Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 27 luglio 2012

Lectio Quotidiana Vangelo di Luca cap. 7 (aggiornato)



Leggiamo insieme la Scrittura giorno per giorno:
 il vincolo di unità e di pace per tutti noi!

commento  don Giovanni Nicolini da Lectio Quotidiana


27 luglio 2012 – Lc 7,1-10




cap.7 1Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafàrnao. 2Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. 3Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, 5perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; 7per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. 8Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». 9All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

COMMENTO DI GIOVANNI

Osserviamo la singolarità del ver.1 del nostro brano dove si dice che Gesù ha “terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto”. Forse l’intenzione dell’evangelista è quello di ricordare per Israele un privilegio di precedenza nel ricevere il dono del Messia, e peraltro ora vuole affermare la destinazione universale del Vangelo di Gesù. Nel suo insieme il testo ci comunica un clima particolarmente positivo della città di Cafarnao. Dal rapporto profondo che unisce il centurione al suo servo, all’elogio che del centurione fanno gli anziani dei Giudei, che mostrano un rapporto di stima e di affetto per quest’ufficiale straniero dell’esercito invasore che, dicono, “ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga”(ver.5). Ora questa situazione così positiva ha il suo coronamento nel miracolo della guarigione del servo. Gesù accoglie l’invito degli anziani e si incammina con loro verso la casa del centurione. E a questo punto la fede del centurione compie un passo straordinario, come fede nella Parola. E mi sembra di grande interesse il fatto che questa fede nella Parola sia collegata da questo straniero alla struttura della sua vita di soldato. L’infinita sapienza del Signore fa sì che una realtà di per sé così lontana dalla luce evangelica diventi qui una conferma del dono divino. Dunque, anche situazioni e vicende lontanissime possono rivelarsi come “strade” lungo le quali il Signore viene a cercare i suoi eletti. E’ un grande invito a considerare con sapiente prudenza quello che istintivamente bolleremmo a priori con un giudizio negativo. Gesù, invece, “all’udire questo, lo ammirò”(ver.9)! E dichiara tale ammirazione con quel meraviglioso “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande”. Così viene chiaramente esplicitato il cammino universale del Vangelo di Gesù che deve essere portato sino ai confini della terra, perché per tutti Egli offre la sua vita.

Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.


28 luglio 2012 – Lc 7,11-17






11In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla. 12Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 13Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!».14Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». 15Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre. 16Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 17Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.






COMMENTO DI GIOVANNI






E’ bella l’immagine di questa chiesa, descritta al ver.11 come il cammino di Gesù e dei suoi discepoli, con una “grande folla” con loro. E’ Gesù che entra nella storia dell’umanità. Un’umanità dolente, di cui questa madre sembra essere un’immagine molto efficace: una donna senza lo sposo e privata del figlio. Come Gesù e i suoi discepoli sono accompagnati da una grande folla, così “molta gente della città”(ver.12) è intorno a lei. Direttamente o no, sembra che tutta l’umanità sia presente, sia a rappresentare l’attesa di un evento di salvezza, sia ad essere il segno di un’ombra di morte e di dolore.






Ecco allora il rilievo che viene ad assumere la compassione divina per la condizione dell’umanità. Questo sembra portare al centro della nostra attenzione, meno la realtà evidente della morte, quanto il dolore dell’umanità che, in Gesù, Dio assume in pienezza. Sembra dunque che il miracolo della risurrezione sia determinato e come generato dal tema del dolore umano e della compassione di Dio. Questo ha la sua più evidente conferma al ver.15 dove si dice che “Egli lo restituì a sua madre”. La morte viene quindi presentata meno per il suo volto drammatico, quanto per il dolore che genera. Per la solitudine che porta con sé, ben reso presente da questa donna piangente e sola. Sento il desiderio di suggerire una rapida lettura del testo di Giovanni 19,25-27, che mi sembra fortemente evocato dal nostro testo, e proiettato in una dimensione universale per la relazione tra Gesù, la madre e il discepolo-figlio.






La reazione di tutti sottolinea l’esperienza di un’umanità che si vede visitata dalla bontà di Dio. E la fede di quella folla si dilata nella fede di tutti.





Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.





30 luglio 2012 – Lc 7,18-23


18Giovanni fu informato dai suoi discepoli di tutte queste cose. Chiamati quindi due di loro, Giovanni 19li mandò a dire al Signore: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 20Venuti da lui, quegli uomini dissero: «Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”». 21In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 22Poi diede loro questa risposta: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia. 23E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».



COMMENTO DI GIOVANNI

La concreta situazione di prigionia del Battista acquista qui anche una valenza simbolica. L’antica economia della Legge, pur illuminata e preparata da tutta la profezia di cui Giovanni è l’ultimo protagonista, è ancora “prigioniera” di un regime della Legge che rivela la santità di Dio e il peccato dell’uomo, ma non lo libera da tale condizione. Proprio per questo il Battista è venuto per annunciare la visita ormai prossima del Messia del Signore. Ma la sua domanda è cruciale, perché pone il tema della persona e dell’opera del Cristo. Una domanda che non cessa di porsi ad ogni generazione credente, anche quando non è manifesta, e soprattutto quando la comunità ecclesiale può sembrare più sicura di aver riconosciuto e accolto il suo Signore. Per questo, osserviamo in anticipo l’ultima affermazione di Gesù nel nostro testo: “E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo”(ver.23). Il grande rischio cui siamo sempre esposti è quello di identificare “un altro” Messia, che non è Gesù! E questo può avvenire sul piano teorico, ma anche nella prassi quotidiana sia personale sia collettiva. Quindi è sempre presente il pericolo dello scandalo nei suoi confronti. Gesù “risponde” alla domanda del Battista con i miracoli che compie su malati e su posseduti da spiriti cattivi. Mi sembra che noi dobbiamo cogliere il significato profondo di tali segni. Se quindi è chiaro che anch’io, oggi, ho bisogno che il Signore mi guarisca da spiriti cattivi che mi tengono prigioniero nella cattiveria, ho altrettanto bisogno di poter vedere alla sua luce, di poter camminare verso la Casa del Padre, di essere purificato… Questa è l’opera di Gesù per tutte le generazioni credenti e non credenti. In modo particolare mi piace sottolineare il grande prodigio dell’annuncio del Vangelo, della Buona Notizia donata ai poveri. E mi sembra bello che noi ci collochiamo anche oggi tra questi poveri, per tutte le miserie della nostra persona e della nostra storia. Anche noi, poveri peccatori. In questo modo Gesù chiarisce che il Vangelo non è una dottrina o una teoria o un semplice codice morale, ma è prima di tutto un’esperienza. Ed è un’esperienza che non nasce da una nostra iniziativa, o capacità, o volontà. Ma è tutta opera sua! Pur essendo la sua opera in perfetta continuità e adempimento di tutta la profezia di Israele, sappiamo bene quanto siamo esposti a interpretare, e a proporre – e talvolta a imporre! – un regime del giudizio che è ben lontano dalla volontà di salvezza che Gesù anche oggi ci rivela con la sua opera, dove incessantemente riafferma che Egli è venuto non per giudicare ma per salvare il mondo. Per questo, il tema dello “scandalo” è estremamente importante e delicato. Possiamo infatti “scandalizzarci” di Lui, anche senza dirlo. E anche senza che ce ne accorgiamo! Molti miei amici “atei”, lo sono di un Dio che non esiste, e ben meritano che Lui venga e si riveli a loro. So che in ogni modo Lui li salverà, come anche oggi, nella sua infinita e paziente bontà, salva me e noi.
Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

