Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

giovedì 30 giugno 2016

RISUSCITATI DAL PENSIERO MALVAGIO POSSIAMO CAMMINARE NELLA BENEDIZIONE




INSTAGOSPEL

vangelodelgiorno.blogspot.it

Giovedì della XIII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

Chi vuole veramente guarire l’uomo, 
deve vederlo nella sua interezza 
e deve sapere che la sua definitiva guarigione 
può essere solo l’amore di Dio.

Benedetto XVI













L'ANNUNCIO

Dal Vangelo secondo Matteo 9, 1-8 


In quel tempo, salito su una barca, Gesù passò all'altra riva e giunse nella sua città. Ed ecco, gli portarono un paralitico steso su un letto.
Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Coraggio, figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
Allora alcuni scribi cominciarono a pensare: «Costui bestemmia». Ma Gesù, conoscendo i loro pensieri, disse: «Perché mai pensate cose malvagie nel vostro cuore? Che cosa dunque è più facile, dire: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere in terra di rimettere i peccati: àlzati, disse allora al paralitico, prendi il tuo letto e và a casa tua».
Ed egli si alzò e andò a casa sua. A quella vista, la folla fu presa da timore e rese gloria a Dio che aveva dato un tale potere agli uomini.










RISUSCITATI DAL PENSIERO MALVAGIO POSSIAMO CAMMINARE NELLA BENEDIZIONE


"Perché pensiamo cose malvagie nel cuore"? Perché pensiamo che Gesù "bestemmi"? Perché portiamo dentro lo scandalo della sofferenza e non crediamo che Gesù abbia il potere di giungere alla radice del male ed estirparlo. Non crediamo al perdono, non immaginiamo neanche che esista. Sappiamo che Dio è buono, onnipotente, e nel Credo professiamo la fede nel perdono dei peccati. Ma che un Uomo, carne della nostra carne, con una semplice Parola, abbia il potere di sciogliere un altro uomo dalle catene del male e dei peccati, beh questo è impensabile, non lo abbiamo visto e non possiamo crederlo. E giudichiamo Gesù, pensando male di Lui. Tutto questo accade molto concretamente quando, di fronte alla "paralisi", uomini come noi, gli apostoli della Chiesa corpo di Cristo, ci invitano a dare credito al Signore e a non intestardirci cercando soluzioni impossibili. Quando la Chiesa ci chiama alla fede, ad abbandonarci all'amore di Dio e a portare ai piedi di Gesù e aspettare che Lui operi la guarigione delle situazioni difficili, delle relazioni paralizzate, quello che in noi vi è di infermo. "Pensiamo male di Gesù" soprattutto quando, di fronte alle persone e agli eventi "paralizzati", induriamo il cuore e non vogliamo pensare che alla radice di qualsiasi problema vi siano i peccati. Come nel Vangelo, la mormorazione e il giudizio scattano quando Gesù, invece di operare il miracolo che guarisca le situazioni, punta diritto i peccati. Quando la Chiesa ci depone ai piedi di Gesù perché ci perdoni e liberi il cuore perché possa amare e donarsi. No, ci ribelliamo a chi ci annuncia che vi è il peccato dietro la paralisi del dialogo e della comunione con il coniuge o le esplosioni continue dei figli che non siamo capaci di far ragionare e ci trascinano in altrettante esplosioni di ira.







