Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 26 settembre 2011

Parlami o Dio nel mio silenzio ( Henri J. M. Nouwen)

 

Missione Speranza

LeggiAmo:     

Apocalisse. Le due bestie del potere <> di E. BIANCHI         , 25 settembre 2011

Beato de Fernando I y Doña Sancha, Adorazione alla bestia

  Avvenire

Ultimi anni del I secolo dopo la nascita di Gesù Cristo: Giovanni è in esilio a Patmos, un’isoletta del Mar Egeo. Secondo la tradizione è l’ultimo dei dodici apostoli rimasto vivo: quasi centenario sta per lasciare la sua chiesa, o meglio le sue chiese disseminate nell’Asia Minore. Da visionario che ascolta e contempla, egli scrive il suo messaggio-testamento: il libro dell’Apocalisse, compiendo un’operazione ben precisa: “alza il velo” (è il senso etimologico del verbo apó-kalýpto) sul presente della storia, sull’azione di Dio che è sempre giudizio.
Dal capitolo 13 del suo “testamento” vorrei estrarre solo due visioni concatenate tra loro. Giovanni vuole alzare il velo sulla presenza del male nella storia umana, vuole che noi comprendiamo ciò che può essere il potere politico nella storia, come gli uomini possano diventare vittime e insieme complici di tale potere. Giovanni usa un linguaggio simbolico, fatto di «segni» e immagini poste come «segnali» che indica in quale direzione guardare e come fare discernimento.
Una forza mortifera è presente nella storia, opera violenza e guerra, nutre l’ingiustizia e si nutre di schiavitù, alienazione, oppressione dell’umanità. Ma in questo mistero del male, che ruolo ha il potere, qual è l’incarnazione della potenza mortifera? Giovanni vede salire dal mare una bestia con cui il drago diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere (cf. Ap 13,1-2). La bestia sale dal mare, cioè da quello spazio negativo e caotico che il mare rappresenta per le Scritture. Agli occhi di Giovanni che scrive da Patmos la bestia viene da occidente, dal Mediterraneo. Essa ha sette teste e dieci corna, come il drago, e partecipa del carattere polimorfo e molteplice del suo potere. Sulle dieci corna, simbolo del suo potere, ci sono dieci corone, segno del dominio che essa esercita, e ciascuna delle sette teste porta un titolo che è una bestemmia. Giovanni intravede qui la potenza politica di Roma che viene da occidente, dal mare, la quale riprende e sintetizza gli aspetti che caratterizzavano le quattro bestie viste sorgere dal profeta Daniele, cioè i quattro imperi totalitari che si erano succeduti nell’antichità: Babilonia, Media, Persia, Grecia. Il potere totalitario appare come bestiale, disumano e al contempo blasfemo: i nomi che porta sulle teste costituiscono un attentato portato all’unicità del Signore, al Dio unico: Dio, Divino, Kýriosadorabile, Figlio di Dio, Salvatore… Con questi nomi blasfemi essa vuole riempire di sé tutta la terra. Siamo di fronte al potere politico totalitario, realtà bestiale e dunque disumanizzante, mostro che tutto domina e inghiotte, arbitro assoluto della vita e della morte, realtà che si pone al di sopra del bene e del male, non giudicabile perché nessun processo può essere intentato contro le sue nefandezze.
Ma il male assoluto appare operante anche nella gente sedotta e stupita da questa bestia. Soprattutto perché la bestia a un certo punto sembra colpita a morte in una delle sue teste, ma poi questo potere riprende, si rinnova, trova modi per durare ancora, e le sue piaghe, anche quando sembrano capaci di condurla alla fine, in realtà guariscono. L’imperium continua, non è invulnerabile ma si rigenera continuamente, e allora la gente «adora la bestia dicendo: “Chi è simile alla bestia e chi può vincere contro di essa?”» (cf. Ap 13,4). Sicché la bestia si esalta, alza la voce, grida: «Vedete, ho il consenso, l’approvazione, ho il carisma della seduzione!» (cf. Ap 13,5-6). Così nasce la religione della bestia…