31 luglio 2012 – Lc 7,24-35

24Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 25Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che portano vesti sontuose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. 26Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 27Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero,davanti a te egli preparerà la tua via. 28Io vi dico: fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. 29Tutto il popolo che lo ascoltava, e anche i pubblicani, ricevendo il battesimo di Giovanni, hanno riconosciuto che Dio è giusto. 30Ma i farisei e i dottori della Legge, non facendosi battezzare da lui, hanno reso vano il disegno di Dio su di loro.31A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? 32È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così: “Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”. 33È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. 34È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”. 35Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli».

 COMMENTO DI GIOVANNI

Il grande rilievo che Gesù dà alla persona, alla testimonianza e alla profezia di Giovanni non ha solo uno scopo laudativo. Sembra di capire che Gesù ritiene la relazione tra Lui e Giovanni come essenziale proprio per intendere e accogliere il dono del Messia del Signore e la possibilità di entrare nella nuova comunità messianica come suoi discepoli. In questa direzione diventa preziosa la descrizione che Gesù fa del Battista: nel deserto, nel rigore del cammino di conversione - non è “una canna sbattuta dal vento”(ver.24)- e nella sua lontananza dai poteri mondani. In questo modo Giovanni rappresenta compiutamente l’Israele fedele che attende il Messia salvatore, che verrà ad instaurare il Regno nuovo. Giovanni è veramente, e in pienezza, il messaggero del Signore profetizzato da Malachia 3,1. Egli è “più che un profeta”, perché la sua testimonianza è in qualche modo già alla presenza del Salvatore. Giovanni noi lo incontriamo nella memoria evangelica, già all’interno della nuova economia della salvezza. Ed ecco, al ver.28, al lode suprema di Giovanni e insieme la radicale novità e superiorità del Regno che Gesù è venuto a proclamare e ad instaurare. L’espressione “nati di donna” designa la condizione umana comune: non c’è umanità più alta di quella vissuta e testimoniata da Giovanni, “ma il più piccolo nel Regno di Dio è più grande di lui”. Chi è questo “più piccolo”? Propongo due strade di spiegazione. La prima, che mi affascina e che penso sia la meno rigorosa e oggettiva (e quindi scartatela tranquillamente), è che il più piccolo sia Gesù stesso. D’altronde mi sembra sia considerazione innegabile. E questo introduce il secondo significato su questo “più piccolo”: ogni figlio del Regno è più grande di Giovanni proprio per il legame che Gesù ha stretto con lui. Per la potenza dell’opera di Salvezza compiuta dal Figlio di Dio. Qui non si tratta di virtù e di meriti, ma della condizione nella quale ora si trova la storia umana a motivo di Gesù! Un’umanità amata fino alla morte d’amore del Figlio di Dio. Mentre il popolo e gli stessi pubblicani giudicati da tutti come l’esempio supremo dei peccatori hanno “riconosciuto che Dio è giusto”(ver.29), e hanno accettato il suo giudizio accedendo al  battesimo di penitenza del Battista, “i farisei e i dottori della legge hanno reso vano il disegno di Dio su di loro”(ver.30), rifiutando la parola e il battesimo di Giovanni. Essi vengono paragonati, ai vers.31-32, a quelli di cui parla la canzoncina dei bambini gridata da loro in piazza. Infatti non hanno saputo gioire al suono festoso del flauto della Persona e della Parola di Gesù, perché non hanno saputo piangere quando il Battista ha cantato e annunciato il lamento di chi consapevole della sua condizione attende il Salvatore. Così non hanno capito né il senso dell’austerità del Battista che non mangia pane e non beve vino, né la gioiosa festa del Figlio dell’uomo che è venuto a portare la salvezza dell’umanità.

