Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 19 novembre 2014

Cristiada.


Cristiada - Trailer italiano - Al cinema dal 15 novembre


IN PREPARAZIONE ALLA FESTA DI CRISTO RE



I martiri Anacleto González Flores e i 7 compagni, 
come anche José Trinidad Rangel, Andrés Solá Molist, Leonardo Pérez, 
Darío Acosta Zurita e José Sánchez del Río, 
hanno affrontato il martirio per difendere la loro fede cristiana. 
In questa solennità di Cristo Re dell'Universo, 
che essi hanno invocato nel momento supremo di donare la loro vita, 
essi sono per noi un esempio permanente e uno stimolo 
a dare una testimonianza coerente della fede nella società attuale.

Benedetto XVI

QUI IL FILM E GLI APPROFONDIMENTI



Cristiada (2014) guarda film completo streaming italiano HD


Cristiada e i Cristeros perseguitati. «È la storia del mio popolo e della mia famiglia»




Padre Francisco Elizalde spiega cosa accadde in Messico ai cattolici perseguitati dal governo massone. E come questa storia abbia dato frutti


Cristiada è il film che ha fatto discutere perché, sebbene sia girato con attori famosi come Andy Garcia, non è stato diffuso e nemmeno tradotto in molte lingue. La pellicola racconta degli 85 mila cattolici, detti Cristeros, che combatterono contro il governo anti-cristiano per difendere la loro fede in Cristo Re.La storia alla base del film è poco conosciuta. Nel 1926 il dittatore Plutarco Elias Calles adottò misure repressive che arrivarono fino ad impedire l’accesso ai sacramenti ai fedeli. La popolazione cominciò così una protesta non violenta, ma la totale assenza di libertà religiosa fece impugnare le armi ad alcuni, sostenuti dal popolo e dai sacerdoti. La violentissima persecuzione durò tre anni e alla tregua non seguì la piena libertà. Il martirio prima e le prove successive poi hanno rinforzato la fede del popolo messicano e generato moltissime vocazioni. «La mia stessa famiglia che fa parte di quella storia ne è segno», così padre Francisco Elizalde, missionario messicano e direttore generale del Fondazione Villaggio dei Ragazzi di Caserta, racconta quanto avvenne.
All’inizio i cattolici messicani reagirono alle persecuzioni comprando il minimo indispensabile e non vendendo nulla. 
La forza della fede del popolo riuscì a portare il paese in recessione, facendo fallire la Banca di Tampico e la Banca inglese, così da fare inferocire il governo di Calles, un vero e proprio dittatore. Ai cristiani, più che il proprio benessere, importava la propria libertà di culto e religiosa, quella che il regime impediva.
Perché si arrivò ad usare la violenza?
Il governo di Calles non volle mai trattare. Prima si percorsero vie diplomatiche e pacifiche, ma, poi, visto che era tutto inutile, il popolo dovette impugnare le armi. Fu l’exstrema ratio. E fu necessaria, perché un cristiano non può vivere senza i sacramenti. Tanto che, se non li appoggiò ufficialmente, la Chiesa non condannò mai l’azione dei Cristeros.
Perché Calles non volle trattare?
Calles era un massone anticlericale, applicò la costituzione del 1917, identica a quella francese e ostile alla Chiesa. Aveva paura della libertà che dà il cattolicesimo. La cosa che ci deve far pensare, che è anche la più grande contraddizione, è che tutto ciò avvenne con una popolazione al 95 per cento fortemente cattolica: gli anticlericali erano una minoranza, ma, raggiunto il potere, riuscirono a instaurare un regime di una violenza indicibile, che non rappresentava il popolo. Così l’esercito cominciò a entrare nelle chiese, uccidendo la gente che partecipava alla Messa, profanando il Santissimo Sacramento. I sacerdoti furono uccisi, la gente, ragazzini compresi, fu torturata, impiccata e appesa ai pali della luce così che tutti vedessero. Molti preti non messicani e alcuni vescovi furono invece cacciati dal paese.
