Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 31 agosto 2015

Gesù è il Profeta che fa di ogni "oggi" il compimento dell'amore del Padre





αποφθεγμα Apoftegma



Il punto di partenza è l'esperienza della fede come realtà.
Il cristianesimo è presenza, il qui ed ora del Signore,
che ci sospinge nel qui ed ora della fede e della vita di fede.
E così diventa chiara la vera alternativa:
il cristianesimo non è teoria, né moralismo, né ritualismo,
bensì avvenimento, incontro con una presenza,
con un Dio che è entrato nella storia e che continuamente vi entra.
Il cristianesimo è avvenimento;
il cristianesimo è incontro con la persona di Gesù Cristo.

Card. Joseph Ratzinger





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 4,16-30.
In quel tempo, Gesù si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere.
Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi,
e predicare un anno di grazia del Signore.
Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui.
Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi».
Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?».
Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!».
Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio.
Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.


Gesù è il Profeta che fa di ogni "oggi" il compimento dell'amore del Padre



Anche oggi, in questo lunedì che segna per molti il ritorno al lavoro dopo le vacanze estive, "secondo il suo solito" Gesù si reca alla sinagoga – immagine della tua vita - come duemila anni fa a Nazaret; ma, come fu quel giorno, oggi è diverso dal solito. Vi è un momento, infatti, in cui la stessa routine accoglie una novità imprevista che la trasforma in uno scrigno colmo di Grazie inaspettate. Perché l'istante nel quale risuona l'annuncio del Vangelo trasforma quel giorno nel Sabato delle nozze, giorno di festa e felicità. Che meraviglia, mentre il mondo sfila triste verso i posti di lavoro quasi fosse deportato in un campo di sterminio, per noi oggi è il giorno più bello che ci sia, l'"oggi" che inaugura “l’anno di Grazia del Signore”, il Giubileo nel quale sperimentare il compimento dell'amore del Padre che Gesù depone nelle nostre ore. Allora, tornare al lavoro non è una condanna a morte... Come non lo è il ritmo trafelato dei nostri giorni. Fatica certo, e debolezze e peccati, che però non sono che la buccia del frutto delizioso che è quest'oggi nel quale il Signore viene a dare compimento al nostro desiderio di essere amati e di amare. Oggi, infatti, con il suo annuncio, ci prende così come siamo, “poveri, ciechi, prigionieri e oppressi” per liberarci e farci cittadini del Cielo. Viene attraverso la Chiesa, con la Parola e i sacramenti, per farci suoi "compatrioti". La vera Patria di Gesù, infatti, non è la Nazaret geografica e i "suoi" non sono quelli che vi sono nati: loro lo hanno rifiutato, come accade a noi quando ascoltiamo le menzogne con cui il demonio ci convince che nessun medico può guarirci. La Patria di Gesù è la Croce dischiusa sulla resurrezione, e i suoi compatrioti sono i peccatori che accolgono il suo amore. Per loro si è fatto peccato, con loro ha condiviso il destino di morte per trasformarlo in pienezza di vita. E' il mistero celato in Gesù di Nazaret, il Messia sofferente, il Servo di Yahwè che ci visita nella carne di chi ci è accanto, negli eventi tristi e difficili che ci attendono. Ecco perché due pagani, la vedova di Zarepta e Naaman il Siro, hanno riconosciuto e accolto Dio nei suoi profeti; l'indigenza e l’umiliazione, infatti, ne avevano purificato il cuore. Fratelli, oggi potrà vedere e accogliere il Signore che si fa carne nella storia solo chi ha gli occhi purificati nel crogiuolo dell’umiliazione. Coraggio allora, perché proprio per il nostro cuore "vedovo e lebbroso" a causa dei peccati è preparato quest'oggi nel quale distogliere lo sguardo da noi stessi per ascoltare Gesù e fissare gli occhi su di Lui che ci accoglie nella sua intimità, un frammento di Paradiso da vivere in ogni oggi che ci è dato sulla terra.

