Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 27 dicembre 2017

🙏🏻🎄Buon ❄️Natale❄️🎄La🎄pace del signore sia nel vostro cuore!


 

PAdre Dino ✨Scaldaferro 

 

Perché, Gesù, hai accettato di nascere in una stalla, in totale povertà? Sono nato nudo, afferma Gesù,  perché tu sappia spogliarti di te stesso. Sono nato povero, perché tu possa considerarmi l'unica ricchezza. Sono nato in una stalla perché tu impari a santificare ogni ambiente. Sono nato debole perché tu non abbia mai paura di me. 
Sono nato per amore perché tu non dubiti mai del mio amore. Sono nato di notte perché tu creda che posso illuminare qualsiasi realtà. Sono nato uomo perché tu possa essere "dio". Ho accettato di essere profugo anch'io, perché tu sappia essere accogliente con quanti fuggono dalla loro terra, cercando pace e lavoro. 

Lo sai che a Scaldaferro sta sorgendo una Casa Accoglienza dedicata a Mia Madre? Forma un tutt'uno con il Santuario quasi ad indicare che nasce dal cuore della preghiera e questo mi rallegra molto. Spero che i futuri ospiti si sentano capiti, amati e aiutati. 

Chi dona anche un semplice bicchiere d'acqua a qualcuno nel mio nome è come se lo donasse a me.  Grazie se anche tu saprai fare questo con amore e insegnerai ad altri a fare altrettanto.

 

 

Il Natale ci interroga e ci provoca sul nostro modo di vivere e di accogliere i fratelli. Papa Francesco ha detto: «Nascendo a Betlemme duemila anni fa, l'Onnipotente si è fatto Bambino. Ha scelto di venire al mondo nella precarietà, lontano dai riflettori, dalle seduzioni del potere, dai fasti dell'apparenza. La rivoluzione della tenerezza del Dio che "ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili" (Lc 1,52) continua a interpellarci: per incontrarlo bisogna chinarsi, abbassarsi, farsi piccoli. La pace, la gioia,il senso della vita si incontrano lasciandoci stupire da quel Dio Bambino che ha accettato di soffrire e di morire per amore. La pace, la giustizia si costruiscono giorno per giorno, ricon oscendo l'insopprimibile dignità di ogni vita umana, a partire dalla più piccola e più indifesa, riconoscendo ogni essere umano come nostro fratello» 

A proposito dell'onnipotenza di Dio che s i rivela nella fragilità e nella debolezza di un bimbo che nasce, è stato scritto: «Il fatto di essere una potenza che parla attraverso la debolezza dice che è una potenza divina, infinita: solo Dio onnipotente è in grado diparlare attraverso il linguaggio della debolezza. Tale linguaggio – linguaggio di eventi prima che di parole – non è solo un'esibizione di potenza, non esprime appunto un gioco di contrasti, ma è la condizione per raggiungere l'uomo dal basso, dalle radici. La salvezza non ti arriva da qualcuno che ha tutto e dà qualcosa, o dà molto di questo tutto, soverchiandoti con l'abbondanza: è invece la potenza di qualcuno che si mette al tuo livello e, partendo dal tuo livello più basso, ti rialza, ti fa diverso; qualcuno che ti fa partecipe della sua pienezza dopo aver partecipato alla tuamiseria, e che in questa comunione affettiva con un'impotenza e una miseria a te ben note, non immaginarie, sofferte giorno per giorno, ti garantisce della reale consistenza di quella sua pienezza che vuole condividere con te».

 

 

RIFLESSIONI SPARSE (come un'arancia amara) SUL NATALE... anno 2017


“Buon Natale!” Ci salutiamo così in questi giorni... ed è bello che sia così. Mi chiedevo però che senso possa avere questo saluto per noi oggi.
Natale è la festa della luce (il Sol invictus), della gioia (guarda i pastori), della tenerezza per un Bimbo che nasce. Che non sia dunque l'augurio a vivere felicemente, nella luce, nella gioia e nella tenerezza questo tempo e la vita tutta?
Eppure sento, in questo giorno, in queste giornate che girano intorno alla festa, anche tanta tristezza, tanto buio dentro, tanto vuoto... e non solo io, ma lo avverto anche in tante persone che vivono distacchi dolorosi, divisioni laceranti, situazioni di sofferenza, lutto, malattia, solitudine.