Vi è una sola paralisi: il peccato. Vorremmo capire i perché di tante atrocità, di tante ingiustizie, ma rifiutiamo di accettare che esista una radice del male, il pensiero unico che domina la nostra cultura non la prevede, mentre il peccato è accovacciato alla nostra porta, insinuato nel nostro cuore. Da esso sgorgano tutti gli abomini. Adagiati nel peccato pensiamo cose malvagie. Non riconoscerlo, guardarlo con supponenza, sorvolarne la serietà e la drammaticità è dare del bestemmiatore a Gesù. Significa essere nemici della sua Croce. Ignorare il peccato è ignorare Dio, il suo potere, il suo amore. Restare appiattiti sulle sue conseguenze, cercando come eluderle o sbianchettarle, dimenticando la Rivelazione che indica nel peccato la radice di ogni male, anche quelli che chiamiamo malattie o disastri naturali, conduce a pensare male di Dio, o a escluderlo dalla vita; non possiamo accettare un Dio che sembra non agire contro le ingiustizie, e preferiamo dimenticarlo, o cercare comunque e ad ogni costo un capro espiatorio su cui riversare il dolore e il risentimento. Il giustizialismo e l’indignazione di questi tempi nascondono negli armadi gli scheletri di una società che ha legittimato l’omicidio più efferato, quello perpetrato sulle creature più indifese. Il cortocircuito demoniaco stringe come un cappio mortale le nostre vite, cadute nell’illusione che si possa vincere il male con un male più grande travestito da bene. Insieme con la cultura mondana, non crediamo che la paralisi indichi il disordine del peccato, ma è piuttosto un incidente cui ribellarsi: agli occhi degli "scribi" quel paralitico non è uno schiavo di cui avere misericordia, ma un’occasione di scandalo di fronte alla quale reagire con la malvagità che colma i loro cuori. E così, per loro, chiudersi alla misericordia diviene la bestemmia contro lo Spirito Santo, il peccato che non potrà essere perdonato. La Scrittura ci rivela che la morte è entrata nel mondo per invidia del demonio e ne fanno esperienza quelli che gli appartengono. E il male si spande. Anche sugli innocenti. Ma noi, che innocenti non siamo, ne siamo schiavi, paralizzati, stesi sul letto della solita vita, dei soliti peccati. Vi è un solo cammino per guarire: guardare in faccia la Verità, lasciarci giudicare dalle Parole d’amore di Gesù. In Lui i peccati sono rimessi e sperimentiamo la vera liberazione, perché il mistero del male si svela nel perdono. A Boezio che si chiedeva “Si Deus est, unde malum? et si non est, unde bonum ?”, San Tommaso d’Aquino poteva rispondere capovolgendo i termini: “Si malum est, Deus est”, perché l’esistenza di Dio è affermata e argomentata proprio a partire dalla realtà del male (Contra Gentiles, 1. III, c.71). Il perdono ci fa accettare le conseguenze dei nostri peccati e, in esse, le conseguenze dei peccati di ogni uomo. Da questa attitudine nasce l’umiltà e spariscono i pensieri malvagi, i giudizi, la malizia. Sulla roccia della Verità si infrangono le onde del male, e sorge un pensiero nuovo, di pazienza e misericordia. Nella Verità si dischiude la porta della vita davanti ad ogni peccatore, a ciascuno di noi: lasciarsi amare, riconciliare, perdonare. Accettare d’essere peccatori, e gettarsi tra le braccia del Signore. Ai Suoi piedi, piangendo e implorando. Aiutati e accompagnati dalla Chiesa. Nella liturgia eucaristica, prima di accostarci alla comunione, ripetiamo con il Celebrante: “Oh Signore, non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa”. Come Gesù che è mosso dalla fede degli amici del paralitico a compiere il miracolo del perdono riconsegnando forza e vigore alle membra paralizzate. Per questo abbiamo bisogno della comunità, dei pastori e dei fratelli, del Popolo santo che è capace, per amore del povero e del debole, di scoperchiare i tetti e deporre i malati ai piedi di Gesù. Abbiamo bisogno della fede della Chiesa che apre per noi un cammino distruggendo pareti e tetti che ci accerchiano e ci impediscono di andare a Cristo, per essere liberati e tornare a casa, nella storia di ogni giorno con il letto che è la memoria dei nostri peccati e la consapevolezza della nostra debolezza. A noi la memoria di quello che siamo, a Gesù l’amore e il perdono. Solo così potremo vivere risanati, abbandonati alla sua fedeltà senza nulla presumere di noi stessi, liberi nella "città di Gesù", dove unica legge è l'amore.