QUI IL COMMENTO COMPLETO E MOLTI APPROFONDIMENTI

domenica 30 agosto 2015

Domenica 30 agosto 2015

Fraternità di Romena Onlus   Romena.it
 

«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Gesù rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra,  ma il suo cuore è lontano da me”... ».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
da Mc 7, 1-8. 14-15. 21-23

Il brano del vangelo di Marco è indubbiamente una delle pagine più aspre del vangelo: Gesù veniva da villaggi, città e campagne dove il suo era stato un bagno nell'umanità dolente. «Dovunque giungeva ponevano malati nelle piazze e lo pregavano almeno di potergli toccare la frangia del mantello e quanti lo toccavano erano salvi» (Mc 6, 56).
Queste sono le immagini che si portava negli occhi Gesù. E che cosa trova? Gente che fa discussione sui suoi discepoli che prendevano cibo con mani non lavate!
Ma cos'erano tutte queste prescrizioni? Seicentotredici precetti. Le intenzioni spesso all'inizio sono buone. Il desiderio era di mettere come una siepe intorno alla legge di Dio, per proteggerla. Ma la siepe si era fatta così rigogliosa da soffocare il cuore della legge di Dio. 
Una siepe ha coperto e soffocato ciò che intendeva proteggere.
È necessario ritornare al cuore del vangelo. Come a dire che il cuore non sia soffocato dalla siepe. È «come sei nel cuore», diceva Gesù, ciò che conta.
Angelo Casati

Kairos: KIKO ARGUELLO. UN CAMMINO DI FEDE (ESP.)

UN CAMMINO DI FEDE (ESP.)


sabato 29 agosto 2015

Commento al Vangelo della Domenica.

Originally posted on

 COMBONIANUM – Formazione Permanente:

XXII Domenica del Tempo Ordinario (B), 
Marco 7:1-8.14-15.21-23

Che cosa è impuro

Che cosa è impuro?
Enzo Bianchi

Dopo i brani tratti dal capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni, la catechesi su Gesù quale “parola e pane della vita”, ritorniamo alla lettura cursiva del vangelo secondo Marco. Lo avevamo lasciato con il racconto della prima moltiplicazione dei pani (cf. Mc 6,30-44), lo ritroviamo con la lettura di alcuni estratti del capitolo settimo, che raccoglie parole di Gesù eco di controversie con i farisei e gli scribi.
Si tratta di parole certamente tramandate e attualizzate dalle chiese, ma che restano sempre Vangelo di Gesù Cristo e nient’altro. Tuttavia, va confessato che di fronte a queste parole, che appaiono una rottura con il giudaismo, i commentatori si dividono tra quanti le interpretano come discorsi partoriti dalla chiesa della fine del primo secolo in polemica contro i farisei, il giudaismo più presente e “combattivo”, e quanti invece insistono sulla rottura radicale, sul misconoscimento da parte di Gesù della Legge che lo precedeva. Non è facile fare discernimento in questa lettura, ma tentiamo tale operazione cercando di non essere debitori verso ideologie giudaizzanti né, d’altra parte, marcionite.
Cosa vuol dire Gesù? Di fronte a “farisei e scribi venuti da Gerusalemme”, dunque ad autorità ufficiali del giudaismo, egli entra in polemica, arriva ad attaccarli direttamente, perché giudica il loro sguardo, il loro spiare lui e i suoi discepoli come comportamento non conforme alla volontà di Dio. I discepoli di Gesù, infatti, vanno a tavola senza prima aver fatto l’abluzione rituale delle mani, comando che nella Torah e è rivolto solo ai sacerdoti che devono fare l’offerta, il sacrificio (cf. Es 30,17-21). Al tempo di Gesù vi erano movimenti che radicalizzavano la Legge, gruppi intransigenti e integralisti che chiedevano ai loro membri di comportarsi come i sacerdoti officianti al tempio, che moltiplicavano e radicalizzavano le prescrizioni della Legge, con una particolare ossessione per il tema della purità. Tra questi vi erano gli chaverim (compagni, amici) e iperushim (separati, farisei) – da alcuni identificati come un unico movimento –, la cui minuziosa legislazione casistica porterà alla formazione della Mishnah.
Gesù lasciava liberi i suoi discepoli da queste osservanze che non erano state richieste da Dio, ma dagli interpreti della parola di Dio, diventando “tradizioni”; e quando gli uomini producono tradizioni vogliono che queste siano “la tradizione”, e perciò le danno la stessa autorità attribuita alla parola di Dio. Ciò avveniva allora, così come avviene oggi nelle chiese! I vangeli ci testimoniano che su tanti temi Gesù si è espresso contestando queste tradizioni che alienano i credenti, non sono a loro servizio, ma creano una mancanza di libertà e sovente finiscono per erigere barriere, per tracciare confini e frontiere tra gli esseri umani. Quanto al caso di cui si tratta in questa pagina, occorre riconoscere che la tavola, da luogo di condivisione, di comunicazione, di esercizio dell’amore, di alleanza, nel giudaismo era progressivamente diventata un luogo di divisione e di scomunica dell’altro: lo straniero pagano, il peccatore, l’impuro non potevano prendervi parte insieme al pio giudeo. Così l’impurità dei cibi vietati a Israele rendeva impossibile agli ebrei stare a tavola insieme a chi apparteneva alle genti pagane, perché ogni non ebreo era ritenuto koinós, profano, e akáthartos, impuro (cf. At 10,28).
Ma per Gesù queste distinzioni non sussistono, e chi le fa non ha conosciuto il pensiero del Signore. Per questo, di fronte al rimprovero rivolto dai farisei ai suoi discepoli, Gesù risponde attaccandoli con la parola stessa di Dio contenuta nei profeti: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi adorano, insegnando dottrine che sono solo precetti umani” (Is 29,13). Gesù è venuto per liberare da quella religione che è fabbrica di immagini di Dio e di suoi precetti che gli esseri umani di ogni cultura si sono dati. E si faccia attenzione: Gesù non vuole contraddire la Legge né la tradizione, ma sa sempre risalire all’intenzione del Legislatore, Dio, come facevano i profeti, affinché la Legge sia accolta nel cuore, con libertà e amore. Gesù accoglie le parole dell’alleanza di Dio con Mosè, ma non accoglie senza operare un discernimento i 613 precetti della tradizione, anche perché sa bene che, se si moltiplicano i precetti, si accrescono anche le possibilità di non osservarli, dunque si moltiplicano le occasioni di ipocrisia. E poi “la parola del Signore rimane in eterno” (Is 40,8; 1Pt 1,24), mentre la tradizione evolve con i mutamenti culturali, con le generazioni e, anche se carica di venerabilità a causa della sua antichità, resta umana, involucro e rivestimento della parola del Signore. È a tutto ciò che Gesù fa riferimento quando afferma, rivolto ai suoi interlocutori: “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione umana”; e subito dopo, addirittura: “Annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi” (Mc 7,13).
Poi, rivolgendosi alla folla, spiega: “Ascoltatemi tutti e capite in profondità, riflettete, siate intelligenti! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. I discepoli, però, non capiscono, e allora Gesù, spazientito, deve dare loro ulteriori chiarimenti: “Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?”. In tal modo Gesù “dichiara puri tutti i cibi”, e poco importa se tale precisazione sia uscita letteralmente dalla sua bocca o sia stata generata dalla chiesa a partire dal suo insegnamento… Infine, Gesù conclude con parole che dovrebbero chiarire la questione una volta per tutte: “Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”.
Occorre notare che i peccati enumerati sono tutti contro l’amore, contro il prossimo, perché il peccato si ha solo nei rapporti tra ciascuno di noi e gli altri; non a caso, Gesù ha detto che saremo giudicati solo sull’amore verso gli altri (cf. Mt 25,31-46), sul cuore e sulla sua capacità di relazione, misericordia, purezza, fedeltà. Sì, il male, l’impurità, sta dove manca l’amore e non in altri luoghi in cui gli uomini religiosi vorrebbero trovarlo per mantenere in vita la loro costruzione. Il male, l’impurità, non sta nelle cose, ma è in noi, nella nostra scelta tra l’amore e l’odio, tra il riconoscere l’altro e l’affermare solo noi stessi, tra la nostra volontà di comunione e la nostra voglia di separazione.
Non dimentichiamo, dunque, che possiamo sedere alla tavola dei peccatori, perché Gesù si è seduto alla tavola in cui erano commensali i peccatori, fino a essere definito “un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori” (Mt 11,19; Lc 7,34). Non dimentichiamo che per tutti gli uomini e le donne la tavola è un luogo di comunione, di raduno, di faccia a faccia, di relazione, di celebrazione dell’amicizia, dell’amore e dell’affetto. Perciò non possiamo escludere nessuno dalla tavola: se lo faremo, saremo esclusi noi dalla tavola del Regno! Quanto poi alla tavola eucaristica, non ne è escluso chi è peccatore, si ritiene tale e porge la mano come un mendicante verso il corpo del Signore, mentre ne dovrebbe essere escluso chi non sa discernere il corpo di Cristo (cf. 1Cor 11,29) nel fratello e nella sorella, nel povero, nel peccatore, nell’ultimo, nel senza dignità. Purtroppo, però, è più facile fare l’abluzione delle mani durante la liturgia eucaristica, ripetendo un versetto di un salmo, che non riconoscere il proprio peccato e dire al Signore: “Io non sono degno, ma tu per misericordia entra nella mia casa!”.