Mi domando se ho il diritto, se abbiamo il diritto di essere tristi, di non sentire gioia in questo giorno, se ho il diritto di dire queste cose da un altare in questo giorno, se ho il diritto – proprio io, prete - di fare un po' il “guastafeste”... 
Oggi mi sono risposto di si! 

Ho il diritto di non sentirmi a mio agio, di non riuscire a fare mia quell'atmosfera natalizia tutta luminarie e alberi addobbati, di non provare quel “volemose bene” che noi romani abbiamo insegnato al mondo... e che coincide vagamente con il messaggio del Natale commercializzato.
Quest'anno non ho fatto l'albero e nemmeno il presepe, non ho messo luminarie. E per cenone ho mangiato pizza! E sono triste. Sono triste perchè sento piuttosto finti tutti gli obblighi imposti da quello che sempre più mi rifiuto di chiamare Natale. No, questa non è la festa di Gesù. Non ce l'ha chiesto lui di festeggiarlo così. Chiamiamolo in un altro modo... festa della riunione famigliare, festa delle luci, festa della bontà, del cibo..., ma non chiamiamolo Natale. 
Vi leggo uno stornello di un grande poeta romanesco, Trilussa, che dice pressapoco così:
Er presepio
Ve ringrazio de core, brava gente,
pé 'sti presepi che me preparate,
ma che li fate a fa? Si poi v'odiate,
si de st'amore non capite gnente...

Pé st'amore sò nato e ce sò morto,
da secoli lo spargo dalla croce,
ma la parola mia pare 'na voce
sperduta ner deserto, senza ascolto.

La gente fa er presepe e nun me sente;
cerca sempre de fallo più sfarzoso,
però cià er core freddo e indifferente
e nun capisce che senza l'amore
è cianfrusaja che nun cià valore.
Gesù (e la sua famiglia) non è stato contento di nascere come un profugo, fuori casa, fuori città, perchè per lui “non c'era posto”. Allora questa è la festa di tutti quelli che nascono lontani da casa, senza un luogo, che sono stranieri, profughi, migranti, perseguitati, come Gesù, che nasce in una mangiatoia di animali, tra i pastori nomadi senza-luogo, che diventano i primi evangelizzatori.

Gesù non è nato in mezzo alla luce, tra i riflettori della storia, è nato povero, nel buio di una grotta, di notte. 

Gesù non è nato in mezzo al frastuono impazzito delle città e delle strade in frenetica corsa per regali e partenze, è nato nel silenzio, nel nascondimento, nessun giornalista ha preannunciato la sua nascita – come si faceva per i personaggi importanti – ma solo le creature invisibili (gli angeli) hanno cantato lievemente il “gloria” che ha rotto il silenzio di quella notte!

Non è nato in una villa (sarebbe stato un dio per i ricchi), nè in una baracca (sarebbe stato un dio dei poveri), e neanche in una casa costruita da mani d'uomo, ma in una grotta, per indicare a tutti che c'è una realtà non costruita da mani d'uomo, ma da Dio, che dobbiamo cercare.

Viene “deposto in basso” nella mangiatoia, per indicarci che questo Dio si è fatto carne abbassandosi, facendosi più basso di tutti, più piccolo, più indifeso... forse perchè solo così chi si sente “giù”, chi non si sente di festeggiare oggi, può sentirsi capito, accolto. Forse perchè solo chi torna ad essere piccolo come un bambino, chi si abbassa e non si esalta, può entrare nel regno di Dio, nella sua logica paradossale.

Un Dio che nasce “figlio”, come tutti noi siamo nati figli, per indicare che quella  dei “figli” e dunque dei “fratelli” è la nostra vera identità. 
Non l'identità cristiana, non l'appartenenza ad una tradizione religiosa o sociale, non l'appartenenza ad un territorio, l'esserci nato, ecc. (e noi siamo ancora lì a litigare sullo ius soli!) ma l'identità di figli, di un Dio che si abbassa per abbracciare tutti, dal più piccolo al più grande.