La bestia agisce non solo proferendo bestemmie contro Dio, ma facendo anche guerra ai piccoli, ai poveri, agli uomini che a essa si oppongono: crea vittime, oppressi, toglie loro la libertà, perseguita gli affamati e gli assetati di giustizia. Sì, perché allo splendore del potere totalitario si accompagna anche una fioritura economica e il potere splende di gioielli scintillanti, mostra «l’arroganza della vita», è capace di creare la scena dell’abbondanza attraverso i potenti della terra. E così la bestia ottiene il suo scopo: «la adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo» (Ap 13,8). Tutto questo mentre le vittime, i poveri, gli ultimi aumentano sempre di più.
Ma la bestia venuta dal mare da sola non può regnare. Con sottile discernimento Giovanni narra di un’altra bestia che “esercita tutto il potere della prima bestia alla sua presenza, accanto a essa, e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. Opera grandi prodigi … davanti agli uomini. Per mezzo di questi prodigi … seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia … E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia” (Ap 13,11-15).
La seconda bestia viene dalla terra, dall’Asia Minore, dove proprio in quei decenni si andava diffondendo il culto imperiale: qui l’imperatore romano si faceva costruire nelle città dei templi in cui era eretta la sua statua: è una bestia con due corna, ha le sembianze di un agnello – particolare sinistro  per i lettori dell’Apocalisse abituati a sentire designare Gesù Cristo come «Agnello» – anche se parla come un drago. Cosa rappresenta la seconda bestia che è inseparabile dalla prima ed è al suo servizio, animandola, facendola parlare? Giovanni ce lo spiega senza lasciarci alcun dubbio: è la falsità della propaganda, dell’ideologia. Questa bestia serve la prima con la pubblicità, con una gran dotazione di mezzi per «far apparire»; essa fa erigere addirittura una statua del potere totalitario e mette a morte chi rifiuta di riconoscerla e di prostrarsi a essa.
La denuncia di Giovanni è sferzante: la propaganda che blandisce le folle e ne organizza il consenso al potere totalitario divinizza un uomo, un «nome d’uomo» (cf. Ap 13,18)! L’asservimento al potere totalitario e l’organizzazione del consenso sono perseguiti e garantiti dall’opera di persuasione della seconda bestia. Giovanni rivela che la prima bestia può occupare e conservare il potere solo se si avvale di potenti mezzi di comunicazione, di una forte propaganda capace di costruire «prodigi». Tutto ciò che seduce gli uomini, tutto ciò che li aliena e li diverte è opera della regia della seconda bestia. Per questo l’autore in seguito la chiamerà pseudoprophétes, cioè falsità, vertigine di falsità: rappresenta il primato dell’immagine, dell’apparire, dell’ostentazione del potere, il tutto finalizzato alla seduzione degli uomini, i quali giungono a costruire alla prima bestia una statua, a invocare «l’unto», «il grande timoniere», «il capo». È il prevalere della personalizzazione e della spettacolarizzazione del potere, è il culto della personalità.
Ma Giovanni è ancora più preciso: questa bestia così efficace, che persuade tutti ad adorare il potere totalitario, cosa dà in cambio per sedurre gli uomini? Innanzitutto omologa l’umanità intera, «piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi», e lo fa imponendo loro «un marchiosulla mano destra o sulla fronte, senza il quale nessuno può comprare o vendere» (cf. Ap 13,16-17). Ecco a cosa questa bestia riduce la vita: a uno scambio di oggetti, a un commercio di cose, ben oltre il soddisfacimento del bisogno. Il diritto di comprare e di vendere diventa una definizione della vita: avere, possedere, comprare, vendere le cose e scambiare la moneta è l’unico metro su cui si misura il valore della vita. Questo è ciò che è proposto alla collettività influenzata e controllata dal potere totalitario e dalla sua propaganda.
Il marchio della bestia è il contrassegno tipico degli schiavi, il sigillo dell’alienazione; e i marchiati sono quelli che hanno assimilato la mentalità dell’ideologia corrotta, della falsità che si erge a sistema organizzato. Chi non ha questo marchio non può partecipare all’abbondanza, alla tavola dei beni della terra, riservati esclusivamente agli schiavi della bestia.
Riletto oggi, questo capitolo dell’Apocalisse dà le vertigini e offre a cristiani e non cristiani una profezia: è un ammonimento che grida di svegliarci e di aguzzare gli occhi della nostra mente per guardare in faccia con lucidità il potere. Lo deve fare il cristiano – dice tutto il Nuovo Testamento – quale cittadino leale della polis, dello stato, alle cui leggi si sottomette se queste sono leggi per l’umanizzazione, leggi al servizio dell’uomo, dunque tramite della volontà di Dio. Lo deve fare, più in generale, ogni cittadino/a, perché in ogni generazione di fronte al potere che diventa totalitario, alienante, che pretende di non essere giudicato, occorre indignarsi, resistere e saper dire un «no» convinto alla falsa parola, allo pseûdosdella propaganda, ci dice Giovanni.
Ecco un’eredità per ogni generazione, un’eredità trasmessa a me dalla generazione cristiana che mi ha preceduto e che io, ormai anziano, vorrei a mia volta trasmettere alle nuove generazioni: imparate a conoscere il potere, perché esso è sempre un fenomeno umano; la sua qualità dipende da come noi uomini e donne lo forgiamo e gli permettiamo di manifestarsi e di operare. «Qui sta la sapienza: chi ha intelligenza» (Ap 13,18) operi questo discernimento, per il bene di tutta la polis, perché si possa costruire insieme una terra più abitabile.
Il cristiano che confessa come unico suo Signore Gesù Cristo – avvertito dall’Apocalisse della battaglia in corso contro l’ispiratore delle due bestie, il diavolo, Satana, il Principe di questo mondo – sa che l’Agnello Immolato per amore degli uomini sarà il vincitore, che sarà giudice di questo mondo e che aprirà il Regno dove è vinta la morte, il male, il peccato: un cielo nuovo e una terra nuova!