Perché la Chiesa firmò gli accordi di pace quando i Cristeros stavano ormai per vincere?
I Cristeros stavano vincendo, l’unico dubbio è se il movimento, che lottava sopratutto nel centro del Paese, sarebbe diventato nazionale. Ma non sapremo mai quello che sarebbe successo se questo non fosse accaduto. Detto ciò, la gente come me conosce la storia dai propri padri e sa che i Cristeros non volevano firmare gli accordi. Tutti i messicani sanno che, come si vede nel film, i Cristeros sapevano che il governo non avrebbe mai smesso di perseguitarli. Ma la scelta fu presa e loro, per obbedienza alla madre Chiesa, depositarono le armi sapendo bene che questo avrebbe voluto dire la loro condanna a morte. E infatti molti morirono anche se il presidente aveva assicurato il contrario.
Come mai papa Pio XI, che non appoggiò mai ma nemmeno condannò la rivolta, prese questa decisione?
Non so se fu mal consigliato sulla vittoria imminente dei Cristeros o se preferì la resa, sperando così di arginare i massacri.
Cosa accadde in seguito?
Che i preti, ed è così ancora oggi, non potevano girare con gli abiti religiosi, che non c’era libertà di educazione, religiosa, di espressione. C’erano ancora sequestri, torture e persecuzioni per tutti coloro che difendevano la libertà di pensiero. Mio nonno, Octavio Elizalde, visse quel periodo di guerra fredda sotto minaccia: si occupava di diffondere clandestinamente riviste, articoli. Era un avvocato quindi contribuiva a difendere la fede con la penna. Fu minacciato anche prima, quando aiutava il beato Miguel Agustín Pro, che clandestinamente diceva Messa distribuendo migliaia di comunioni, e che morì ucciso gridando: «Viva Cristo Re!». Durante la rivolta dei Cristeros veniva in casa dei nonni travestito da panettiere o da giornalaio per farsi aiutare dal nonno. Una figura che lasciò un segno profondissimo in tutta la mia famiglia.
Scandalizza che alcuni preti fossero nelle fila del movimento.
La domanda sull’uso lecito delle armi ritorna al discorso dell’estrema ratio: per difendere la libertà di culto non c’erano più altre vie. Tanto che molti Cristeros poi sono stati beatificati e pure molti preti che si sono presi cura di loro, non quelli che hanno impugnato direttamente le armi. Nel film appare il piccolo José Sánchez del Rio, giovane Cristeros beatificato nel 2005 da Benedetto XVI. Morì testimoniando la forza di Cristo: sotto tortura, per costringerlo ad abiurare, urlò: «Cristo dammi la forza!», mentre in prigione chiese l’eucarestia di nascosto. Scrisse alla madre che non era mai stato così facile guadagnarsi il cielo. Questo ci fa chiedere chi sia Colui che dà a un ragazzino la forza di amare fino a dare la vita chiedendo perdono per i suoi carnefici e urlando «Viva cristo Re!».
Oggi ci sono ancora delle misure restrittive. Uno spargimento di sangue inutile?
Quando ho rifatto il passaporto, sette anni fa, mi hanno impedito di fare le foto con l’abito. Ma anche se la lotta dei Cristeros non ha portato alla piena libertà religiosa, il frutto di quegli anni dolorosi e del sangue dei martiri io lo vivo nella mia carne. Tertulliano diceva che il sangue dei martiri è il seme dei cristiani, e, aggiungo io, anche delle vocazioni. La mia famiglia, che ha avuto la possibilità di ospitare in casa un testimone della fede come il beato Miguel Agustín Pro, si è radicata nella fede profonda in Dio. Perché non si può morire per un’idea, ma solo per una persona che si ama più di se stessi. Io ho respirato questo, la mia fede è cresciuta così. Tanto che io e mio fratello siamo entrati in seminario, mentre ho due zii sacerdoti gesuiti e una zia suora. È un fatto poi che nella città di Guadalajara, la più perseguitata, oggi c’è il più grande seminario del mondo con oltre 700 seminaristi.