martedì 28 giugno 2016

PER DIO OGNI VITA E' PREZIOSA E NEL SUO FIGLIO E' TRASFORMATA IN UN PRODIGIO CHE ANNUNCIA IL SUO AMORE - SAN PIETRO E PAOLO



αποφθεγμα Apoftegma

La Chiesa non è santa da se stessa; 
consiste infatti di peccatori, 
lo sappiamo e lo vediamo tutti. 
Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata 
dall’amore purificatore di Cristo. 
Dio non solo ha parlato: 
ci ha amato molto realisticamente, 
amato fino alla morte del proprio Figlio. 
E’ proprio da qui che ci si mostra tutta 
la grandezza della rivelazione 
che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. 

Benedetto XVI



















L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 16, 13-19
In quel tempo, essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 
Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 
Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 
Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 
E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 
E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 
A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 












PER DIO OGNI VITA E' PREZIOSA E NEL SUO FIGLIO E' TRASFORMATA IN UN PRODIGIO CHE ANNUNCIA IL SUO AMORE 



«Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa; dove c'è la Chiesa, lì non c'è affatto morte ma vita eterna» (S. Ambrogio). Pietro e la Chiesa. E, in essa, la vita, e la fine della morte. E' questo il desiderio d'ogni uomo, il nostro desiderio d'oggi, il più profondo, il più intenso, l'anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, azione. La vita è come il cammino dei due discepoli di Emmaus, che avevano sperato in Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere, che li avrebbe liberati e invece.... Anche Lui in una tomba da tre giorni. E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, di fare la stessa fine atroce. Come noi, come tutti. Tutto infranto e i desideri spezzati. Ma quella sera, all'imbrunire d'un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, nella stanza d’una pasqua appena volata via, ecco d’improvviso apparire un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La sua voce, il suo volto, le sue piaghe. E' proprio Lui, lo dicono i segni del suo amore inchiodato ad un legno. E la gioia esplode incontenibile: in quel cenacolo, in mezzo a quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito, l'amore era esploso in una vita più forte del peccato. E Pietro era lì; la roccia, primo tra gli apostoli, il primo ad essere perdonato, il primato del perdono. La beatitudine di Pietro è un perdono che né carne e né sangue possono rivelare perché viene dal sepolcro, ha attraversato l'inferno, e si è fatto dono gratuito e immeritato. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa, capace di “legare” a Cristo i peccatori e “scioglierli” dal peccato, eternamente. Con Pietro nella Chiesa si apprende l'amore perché il Buon Pastore ne guida il cammino. Un Pastore incarnato nel pastore che ci è donato. Pietro, e ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente a ogni uomo l'amore di Dio. Sulla soglia del mondo Pietro è garante e custode della fede incarnata qui ed ora; dischiude le porte della sua casa, la Chiesa dov'è vivo Cristo, le viscere di misericordia di Dio. Dialogo, tolleranza, rispetto, tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro invece annuncia l'amore eterno, l’ unico scoglio che può infrangere ogni male. Nella Chiesa Pietro  presiede nella carità un pugno di poveri uomini strappati all'inganno segno dell'unica speranza.