                                   >>    Enzo Bianchi  <<

mercoledì 14 settembre 2011

LA CROCE SANTA


 Mi hanno molto  colpito

     "SUL TEMA DELLA CROCE"
 le letture,  di Martedì

13/09/2011 e di oggi

  Festa dell'esaltazione

della Santa Croce

e i commenti del giorno

pubblicati sul blog :


di  > Don Antonello <:


GiuMa
             

Martedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario

La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, 
cioè col passaggio dalla morte alla vita, 
dal peccato alla giustizia, 
dalla infedeltà alla fede, 
dalle cattive azioni ad una santa condotta. 
Coloro che risuscitano con questa risurrezione 
non subiscono la seconda morte. 
San Fulgenzio di Ruspe


Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17. 


In seguito  si recò

in una città chiamata Nain
 e facevano la strada con lui
 i discepoli e grande folla. 
Quando fu vicino alla porta della città,
 ecco che veniva portato
 al sepolcro un morto,
 figlio unico di madre vedova;
 e molta gente della città era con lei. 
Vedendola,
 il Signore ne ebbe compassione
 e le disse: «Non piangere!». 
E accostatosi toccò la bara,
 mentre i portatori si fermarono.
 Poi disse:
 «Giovinetto, dico a te, alzati!». 
Il morto si levò a sedere
 e incominciò a parlare.
 Ed egli lo diede alla madre. 
Tutti furono presi da timore
 e glorificavano Dio dicendo:
«Un grande profeta è sorto tra noi
e Dio ha visitato il suo popolo». 
La fama di questi fatti
 si diffuse in tutta la Giudea
e per tutta la regione.

