnato non gli apparteneva, ma spettava di diritto ai poveri, in particolare ai bambini miseri della città.
Trasformò la sua abitazione in “casa di accoglienza” e si dedicò alla sepoltura dei defunti abbandonati. La sua generosità era così proverbiale che a Cremona – quando una richiesta è ritenuta eccessiva – si usa ancora dire: “Non ho mica la borsa di sant'Omobono”, perché –dice la tradizione- la borsa dei soldi di questo Santo mercante non si esauriva mai e così lui non smetteva mai di fare l’elemosina.
Spirò santamente in Chiesa, al canto del Gloria in excelsis Deo, mentre assisteva alla celebrazione della Santa Messa, come faceva quotidianamente.           
3) La Trasfigurazione
Un breve cenno a questa bella festa della Trasfigurazione, che –come ogni anno – si celebra il 6 agosto, quindi fra pochi giorni.
La trasfigurazione di Cristo è nota. Sul volto trasfigurato di Gesù, che era salito sul Tabor con Pietro e Giacomo, brillò un raggio della luce divina che Egli custodiva nel suo intimo. Questa stessa luce sfolgorerà sul volto di Cristo nel giorno della Risurrezione. In questo senso la Trasfigurazione appare come un anticipo del mistero pasquale.  La Trasfigurazione ci invita ad aprire gli occhi del cuore sul mistero della luce di Dio presente nell'intera storia della salvezza. Non ci resta che contemplare il Signore come è, con gli occhi della fede, come l’enciclica Lumen fidei di Papa Francesco ci richiami. Poveri occhi di fede che guardano a Cristo povero in Croce per guardare come lui il Padre e il mondo (cfr Lumen fidei, 56).
La nostra trasfigurazione è un dono e un compito. In questo ci sono di esempio le Vergini consacrate, che con la loro vita sono chiamate ad essere speciali testimoni della Presenza di Dio, che è luce e dona luce.
Così il vergine rimane il testimone di una divina presenza.
Le Vergini si sono impegnate a vivere la partecipazione al mistero del Cristo, sia nel corpo che nello spirito. Di qui ne deriva che veramente il vergine è un'apparizione costante della trasfigurante presenza divina nel mondo. La necessità della verginità consacrata nasce di qui. Non possiamo noi opporre il cielo di domani alla terra di oggi; il mondo è uno solo, non ci sono due mondi. Il mondo è uno solo, ma per noi che non viviamo ancora una nostra trasfigurazione umana, il mondo divino rimane nascosto, lo crediamo, ma rimane nascosto. Ma le Vergini in qualche modo lo rivelano e, nella loro povertà di vita sono “ricche” di Dio: “E’ in Te  che possiedono tutto, perché è Te che loro preferiscono a tutto” (Rituale della Consacrazione delle vergini, n. 24: alla fine della preghiera solenne di consacrazione). La povertà di Cristo fu fondamentale, continua e voluta: “Sul suo corpo nudo in Croce i segni del suo amore erano visibilissimi, leggibili per tutti” (cfr Primo Mazzolari, La Via Crucis del Povero, Roma 1977, p. 143) E noi possiamo arricchirci di questo amore se ci facciamo poveri e lo mendichiamo, come le Vergini consacrate ce lo testimoniano.
*
LETTURA QUASI PATRISTICA
L’omaggio di Benedetto XVI alla povertà di San Francesco
“Era l'aprile del 1207, nell'Italia piena di sole. Era il mese in cui san Francesco d'Assisi era stato diseredato e ripudiato da suo padre. Non aveva piu' niente, non era suo nemmeno l'abito che portava addosso; e tuttavia possedeva qualcosa che nessuno poteva sottrargli, vale a dire l'amore di Dio al quale ora poteva dire 'Padre' in un modo del tutto nuovo. E sapeva che questo era molto di più che possedere il mondo intero. Così il suo cuore era ricolmo di una grande gioia e cantando camminava attraversando i boschi dell'Umbria.
Proprio quel giorno, mentre San Francesco passava vicino a Gubbio, d'improvviso, dalla boscaglia balzarono due briganti pronti ad assalirlo; e stupiti dal suo aspetto così curioso gli chiesero: E tu chi sei?’. E lui rispose: “Sono l'araldo del gran re”.
Francesco d'Assisi non era un sacerdote, bensì rimase tutta la vita diacono; ma quello che disse in quel momento è parimenti una descrizione profonda di cosa sia e debba essere un sacerdote: è l'araldo del gran re, di Dio, e annunciatore e predicatore della signoria di Dio che si deve estendere nel cuore dei singoli uomini e in tutto il mondo.
Non sempre l'araldo percorrerà la sua strada cantando; a volte sì, certamente, perché il buon Dio a ogni sacerdote dona sempre di nuovo momenti nei quali, con stupore e letizia, riconosce quale grande compito Dio gli ha dato. Ma contro questo araldo si levano sempre anche i briganti, per così dire, ai quali quell'annuncio non piace: sono in primo luogo gli indifferenti, che per Dio non hanno mai tempo, quelli ai quali   proprio nel momento in cui Dio li chiamasse verrebbe in mente che in realtà hanno qualcos'altro da fare, che hanno tanto di quel lavoro da sbrigare; poi ci sono quelli che dicono che non bisognerebbe costruire le chiese, ma anzitutto le case, e ai quali poi però sta bene che spuntino cinema e luoghi di divertimento di ogni tipo” (dal Volume 12 dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger). 

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