Allora il Natale è la festa dei figli che si ritrovano fratelli! Di chi si abbassa e perdona chi l'ha tradito, insultato, diffamato, di chi si abbassa e fa il primo passo, di chi decide di non nutrire rancore, di andare oltre. Di accogliere chi è più piccolo, povero, migrante, indifeso. 
Di chi accoglie anche le ombre, le tristezze, il buio, il frastuono che è dentro di sé, di chi gli da diritto di cittadinanza e concede che può sentirsi così anche a Natale. 

E permettetemi di non essere felice, oggi, se non sono riuscito a vivere questo. Vi auguro di essere felici, perchè siete riusciti a vivere più da figli e da fratelli! 

Luca Buccheri, prete di strada

domenica 24 dicembre 2017

Io sono il Signore. Non tenere❗️

Messe nel tempo di Natale nella pieve di Romena

  • interno pieve 480Domenica 24 Dicembreore 16.30: Messa della IV dom. di Avventoore 22.30: Messa della notte di Natale
  • Lunedì 25 Dicembre - ore 16.30: Messa di Natale
  • Martedì 26 Dicembre - ore 16.30: Messa di S. Stefano
  • Domenica 31 Dicembre - ore 16.30: Messa di ringraziamento per l’anno vissuto
  • Lunedì 1 Gennaio 2018 - ore 16.30: Messa di inizio anno nuovo
  • Sabato 6 Gennaio - ore 16.30: Messa dell’Epifania
  • Domenica 7 Gennaio, - ore 16.30: Messa del Battesimo di Gesù


Chi Lo riconosce comincia a vedere i germogli di una vita che fiorisce»
L’articolo del Presidente della Fraternità di CL su “Avvenire” del 22 dicembre
Julián Carrón
«La realtà è superiore all’idea» (Evangelii gaudium, 231). Non c’è niente che sfidi di più la ragione dell’uomo, la logica umana, che un fatto, un avvenimento reale. Pensiamo al popolo ebraico in esilio, di cui parla il profeta Isaia.
L’ultima cosa che gli ebrei si sarebbero aspettati, quando tutto sembrava finito, mentre erano in mezzo al nulla, era qualcuno che sfidasse le sconfitte che avevano subito e la misura con cui giudicavano. Tanto è vero che avevano cominciato ad abituarsi alla situazione in cui si erano venuti a trovare. Eppure in mezzo al deserto risuona una voce: «Io sono il Signore» (Is 41,13ss), una voce che pronuncia parole che nessuno avrebbe il coraggio di dire, tanto sono lontane dalla logica umana: «Non temere».
Possibile?! Come si può non temere quando si è sperduti in mezzo al nulla, nell’esilio?
Si tratta della stessa reazione che abbiamo anche noi davanti alle sfide attuali: ci assale la paura, ci viene da innalzare muri per proteggerci; cerchiamo sicurezza in qualcosa di costruito da noi, ragionando secondo una logica puramente umana, esattamente quella che viene provocata costantemente da Dio: «Io sono il Signore, non temere!». Davanti ai nostri occhi appare tutta la Sua diversità. Infatti quel «non temere!» è la cosa meno creduta oggi, la meno credibile anche per noi; davanti a tutto quello che sta accadendo nel mondo, chi può dire di non avere paura?
«Io sono il Signore, non temere». La nostra ragione e la nostra libertà sono provocate da questa promessa, come capitò al popolo in esilio. Anche noi siamo come un «vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele», ci sentiamo così piccoli davanti all’enormità dei problemi. Siamo disponibili a dare credito all’annuncio della liberazione che risuona per noi oggi? «Non temere, io ti vengo in aiuto».
Commentando queste parole, papa Francesco ha detto: «Il Natale ci aiuta a capire questo: in quella mangiatoia […] è Dio grande che ha la forza di tutto, ma si rimpicciolisce per farci vicino e lì ci aiuta, ci promette delle cose» (Omelia Santa Marta, 14 dicembre 2017). C’è qualcosa di più sconvolgente per le nostre misure?
 