Nella storia di San Paolo possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio, per Lui era disposto ad incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. Abbiamo la Parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l'errore. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, tra una lezione e l'altra, a cena la sera con consorte e figli. Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi. Anche in Chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non v'è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava San Paolo. Ma accade l'imprevisto. Qualcosa a cui Saulo non era preparato. Qualcuno appare sul suo cammino e smonta le sue certezze. Un fatto, un avvenimento, un incontro. E inizia la conversione, la Teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. San Paolo incontra Cristo, più forte d'ogni sua ignoranza, d'ogni suo passato. Una scintilla d'amore e nasce una cosa nuova, una creatura nuova e comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell'istante. Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell'ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore. Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d'una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino lo ha amato e ricreato con un’elezione che era l’opposto di quello che era stato. Nessun rimprovero, solo una luce ad illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione. La vita fantastica dell'apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla. Sulla via di Damasco Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un determinato accusatore uno zelante annunciatore. I segni che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per San Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno che lo ha lanciato, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell'annuncio infaticabile del Vangelo. Oggi appare anche a noi Cristo. Il “perché” che ha fermato Saulo ci viene incontro oggi, nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perché perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera?. Perché abbiamo dimenticato Lui e il suo amore, abbiamo sepolto la sua chiamata. Ma Lui ci viene incontro, e fa di noi i suoi apostoli, e ci lancia in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia. Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l'arroganza e la superbia. Ci invia come Pietro e Paolo, segni della sua misericordia che trasforma, istante dopo istante, la nostra vita, perchè anche gli altri possano vedere, credere, e conoscere il Signore.











ADDORMENTARSI NELLA TEMPESTA CON GESU' PER PASSARE INDENNI NELLE TEMPESTE DELLA VITA



αποφθεγμα Apoftegma

E in questa vita, la tempesta è quasi continua, 
e la vostra barca sempre sul punto di affondare. 
Tuttavia, non dimenticatevi, io sono qui; 
con me, questa barca è insommergibile! 
Diffidate di tutto, e soprattutto di voi stessi, 
però abbiate in me una fiducia totale che scacci ogni inquietudine.

Charles de Foucauld






QUI IL FILE MP3 AUDIO DA SCARICARE 













L'ANNUNCIO

Dal Vangelo secondo Matteo 8, 23-27
In quel tempo, essendo Gesù salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono. Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.
Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: «Salvaci, Signore, siamo perduti!».
Ed egli disse loro: «Perché avete paura, uomini di poca fede?» Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.
















ADDORMENTARSI NELLA TEMPESTA CON GESU' PER PASSARE INDENNI NELLE TEMPESTE DELLA VITA



La vita è una traversata per "passare all'altra riva", immagine del Cielo, solcando il mare che, spesso, nella Scrittura, è immagine della morte. La vita è, dunque, una Pasqua! Solo nella sua luce acquista senso e pienezza. E  proprio le "tempeste" definiscono la vita della Chiesa, della quale la "barca" è immagine. "tempesta" traduce l'originale greco che, letteralmente, significa “grande sisma”, usato anche nei racconti della crocifissione per il "terremoto" scoppiato alla morte di Gesù. Quella "barca" in mezzo ai marosi è dunque profezia della Croce di Cristo piantata sul Golgota e scossa dal terremoto. Sulla "barca" e sulla Croce le onde e le scosse sismiche sono il segno dello sconvolgimento innescato dal "sonno" di Gesù. Il suo "dormire", infatti, "sveglia" colui che, sino ad allora, aveva riposato tranquillo, sazio di anime. Al sopraggiungere del Signore il demonio si sente scoperto e vulnerabile. Per questo, quella "barca" non doveva arrivare in quel porto; Gadara, infatti, era in piena Decapoli, terra pagana, territorio del nemico. Gli abitanti vi si dedicavano al commercio dei maiali e all'usura. Impuri tra i più impuri, schiavi di satana che Gesù andava ad attaccare. Egli sapeva che Gesù "era venuto prima del tempo a tormentarlo", prima cioè che potesse preparare una controffensiva. Doveva difendersi e impedire a Gesù di compiere la sua missione. Quella "tempesta", dunque, non era come le altre; quel "vento" e quelle "onde" erano i rantoli di gelosia e ira del demonio e di chi ne è ingannato, che vorrebbe far annegare Gesù nella morte. Così è di ogni tempesta che infuria sulla "barca" di Gesù e Pietro, repentina come quelle che scoppiano sul mare di Galilea, e tanto "violenta che la barca si ricopre di onde". All'inizio è una brezza soave, ma poi rapidamente si fa vento gagliardo e le onde si alzano come bastioni insormontabili; infine, ecco le secchiate d'acqua, che una mano invisibile sembra rovesciare dentro la "barca". Così si insinua il demonio. E non basta averne l'esperienza; come Pietro, pur esperto del lago di Tiberiade, non poteva nulla contro l'infuriare della tempesta, neanche noi, pur essendo caduti tante volte nelle lusinghe e trappole del demonio da saperle riconoscere, abbiamo la capacità per resistere quando ci attacca con furia improvvisa. D'altronde, nessuna "tempesta" nella vita di un cristiano è davvero improvvisa: quella "barca" le attira, e proprio per questo Gesù continua a "dormire". La tempesta non lo sorprende; non si sveglia neanche quando la "barca" si riempie d'acqua. Lui aspettava quella tempesta, si era imbarcato per entrarci dentro; era un segno della sua incarnazione e una profezia del suo Mistero Pasquale. Soprattutto, sapeva che l'unico modo per passarci indenni era dormire; sapeva che il demonio vi si nascondeva, come in tutti gli avvenimenti della sua vita, e l'unico modo per compiere la sua missione sarebbe stato "reclinare il capo" sulla Croce per addormentarsi nella morte.