Quel rischio di una fede dal 
«cuore lontano» piegata all’esteriorità. Ermes Ronchi

Gesù viveva le situazioni di frontiera della vita, incontrava le persone là dov’erano e attraversava con loro i territori della malattia e della sofferenza: dove giungeva, in villaggi o città o campagne, gli portavano i malati e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello. E quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,56). Da qui veniva Gesù, portando negli occhi il dolore dei corpi e delle anime, e insieme l’esultanza incontenibile dei guariti.
Ora farisei e scribi lo provocano su delle piccolezze: mani lavate o no, questioni di stoviglie e di oggetti! Si capisce come la replica di Gesù sia decisa e insieme piena di sofferenza: Ipocriti! Voi avete il cuore lontano! Lontano da Dio e dall’uomo. Il grande pericolo, per i credenti di ogni tempo, è di vivere una religione dal «cuore lontano», fatta di pratiche esteriori, di formule recitate solo con le labbra; di compiacersi dell’incenso, della musica, della bellezza delle liturgie, ma non soccorrere gli orfani e le vedove (Giacomo 1,27, II lettura).
Il pericolo del cuore di pietra, indurito, del «cuore lontano» da Dio e dai poveri è quello che Gesù più teme. «Il vero peccato per Gesù è innanzitutto il rifiuto di partecipare al dolore dell’altro» (J. B. Metz), e l’ipocrisia di un rapporto solo esteriore con Dio. Lui propone il ritorno al cuore, per una religione dell’interiorità. Non c’è nulla fuori dall’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro, sono invece le cose che escono dal cuore dell’uomo… Gesù scardina ogni pregiudizio circa il puro e l’impuro, quei pregiudizi così duri a morire. Ogni cosa è pura: il cielo, la terra, ogni cibo, il corpo dell’uomo e della donna. Come è scritto: «Dio vide e tutto era cosa buona».
Gesù benedice di nuovo le cose, compresa la sessualità umana, che noi associamo subito al concetto di purezza e impurità, e attribuisce al cuore, e solo al cuore, la possibilità di rendere pure o impure le cose, di sporcarle o di illuminarle. Il messaggio festoso di Gesù, così attuale, è che il mondo è buono, che le cose tutte sono buone, che sei libero da tutto ciò che è apparenza. Che devi custodire invece con ogni cura il tuo cuore perché è la fonte della vita. Via le sovrastrutture, i formalismi vuoti, tutto ciò che è cascame culturale, che lui chiama «tradizione di uomini». Libero e nuovo ritorni il Vangelo, liberante e rinnovatore.
Che respiro di libertà con Gesù! Apri il Vangelo ed è come una boccata d’aria fresca dentro l’afa pesante dei soliti, ovvii discorsi. Scorri il Vangelo e ti sfiora il tocco di una perenne freschezza, un vento creatore che ti rigenera, perché sei arrivato, sei ritornato al cuore felice della vita. (Letture: Deuteronòmio 4, 1-2. 6-8; Salmo 14; Giacomo 1, 17-18. 21b-22.27; Marco 7,1-8.14-15.21-23). 
Alle radici delle leggi di impurità.  
Don Antonio Savone.

