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Apocalisse. Le due bestie del potere <> di E. BIANCHI , 25 settembre 2011
Avvenire
Ultimi anni del I secolo dopo la nascita di Gesù Cristo: Giovanni è in esilio a Patmos, un’isoletta del Mar Egeo. Secondo la tradizione è l’ultimo dei dodici apostoli rimasto vivo: quasi centenario sta per lasciare la sua chiesa, o meglio le sue chiese disseminate nell’Asia Minore. Da visionario che ascolta e contempla, egli scrive il suo messaggio-testamento: il libro dell’Apocalisse, compiendo un’operazione ben precisa: “alza il velo” (è il senso etimologico del verbo apó-kalýpto) sul presente della storia, sull’azione di Dio che è sempre giudizio.
Dal capitolo 13 del suo “testamento” vorrei estrarre solo due visioni concatenate tra loro. Giovanni vuole alzare il velo sulla presenza del male nella storia umana, vuole che noi comprendiamo ciò che può essere il potere politico nella storia, come gli uomini possano diventare vittime e insieme complici di tale potere. Giovanni usa un linguaggio simbolico, fatto di «segni» e immagini poste come «segnali» che indica in quale direzione guardare e come fare discernimento.
Una forza mortifera è presente nella storia, opera violenza e guerra, nutre l’ingiustizia e si nutre di schiavitù, alienazione, oppressione dell’umanità. Ma in questo mistero del male, che ruolo ha il potere, qual è l’incarnazione della potenza mortifera? Giovanni vede salire dal mare una bestia con cui il drago diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere (cf. Ap 13,1-2). La bestia sale dal mare, cioè da quello spazio negativo e caotico che il mare rappresenta per le Scritture. Agli occhi di Giovanni che scrive da Patmos la bestia viene da occidente, dal Mediterraneo. Essa ha sette teste e dieci corna, come il drago, e partecipa del carattere polimorfo e molteplice del suo potere. Sulle dieci corna, simbolo del suo potere, ci sono dieci corone, segno del dominio che essa esercita, e ciascuna delle sette teste porta un titolo che è una bestemmia. Giovanni intravede qui la potenza politica di Roma che viene da occidente, dal mare, la quale riprende e sintetizza gli aspetti che caratterizzavano le quattro bestie viste sorgere dal profeta Daniele, cioè i quattro imperi totalitari che si erano succeduti nell’antichità: Babilonia, Media, Persia, Grecia. Il potere totalitario appare come bestiale, disumano e al contempo blasfemo: i nomi che porta sulle teste costituiscono un attentato portato all’unicità del Signore, al Dio unico: Dio, Divino, Kýriosadorabile, Figlio di Dio, Salvatore… Con questi nomi blasfemi essa vuole riempire di sé tutta la terra. Siamo di fronte al potere politico totalitario, realtà bestiale e dunque disumanizzante, mostro che tutto domina e inghiotte, arbitro assoluto della vita e della morte, realtà che si pone al di sopra del bene e del male, non giudicabile perché nessun processo può essere intentato contro le sue nefandezze.
Ma il male assoluto appare operante anche nella gente sedotta e stupita da questa bestia. Soprattutto perché la bestia a un certo punto sembra colpita a morte in una delle sue teste, ma poi questo potere riprende, si rinnova, trova modi per durare ancora, e le sue piaghe, anche quando sembrano capaci di condurla alla fine, in realtà guariscono. L’imperium continua, non è invulnerabile ma si rigenera continuamente, e allora la gente «adora la bestia dicendo: “Chi è simile alla bestia e chi può vincere contro di essa?”» (cf. Ap 13,4). Sicché la bestia si esalta, alza la voce, grida: «Vedete, ho il consenso, l’approvazione, ho il carisma della seduzione!» (cf. Ap 13,5-6). Così nasce la religione della bestia…
La bestia agisce non solo proferendo bestemmie contro Dio, ma facendo anche guerra ai piccoli, ai poveri, agli uomini che a essa si oppongono: crea vittime, oppressi, toglie loro la libertà, perseguita gli affamati e gli assetati di giustizia. Sì, perché allo splendore del potere totalitario si accompagna anche una fioritura economica e il potere splende di gioielli scintillanti, mostra «l’arroganza della vita», è capace di creare la scena dell’abbondanza attraverso i potenti della terra. E così la bestia ottiene il suo scopo: «la adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13,8). Tutto questo mentre le vittime, i poveri, gli ultimi aumentano sempre di più.
Ma la bestia venuta dal mare da sola non può regnare. Con sottile discernimento Giovanni narra di un’altra bestia che “esercita tutto il potere della prima bestia alla sua presenza, accanto a essa, e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Opera grandi prodigi … davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi … seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia … E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia” (Ap 13,11-15).