 Tempi.it 

Intervista esclusiva al protagonista Andy Garcia: 
«Io, un cattolico a Hollywood»


Sposato, quattro figli, esule dalla Cuba comunista di Castro, l’attore spiega perché ha deciso di recitare in un film “scomodo” come Cristiada. Intervista esclusiva in occasione della prima italiana.
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Sposato dal 1982, quattro figli, esule cubano, critico del regime comunista instaurato da Fidel Castro. E cattolico. Quello di Andy Garcia non è il prototipo di curriculum che va forte a Hollywood, ma l’attore di 48 anni non ha mai avuto bisogno di venire a patti con le sue convinzioni per avere successo. Più che la recitazione, è la carriera sportiva che attirava Garcia da giovane e la pallacanestro è lo strumento che gli ha permesso di superare le difficoltà di ambientamento. Sbarcato a Miami a cinque anni nel 1961, senza sapere una parola di inglese, a scuola nessuno gli ha mai reso la vita facile. Il basket sarebbe potuto diventare il suo lavoro, se l’epatite e la mononucleosi non avessero stroncato la sua carriera alla fine delle scuole superiori. Senza quella malattia, però, Garcia non avrebbe mai cominciato a recitare e due registi come Brian De Palma e Francis Ford Coppola non lo avrebbero mai scritturato per una parte ne Gli intoccabili e Il padrino – Parte III.

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Avventuratosi a Los Angeles nel 1979 per intraprendere la carriera di attore, Garcia ha subito dimostrato di avere un’identità molto forte. Il fascino era uno dei suoi punti di forza ma non amava spogliarsi. Così, quando durante uno dei suoi primi provini gli è stato chiesto di togliersi la camicia, se ne è andato sbattendo la porta senza pensarci troppo. La faccia da italo-americano e la voce profonda lo hanno reso perfetto per impersonare trafficanti di eroina, poliziotti e mafiosi. Ma anche all’apice del successo dopo la candidatura all’Oscar e l’azzeccata interpretazione in Ocean’s Eleven, non ha mai dimenticato le sue origini. «Io sono un esule cubano – dichiara in un’intervista esclusiva a Tempi in occasione della prima italiana del film Cristiada (For Greater Glory) – e sono cattolico. Queste cose fanno parte della mia vita e per me non è difficile viverle a Hollywood come in un qualunque altro posto».
Garcia non è di molte parole ma per lui parlano i fatti: quando avrebbe potuto consacrarsi con pellicole semplici e disimpegnate, ha deciso nel 2005 di mettersi dietro alla cinepresa per girare il suo primo lungometraggio, The Lost City, ambientato nella sua città natale, L’Avana, durante la rivoluzione castrista. Nel 2012, «affascinato da un momento della storia messicana di cui conoscevo molto poco», ha accettato di recitare in Cristiada, vestendo i panni del generale Enrique Gorostieta Velarde, il militare ateo che ha guidato la rivolta armata dei cristeros contro la persecuzione religiosa del governo messicano negli anni Venti.
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Andy Garcia, il generale Enrique Gorostieta è un personaggio controverso e impegnativo. Perché ha accettato di interpretarlo?
Lo sviluppo emotivo di Gorostieta era davvero attraente per me come attore. Lui non è un uomo religioso ma crede nel diritto alla libertà religiosa, un diritto che tutto il mondo dovrebbe avere. Ci sono due motivi per cui decide di partecipare a una battaglia di cui inizialmente non condivide gli ideali: in parte lo fa su incoraggiamento della moglie, che era molto devota, e in parte per sé.
Prima di entrare in guerra dalla parte dei cristeros, Gorostieta confida a un amico in divisa: «Un uomo che vive di ricordi è già morto».
È esattamente questo. Il mio personaggio è un militare e accettare la proposta dei cristeros gli conviene perché è un modo per tornare sul campo di battaglia e rientrare in un mondo che si era lasciato alle spalle. Gorostieta aveva infatti una storia personale di grande successo, soprattutto nella guerra contro il politico e rivoluzionario Zapata.
Cosa la colpisce di questo personaggio?
Mi piace perché mentre combatte la sua guerra per la libertà religiosa, si lascia ispirare e impressionare dalla passione dei cristeros, che sono veri credenti. La sua vita viene cambiata soprattutto da un bambino di 14 anni, José (beatificato da Benedetto XVI nel 2005, ndr), che sacrifica la vita per la fede e che gli fa sperimentare una specie di epifania religiosa durante il corso del film.