Gesù "dormiva" perché sapeva che per raggiungere Gadara - il mondo pagano dove eri, e sei, tu, dove è tua figlia e il tuo collega, tua nipote e il tuo vicino di banco - per raggiungere ogni uomo e liberarlo dal potere del demonio, doveva lasciare che le onde lo ricoprissero sino a togliergli la vita! Solo allora avrebbe potuto scovare il demonio a casa sua, nel suo quartier generale, e farlo saltare una volta per tutte, e così sterminare la "legione" con i suoi ufficiali e generali, rendendo impotente con la sua morte chi della morte aveva il potere, ovvero satana. Le parole che Egli usa per placare il mare sono, infatti, le stesse usate dagli evangelisti nei racconti degli esorcismi. Le stesse che, nella versione greca della Settanta, presentano il gesto di Yahvè che con l’onnipotenza della sua parola prosciuga le acque del Mar Rosso. Questa era la missione di Gesù, la stessa di Pietro e della Chiesa: "sciogliere" sulla terra quello che Lui ha sciolto per sempre. Gesù rivolge agli apostoli una domanda che potrebbe suonare beffarda: "perché avete paura?". Ma come, stiamo per affondare e tu ci chiedi perché abbiamo paura? Essi, come noi, erano "uomini di poca fede", non avevano compreso nulla di quello che stava accadendo. Perché la "fede" è entrare con Cristo nella tempesta e mettersi a dormire! E', concretamente, addormentarsi con Lui nella morte che ci attende ogni giorno, lasciando che le "onde ci ricoprano", perché - ed è il cuore del cristianesimo che batte nel Mistero Pasquale di Gesù - per "passare all'altra riva" occorre entrare nella tempesta. Per avere la vita in abbondanza bisogna perderla; per vivere bisogna morire. Non a caso "passare" in ebraico si dice HBR, da cui deriva “ebreo”; essi sono i fratelli maggiori, sul cui “passare” dall'Egitto alla Terra Promessa siamo stati innestati: “Dietro Gesù … l’evangelista … desidera che risuoni nelle orecchie dei discepoli il nome di “ebreo”. Desidera che i suoi ascoltatori abbiano l’intelligenza dell’indispensabile coesione della loro vita. Essi debbono attraversare fisicamente, concretamente, il mareAllora l’evangelista forma in greco un verbo nuovo, “diegeiro”, per dire svegliare. Impossibile da tradurre letteralmente, questo verbo ha l’accento ebraico di “passare”. Dunque, i discepoli che sono nella barca di Gesù lo svegliano… Lo chiamano…. E quando si sarà “svegliato sarà passato di là”, e tutte le cose si saranno placate, quando ci sarà la calma, l’evento non finirà lì. La “traversata” continuerà con la domanda di Gesù, alla maniera della Torah… ”Dove sei?”. Gesù dirà: “Uomini di poca fede, perché avete paura?”, Come dire: “Ebrei, dove siete? Avete dimenticato di sentire il vostro nome? Avete dimenticato il vostro nome, la vostra vita?” (M. Vidal). La stessa domanda, oggi, prorompe nella nostra vita: “Perché avete paura?”, "non avete ancora fede"? Di fronte alle "tempeste" che si abbattono su di noi siamo terrorizzati perché siamo senza discernimento; abbiamo perduto la memoria del nostro "nome" e della nostra origine. Come gli apostoli, sopraffatti