Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 28 novembre 2014

Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.

Oggi ricorre questa memoria, l'apparizione della Madonna a Kibeho in Rwanda.

                        Nostra Signora dei Dolori a Kibeho

Kibeho è una piccola località del sud del Ruanda, nell'attuale distretto amministrativo di Nyaruguru, a 162 km della capitale del paese, Kigali. Ma Kibeho è anche il nome di una delle parrocchie della diocesi di Gikongoro, fondata nel 1934 e dedicata alla Madonna. La parrocchia di Kibeho è conosciuta oggi soprattutto come un luogo di apparizioni mariane e di pellegrinaggio, approvato dalla Chiesa.
Le apparizioni di Kibeho sono cominciate il 28 novembre del 1981 e si sono concluse il 28 novembre del 1989. La prima veggente è una ragazza di 16 anni, Alphonsine Mumureke, che ebbe le sue visioni mentre si trovava al collegio. All'inizio, professori ed alunni fecero fatica a crederle e molti si burlarono di lei. Ma successivamente anche altre ragazze del collegio affermarono di avere delle visioni: Natalie Mukamazimpaka, di 17 anni, che vedrà la Vergine per circa due anni a partire dal mese di gennaio 1982, e Marie-Claire Mukamgango, di 21 anni, a cui la Vergine apparve dal mese di marzo fino al mese di settembre del 1982. Marie-Claire riceverà come missione quella di diffondere nella Chiesa la Corona dei Sette Dolori della Vergine.
Altri quattro testimoni vennero segnalati ma questi ultimi non saranno poi presi in considerazione nel riconoscimento ufficiale della Chiesa. 
Per sei testimoni, le apparizioni si interromperanno nel 1983 e solamente Alphonsine continuerà ad avere delle visioni il 28 novembre di ogni anno, fino al 1989. A tutti questi testimoni Maria si presenta come "Madre del Verbo" (in lingua locale: "Nyina Wa Jambo").
A Kibeho, il messaggio consegnato da Maria è un appello urgente al mondo...Un appello al pentimento e alla conversione dei cuori, alla preghiera sincera, e ad amare e abbracciare una fede viva. Ma è soprattutto un appello alla riconciliazione. Maria invita a rinunciare al peccato, a deplorare tutto ciò che è idolatria, mancanza di rispetto, materialismo, ipocrisia e immoralità sessuale.
Maria incoraggia il mondo a cambiare vita finché c'è ancora tempo, mettendolo in guardia contro le gravi conseguenze del suo stato morale attuale. Il 15 ottobre 1982 le visioni sono spaventose: spargimenti di sangue, persone che si massacrano, cadaveri abbandonati senza sepoltura; visioni che si riveleranno profetiche alla luce dei drammi umani vissuti in Ruanda e nella regione dei Grandi Laghi tra il 1994 e il 1995, sullo fondo della guerra civile tra le etnie Hutu e Tutsi. In pochi mesi, il genocidio in Ruanda causerà 800.000 morti di cui 3 vescovi e più di 400 tra preti e religiosi. Anche una delle veggenti, Marie-Claire, morì durante il massacro.
Il 15 agosto del 1988, il vescovo della diocesi di Butare, mons. Jean Battista Gahamanyi, ne approvò il culto pubblico e diede al santuario mariano di Kibeho il titolo di "Nostra Signora dei Dolori". Il 21 giugno del 2001, invece, la Santa Sede si espresse favorevolmente in favore delle apparizioni.


PREGHIERA ALLA MADONNA DEI DOLORI
Santa Maria, Madonna dei Dolori, 
insegnaci a comprendere il valore della Croce nella nostra vita,
affinché completiamo nel nostro corpo ciò che manca alla Passione di Cristo, a beneficio del suo Corpo Mistico, che è la Chiesa.
E, quando terminerà il nostro pellegrinaggio su questa terra,
fa che possiamo vivere con te eternamente nel Regno dei Cieli.
Amen.