Ogni cultura indica al proprio interno situazioni, atteggiamenti, persone impuri. C’è un confine che separa da queste zone, un confine che non va mai varcato se ci si vuole mantenere puri, capaci di incontro con gli altri e perciò anche con Dio.
Ovviamente, all’opposto delle zone di impurità si collocano le zone sacre, che sono dei territori selettivi, dove entra solo chi è massimamente puro o purificato, perciò abilitato all’incontro con Dio.
Ne deriva che la vita sociale è come correlata da un duplice confine che ci si deve guardare dall’oltrepassare, così come stabilisce il volere divino nella legge religiosa di ogni popolo: da una parte ciò da cui bisogna stare lontani, dall’altra ciò in cui solo a pochi è concesso di entrare. Quanto più ci si allontana dall’impurità tanto più si può sperare di avere accesso al sacro. Questi due confini determinano poi due categorie di persone: da una parte i reprobi, coloro che hanno infranto la legge del gruppo, dall’altra i santi, persone considerate senza ombra e senza macchia, persone che in qualche modo sono riuscite a trascendere la propria umanità.
Chi è che stabilisce questi confini e queste distinzioni? E’ la legge, che di volta in volta mette in guardia: attenzione, ecco il pericolo. La legge chiede di rapportarsi all’impurità come a un contagio da evitare: chi tocca, muore.
E l’impuro è di volta in volta il lebbroso, un cadavere, una professione, una categoria di persone, lo straniero di pelle o di religione.
Osservando da vicino quello che noi classifichiamo come impuro, ci si accorge che esso è tutto ciò che non si capisce e fa paura, ciò che potrebbe mettere in pericolo, quello che disturba o altera gli equilibri sociali, ciò che ricorda la minaccia della morte.
Le leggi dell’impurità sono i confini posti per tenere a bada la paura: i divieti sono le fortificazioni del gruppo che si difende dalle minacce di ogni possibile contatto con la morte. Ed è la paura quindi che genera la legge che fa allontanare dall’impurità.
Ecco perciò il sacro, l’altra paura: la paura del troppo grande, dello sconosciuto, del troppo puro dove non si vuole entrare per timore di essere trovati imperfetti, sporchi. L’incontro con Dio, pur così desiderato, è allontanato e recintato: noi dubitiamo di noi stessi e perciò riteniamo che Dio non ci possa approvare.
E’ così che si costruiscono i gruppi umani: ci si cautela contro il rischio della morte ma si allontana anche il divino, accontentandosi di inviare in esso come ambasciatore solo un rappresentante debitamente purificato. Noi che siamo gente comune, senza infamia e senza lode, finiamo così per ritagliarci una zona neutra, protetta, lontana dalla morte e lontana da Dio.
Ma la parola e la persona di Gesù vengono a dirci qualcosa di nuovo in merito. Gesù varca continuamente i confini dell’impurità: tocca i morti, parla con i lebbrosi, con le donne, sta a tavola con pubblicani e prostitute e, nello stesso tempo, si presenta come“colui che è Dio”. Si presenta come un destabilizzatore della nostra geografia sociale e religiosa. Non ha paura della morte né del faccia a faccia con Dio.
Entra nelle zone proibite dell’umanità perché non ha paura di esse e non ha paura perché le guarda in faccia, le accoglie e le perdona. Non teme di esserne contagiato perché è libero, vale a dire che la sua vita e il suo cuore cercano sempre e soltanto ciò che piace al Padre. Ecco perché oggi ci chiede di gettar via la maschera dicendoci che alle radici delle nostre leggi di purità e di impurità non c’è Dio: ci siamo noi. Noi non vogliamo morire e rifiutiamo tutto ciò che ci parla di morte o ci fa avvicinare ad essa. Questa separazione tra puro e impuro è una “tradizione di uomini”, di uomini che hanno paura e sono perciò alle prese con i confini di una vita rassicurante.
Non è un caso che la nostra cultura rimuova continuamente la morte e i suoi segni. E’ come se volessimo nascondere tutto ciò che ricorda una sorta di unica certezza della vita, che cioè si deve morire. E perciò giochiamo a fare gli dèi immortali. E quindi la lista delle nuove impurità si allunga: via dai nostri ambienti le categorie di persone che hanno il torto di essere diverse, o deboli o riprovevoli, via le prostitute, via gli zingari, via i barboni.
Oggi Gesù ci guarda in faccia e ci chiede di ridare il nome giusto alle cose: la paura ci governa e perciò costruiamo regole per salvarci attribuendole alla volontà di Dio. Mentre, sembra dire Gesù, l’unico dato che ci dà accesso a Dio è proprio il non rimuovere la coscienza della nostra debolezza. Questo Dio che in Gesù entra nella nostra umanità ferita, vulnerabile, debole, indica “nel peccato l’uomo da trovare, nella morte la vita da accogliere, nell’impuro il prossimo da recuperare”.

FERRAGOSTO... non solo. Tempo di vacanza!

PERSONA E COMUNITA'.

Itinerari francescani... e non solo. Tempo di vacanza.