Lc 7,36-8,3 36

Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».8        1In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici 2e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; 3Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

COMMENTO DI GIOVANNI

 Ringraziamo il Signore che con il regalo della “lectio continua” della Parola ci consente oggi di osservare con attenzione nuova questo fariseo che invita Gesù a mangiare da lui. Di farisei ci parlava il testo precedente, e quello che di loro abbiamo ascoltato ci porta a cogliere in una luce profonda sia il suo invito a Gesù, sia l’accoglienza di tale invito da parte del Signore, sia il coinvolgimento del fariseo nelle Parole che Gesù gli rivolge: anche il fariseo ha bisogno di essere salvato, e certamente Gesù gli vuole molto bene, tutto il bene che vuole a tutti. Ci sarà prezioso, se lo potremo, ascoltare la Parola dei testi paralleli di Matteo 26, Marco 14 e Giovanni 12. Le note ci consigliano di non identificare questa donna né con la Maria di Betania di Giovanni 12, né con Maria Maddalena citata oggi dal nostro brano all’8,2. Luca dice esplicitamente che si tratta di “una peccatrice di quella città”. Siamo invitati ad osservare un avvenimento del quale non ci è data la spiegazione: entra nella casa del fariseo con un vaso di profumo, si mette ai piedi di Gesù, piange e gli bagna i piedi con le lacrime e li asciuga con i capelli, li bacia e li cosparge di profumo. E’ interessante notare come il fariseo padrone di casa non sia interessato alla donna che gli ha invasa la casa e in certo senso anche l’ospite, ma come osservi Gesù, traendone un pensiero provocato dalla presenza della donna e dai suoi gesti: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice”(ver.39). E’ un passaggio stupendo che nello stesso tempo svela il pensiero farisaico e promuove la grande Parola della misericordia divina di Gesù. Mi permetto di richiamare ancora una volta un passaggio della nostra strada nel Vangelo secondo Luca, al cap.5, quando Pietro, una persona assolutamente diversa dal fariseo di oggi, chiede a Gesù di allontanarsi da lui, che è un peccatore. Tutto si pienifica e si rivela: Gesù è venuto nella casa del fariseo e gli parla attraverso il segno mirabile e la vicenda della peccatrice, perché è venuto per la salvezza di tutti: di Pietro, del fariseo e della donna. Così importante questa donna da farmi pensare ad una bellissima figura della Chiesa: una Chiesa incessantemente amata e perdonata dal Suo Signore e Sposo. Una Chiesa accogliente ed eloquente sulla misura infinita della misericordia divina verso tutti. E quindi lei stessa accogliente verso tutti, perché di diverso pensiero rispetto al fariseo che dovrebbe cogliere la luce e la potenza della persona del suo ospite proprio a motivo della sua misericordia. Dunque Gesù esalta l’enfatica liturgia d’amore della donna peccatrice, confrontandola con la formale freddezza del padrone di casa. Ed è molto importante che lo faccia a partire dall’immagine dei due debitori, a partire dalla donna, ma coinvolgendo anche lui, il padrone di casa, nel tema di un debito da pagare, sia pure un debito minore. Ma a questo punto è consentita l’ironia. Ed ecco infine il misterioso meraviglioso ver.47: “Per questo io ti dico: Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha amato molto. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”, dove nella prima parte sembra dire che l’amore è la causa del perdono, e nella seconda che l’amore è la conseguenza del perdono. Ma io vi propongo una mia spiegazione eretica e quindi da non accogliere. Io penso che Gesù ami i peccatori, e questo generi nei peccatori l’amore verso di Lui. E possa generare in loro addirittura un amore piangente. E’ lecito pensare che la donna si sia convertita e abbia cambiato vita, anche se il testo non lo dice. Si può pensare ad una vita diversa e nuova per tutti i peccatori che Gesù incontra: Pietro, la donna, il fariseo.. e tutta la combriccola che secondo i primi tre versetti del cap.8 cammina con Gesù, i Dodici e le donne che li servono con i loro beni. Anche su questo si potrebbero fare considerazioni di ironica simpatia e di affettuoso stupore.
 Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.
 Dio ti benedica. E tu benedicimi. Tuo. Giovanni.

 

Vangelo del Giorno di Venerdì, XVI^ settimana del Tempo Ordinario

 Ll  LA PAROLA DI OGGI    su >>  albatramonto
Voi dunque ascoltate
la parabola
del seminatore.
Mt. 13,18




Testo del Vangelo di oggi
(Mt 13,18-23):
 In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
 «Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Dal blog evangeli.net
Commento: P. Josep LAPLANA OSB Monje de Montserrat (Montserrat, Barcelona, Spagna)

«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore»Oggi, contempliamo Dio come un contadino buono e magnanimo, che semina a mani piene. Non è stata avaro nella redenzione dell'uomo, ma ha speso tutto nel suo Figlio Gesù Cristo, che come grano sepolto (morte e sepoltura) è diventato vita e risurrezione nostra grazie alla sua santa Risurrezione.
Dio è un contadino paziente. I tempi appartengono al Padre, perché solo Egli conosce il giorno e l'ora (cf. Mc 13,32), del raccolto e la trebbiatura. Dio aspetta. E anche noi dobbiamo aspettare sincronizzando l'orologio della nostra speranza col piano salvifico di Dio. Dice Giacomo: «Guardate l'agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge» (Gc 5,7). Dio aspetta la coltivazione e la fa crescere con la sua grazia. Noi non possiamo nemmeno addormentarci, ma dobbiamo collaborare con la grazia di Dio prestando la nostra collaborazione, senza presentare ostacoli all’azione trasformante di Dio.
La coltivazione di Dio che nasce e cresce qui sulla terra è reso visibile nei suoi effetti, possiamo vederli in veri e propri miracoli ed esempi clamorosi di santità di vita. Sono in molti quelli che, dopo aver ascoltato tutte le parole e i rumori di questo mondo, hanno fame e sete della Parola di Dio, vera, li dove è viva e incarnata. Ci sono migliaia di persone che vivono la sua appartenenza a Gesù Cristo e alla Chiesa con lo stesso entusiasmo che all'inizio del Vangelo, perché la parola di Dio "trova la terra dove germinare e portare frutto" (S. Agostino), quindi dobbiamo alzare la nostra morale e affrontare il futuro con occhi di fede.
Il successo della coltura non è nelle nostre strategie umane o di marketing, ma nell'opera salvifica di Dio "ricco di misericordia" e nell'efficacia dello Spirito Santo che può trasformare la nostra vita in modo che siamo capaci di dare gustosi frutti di amore e di gioia contagiosa.
L

La parabola è rivolta a chi ascolta la Parola e accetta di riconoscere e

costruire con essa una relazione vitale del tipo “seme-terreno”. Come

ogni relazione ha tempi e modi particolari per esprimersi e crescere,

anche il rapporto della Parola con la nostra esistenza deve tener conto

di reazioni positive o negative, come anche di un cammino con momenti

di slancio e stanchezza, di accoglienza e resistenza. È bello che

Dio getti semi e non trapianti alberi. La nostra tentazione è quella di

piantare alberi per cambiare i connotati

delle persone; noi seguiamo

le regole dell’efficienza, ma Dio

non agisce così! Pertanto all’inizio

di tutto c’è l’ascolto. Come ascoltare?