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Venerdì della XXXIV settimana del Tempo Ordinario





Primavera


"Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. La nostra vita subisce costantemente l'attentato di milioni di parole che cercano di prendere possesso dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Uno sterminato esercito di sentenze, di opinioni, di idee si spintona violentemente per entrare. Ma è proprio nell'estrema confusione che accompagna gli stravolgimenti del mondo, in noi e fuori di noi, che possiamo ritrovare un segno, un'ancora di salvezza. Tutto passa. Un sms cancella immediatamente il contenuto, la "verità" del precedente. Così nella nostra vita. Affetti, lavoro, svaghi, ideali, salute, ogni cosa è precaria. Eppure proprio dentro la transitorietà di quel che viviamo alberga una certezza, qualcosa che fonda, tra i marosi, la nostra esistenza. In ogni istante della nostra vita è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita. "Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno". Mai. Mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie, la sua Parola d'amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è l'unica eterna perché attraversa la morte senza esserne assorbita. Così, se nella nostra vita ogni cosa è destinata a passare, è per lasciar posto alla Parola fatta carne, al potere della predicazione, a Cristo vivo nell'annuncio del Vangelo del perdono. Un licenziamento o un taglio sullo stipendio, la depressione della moglie e il carattere del marito in peggioramento cronico. L'adolescenza inguaribile dei figli, il fidanzato che ti ha lasciato; la solitudine e il rifiuto, il dolore e l'angoscia, tutto contribuisce ad aprire a Cristo le porte del nostro cuore. Il passare di tutto riverbera il passaggio pasquale del Signore nella storia che è l'unica verità che non passerà mai: Lui ci ama così come siamo, sempreNon si butta nulla della nostra vita, perché dove c'è il Signore vi sono frutti che rimangono. Le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l'estate, non la morte! La Croce purifica gli umori assorbiti dall'inverno degli inganni e dei peccati, e ci prepara ad accogliere l'estate, il Regno dei Cieli ormai vicino. Non a caso il Signore descrive il suo avvento come una mietitura: etimologicamente, in greco, therismós (mietitura) è collegato a theros (estate). Come scriveva San Gregorio di Nissa, la nostra vita è nella primavera, nel cuore della Pasqua: ci troviamo, ogni istante, "al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell'estate"; ogni evento è un germoglio che ci ricorda anche l'elezione che ci ha presi dal mondo, perché il fico è immagine di Israele: "guardai ai vostri padri come ai primi frutti di un fico” (Os 9,10). Tutto di noi e in noi segna la "primo"-genitura, il senso stesso della nostra vita, che è essere i "primi" frutti dell'umanità. Il Signore ci chiama oggi ad aprire gli occhi alla luce della sua Parola riconoscendo in ogni evento la chiamata ad accogliere il suo amore; e, nella fede che ci appoggia saldamente al potere della sua Parola, ad amare e donarci, facendo così di ogni inverno di morte il seno che custodisce l'estate della vita eterna.




L'ANNUNCIO

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola: “Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l’estate è vicina. Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino.
In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. 
(Dal Vangelo secondo Luca 21, 29-33)





La nostra vita subisce costantemente l'attentato di milioni di parole che cercano di prendere possesso dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Fuori e dentro di noi si scatena una guerra ogni volta più cruenta tra le parole più disparate. E, normalmente, ne portiamo le tristi conseguenze: stanchezza psicologica, stordimento, incapacità di orientarsi e di comprendere. Uno sterminato esercito di sentenze, di opinioni, di idee si affaccia ai nostri padiglioni auricolari e si spintona violentemente per entrare. E siamo ogni volta più confusi. Politica, morale, vita, sport, parole a volontà su ogni aspetto della vita. Parole che dicono tutto e l'esatto contrario.
Ma è proprio dentro l'estrema confusione che accompagna gli stravolgimenti del mondo, in noi e fuori di noi, che possiamo ritrovare un segno, un'ancora di salvezza. Tutto passa. Tutto è destinato ad essere cancellato dal tempo. Un sms cancella immediatamente il contenuto, la "verità" del precedente. Così ogni parola è fagocitata dalla successiva, rivelandone l'assoluta provvisorietà con un ritmo incalzante. Così nella nostra vita. Affetti, lavoro, svaghi, ideali, salute, ogni cosa è precaria. Eppure proprio dentro la transitorietà di quel che viviamo alberga una certezza, qualcosa che fonda, tra i marosi, la nostra esistenza. In ogni istante della nostra vita è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita.