 Una figura che affascina ancora...
(San Francesco 
nell'illustrazione di Urša Skoberne)
Una volta san Francesco, sul fare della notte, giunse a casa di un signore ricco e potente che lo accolse con amicizia e gli offrì del buon cibo. Francesco riconobbe in lui tanta cortesia e pensò: “Quest’uomo sarebbe adatto a venire con noi, perché grato a Dio e amorevole verso i poveri. Pregherò il Signore che gli metta nell’animo questo desiderio”. Il Santo, dopo alcuni giorni, tornò nei pressi  di quella casa e si mise a pregare. Quel gentiluomo, vedendolo pregare così intensamente, uscì dal palazzo, si inginocchiò ai suoi piedi e gli chiese di accoglierlo fra i suoi compagni. Francesco lo abbracciò pieno di gioia e lodò Dio per aver avuto in dono un altro fratello” (Sr. Ch. Amata / E. Giovannini, Un giardino pieno di fiori - i “fioretti” di san Francesco raccontati ai bambini”, EP, pp. 32-33).
... tema dell'arte e della poesia... 
(Andrea Berretta, intarsio in legno, 
copia di Giotto, 
Il miracolo della fonte).
Umbria: regione che abbiamo scelto quest’anno come meta delle nostre vacanze, ripercorrendo, con qualche incursione nel Lazio e Toscana, luoghi ed itinerari non solo francescani, noti, ma rivisitati con antiche speranze e  nuove consapevolezze.

Eccomi...
(telefonando ... 
sullo sfondo il paesaggio umbro 
dal vialetto di San Damiano)
... con mia moglie... 
(sullo sfondo Assisi)
Vacanza! Distenderci, riposarci dalle fatiche lavorative (specie per mia moglie), liberare la mente ed il cuore dalle incombenze ed urgenze quotidiane che rischiano di distrarci dall'essenziale,  godere degli aspetti più gioiosi della vita,  meravigliarci della bellezza che la terra offre, vivere intensamente gli incontri programmati ed inaspettati che il caso o, forse, la Provvidenza ci assegna, non distogliere gli occhi dai volti che incrociamo, soprattutto quelli segnati dal gravame del dolore e dall’amarezza della solitudine,  seguire sempre i desideri del cuore e lo stupore degli occhi.

... aperti all'incontro ... 
(Andrea Berretta, 
Le mani dell'uomo)
E così, seduti sull’orlo del precipizio a  La Verna o semplicemente nel silenzio di san Damiano o dell’Eremo delle Carceri, emerge prepotente una sorta di beatitudine che s’accompagna all’insopprimibile desiderio di amare e di essere amati di un amore più forte della morte, al bisogno di infinito e di salvezza totale.

... presso la comunità di Bose... 
(Assisi, San Masseo)
Oppure, mentre ascolti don Luigi nella pieve di Romena, comprendi il non senso del  fuggire al dolore e che, proprio perché immersi nella sofferenza,  possiamo crescere e renderci liberi e  reclamare un’esistenza pienamente nostra,  oltre le catene che, dentro e fuori di noi, ci lacerano e ci condizionano.

... di fronte alla sofferenza...
(Andrea Berretta, intarsio su legno, 
copia di Dalí, Crocifissione)
Alla Badia Fiorentina (fraternità di Gerusalemme), a Cellole di s. Gimignano ed a S. Masseo (comunità di Bose), in tutte le basiliche  di Assisi, nei luoghi francescani della provincia reatina, a san Damiano ed alla pieve di Romena, riempiamo le nostre vite di paesaggi che levano il respiro, di opere d’arte sublimi,  di  luoghi di preghiera e di meditazione: respiro della trascendenza, implorazione del finito,  stupore del canto dei monaci, contemplazione, adorazione, benedizione, ringraziamento.. E soprattutto agape…

... grati di tanta bellezza... 
(Assisi, Eremo delle Carceri, 
San Francesco contempla le stelle)
Nello splendore di Assisi -  o di Todi o del  monte La Verna o  di Camaldoli…-  ci arroventiamo sulle domande eterne, quelle ultime e penultime, quelle che scendono  al nocciolo, alla radice del nostro esistere. Insieme ci apriamo ad ogni possibile incontro, anche i più contraddittori, senza giudizi di condanna o di assoluzione, ben consapevoli delle nostre contraddizioni.