Vi è chi ascolta come una strada

accoglierebbe un seme. Questi

non comprende, non fa spazio alla

novità dell’altro, della Parola, per

la propria vita. I sassi sono la seconda

immagine di un ascolto insufficiente;

assomigliano a chi non

approfondisce la relazione con la Parola che esige fedeltà, dovendo interpellare

la vita di ogni giorno, con le sue sfide e le sue fatiche. I rovi

sono paragonabili a chi non è libero e vive nel mondo trasportato dalle

preoccupazioni e dall’appannaggio dei suoi falsi valori. La conclusione

sembra questa: se manca il coraggio di ascoltare la Parola, il seme non

innesca una relazione vitale con il terreno. Questa fruttifica in coloro

che «ascoltano e comprendono». La nostra salvezza non sta comunque

in noi, ma nel seminatore che semina perfino nel cemento: non è distratto,

ci prova sempre!

giovedì 26 luglio 2012

La Liturgia di domani Venerdi 27 Luglio 2012


Voi dunque ascoltate
la parabola
del seminatore.

Antifona d'ingressoEcco, Dio viene in mio aiuto, il Signore sostiene l’anima mia.
A te con gioia offrirò sacrifici
e loderò il tuo nome, Signore, perché sei buono.(Sal 54,6-8)
CollettaSii propizio a noi tuoi fedeli, Signore,
e donaci i tesori della tua grazia,
perché, ardenti di speranza, fede e carità,
restiamo sempre fedeli ai tuoi comandamenti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


PRIMA LETTURA (Ger 3,14-17)Vi darò pastori secondo il mio cuore; a Gerusalemme tutte le genti si raduneranno.
Dal libro del profeta Geremìa

Ritornate, figli traviati – oracolo del Signore – perché io sono il vostro padrone. Vi prenderò uno da ogni città e due da ciascuna famiglia e vi condurrò a Sion. Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza.
Quando poi vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese, in quei giorni – oracolo del Signore – non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore: non verrà più in mente a nessuno e nessuno se ne ricorderà, non sarà rimpianta né rifatta.
In quel tempo chiameranno Gerusalemme “Trono del Signore”, e a Gerusalemme tutte le genti si raduneranno nel nome del Signore e non seguiranno più caparbiamente il loro cuore malvagio.

Parola di Dio

SALMO RESPONSORIALE (Ger 31,10-13)Rit: Il Signore ci custodisce come un pastore il suo gregge.Ascoltate, genti, la parola del Signore,
annunciatela alle isole più lontane e dite:
«Chi ha disperso Israele lo raduna
e lo custodisce come un pastore il suo gregge».

Perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
lo ha liberato dalle mani di uno più forte di lui.
Verranno e canteranno inni sull’altura di Sion,
andranno insieme verso i beni del Signore.

La vergine allora gioirà danzando
e insieme i giovani e i vecchi.
«Cambierò il loro lutto in gioia,
li consolerò e li renderò felici, senza afflizioni».

Canto al Vangelo (Lc 8,15) Alleluia, alleluia.
Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
con cuore integro e buono
e producono frutto con perseveranza.
Alleluia.

VANGELO (Mt 13,18-23)
Colui che ascolta la Parola e la comprende, questi dà frutto.


+ Dal Vangelo secondo Matteo


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Parola del Signore

Preghiera dei fedeliAssisti, Signore, il tuo popolo, che hai colmato della grazia di questi santi misteri, e fà che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova. Per Cristo nostro Signore.
Preghiera sulle offerte
O Dio, che nell’unico e perfetto sacrificio del Cristo
hai dato valore e compimento
alle tante vittime della legge antica,
accogli e santifica questa nostra offerta
come un giorno benedicesti i doni di Abele,
e ciò che ognuno di noi presenta in tuo onore
giovi alla salvezza di tutti. Per Cristo nostro Signore.

Antifona di comunione
Ha lasciato un ricordo dei suoi prodigi:
buono è il Signore e misericordioso,
egli dà il cibo a coloro che lo temono. (Sal 111,4-5)

Oppure:
“Ecco, sto alla porta e busso”, dice il Signore.
“Se uno ascolta la mia voce e mi apre,
io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. (Ap 3,20)
Preghiera dopo la comunione
Assisti, Signore, il tuo popolo,
che hai colmato della grazia di questi santi misteri,
e fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato
alla pienezza della vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.


CommentoNel darci personalmente la spiegazione della sua prima parabola Gesù ci invita a un esame personale di coscienza sulla risposta della nostra libertà e disponibilità alla “parola del regno”, oggi seminata come non mai dal divin seminatore, attraverso la missione evangelizzatrice della Chiesa.
Quale risposta? Quella dell’indifferenza e del rifiuto di chi ascolta la parola distratto e annoiato, per cui cede facilmente ai pregiudizi del secolarismo, del materialismo e del laicismo?
O è forse quella della superficialità e dell’incostanza di chi non sa cogliere le sfide della vita e della storia, che diventano per lui motivo di scandalo e lo portano gradualmente all’abbandono della fede?
Oppure quella del calcolo umano di chi alle esigenze del regno antepone le seduzioni subdole e fallaci del consumismo, dell’edonismo, del permissivismo libertario che soffocano la parola e le impediscono di dare frutto?
Se così fosse sarebbe ben triste il cammino della vita, arido e senza speranza.
Sia invece la nostra risposta quella della “terra buona”, di chi ha scoperto il valore insostituibile della parola di Dio nella vita, la ricerca con interesse, l’ascolta e l’accoglie come un dono, la medita assiduamente, si confronta quotidianamente con essa e la mette in pratica.
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Matteo 13,18
dal sito veb dall'albatramonto.it
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    Venerdì della XVI^ settimana del T.O. (Anno pari)
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Grado della Celebrazione: Feria
Colore liturgico: Verde

mercoledì 25 luglio 2012

Ultimo messaggio da Medjugorje: dato a Marija

 Ecco l’ultimo messaggio di oggi:

Messaggio da Medjugorje dato a Marija, 25 Luglio 2012:

 Cari figli! Oggi vi invito al bene.
 Siate portatori di pace e di bontà in questo mondo.
 Pregate che Dio vi dia la forza affinchè nel vostro cuore e nella vostra vita regnino sempre la speranza e
 la fierezza perchè siete figli di Dio e
 portatori della Sua speranza in questo mondo
 che è senza gioia nel cuore e
 senza futuro perchè non ha il cuore
aperto verso Dio,vostra salvezza.
 Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

Vangelo del Giorno di domani ( 26 Luglio Santi Gioacchino e Anna )


Il regalo più grande: trasmettere la fede

   
Oggi 26 LUGLIO 
 abbiamo celebrato la memoria liturgica dei
SANTI GIOACCHINO E ANNA

Genitori della Beata Vergine Maria


Santi Gioacchino e Anna

"Facciamo l'elogio degli uomini illustri" dice il Siracide, ma sappiamo ben poco dei genitori di Maria: anche per loro si verifica la legge del segreto, del silenzio, del nascondimento che Dio ha applicato alla vita di Maria e alla maggior parte della vita storica di Gesù.
I Vangeli apocrifi parlano delle loro difficoltà ed è logico pensare che certamente Dio li ha chiamati a partecipare al mistero di Gesù, di cui hanno preparato l'avvento; però ora rimane loro solo la gioia e la gloria di essere stati genitori della Madonna. E un incoraggiamento alla nostra fiducia: Dio è buono e nella storia dell'umanità, storia di peccato e di misericordia, ciò che resta alla fine è la gioia, è il positivo che egli ha costruito in noi.
Gioacchino e Anna sono stati prescelti in un popolo eletto sì, ma di dura cervice, perché in questo popolo fiorisse Maria, meraviglioso fiore di santità, e da lei Gesù. E la più grande manifestazione dell'amore misericordioso di Dio.
Diciamo al Signore la nostra riconoscenza e la nostra gioia: noi siamo coloro che hanno la beatitudine di vedere "quello che molti profeti e giusti hanno desiderato vedere".
La parola definitiva di Dio è stata pronunciata in Cristo e noi possiamo contemplare il suo mistero, ancora nella fede, ma già compiuto in lui.

Giovedì della XVI settimana del Tempo Ordinario


Abramo e Isacco, Christen Brun
La volontà propria ricopre gli occhi interiori 
come una membrana o una pellicola può ricoprire l'occhio esteriore, 
impedendogli di vedere... 
Finché dimorerai nella tua volontà propria, 
sarai privato della beatitudine di vedere con l'occhio interiore. 
Infatti ogni vera felicità deriva dal vero abbandono, 
dal distacco dalla volontà propria. 
Questo nasce nel fondo dell'umiltà... 
Quanto più siamo piccoli e umili, 
tanto meno volontà propria abbiamo.

Giovanni Taulero








Dal Vangelo secondo Matteo 13,10-17. 
G
li si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché parli loro in parabole?». 
Egli rispose: «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. 
Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 
Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. 
E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice: Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete. 
Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani. 
Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. 
In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono! 

IL COMMENTO

Dio ci ama, e ci rende beati. Felici. Di vedere e ascoltare. Con il cuore e la mente illuminati dallo Spirito Santo effuso nei nostri cuori. Le Parabole, immagini dipinte dalla Parola del Signore perchè siano svelati i pensieri di molti cuori, ci sono spiegate nell'intimità alla quale ci ha chiamati la sua imperscrutabile volontà. Strappati alla menzogna siamo oggi, per Grazia, nella cerchia dei Suoi amici. E questa è la vita, meravigliosa e beata, anticipo di quel che sarà il Cielo. Anche noi eravamo meritevoli d'ira, come tutti. Eppure la Sua misericordia ci ha aperto gli occhi, perchè l'opera che Lui compie ogni giorno in noi, sia essa stessa una parabola per il mondo. La Chiesa, la comunità degli eletti ad essere i compagni dell'Agnello, crocifissi con Lui per la salvezza d'ogni uomo. E' questa l'unica nostra beatitudine, seguirlo ovunque vada, stretti nella sua intimità.  

Essere sacramento di salvezza per ogni uomo. Una parabola vivente che indica il Mistero del suo amore intrecciato alla nostra vita.  "Il termine «mistero» (gr. mystérion , lat. mysterium ) può assumere accezioni assai diverse a seconda del contesto e dell'orizzonte culturale nel quale viene usato. In prima istanza, però, esso appartiene alla fenomenologia della religione perché è un termine legato al discorso sul “divino”. Il vocabolo mistero proviene assai probabilmente dal verbo greco myein (chiudere, fermare), al quale risultano ancora collegati, in alcune lingue moderne, termini come «miope» o «muto». Vi si esprime dunque l'idea di chiusura, ma secondariamente anche quella di limite e di confine. Allo stesso campo semantico appartiene l'aggettivo «mistico» ( mystikós ), che indicherebbe «ciò che appartiene al mistero». Il termine latino sacramentum traduce spesso il greco mystérion , ma indica preferibilmente l'aspetto rituale legato al rapporto con il sacro o anche l'impegno giuridico che ne deriva.... L'ebraismo, e successivamente il cristianesimo, parlano di un orizzonte a noi precluso e accessibile a Dio solo, di una sfera divina che trascende quella umana; nelle diverse religioni esistono sacerdoti, riti e sacramenti, ed esiste una sapienza che non si potrebbe acquistare senza ascesi e purificazione. Ma proprio nella tradizione religiosa giudaico-cristiana la nozione di mistero assume un carattere specifico: essa trova il suo principale luogo ermeneutico nel concetto di «Rivelazione». Edificata sui pilastri della creazione e dell'alleanza, si rende disponibile all'umanità una storia di salvezza nella quale il Dio di Israele è soggetto di una rivelazione gratuita del mistero. Egli non solo svela il mistero della sua volontà, ma comunica agli uomini anche il mistero della sua vita personale, vita trinitaria. Ancor più, è Dio in persona a comunicarsi all'uomo nell'incarnazione del Figlio, rivelatore perfetto del Padre, mistero dell'amore del Padre per il mondo, cui seguirà l'effusione ed il dono stabile dello Spirito Santo. Nella logica della rivelazione cristiana, l'uomo non ha più bisogno di congetturare o di carpire ciò che la divinità tiene nascosto, perché è proprio Dio a prendere l'iniziativa e a farsi avantiNella rivelazione biblica il mistero non rappresenta più l'orizzonte del nascondersi di Dio, ma piuttosto l'ambito ricchissimo della sua comunicazione e del suo rivolgersi all'uomo: il mistero cessa di essere qualcosa di sottratto alla conoscenza per divenire qualcosa di offerto" (cfr.. Documentazione interdisciplinare di scienza e fede).