Sempre il Signore ci spiazza, perché ha uno sguardo diverso, vero, sul reale, capace di cogliere dati che noi non vediamo. Se accettiamo la sfida, noi che siamo così miseri potremo riconoscere la risposta al nostro grido: «Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò». Chi confida in Lui, chi si abbandona al disegno di un Altro vede il compiersi della promessa: «Farò scaturire fiumi su brulle colline». Non è forse questo che ci stupisce di certi incontri? Mentre alcuni sono sempre più impauriti, sempre più ripiegati su se stessi, sempre più chiusi, sempre più scoraggiati, altri fioriscono e testimoniano un modo diverso, positivo, di vivere le cose solite.
Come è possibile che taluni risplendano di vita e altri trovino in ogni circostanza solo una conferma del loro scetticismo? Perché tutto passa attraverso la sottile lama della libertà. «Cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti»: se assecondiamo il richiamo del Signore, potremo vedere fiorire la vita in questa terra arida, in questa nostra situazione storica – non in un’altra, in questa. «Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti». Chi si affida a questa promessa comincerà a guadagnare la vita vivendo.
Eppure spesso si insinua in noi la domanda: il Signore non potrebbe risparmiarci tante circostanze sfavorevoli con cui dobbiamo confrontarci? Non ci rendiamo conto che certe situazioni sono il frutto di un uso sbagliato della nostra libertà; Israele non si era fidato del Signore, non aveva creduto alla Sua parola e aveva preferito allearsi con le potenze dell’epoca, finendo in esilio. Chi invece si affida comincia a vedere i segni del Signore in azione: Dio opera nella storia «perché vedano e sappiano, considerino e comprendano […] che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d’Israele».
Chi non si affida non vedrà, perché il mondo sarà sempre pieno di contraddizioni che spaventano, ma in chi accoglie Gesù la vita comincia a risplendere. Chi Lo riconosce comincia a vedere i germogli di una vita che fiorisce.
Occorre essere semplici, come dice Gesù che viene nel Natale: «Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui» (Mt 11,11).
Da duemila anni l’annuncio della salvezza, tanto impensabile dall’uomo quanto reale, è per ciascuno. È alla portata di tutti, nessuno escluso.

mercoledì 20 dicembre 2017

Chiesa “Signore della Misericordia”

Chiesa “Signore della Misericordia” 

| Un “cristallo” in un centro commerciale

Nella città di Monterrey, Messico, una chiesa intitolata al “Signore della Misericordia”, progetto firmato dallo studio Moneo Brock.

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L’edificio privo di finestre e ornamenti, si presenta come una sorta di “cristallo bianco”, per via delle sue forme geometriche compenetrate ed irregolari, che nelle intenzioni del progettista, trovano giustificazione in una ricerca e una “cattura” della luce naturale che si proietti all’interno dell’edificio stesso.

Un’altra particolarità di questa chiesa, è data dal fatto che sorge annessa ad un grande centro commerciale, venendo praticamente a far parte del complesso.

L’entrata sorge su una piazza che ha una larghezza di 11,5 metri, che collega la grande e unica navata centrale con l’esterno. Idealmente, questa piazza, è disponibile per celebrazioni liturgiche che radunino una massa di fedeli che superi i 350 posti disponibili all’interno dell’edificio.




 Foto © Jeff Brock | Foto © Jorge Taboada

lunedì 18 dicembre 2017

L'urgenza di una vera “conversione pastorale”


AlzogliOcchiversoilCielo: 

Enzo Bianchi L'urgenza di una vera conversione


Vita Pastorale - novembre 2017
di ENZO BIANCHI
dal sito del Monastero di Bose

La chiesa di Dio che è in Italia vive un’ora che dovrebbe essere di scelte e decisioni molto importanti per il futuro della fede cristiana nella nostra terra.

Sarà capace di operare un mutamento profondo, impostole innanzitutto dalla fine di un mondo e dall’affacciarsi dei germogli di una nuova stagione? Sarà capace di quella “conversione pastorale” alla quale la chiama papa Francesco, conversione pastorale urgente perché la primavera inaugurata da papa Francesco ormai è attestata e il rischio grande è che finisca proprio per risultare estranea, anacronistica rispetto all’inedita situazione antropologica, sociale, culturale.