dalle onde che scuotono la carne facendole lambire la morte, abbiamo dimenticato Chi ci ha "ordinato" di "passare all'altra riva". Il primo attacco del demonio, subdolo e astuto, ci ha centrati in pieno: maestro del rimestare nei ricordi per scombinarli al punto di far perdere il filo di Grazia che li lega, ci ha sottratto il ricordo della nostra chiamata. La nostra vita ha origine, senso e compimento nelle parole con le quali Gesù ci ha chiamato a "passare" con Lui "all'altra riva". Non lo abbiamo scelto noi, probabilmente neanche lo desideravamo. Noi siamo "nel mondo" proprio perché non siamo "del" mondo! L'attitudine degli apostoli nostra emersa nella "barca" è ben descritta da Peguy, amaro e crudo come sempre: "Poiché non hanno il coraggio di essere del mondo, credono di essere di Dio. Poiché non sono dell’uomo credono di essere di Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio". Non amiamo nessuno, per questo abbiamo paura. Come gli apostoli, forse non siamo ancora pronti a morire con Lui. Anche gli apostoli, pur chiamati, avevano bisogno della "fede" per compiere la loro missione! Erano, secondo il greco originale, "oligopistoi": avevano solo un po' di fede, nel senso che era ancora acerba, doveva crescere... Come noi, erano incapaci di riconoscerlo nella tempesta. Senza fede non capiamo che proprio perché "dorme" ci ama come nessuno. "Dorme" e non ferma le guerre. "Dorme" e non guarisce il cancro di mio padre. "Dorme" e non cambia il carattere di mio marito. "Dorme" e non dà un lavoro a mio figlio. "Dorme" perché non mi ama... "Uomo di poca fede", non hai capito nulla! Gesù "amava Lazzaro", eppure si è fermato ancora due giorni dove si trovava senza scendere da lui ammalato, quasi aspettando che l’amico morisse. E quando infatti Lazzaro si “addormenta” Gesù dice ai suoi discepoli di essere felice per loro di non essere stato dall’amico, “affinché possano credere”. E proprio per crescere nella fede e "poter credere" stiamo "nella barca" come nell'utero della Chiesa, e questo è l'importante. Dio è fedele, e ha misericordia di noi, ha pazienza, sa che un giorno, daremo la vita per Cristo e la salvezza degli uomini; come gli apostoli che, rimanendo le stesse identiche persone, una volta pieni di Spirito Santo, invece di impaurirsi, si sono "addormentati" nel martirio! Gesù ci vede nella "barca" con Lui pieni di pura, ma guarda oltre, alle persone alle quali saremo inviati; ci vede tra qualche anno, in quella situazione nella quale daremo testimonianza al vangelo, anche a costo della vita. Per questo oggi Gesù si "desterà" ancora una volta a "sgridare i venti e i mari" perché torni la "bonaccia" nella nostra vita. Alla paura che ci fa sentire "perduti" di fronte alla Croce ascolterà ancora e sempre la nostra preghiera, e calmerà le tempeste: nella Chiesa, durante la gestazione dell'uomo nuovo, ci darà ancora segni della sua risurrezione su cui appoggiare la nostra "fede" che deve crescere, per divenire adulta e farci discernere nella tempesta il risveglio di satana nel campo della missione. 






QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI




domenica 26 giugno 2016

SEGUIRE GESU' NELLA LIBERTA' DELLA SUA PASQUA PER LIBERARE I MORTI DALLE TOMBE

Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario



αποφθεγμα Apoftegma

Rabbì Berekhiah dice in nome di Rabbì Levi: 
Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo 
furono trasformate in un letto e un cuscino. 
Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse.

Midrash GenR 68,43











L'ANNUNCIO


Dal Vangelo secondo Matteo 8,18-22



In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.


E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.












Elia chiama Eliseo a seguirlo



SEGUIRE GESU' NELLA LIBERTA' DELLA SUA PASQUA PER LIBERARE I MORTI DALLE TOMBE 




Gesù ci "ordina" oggi perentoriamente di "passare all’altra riva", ci "spinge" cioè ad entrare con Lui nella Pasqua, attirati nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Ciò significa che il desiderio di felicità e di pace che abbiamo dentro, la speranza di non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce, è molto più di un desiderio e di una speranza: è un "ordine" del Signore, l'eco della "chiamata" che ci ha tratto all'esistenza, l'annuncio nel quale viviamo, esistiamo, siamo. Il "senso" profondo della nostra vita, ovvero la "direzione" che dà consistenza e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa "passare all’altra riva", ogni giorno. Passare all’altra riva è l’unico modo di "seguire" il Signore. Lui, infatti, non ci offre uncuscino borghese dove riposare, alienazioni come ce ne propone il mondo. Con Lui non si scappa dalla realtà per nascondersi nelle "tane" delle "volpi", supponendo stoltamente che la nostra astuzia ci possa preservare dal fallimento e dalle delusioni; si cammina nella storia, i piedi ben piantati in terra, non si vola come "gli uccelli" verso "nidi" di fantasie sognate nel mondo virtuale di internet, degli astrologi, dei talent scout, degli acquisti a rate e con carta di credito. Cristo ha pagato cash, per tutti: infatti, "non ha dove reclinare il capo", e lo farà solo sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere e salvare ogni uomo, rivelandoci che, quando è crocifisso, ogni istante della vita è operoso e fecondo. Quando il Signore chiama è per condurci al vero riposo, quello del seme che, caduto in terra, muore per non restare solo e dare molto frutto. Il riposo che inizia qui sulla terra nell'amore che dimentica se stesso, prende la Croce d’ogni giorno e "segue" il Signore "ovunque", perché in ogni luogo e momento c'è qualcuno che aspetta la sua salvezza; il demonio, infatti, non va mai in vacanza, anche alle Maldive lavora come un matto... Quando Gesù passa e chiama è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lasciamo raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l'esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione e situazione che sembrava spacciata, non potrà "seguire il Maestro ovunque vada"; non ha i parametri per ascoltare e obbedire, perché la carne ha altri criteri e cerca sempre e solo il proprio interesse e la propria soddisfazione; la carne ferita dal peccato non spera il Cielo. Negli "ovunque" di Gesù, invece, che sono spazi e momenti di puro amore, vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore a Cristo si scioglieranno come neve al sole. Per questo, può "seguire ovunque" il Signore solo chi ha crocifisso la sua carne e i suoi desideri perché vive del suo amore e questo gli basta e lo sazia; solo chi in questo amore ama il prossimo come se stesso, che significa proprio "lasciare che i morti seppelliscano i propri morti". Ed è un modo per dire che chi "segue" il Signore si appoggia a Lui e gli consegna fiducioso tutte le situazioni irrisolte della propria storia. Spesso, infatti, neanche i rapporti chiamati ad essere i più santi, come quelli familiari o di una comunità religiosa, possono offrire un "luogo dove reclinare il capo". Anzi, vissuti nel limite angusto della carne, sono un ostacolo per l'obbedienza alla propria vocazione. E non c'è nulla da fare: più si tenta di "seppellire i morti", ovvero, più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese, e più queste si moltiplicano. In questi casi, e sono la quasi totalità, c'è solo da convertirsi e rientrare in se stessi, ricordare di non essere migliori di nessuno, e accettare che la carne è ferita dal peccato ma è viva e vegeta, e, quando è schiava del volere del demonio, è più forte dei nostri buoni propositi. Quindi, ascoltare la chiamata di Gesù e "seguirlo", per "reclinare il capo", ovvero i pensieri e le angustie, gli tsunami della carne, i desideri e le speranze, sul legno della Croce. E restare crocifissi con Lui per amore dell'altro, sino a lasciargli intatta tutta la sua libertà. Amare, senza se e senza ma, perché solo nell'amore vi è il riposo, che abbraccia l'altro così com'è, senza esigenza, anche se non cambierà mai. 