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La storia di Cristiada è vera ma è praticamente sconosciuta a tutti, persino in Messico.Abbiamo dovuto fare ricerche molto impegnative per realizzare questo film. Abbiamo capito che persino in Messico questa parte di storia è ancora un tabù e pochissimi la conoscono. Il produttore José Pablo Barroso è messicano e credo che abbia deciso di raccontarla proprio per renderla nota e per ricordare quelle persone che hanno dato la propria vita per la libertà (vedi anche l’intervista dello stesso Barroso a Tempi, ndr).
La persecuzione dei cattolici non è un tema molto in voga. Eppure dovunque sia stato distribuito il film ha riscosso un grande successo. Come mai?
In Messico il film è stato un successo strepitoso e ha sempre fatto registrare il tutto esaurito. Negli altri paesi forse è stato un po’ boicottato ma è andato ugualmente benissimo e non mi sorprende. Il film ha una struttura classica e ricalca quella di molte storie epiche dove viene inscenata la lotta per la libertà. I valori e le immagini della pellicola sono molto forti e credo che la gente sia sempre curiosa verso i drammi della storia. Questo film, inoltre, è stato girato in modo eccellente, è godibile da vedere, è interpretato da ottimi attori. Insomma, penso che quando si realizza un buon film la gente accorre sempre.
Che effetto le ha fatto “guidare” un esercito pronto a dare la vita per la libertà religiosa?
La storia ci ha mostrato tante volte delle persone disposte a sacrificare tutto. In questo caso si parla di libertà religiosa, che è un valore ancora più grande degli altri perché quando non c’è la libertà religiosa non può esistere nessun altro tipo di libertà. A volte però il prezzo da pagare è drastico. Questo è il tema del film.

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Cristiada uscirà in Italia il 15 ottobre, in un momento in cui la persecuzione religiosa dei cristiani è un tema di grande attualità.
Questo film è universale e anche se non era il suo obiettivo specifico, illumina tutti i casi attuali di persecuzione. Parla del Messico ma battersi per i propri diritti è un concetto valido a ogni latitudine. La libertà religiosa, come quella di parola, è un diritto fondamentale e noi siamo molto fortunati a poterne godere. Oggi non dovremmo prendere con leggerezza queste libertà perché ci sono molti paesi al mondo dove alla gente sono state portate via.
Parla della sua terra d’origine?
Io vengo da Cuba e la mia è una famiglia di esuli. Quando penso al mio paese, che vive sotto un regime e non gode di nessuna libertà, provo un grande dolore e un’immensa tristezza. Nel mio cuore c’è sempre una ferita, il mio legame spirituale con Cuba non potrà mai spezzarsi perché conosco bene le sofferenze che la mia gente patisce da cinquant’anni. Spero e prego che presto o tardi possa tornare libera.

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È difficile scegliere di recitare in un film come Cristiada? Oggi i cattolici non sono molto ben visti: non si rischia di essere etichettati a Hollywood?
Per me non è affatto complicato vivere rimanendo me stesso. Ho avuto una vita benedetta e non la trovo per niente difficile. Soprattutto quando penso alla gente della mia terra d’origine, mi rendo conto che la mia vita è un dono e ne sono cosciente in ogni momento. Essere un esule fa parte della mia esistenza, così come il cattolicesimo, la religione nella quale sono stato cresciuto. E per me non c’è niente di difficile nell’essere cattolico a Hollywood, come in qualsiasi altra parte del mondo. Questo almeno è quello che penso.

Tempi.it 


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