Sono ormai passati più di quattro anni dall’inizio del pontificato di papa Francesco: non sono pochi, considerando anche che questo papato non potrà essere lungo come quello di Paolo VI o di Giovanni Paolo II, con la conseguente possibilità di incidere per lungo tempo nella vita della chiesa cattolica. Tutti, così almeno sembra, sono convinti di questo cambiamento d’epoca, ma poi l’incamminarsi effettivo su nuovi sentieri, l’acconsentire al lutto della stagione passata, l’andare al largo su acque profonde, lasciando la calma delle baie è un’altra cosa ed è qui che a me sembra che prevalga l’inerzia, la logica del “si è sempre fatto così”, un facile provvidenzialismo scambiato per fede, il rifiuto della fatica a discernere i segni dei tempi.

Eppure papa Francesco si è rivolto alla chiesa italiana in modo puntuale e autorevole, chiedendole un mutamento preciso. Al convegno nazionale di Firenze, il 10 novembre 2015, due anni dopo la promulgazione dell’esortazione past-sinodale Evangelii gaudium, il papa ha detto: “Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi, in ogni regione cercate di avviare in modo sinodale un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. D’altronde, nell’esortazione stessa il papa aveva chiaramente manifestato il suo desiderio che fosse accolta come invito “a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (EG 1)

Nonostante ciò, questi inviti pressanti e convinti paiono non aver avuto finora una risposta adeguata. In una recente intervista, il cardinal Bassetti ha confessato che in occasioni di due udienze il papa gli ha chiesto: “Ma l’Evangelii gaudium sta entrando nelle chiese italiane?”. Domanda imbarazzante, confessa il cardinale, alla quale ha risposto: “Un pochino...”. E il papa di rimando: “Non ho chiesto qualche rinnovamento della pastorale, vi ho chiesto una conversione pastorale!”. E qui non si può tacere l’ironia: la formula “conversione pastorale” è stata coniata proprio in Italia ed è presente in modo chiaro e significativo nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, emanato dal vescovi italiani all’inizio del terzo millennio. Perché tanta lentezza, allora? Viene da chiedersi: “Siamo ancora lì?”. Nella stessa intervista, il cardinal Bassetti dichiarava: “Nella chiesa italiana si registra una certa lentezza nella ricezione del progetto di papa Francesco e si osservano tanto chiusure!”. Giudizio pacato, ma espresso con parresia e che significativamente trova concordi altre voci nella chiesa che leggono la situazione in modo analogo. C’è un libro intelligente, molto coraggioso del biblista di Firenze Giulio Cirignano, ci sono articoli di don Giuliano Zanchi, liturgista bergamasco, di don Marcello Neri e di altri che denunciano questa situazione: il canto del gallo risuona, ma si continua a dormire. Cerchiamo di capire il perché.

Innanzitutto occorre rilevare che abbiamo alle spalle, dopo la primavera di Giovanni XXIII, del concilio e di Paolo VI, decenni in cui la chiesa italiana ha cercato sì di attuare il concilio, però non solo assecondandone un’interpretazione restrittiva, ma dimenticando l’evento concilio e lo spirito che lo animava. Per questo è stata una chiesa più impegnata ad autoconservarsi che non una chiesa estroversa, una chiesa autoreferenziale e non una in confronto fiducioso con l’umanità, una chiesa che ha tentato di far rivivere – fino a illudersi di esservi riuscita– una nuova forma di cristianità, giungendo persino negli anni attorno al 2000 a un’alleanza con il potere politico: una chiesa tentata di stemperare il cristianesimo in “religione civile”.

Don Giulio Cirignano così riassume: “Questi cinquant’anni dal concilio sono stati vissuti in Italia quasi come una mesta elaborazione del lutto”. Dal canto suo l’attuale presidente della CEI afferma che “il peccato originale è stato la poca ricezione del concilio Vaticano II nella chiesa italiana”. Così – mi sento di doverlo dire perché conosco bene e ascolto numerosi vescovi – l’episcopato italiano nella sua grande maggioranza non è ostile al papa, non lo contesterà mai, ma resta con un’altra sensibilità che gli impedisce un’obbedienza entusiasta alle sue richieste.