La seconda bestia viene dalla terra, dall’Asia Minore, dove proprio in quei decenni si andava diffondendo il culto imperiale: qui l’imperatore romano si faceva costruire nelle città dei templi in cui era eretta la sua statua: è una bestia con due corna, ha le sembianze di un agnello – particolare sinistro per i lettori dell’Apocalisse abituati a sentire designare Gesù Cristo come «Agnello» – anche se parla come un drago. Cosa rappresenta la seconda bestia che è inseparabile dalla prima ed è al suo servizio, animandola, facendola parlare? Giovanni ce lo spiega senza lasciarci alcun dubbio: è la falsità della propaganda, dell’ideologia. Questa bestia serve la prima con la pubblicità, con una gran dotazione di mezzi per «far apparire»; essa fa erigere addirittura una statua del potere totalitario e mette a morte chi rifiuta di riconoscerla e di prostrarsi a essa.
La denuncia di Giovanni è sferzante: la propaganda che blandisce le folle e ne organizza il consenso al potere totalitario divinizza un uomo, un «nome d’uomo» (cf. Ap 13,18)! L’asservimento al potere totalitario e l’organizzazione del consenso sono perseguiti e garantiti dall’opera di persuasione della seconda bestia. Giovanni rivela che la prima bestia può occupare e conservare il potere solo se si avvale di potenti mezzi di comunicazione, di una forte propaganda capace di costruire «prodigi». Tutto ciò che seduce gli uomini, tutto ciò che li aliena e li diverte è opera della regia della seconda bestia. Per questo l’autore in seguito la chiamerà pseudoprophétes, cioè falsità, vertigine di falsità: rappresenta il primato dell’immagine, dell’apparire, dell’ostentazione del potere, il tutto finalizzato alla seduzione degli uomini, i quali giungono a costruire alla prima bestia una statua, a invocare «l’unto», «il grande timoniere», «il capo». È il prevalere della personalizzazione e della spettacolarizzazione del potere, è il culto della personalità.
Ma Giovanni è ancora più preciso: questa bestia così efficace, che persuade tutti ad adorare il potere totalitario, cosa dà in cambio per sedurre gli uomini? Innanzitutto omologa l’umanità intera, «piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi», e lo fa imponendo loro «un marchiosulla mano destra o sulla fronte, senza il quale nessuno può comprare o vendere» (cf. Ap 13,16-17). Ecco a cosa questa bestia riduce la vita: a uno scambio di oggetti, a un commercio di cose, ben oltre il soddisfacimento del bisogno. Il diritto di comprare e di vendere diventa una definizione della vita: avere, possedere, comprare, vendere le cose e scambiare la moneta è l’unico metro su cui si misura il valore della vita. Questo è ciò che è proposto alla collettività influenzata e controllata dal potere totalitario e dalla sua propaganda.
Il marchio della bestia è il contrassegno tipico degli schiavi, il sigillo dell’alienazione; e i marchiati sono quelli che hanno assimilato la mentalità dell’ideologia corrotta, della falsità che si erge a sistema organizzato. Chi non ha questo marchio non può partecipare all’abbondanza, alla tavola dei beni della terra, riservati esclusivamente agli schiavi della bestia.
Riletto oggi, questo capitolo dell’Apocalisse dà le vertigini e offre a cristiani e non cristiani una profezia: è un ammonimento che grida di svegliarci e di aguzzare gli occhi della nostra mente per guardare in faccia con lucidità il potere. Lo deve fare il cristiano – dice tutto il Nuovo Testamento – quale cittadino leale della polis, dello stato, alle cui leggi si sottomette se queste sono leggi per l’umanizzazione, leggi al servizio dell’uomo, dunque tramite della volontà di Dio. Lo deve fare, più in generale, ogni cittadino/a, perché in ogni generazione di fronte al potere che diventa totalitario, alienante, che pretende di non essere giudicato, occorre indignarsi, resistere e saper dire un «no» convinto alla falsa parola, allo pseûdosdella propaganda, ci dice Giovanni.
Ecco un’eredità per ogni generazione, un’eredità trasmessa a me dalla generazione cristiana che mi ha preceduto e che io, ormai anziano, vorrei a mia volta trasmettere alle nuove generazioni: imparate a conoscere il potere, perché esso è sempre un fenomeno umano; la sua qualità dipende da come noi uomini e donne lo forgiamo e gli permettiamo di manifestarsi e di operare. «Qui sta la sapienza: chi ha intelligenza» (Ap 13,18) operi questo discernimento, per il bene di tutta la polis, perché si possa costruire insieme una terra più abitabile.
Il cristiano che confessa come unico suo Signore Gesù Cristo – avvertito dall’Apocalisse della battaglia in corso contro l’ispiratore delle due bestie, il diavolo, Satana, il Principe di questo mondo – sa che l’Agnello Immolato per amore degli uomini sarà il vincitore, che sarà giudice di questo mondo e che aprirà il Regno dove è vinta la morte, il male, il peccato: un cielo nuovo e una terra nuova!
>> Enzo Bianchi <<
>> Enzo Bianchi <<