... consapevoli 
delle nostre contraddizioni... 
(Andrea Berretta, 
Cavallo bianco, gesso)
Il barista Dario - squisite le torte e le brioches preparate dalla moglie! -, sferzante contro chi uccide per puro sadismo gli animali e non ha rispetto per la natura; la sig.a Giulia, giovane guida del museo Horne di Firenze che accoglie ed accompagna tutti i visitatori, splendida nella sua discrezione e competenza; l’allegrezza delle  suore di Casa del Rosario; Andrea Berretta, con le sue sculture e tarsie esposte nella  sala del caminetto della Rocca paolina di Perugia, tanto paziente e modesto quanto bravo ed estroso artista; l’omelia di Michele sul pane” a s. Masseo; le suorine giovani e festanti che corrono a frotte per i vicoli di Assisi, ridendo e fotografandosi; gli scouts  dappertutto, in ogni angolo; il coraggio delle scelte di vita dei fraticelli e dei monaci - quanti giovanissimi! – a Cellole, S. Masseo, San Damiano; tantissimi giovani a dimostrare nelle chiese e nelle oasi di preghiera la forza di attrazione e l'incredibile presa che ancora oggi ha l’appello di Francesco; e Gigi a Romena…

...attratti dal fascino di quei luoghi...
(Assisi, Chiostro di San Damiano)
Di contro l’inverecondo commercio che troviamo dappertutto: Assisi, stupenda città infestata da negozi, bar, ristoranti, alberghi, chincaglierie di ogni genere  dove bisogna impuntarsi per farsi  rilasciare regolare ricevuta; Camaldoli, che la pubblicità esalta come sede della “vera autentica schiacciata” e l'importuna matrona che, visitando accanto a noi la cella di S. Romualdo, alla guida che ci accompagna confida la sua astuta comprensione della vita eremitica (“Bella vita, ci starei anch’io, pranzo sempre pronto e 30 mq di abitazione ciascuno…”); la proprietaria infelice di  un b&b deludente, che nulla mantiene di quanto pubblicizzato e promesso, tranne l’esoso prezzo.

...luoghi già visti eppure anche nuovi...
(Andrea Berretta, 
intarsio in legno, Assisi)
Eppure Assisi rimane unica  e non cessa di sorprenderti quella impalpabile ed indefinibile aura francescana appena varchi s. Chiara, le basiliche di Francesco e soprattutto S. Damiano, dove  comprendi che tutto il resto è “palea”….Come succede a Greccio, al Convento di Fonte Colombo, al convento della Foresta: volenti o nolenti, respiriamo un'irresistibile tensione di riconversione, in qualche modo sperimentiamo che la nostra speranza non è condannata al fallimento, anche se troppo ancora ci sfugge.

... tra cammino...  
(Perugia)
... e riposo ... 
(lungo le stradine inerpicate)
E non vi venga in mente  che abbiamo disdegnato luoghi di svago e di divertimento,  degustazioni di bevande e cibi (le delizie umbre…) ed altre ridenti amenità e gioiose attrattive della nostra bella vita terrena. Né sono mancate le code  in autostrada e le lunghe camminate nel saliscendi delle città e delle campagne. Ogni evento  e momento abbiamo voluto assaporarli come occasione per vivere intensamente, interrogare, interrogarci, dare senso al nostro nomadismo esistenziale.Su Romena ha detto tutto, quasi tutto, mia moglie nel post precedente; quel poco che resta fa parte dei nostri segreti.
... cercando di gustare ogni momento ... 
(Andrea Berretta, intarsio legno, 
copia di Matisse, La danza)
Infine siamo ritornati alle ingaune cure domestiche con nel cuore e nella mente i  variegati  volti della presenza e testimonianza cristiana nel mondo di oggi: francescani, comunità di Bose, fraternità di Gerusalemme, Camaldoli, Romena… Ognuno nel tempo di oggi impegnato a  vivere ed operare la fede secondo la propria spirituale libertà. Mysterium tremendum et fascinosum. E noi, non dico brancolanti  ma pellegrini e  nomadi  tra il fascino di Francesco, di Bose e di  Romena… 
... portandolo con noi 
(vicino a San Damiano).

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Il sogno di Romena.

PERSONA E COMUNITA'

martedì 11 agosto 2015



Il sogno di Romena. Incontro con don Luigi Verdi.

Riflessioni di Rossana Rolando.