Il Mistero, la volontà di Dio nascosta persino agli angeli, a poco a poco rivelata lungo il cammino della Storia della Salvezza, è finalmente svelato dal Signore ai più piccoli della terra, ai "pitocchi" secondo la giusta traduzione dell'originale greco. Il Mistero confidato ai suoi intimi, agli ultimi della terra, ai poveri in Spirito, gli anawin che nulla hanno se non il Signore. “Proprio questi sono i figli, i signori, gli dei: gli schiavi, i prigionieri, i disprezzati, i crocifissi… Questi, unti con l’unguento estratto dal legno della vita, Gesù Cristo, e dalla pianta celeste, sono resi idonei a raggiungere il culmine della perfezione, del Regno e dell’adozione; infatti quelli che sono intimi del Re del Cielo, e ancorati alla fiducia dell’Onnipotente, entrano fin da questo mondo nel suo palazzo… e neppure si meravigliano come di cosa insolita e nuova di essere chiamati a regnare con Cristo, grazie allo Spirito che li colma di fiducia. E in che modo? Perché, mentre ancora vivono sulla terra, sono posseduti da quella soavità e dolcezza, da quella forza che è propria dello Spirito. Poiché già prima hanno potuto conoscere i misteri della Grazia… Noi infatti, pur vivendo ancora sulla terra, abbiamo in Cielo la nostra cittadinanza, vivendo secondo il nostro uomo interiore come se già fossimo nell’eternità” (Da un’antica Omelia del IV secolo). La rivelazione dei misteri del Regno dischiude già ora, qui, nella nostra vita concreta, le porte del Cielo: Conoscere i segreti di Dio significa dimorare in essi come in una fortezza inespugnabile, tra le onde avverse della carne e del mondo.

Per questo le Parabole si fanno carne negli “intimi” di Gesù, sono decodificate nel segreto delle stanze più remote, per essere annunciate dai tetti, dal posto di lavoro, nella scuola, al mercato, ovunque. Non vi è nulla di nascosto che non sarà rivelato, dice il Signore. Ma lo sarà attraverso la vita concreta e reale dei suoi piccoli, suo corpo benedetto gestato e dato alla luce in ogni generazione. Gli istanti più banali sono allora un riflesso del Cielo, una parabola fatta vita, lavoro, stress e dolore, matrimonio e figli, vecchiaia e malattia. Vita che vince la morte nella morte dei piccoli di Gesù. Come la Maddalena ad esempio. E, nel corso della Storia, i tanti poveri innalzati come Maria sino al trono della Maestà divina. San Francesco, Santa Teresina di Lisieux e tanti altri. Il Mistero, la Croce. L'albero che spalanca il Cielo e giunge sino al cuore di Dio, al pensiero di Cristo. I crocifissi con Lui sono i suoi amici ai quali non nasconde nulla. Anche quando non spiega nulla.

Stretti tra le Sue braccia, inchiodati allo stesso legno, nella conoscenza vera e profonda del suo amore. Tanto basta. Il suo progetto scolpito in noi, la salvezza incarnata nelle nostre vite vissute in Cristo, per Lui, con Lui. I piani di pace e di gioia eterne concepiti nel cuore di Dio, i misteri del Regno dei cieli, che sussistono per ogni generazione (cfr. Sal. 33, 11). I Suoi piani che non sono i nostri, la Sua volontà che ci conduce alla Vita vera ed eterna. 

La "esah" di Dio, quella volontà misteriosa alla quale Dio conduce Giobbe, qualcosa che è intraducibile nei nostri lessici occidentali, un progetto d'amore pensato e calibrato nei particolari (cfr. Gb. 12, 13; Is. 28, 29) che si incarna in una storia concreta ( cfr. Is. 5,9; Ger. 49, 20), la nostra. Quella passata, quella presente, quella futura. Prodigio di Dio, fedele, come ogni sua opera. Il "beth essentiae", "un modo semitico per esprimere l'essenza profonda su cui poggia una realtà: l'agire di Dio è radicato stabilmente nel Suo amore verso la creatura ( Sal. 19,9; 104), e nella sua rettitudine che non conosce deviazioni e inganni" ( cfr. G. Ravasi, Il Libro dei Salmi, Vol. 1). Il mistero del suo amore dunque, preparato per noi, per ciascun uomo. Il Mistero svelato sulla Croce, essenza profonda, pilastro dell'Universo. E della Vita. E' beato oggi chiunque, di noi, abbia in sè la Sapienza della Croce, la Chiave al mistero di Dio. Sì, la Croce. La nostra, nella  Croce di Cristo. E' lì, e solo lì, che è preparata la beatitudine, l'amore infinito di Dio. Che il Signore, anche oggi, ci leghi come Isacco alla Croce preparata per noi, mistero di pace e di gioia.







Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu risplendi,


a risplendere fino ad essere luce per gli altri.
La luce, o Gesù, verrà tutta da te:
nulla sarà merito mio.
Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri.
Fa' che io ti lodi così nel modo che tu più gradisci,
risplendendo sopra tutti coloro
che sono intorno a me.
Dà luce a loro e dà luce a me;
illumina loro insieme a me, attraverso di me.
Insegnami a diffondere la tua lode,la tua verità, la tua volontà.

John Henry Newman














Giovanni Taulero (circa 1300-1361), domenicano a Strasburgo Discorsi,  53

« Beati i vostri occhi perché vedono »
        
Il nostro Signore disse : « Molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro » (Lc 10,24). Con la parola profeta, si devono intendere i grandi animi sottili e ragionatori, che si fermano alla finezza della loro ragione naturale e ne traggono vanto. Tali occhi non sono beati. Con la parola re, si devono intendere gli uomini che hanno un'indole da padrone, una forte e potente energia, che sono padroni di sè, delle loro parole e opere, della loro lingua, e possono fare quanto vogliono in fatto di digiuni, veglie e preghiere. Poiché però danno molta importanza a queste cose, come se fossero cose straordinarie, e disprezzano gli altri, neanche questi sono occhi che vedono ciò che li rende beati...

        Tutti costoro hanno desiderato vedere e non videro. Hanno desiderato vedere e si sono fermati alla loro volontà propria. Nella volontà risiede il male... La volontà propria ricopre gli occhi interiori come una membrana o una pellicola può ricoprire l'occhio esteriore, impedendogli di vedere... Finché dimorerai nella tua volontà propria, sarai privato della beatitudine di vedere con l'occhio interiore. Infatti ogni vera felicità deriva dal vero abbandono, dal distacco dalla volontà propria. Questo nasce nel fondo dell'umiltà... Quanto più siamo piccoli e umili, tanto meno volontà propria abbiamo.

        Quando è tutta pacificata, l'anima vede la propria essenza e tutte le sua facoltà ; riconosce se stessa in quanto immagine ragionevole di Colui da cui è nata. Gli occhi... che fissano così profondamente lo sguardo possono a ragione essere chiamati beati, a motivo di ciò che vedono. Infatti si scopre allora la meraviglia delle meraviglie, quanto c'è di più puro, di più sicuro... Potessimo seguire questa via e vedere in tal modo che i nostri occhi siano beati. A questo Dio ci aiuti !


Vangelo del Giorno di oggi (San Giacomo il Maggiore Ap.)

Oggi 25 LUGLIO celebriamo la Festa di

SAN GIACOMO, APOSTOLO, per cui v. post seguente:


25 Lug 2011

SAN GIACOMO, APOSTOLO. (+ 42/43). Giacomo, detto «il maggiore», era figlio di Zebedeo e di Salome (Mc 15,40; cf Mt 27,56) e fratello maggiore di Giovanni l'evangelista, col quale fu chiamato fra i primi discepoli da Gesù ...




 * * *

  SAN GIACOMO  25 Luglio

Kairos:

Bere al calice del Signore.

La preghiera vi renderà liberi

DI COSTANZA MIRIANO

Le donne che mi fanno più tenerezza in assoluto sono quelle che non riconoscono la propria fragilità, il loro bisogno di uno sguardo benevolo che si posi su di sé. Quelle che non sanno che “verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà”.
Perché siamo tutte così, tutte desideriamo che l’altro ci rimandi la nostra immagine attraverso i suoi occhi. Riconoscere la nostra fame è il primo passo per saziarla.



Mercoledì della XVI settimana del Tempo Ordinario

 dal Blog il Vangelo del giorno


L'indipendenza è il solo metro con cui si possa misurare l'uomo. 
Ciò che un uomo fa di sé e da sé e non ciò che fa o non fa per gli altri (...)
Il primo diritto dell'uomo è quello di essere se stesso 
e il primo dovere dell'uomo è il dovere verso sé stesso.
Principio morale sacro 
è quello di non trasferire mai sugli altri lo scopo della propria vita.
L'obbligo morale più importante dell'uomo 
è compiere ciò che desidera a condizione, 
prima di tutto, 
che quel desiderio non dipenda dagli altri.

Ayn Rand, La fonte meravigliosa







Mt 13, 1-9

Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca; là si pose a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
Egli parlò loro di molte cose in parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.
Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.
Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. Chi ha orecchi intenda».


IL COMMENTO

Un Agnello immolato. Una Pietra scartata. Un seme gettato sulla strada, tra sassi e spine. E il Golgota. La terra buona dove è apparso il frutto. La terra bella, scandalo e stoltezza di chi ha occhi ma non vede, di chi si crede sapiente ed è incatenato alla carne. La Parabola del Vangelo di oggi ci conduce con Cristo nel Suo pellegrinaggio d'amore. Rifiutato, deriso, accolto con entusiasmo e gettato fuori dalla città carico di una Croce nel volgere di pochi giorni, cinto da una corona di spine, pietre lanciate al suo passaggio, la strada del Supplizio. 


Il seminatore è uscito dal Padre a seminare, incamminato sulla "via crucis" della nostra salvezza. Il suo cammino al fondo dell'abisso, nelle viscere dello Sheol, l'inferno gravido di morte che alberga nei nostri cuori. La Sua Parola, fatta carne viva nella Sua carne traboccante d'amore. La Parola seminata sul tragitto della Via Dolorosa, quella che conduce al fondo del nostro cuore, laddove nascono i frutti velenosi dell'inganno maligno. La semina della Parola, il viaggio di Cristo al fondo del peccato. Il nostro. La nostra vita tappezzata di entusiasmi e fughe, di preoccupazioni pagane per il domani, affanni e alienazioni, paure dinnanzi alle persecuzioni, egoismi, concupiscienze, menzogne, violenze, e molto altro. Il seme indomito del Suo amore, che non ritornerà giammai al Padre senza aver prodotto il frutto per cui è stato seminato. La nostra conversione, il nostro incontro con Lui. Le viscere di peccato delle nostre esistenze confuse, immerse nelle Sue viscere di misericordia. Il Golgota di oggi, il terreno bello per il Più bello tra i figli dell'uomo