Chiamata di Eliseo






Solo in questo amore si può trovare pace, proprio lì, nella realtà, perché, passando con Cristo all'altra riva del Cielo, possiamo vederla trasfigurata e accoglierla docilmente. E non si tratta di superficialità, di rassegnazione e cinismo; è amore, amore purissimo che si dona senza riserve e senza sperare nulla per sé, anche se fosse umanamente legittimo; è amore che si offre in silenzio, muto come Gesù nella Passione, per non sporcare la purezza dell'amore di Dio, con il solo desiderio che l'altro possa percepirne, nella libertà di rifiutarlo, almeno un frammento. E' ovvio che Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari e accompagnarli sino alla morte, anzi. Ma di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. Quando, per amore a Cristo e al Vangelo - e quindi per amore vero e celeste all'altro, anche alla carne della propria carne - il coltello affonda la lama per circoncidere il cuore, è il momento dell'amore più puro, che si fa crocifiggere per non barattare la propria salvezza e quella dell'altro con un po' d'affetto e consolazioni umane, effimere come la rugiada del mattino. Seguire Gesù, infatti, è molto di più che seppellire i morti; anzi, è l'esatto contrario: è camminare nella morte per giungere alla vita e tirare fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo. Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia prendendo su di noi l'incomprensione, il rifiuto e i peccati degli altri, dando così compimento a ogni relazione; l'amore, infatti, non si limita alle pur dovute e desiderate attenzioni; esso va ben oltre il "minimo sindacale" del "religiosamente corretto". La vita cristiana è "seguire" l'Amato nelle ore infinite di "straordinario" spese per ascoltare e correggere un figlio, per accollarsi silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, per amare la suocera o la nuora così come sono, per compiere cioè, per Grazia, il Discorso della Montagna; e, se Dio chiama a una missione particolare, per andare ad annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Questi sono gli straordinari di un amore straordinario, che non ha altro stipendio in terra che la gioia del Cielo, che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all'amore di Dio. Per questo, come Giacobbe, siamo chiamati a "posare il capo" su di una pietra, nel "luogo" di Dio; perché - istante dopo istante - la famiglia, il lavoro, la scuola, tutti i "luoghi" che ci attendono "seguendo" il Signore, divengano le "porte del Cielo" che ha visto Giacobbe al risveglio dal sogno: “Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, nella quale freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, delle difficoltà con i figli e i genitori, dei sacrifici per non restare invischiati nell'egoismo e nell'orgoglio; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono, si "trasformano in un letto e un cuscino" dove riposare dalle sterili fatiche della carne. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Come non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, così non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento, un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, non accompagna all'eutanasia e non abortisce persone, relazioni ed eventi; non è un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo "segue ovunque", perché, risvegliatosi con Lui dal sonno della morte, sa che ogni "luogo" è "la casa di Dio, una porta sul Cielo". Dio farà di lui e della sua storia una benedizione "per tutte le famiglie della terra", perché "sarà con lui e lo guarderà ovunque andrà e non lo abbandonerà prima di aver compiuto ogni sua promessa" (Cfr. Gen 28,10-19). E proprio questo era il desiderio dello scriba, così simile al nostro celato in tutto quello che pensiamo e facciamo: stare con Gesù per sempre. Ma esso è il frutto dell’esser "passati all’altra riva", sorge dall'esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, nella quale camminare sereni tra le precarietà, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo.









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