Per questo proprio le rivoluzioni, i fallimenti, le sofferenze della vita, anche le esperienze più drammatiche che ci lasciano tramortiti, forse moribondi, sono un segno dell'opera di Dio. Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno. Mai. La sua Parola d'amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è una Parola eterna. Lui non mente. Non tradisce. La sua Parola si compie nella nostra vita. Proprio mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie.
Così, se nella vita ogni cosa è destinata a passare, a sfuggirci, è per lasciar posto all'unica Parola che non passerà in eterno: la Parola fatta carne, il nostro Signore Gesù. Per questo, anche quello che sembra scivolare via è misteriosamente ricapitolato, risanato e come reso eterno dal suo amore. Il passare di tutto riverbera il passaggio pasquale del Signore nella storia. Il fluire delle cose è cristallizzato nel passaggio del Signore, e, misteriosamente, ciò che è corruttibile è assorbito dall'incorruttibile. Questo è il mistero della nostra vita, fatta di eventi, relazioni, storie che apparentemente scorrono via inesorabilmente e senza ritorno, mentre invece tutto è assorbito e santificato dal "passaggio che non passa"; silenziosamente, e spesso nascostamente, tutto di noi è innestato nella Pasqua del Signore nella quale ogni istante è un diadema incastonato nella corona della storia di salvezza che Dio fa con ogni uomo.





In Lui la vita perduta, e tutto quello che sembra smarrito, è ritrovato e trasfigurato. Santificato. Non si butta nulla della nostra vita, perché dove c'è il Signore vi sono frutti che rimangono. Tutto di noi è Grazia, dono di Lui, che proprio nell'estrema precarietà rivela la nostra unica Roccia: il suo amore infinito. Le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l'estate, non la morte! Nelle parole del Signore si ode l'eco del Cantico dei Cantici; dure e crude, sono parole d'amore. E' lo Sposo che incede, e vuole destare la sposa, accendere in lei il desiderio di Lui, e schiudere i suoi occhi in un discernimento capace di intercettare i segni del suo avvento imminente.  
Una voce! Il mio diletto! 
Eccolo, viene 
saltando per i monti, 
balzando per le colline. 
Somiglia il mio diletto a un capriolo 
o ad un cerbiatto. 
Eccolo, egli sta 
dietro il nostro muro; 
guarda dalla finestra, 
spia attraverso le inferriate. 
Perché, ecco, l'inverno è passato
è cessata la pioggia, se n'è andata; 
i fiori sono apparsi nei campi, 
il tempo del canto è tornato 
e la voce della tortora ancora si fa sentire 
nella nostra campagna. 
Il fico ha messo fuori i primi frutti 
e le viti fiorite spandono fragranza. 
Alzati, amica mia, 
mia bella, e vieni! 