Lui, il Signore. E Noi. Oggi. Così come siamo, visitati dal suo folle amore testardo. Lui vede anche oggi, dietro alla strada, dietro ai sassi, dietro alle spine, la terra buona. Lui attraversa la morte della nostra terra infeconda, non si ferma dinanzi alle nostre matrici incapaci di dare vita, Lui va diritto al cuore, laddove il demonio ha deposto il suo seme velenoso, per estirparlo, per guarirci, per seminarvi la Sua vita. La Sua natura. Lui guarda il Suo proprio volto scolpito in noi, deturpato, ferito. La Sua Croce, il balsamo capace di ridar vita a ciò che stava per morire. Che forse era morto. La nostra Croce e la Sua, il terreno bello. Lasciamoci amare, crocifissi con Lui. Il frutto copioso del seme impavido fatto peccato, maledizione per noi, perchè diventassimo, anche oggi, il suo frutto più bello, santi e immacolati nel Suo amore, il Suo profumo sparso in questa generazione.












Benedetto XVI - Ai partecipanti al Convegno europeo sulla pastorale vocazionale (4 luglio 2009)


C’è un’altra parola di Gesù, che utilizza l’immagine del seme, e che si può accostare alla parabola del seminatore: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore produce molto frutto” (Gv 12,24). Qui il Signore insiste sulla correlazione tra la morte del seme e il “molto frutto” che esso porterà. Il chicco di grano è Lui, Gesù. Il frutto è la “vita in abbondanza” (Gv 10,10), che Egli ci ha acquistato mediante la sua Croce. E’ questa anche la logica e la vera fecondità di ogni pastorale vocazionale nella Chiesa: come Cristo, il sacerdote e l’animatore devono essere un “chicco di grano”, che rinuncia a se stesso per fare la volontà del Padre; che sa vivere nascosto dal clamore e dal rumore; che rinuncia alla ricerca di quella visibilità e grandezza d’immagine che oggi spesso diventano criteri e addirittura scopi di vita in tanta parte della nostra cultura, ed affascinano molti giovani.

San Giovanni Crisostomo (circa 345-407), vescovo d’Antiochia poi di Costantinopoli, dottore della Chiesa

Discorsi 44 sul vangelo di Matteo, 3-4 ; PG 57, 467-469

Nella parabola del seminatore, Cristo ci mostra che la sua parola è destinata a tutti, indistintamente. Infatti come il seminatore della parabola, senza fare nessuna distinzione fra i terreni, semina ai quattro venti, così il Signore non distingue il ricco dal povero, il saggio dallo stolto, il negligente dal diligente, il coraggioso dal vigliacco, ma si rivolge a tutti e, pur conoscendo l’avvenire, fa da parte sua di tutto finché non possa dire : « Che cosa dovevo fare ancora che io non abbia fatto ? » (Is 5,4)…

Inoltre, il Signore dice questa parabola per incoraggiare i suoi discepoli ed educarli a non lasciarsi abbattere, anche se coloro che accolgono la parola sono meno numerosi di quelli che la sprecano. Così faceva il nostro Maestro che, pur conoscendo l’avvenire, non cessava di spargere il suo seme.

Ma, dirai, a che pro seminare tra le spine, fra i sassi o lungo la strada ? Se si trattasse di un seme e una terra materiali, non avrebbe nessun senso ; ma poiché si tratta delle anime e della Parola, la cosa è degna di elogi. A ragione si rimprovererebbe a un coltivatore di agire così ; il sasso non può diventare terra, la strada non può non essere una strada, né le spine non essere delle spine. Ma nella sfera spirituale, non è lo stesso : il sasso può diventare una terra fertile, la strada non essere più calpestata dai passanti e diventare un campo fecondo, le spine essere sradicate e permettere al seme di dare frutto liberamente. Se questo non fosse possibile, il seminatore non avrebbe sparso il seme come ha fatto.








San Giovanni Crisostomo (c. 345-407), sacerdote ad Antiochia poi vescovo di Costantinopoli, dottore della Chiesa Discorso su Lazzaro § 2

« Chi ha orecchi intenda ! »
        
Un seminatore andò a seminare, e una parte del seme cadde sulla strada, un'altra in un luogo sassoso, un'altra sulle spine, e un'altra sulla terra buona. Tre parti furono perse, una sola diede frutto. Eppure il seminatore non cessò di coltivare il suo campo ; per lui è sufficiente che una parte sia conservata per non sospendere i lavori. In questo momento, è impossibile che il seme che sto lanciando in mezzo a un uditorio così numeroso non germogli. Se non tutti mi ascoltano, un terzo ascolterà. Se non un terzo, almeno un decimo ; se neanche un decimo ascolta, purché ascolti un solo membro di questa assemblea, io non cesserò di parlare.

        Non è poca cosa la salvezza, anche di una sola pecora. Il Buon Pastore lasciò le novantanove per correre dietro a quella perduta (Lc 15, 4). Io non posso disprezzare nessuno. Anche se ce n'è uno solo, questi è comunque un uomo, una persona tanto cara agli occhi di Dio. Fosse anche uno schiavo, non lo disdegnerei ; infatti non cerco la condizione sociale, bensì il valore personale, non il potere o la schiavitù, ma un uomo. Anche se ce n'è uno solo, questi è comunque l'uomo, per il quale il sole, l'aria, le fonti e il mare sono stati creati, i profeti sono stati mandati, la Legge è stata data. È comunque per questa persona che il Figlio unico di Dio si è fatto uomo. Il mio Maestro è stato immolato, il suo sangue è stato versato per l'uomo, e io oserei disprezzare qualcuno ?

        No, non cesserò di seminare la parola, anche se nessuno mi ascoltasse. Sono medico, propongo i miei rimedi. Devo insegnare, mi è stato ordinato di ammaestrare ; infatti sta scritto : « Ti ho posto come sentinella alla casa d'Israele » (Ez 3, 17).