Tra i nuovi vescovi scelti da papa Francesco, ce ne sono alcuni che hanno inaugurato uno stile nuovo, ispirato sì dal papa, ma prima ancora dal Vangelo; tuttavia essi non sono in numero sufficiente per dare un nuovo volto all’insieme dell’episcopato italiano, anche perché continuano ad avvenire anche nomine di persone “in carriera” o impegnate soprattutto nell’attesa di una promozione. E il clero? In verità i preti sono affaticati, sempre meno numerosi e più anziani – almeno in Italia settentrionale e centrale – sovente in situazioni di povertà economica e umana: salvo alcuni, faticano ormai a entusiasmarsi per nuove forme di missione. Ecco perché è importante che ora con urgenza la chiesa italiana, a iniziare dai vescovi e dai presbiteri, assuma la responsabilità del mutamento che le è necessario per essere luce e sale in un mondo che è rimane sì indifferente al fatto religioso, ma che è anche sempre raggiungibile dal Vangelo, il quale, se ascoltato, provoca la fede.

Se si vogliono discernere e indicare le urgenze, bisogna riconoscere che sono molte, ma ve n’è una che non ho mai cessato di proclamare e che, significativamente, il presidente della CEI card. Bassetti ha evidenziato nella sua prolusione al consiglio permanente del 26 settembre scorso: l’urgenza che ogni parrocchia, comunità, chiesa locale, riconosca fattivamente la priorità, la centralità del Vangelo. Perché il Vangelo è Gesù Cristo e Gesù Cristo è il Vangelo. È il Vangelo che deve plasmare la vita del cristiano, è la vita umana di Gesù che deve ispirare la vita quotidiana del cristiano. Questo richiede che si viva un’assiduità personale con la parola di Dio e che tutto l’operare della chiesa sia obbedienza piena al Vangelo. Nella Evangelii gaudium questa egemonia del Vangelo è positivamente ossessiva perché il papa crede fermamente che “il Vangelo è potenza di Dio” (Rm 1,16), è l’energia assolutamente necessaria all’operare dei cristiani.

Questa non è teoria, non sta nel mondo delle idee astratte, ma è la condizione necessaria perché si possa evangelizzare nella compagnia degli uomini. E qui mi permetto di notare che significativamente proprio con il magistero di papa Francesco si svelano i pensieri di molti cuori: quelli dei cristiani del Vangelo e quelli dei cristiani del campanile, che al Vangelo preferiscono la tradizione culturale, l’identità cattolica. Ecco perché papa Francesco, accolto dagli italiani con entusiasmo e applausi, comincia a subire anche diffidenze e rifi
uti: perché “riguardo alla misericordia esagera”, perché “con questa accoglienza dei migranti esagera”, perché “con lui non si capisce più chi è fuori e chi è dentro la chiesa”. Parole che manifestano come la mente che le partorisce sia lontana dall’annuncio del Vangelo.

Da parte mia, mi sento di poter dire: “Finalmente assistiamo a una apocalisse!”, a un alzare il velo sulla realtà di molti che si sono sempre vantati di essere cristiani ed erano abituati ad affermarlo “contro” gli altri. Se il Vangelo torna a essere l’ispiratore della vita, allora le altre urgenze – quella di una chiesa sinodale, quella di una chiesa che includa i poveri, quella di una chiesa aperta a tutti, anche ai peccatori – saranno tenute in conto e realizzate. Allora la chiesa sarà missionaria o, meglio, ogni battezzato sarà evangelizzatore, capace di farsi ascoltare perché a propria volta esercitato all’ascolto del Vangelo e all’ascolto degli altri. Il mio vecchio e sapiente parroco, quando ancora si pregava in latino, al canto delle Lamentazioni in Settimana santa “Ierusalem, Ierusalem, convertere ad Dominum Deum tuum”, spiegava in italiano: “È l’invito rivolto alla chiesa, chiamata Gerusalemme: Chiesa di Dio, chiesa di Dio, convertiti al Signore tuo Dio!”.
L'urgenza di una vera conversione




Luciano Manicardi La vita interiore: è ancora possibile oggi?


domenica 17 dicembre 2017

✨Le Feste ...son Finite❗️🎄

costanzamiriano.com


di Mario Barbieri

Già, pare proprio delle Feste a questo mondo interessi sempre meno… e non solo per le Festività religiose (leggasi Cristiane), alcune già sparite dai calendari, ma anche della “semplice” Domenica, tempo di riposo per tutti, credenti e non credenti.