Un incontro... 

(Romena, figura dell'abbraccio)
Tempore famis si legge nell’abaco del primo capitello a sinistra,
accanto alla data in caratteri romani, MCLII, 1152.
Tempore famis cioè tempo di fame, di carestia.
In un momento di grave disagio,
la popolazione offriva al divino
tutto il meglio della propria creatività
per far cessare le tribolazioni.
La crisi diventava così strumento di riscatto,
di valorizzazione delle proprie potenzialità”
(dal sito della fraternità di Romena,
http://www.romena.it/la-fraternita/la-pieve.html).



La pieve di San Pietro a Romena, 

Pratovecchio, Toscana
Arriviamo a Romena. E’ la prima volta. Una mattina di agosto. Il sole inonda l’abside della pieve preceduto dal bagliore dei girasoli. Entriamo. Musica appena sussurrata, bellezza spoglia ed essenziale del romanico.



Interno della pieve 

(immagine tratta dalla pagina facebook 

della Fraternità di Romena Onlus)
Fuori un gruppo scout, come i tanti incrociati nei giorni estivi della nostra vacanza. Intorno spazi armonici: stanze per la lettura, la preghiera, l’ascolto.



Dentro la pieve 

(immagine tratta dalla pagina facebook 

della Fraternità di Romena Onlus)
Non sappiamo niente di Romena. Scoperta per caso. Nella libreria della Fraternità Maria Luisa presenta il luogo e l’esperienza. Cita don Luigi Verdi, il fondatore. Veniamo a sapere che incontrerà il gruppo scout tra poco. Ci aggreghiamo.
Sono le undici. Arriva don Luigi, Gigi, come lo chiamano qui, jeans e maglietta, sigaro, aria dimessa e libera insieme. Si avvicina, bacio sulle guance, come se ci fossimo già visti. Subito calore intenso, gioia.
Don Luigi Verdi 

(immagine tratta dalla pagina facebook 

della Fraternità di Romena Onlus)
Nella pieve. Ci mettiamo intorno. Silenzio. Gigi introduce con alcune note, poi si siede sugli scalini accanto all’icona. Inizia a parlare.Circa un’ora. Capiamo dall’inizio che stiamo vivendo un incontro. Parole che fluiscono. Linguaggio colorito, freccia che raggiunge e penetra. Si rivolge ai giovani, dice di loro, degli adulti, di sé. Ci sentiamo afferrati. Parla di noi. Comunica. Tocca corde profonde. Sentimenti nascosti. Ferite antiche. Sentiamo lacrime calde scivolare. Commozione nei giovani volti vicino a noi. Ritorna la musica e il silenzio.



Spazi della Comunità 

(immagine tratta dal blog di Romena  

Prendi il largo)
Pensiamo.  Rimuginiamo le cose ascoltate: … essere soli,muti nel dolore, paralizzati dalla paura, incapaci di far fatica …; la notte e la crisi trasformate in luce e forza …; le mani di Gigi tante volte operate e divenute la sua parte migliore …; Isacco, la costola di Adamo, la lotta con Dio, gli idoli …; Nietzsche, De André, Van Gogh …; il mandorlo, il padre, il sogno di Romena…; e tanti efficacissimi rincoglionitobischeratava a cagare…

 
Altare della pieve 

(immagine tratta dalla pagina facebook 

della Fraternità di Romena Onlus)
Ce ne andiamo e torniamo nel tardo pomeriggio. Gigi è seduto con suoi amici. Scambiamo qualche parola. Ridiamo. Sincerità sferzante, senza veli. Aspettiamo la lode della sera. Piccola comunità di laici in preghiera. Nessuna regola. Libertà. E’ la Romena dei giorni feriali. Ci sentiamo accolti dentro. Francesca inserisce C’è tempodi Ivano Fossati. Chi vuole esprime il suo pensiero e la sua preghiera. Io provo a dire il senso del nostro ringraziamento.
Ce ne riandiamo. Sappiamo che non ci dimenticheremo. Torneremo.



Immagine tratta dal sito 

della Fraternità di Romena.
Si consiglia di mettere in pausa
 la musica del blog prima di avviare il video.



                        





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Pratovecchio Fratenità di Romena 12 Ago 2015
Noi siamo arrivati a Romena la mattina del 12 Agosto / Isa  & Giuliano
Romena FERRAGOSTO 2015