Commentando il Cantico dei Cantici, San Gregorio di Nissa scrive: "Il fico è una pianta che, per effetto del calore, succhia in modo straordinario l'umidità che è nel profondo della terra. E siccome nelle midolla del fico si raccoglie molto umore, per necessità la natura, cuocendo gli umori nella pianta, depone giù dai rami tutta la parte inutile e terrena dell'umore. E questo processo è ripetuto parecchie volte, perché la pianta possa al momento opportuno produrre il suo frutto genuino e nutriente, purificato di tutto quello che era inutile. Orbene, questo prodotto, che spunta in forma di frutto dalla pianta del fico  prima che si formi il vero frutto, dolce e maturo, si chiama "grosso"; anch'esso è commestibile talvolta, per chi lo vuole; ciò nonostante quello non è il frutto: i grossi sono, infatti,  preannuncio dei fichi commestibili,  e il testo dice che il fico li aveva fatti spuntare... Poiché il testo rappresenta alla sposa la primavera spirituale, e questa stagione sta al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell'estate, per questo motivo si annuncia esplicitamente che i mali sono passati, anche se non si sono mostrati ancora nella loro pienezza i frutti della virtù, ma essi sono riservati a tempo debito, allorquando sarà stabile l'estate.... Dal momento che la natura umana, in modo analogo al fico di cui qui si parla, ebbe raccolto in gran copia umore dannoso a causa di quell'inverno da noi inteso in senso spirituale, giustamente colui che produce per noi la primavera della nostra anima e con conveniente coltivazione della terra fa sì che la sostanza umana faccia spuntare i suoi alberi, innanzi tutto caccia fuori dalla nostra natura tutto quello che è terrestre e inutile... Quindi, in tal modo, fa spuntare nella nostra vita una certa impronta della beatitudine in cui speriamo per mezzo del comportamento più onesto, e preannuncia per mezzo dei "grossi" la futura dolcezza dei fichi" (Omelie sul Cantico dei cantici, Omelia V). Gli eventi descritti dal Signore nei brani precedenti ci aiutano a riconoscere in essi i germogli che preannunciano la dolcezza dell'incontro con Lui, il premio sperato e atteso. 
La Croce che ci accompagna ogni giorno attraverso gli sconvolgimenti della storia, purifica gli umori assorbiti dall'inverno degli inganni, e ci prepara ad accogliere l'estate, il Regno dei Cieli ormai vicino. Non a caso il suo avvento è descritto dal Signore come una mietitura: etimologicamente, in greco, therismós (mietitura) è collegato a theros (estate). Come scriveva San Gregorio, la nostra vita è nella primavera, nel cuore della Pasqua. Ci troviamo, ogni istante, al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell'estate; come Natanaele, israelita in cui non vi è inganno, possiamo riposare all'ombra del fico, accogliendo, scrutando e meditando la Parola che non passerà mai. E così, mossi da essa, passare dall'inverno all'estate, entrare nel Regno preparato per noi. Sì, ogni evento è un germoglio che ci ricorda l'elezione che ci ha presi dal mondo, perché il fico è anche immagine di Israele: "guardai ai vostri padri come ai primi frutti di un fico” (Os 9,10). 




La storia concreta, le persone che ci sono date, tutto di noi e in noi segna la primo-genitura, il senso stesso della nostra vita, che è essere i primi frutti dell'umanità. E' il Signore che ci chiama, giorno dopo giorno, da dietro il muro che sembra impedirci la felicità. Il muro che ci oppone il coniuge, l'amico, il collega, o la nostra debolezza fisica, la precarietà economica, la fragilità del carattere o i suoi difetti; il muro dei nostri peccati. Dietro a tutto si cela lo Sposo, innamorato e appassionato, che ci chiama ad alzarci; ci guarda con tenerezza, e ci annuncia oggi che è passato l'inverno, che la morte è vinta, che possiamo entrare negli eventi dai quali siamo sempre scappati terrorizzati. Bruciato il passato di morte nel fuoco del suo amore, possiamo correre verso l'estate che ci attende, liberi, e attirare con noi questa generazione.


APPROFONDIMENTI






αποφθεγμα Apoftegma






 Consideravo con stupore gli effetti 
che si sentono quando si è avvicinati da quel fuoco; 
fuoco di vero amore di Dio che par venire dall'alto. 
Benché tanto lo desideri, lo cerchi e mi consumi per averlo, 
sento di non poterne conseguire neppure una scintilla, 
a meno che non si degni di darmela Dio stesso. 
Ma quando viene, il vecchio uomo ne va tutto consunto con i suoi difetti, 
le sue miserie e le sue tiepidezze. 
Al pari della fenice, che, 
rinasce dalle sue ceneri dopo che il fuoco l’ha bruciata, 
così si trasforma l’anima per uscirne con nuovi desideri 
e con più grande coraggio: 
non sembra più quella di prima, 
ma comincia con nuova purezza a battere il cammino di Dio.

S.Teresa d’Avila, Vita cap. 39,22-23

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