Non so se sia stata solo la notizia che riguarda il centro commerciale Oriocenter (uno dei più grandi d’Italia) che intende restare aperto nei giorni di Natale e Santo Stefano a innescare la polemica e le proposte di impedire per legge queste aperture o questa sia solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso ormai colmo per alcuni, decisamente neppure mezzo pieno per altri, ma di fatto, se ne parla in questi giorni e persino il Santo padre ha sentito la necessità di intervenire su un argomento che non riguarda solo il Natale – che diventa la punta dell’iceberg – ma più in generale, la Domenica.

Ha detto cose che certo non sono una novità per chi si dice Cristiano e Cattolico, ma che sarebbe bene ripassare un attimo, ma è davvero una visione molto miope quella di chi – e sono tanti – vorrebbe ridurre la questione ad un problema puramente fideistico.

Veramente il riposo domenicale interessa solo la popolazione “credente”? Andate a chiederlo a tutte le mamme-commesse dei vari centri commerciali d’Italia, che già sfruttano l’apertura domenicale, o anche ai papà-commessi o magazzinieri o quel che volete… Davvero è la stessa cosa avere un diverso giorno di riposo disseminato lungo la settimana, quando poi spessissimo si è in due a lavorare? E non è nemmeno detto che la cosa interessi solo le coppie con figli.

Che bello poi il giorno di Natale in Famiglia, nel quale il papà o la mamma escono presto per tornare magari a sera o quando finisce il turno, né più né meno come tutti gli altri giorni! Davvero fantastico… (tanto ci sono sempre i nonni – babysitter credo si farà fatica).

Il Natale Cristiano, ha (checché se ne dica) beneficato il giorno di Natale di tutti, anche quelli che aspettano solo “Babbo Natale”. Quel romantico e fantastico, seppur favolistico talvolta, “spirito del Natale” che ha irrorato tanti racconti, novelle, ma anche episodi storici (persino in tempo di guerra – Tregua di Natale del 1914 nelle trincee di Ypres, tra Francia e Germania) e la vita di tanti singoli, grandi e piccini.

Tristissimi a mio giudizio coloro che contrappongono il lavoro di altri che da sempre la Domenica e a turno anche nei giorni di Natale, devono lavorare: medici; poliziotti; addetti ai servizi pubblici; tanti altri ancora.
Che senso ha contrapporre costoro che fanno un impagabile servizio alla Comunità, a coloro che sono costretti a lavorare per il profitto altrui? La differenza è tutta lì, servizio o profitto…

Che senso ha, affermando che chi fa un servizio avrebbe uguale diritto, togliere il diritto a tutti gli altri lavoratori? Livellare tutto verso il basso, verso un appiattimento dei “giorni tutti uguali”?
Ci sono poi quelli che portano il loro esempio di “liberi professionisti” che “sempre lavorano”, senza sosta… non è forse una loro libera scelta? Non mi si dica che il loro lavoro andrebbe a rotoli se si fermassero  un sol giorno (il Cristiano poi, libero professionista, dovrebbe sapere cosa scegliere…).

Ma, ragazzi non scherziamo, l’indotto dei giorni di Festa – mettendo dentro tutti i giorni, come se tutti fossero Natale – genera miliardi di euro! Mica pizza e fichi…
Ah, eccolo qui il bandolo della matassa: “non potete festeggiare due padroni. O festeggerete l’Uno o festeggerete l’altro”.

Ad ogni modo tutta questa diatriba, che pare chiudere del tutto gli occhi sull’importanza per CHIUNQUE di avere almeno un giorno di festa che possa essere condiviso dai più e soprattutto, dalla propria Famiglia riunita, per stare assieme, riposarsi, divertirsi, anche solo fare colazione, pranzo o cena tutti assieme, puzza tanto di un’unica espressa o inespressa, avvertita o inavvertita, necessità, volontà, di cancellare un altro dei pezzi che riportano alla vita sociale e spirituale della Cristianità e della Famiglia (e Famiglia non solo Cristiana).

Perché anche il riposo Domenicale, per alcuni è solo un “precetto”, un vetusto uso di odore clericale e se si può cancellarlo, assieme a tutti gli altri segni e simboli di un vivere anche solo lontanamente “religioso”, chissenefrega se ci si dà la zappa sui piedi! Loro tirano dritti per la loro strada!
Però mi raccomando, ai lavoratori va riconosciuto lo straordinario festivo… IPOCRITI! Se la Domenica è un giorno come gli altri, perché la retribuzione festiva? Non si ci riposa un altro giorno?

Poi per onestà intellettuale, bisognerebbe affrontare anche un altro problema, perché finché i singoli o le intere famiglie, per passare meglio il loro giorno di riposo, si riversano nei centri commerciali, magari senza comprare quasi nulla, ma tanto per “fare un giro” o per fare la spesa settimanale con la tuta addosso e un po’ più di calma, senza minimamente pensare al riposo che rubano a coloro che in questi negozi lavorano, si andrà poco lontano.
Una famiglia che si dice Cristiana più di un’altra, dovrebbe fermarsi un attimo a riflettere se questa scelta sia così innocua, se rispetta l’altro e la sua possibilità e giusto diritto al Riposo.


Buone Feste

http://costanzamiriano.com/2017/12/17/le-feste-son-finite/

sabato 16 dicembre 2017

Perdonare non significa ignorare ciò che è stato fatto contro di noi. Significa piuttosto che quella cattiveria cessa di essere un ostacolo ai rapporti.

Perdono

È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.

Mi piace la definizione di oggi: Gesù, il mangione e beone! Davvero Gesù non si è perso una cena, un pranzo, un invito: un giorno mi metto a contare quante volte nei vangeli lo vediamo con le gambe sotto il tavolo! 

Anche noi ieri sera a Bergamo abbiamo fatto l’incontro nel refettorio dei frati, per stare un po’ più al caldo, per ‘nutrire’ il cuore e la mente, per ricordare che Betlemme è ‘la casa del pane’. E’ stato bello sentire passare questa famigliarità tra noi e con Dio, e l’abbraccio finale ha colmato una serata nutriente.

L’altra definizione di Gesù mi piace ancor più: ‘amico dei peccatori’. Ecco forse la descrizione più preziosa di oggi e…di sempre. Mi piacerebbe che fuori dai confessionali ci mettessimo sta scritta sopra, ben in vista: “amico dei peccatori”!

Io, al mio amico, perdono tutto, seppur non condivida sempre le stesse idee, le stesse modalità, a volte anche i principi. Perdonare significa sospendere il giudizio, stimare la libertà reciproca sopra ogni altra cosa.

Martin Luther King ha una bellissima definizione:

Perdonare non significa ignorare ciò che è stato fatto contro di noi. Significa piuttosto che quella cattiveria cessa di essere un ostacolo ai rapporti.

In fondo, si perdona tanto quanto si ama.

Fra Giorgio B. 

https://youtu.be/x6uknPpCbBE

venerdì 15 dicembre 2017

Parola di Uomo UOMINI SI DIVENTA Farsi uomo è tutto un programma

NOI PENSIAMO CHE SI NASCA UOMINI, INVECE UOMINI SI DIVENTA…

«Noi pensiamo che si nasca uomini, invece uomini si diventa. Farsi uomo è tutto un programma che va svolto con pazienza. Che richiede i suoi tempi. Che non può essere bruciato con riassunti superficiali, o abbreviato con scorciatoie di comodo».

Don Tonino Bello

Parola di Uomo

UOMINI SI DIVENTA

Farsi uomo è tutto un programma

don Tonino, Vescovo

>>> www.dontoninovescovo.it

SEMPLICEMENTE VIVERE (don Luigi Verdi)

SEMPLICEMENTE VIVERE

Sul sito www.eremodironzano.it c’è la registrazione della veglia di don Gigi Verdi di Romena a Bologna il 13 dicembre

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VEGLIA PER FIRENZE:  Venerdì 15 Dicembre 2017

a BAGNO A RIPOLI 

nella Chiesa della Pentecoste, Via delle Arti – ore 21,00

Trascorso l’anno speciale dei 25 anni di Romena scandito dalle 8 tappe della Via della Resurrezione ritornano le veglie-incontri di don Luigi in tantissime città italiane (guarda tutto il calendario). Il tema degli incontri sarà “Semplicemente Vivere”.

SEMPLICEMENTE Vivere