Il Commento

Il Vangelo di oggi è una profezia del mistero Pasquale di Gesù e ci aiuta a comprenderne un aspetto fondamentale e nascosto: la compassione. "Stava presso la Croce di Gesù Maria, la madre di Gesù...". Giovanni utilizza la preposizione presso in una forma particolare, quella che in greco è riservata alle persone, diversa da quella usata per le cose: Maria non era accanto ad un oggetto di legno quale era in effetti la Croce; Ella si trovava invece presso qualcosa di vivo, ad una Croce viva, la Croce di suo Figlio, il legno santo divenuto persona, la sofferenza autentica intrisa del sangue di Gesù, un dolore che la coinvolgeva in un rapporto specialissimo. La Croce non era per Maria un semplice strumento di tortura ma il Destino che aveva afferrato suo Figlio e nel quale lei stessa era assorbita, del quale partecipava fino a sentire la sua anima trapassata da una spada. Maria presso la Croce è immagine di ogni innocente sofferente. Bambini violentati, vittime degli tsunami, figli che hanno visto i genitori divorziare, coniugi traditi, lavoratori licenziati, anziani gettati nell'abisso della solitudine, e le vittime delle dittature e dei campi di concentramento, delle guerre e delle rivoluzioni, degli sconquassi economici frutto di giochi finanziari perversi e avidi. I piccoli e i poveri della terra, tutti racchiusi nel popolo degli anawin di Israele, oppressi e affaticati, gli ultimi della terra. Maria presso la Croce, una di loro, abbracciata alla sofferenza di ogni innocente, unita all'unico Giusto sofferente l'ingiustizia più grande: Maria presso Gesù crocifisso, presso ciascuno di noi, figli unici di madre vedova, senza speranza, cancellati dalla terra, avviati ad un sepolcro senza uscita.


Una vita spesso ridotta ad un funerale, di progetti, di amori, di lavori e amicizie, l'onda anomala del peccato a travolgere costruzioni e strade, uffici e case, i nostri luoghi faticosamente tirati su, abbozzi di un futuro appena dischiuso: il giovinetto  morto nel suo sbocciare alla vita, figlio unico come Gesù, come unico è ciascuno di noi agli occhi di Dio. E una madre vedova, come Maria, sola a solo presso la Croce, la sua e la nostra solitudine ai piedi della Croce piantata nella nostra vita. E in quel frastuono di lacrime e speranze infrante, in questo funerale che è oggi la nostra vita - un figlio scappato di casa, una malattia, il lavoro perduto, l'incomprensione della moglie, i soldi che non bastano, lo sfratto, i peccati che ci scappano dal cuore e non possiamo farne a meno - sul cammino che ci conduce al sepolcro dove deporre la felicità perduta, lo sguardo di Gesù, i suoi occhi colmi di compassione, e le sue parole, ora, diritte al nostro cuore: "Non piangere!". Le stesse che hanno fatto fremere il cuore di Maria Maddalena piangente al sepolcro di Gesù, che ne hanno destato la speranza, come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato mille volte:
 non piangere, la morte è vinta,
 ogni peccato è perdonato,
 Cristo è risorto dal sepolcro!

La compassione di Gesù è la compassione del Padre, il suo cuore spezzato di fronte alla morte del Figlio, alla spada che percuoteva l'anima di sua Madre, al peccato e alla sofferenza innocente di ogni uomo, paradosso che atterrisce anche la nostra vita. Quel figlio unico di madre vedova è immagine del frutto velenoso dell'inganno demoniaco, l'approdo drammatico di ogni peccato; ed insieme, è immagine di ogni ingiustizia che raggiunge e colpisce gli innocenti, i piccoli disarmati di fronte ad eventi più grandi di loro. Entrambi si intrecciano in noi, nelle nostre storie: peccatori che sperimentano le conseguenze mortali del peccato ci troviamo spesso vittime innocenti di ingiustizie cui non possiamo sfuggire. Siamo tutti distesi nella bara di quel giovinetto. E proprio per questo siamo tutti oggetto della compassione di Dio. In noi Egli vede il suo Figlio crocifisso, e sua Madre sola accanto a Lui. Nostra madre, le viscere di carne che ci hanno gestato e generato, la nostra storia, l'identità, quello che ci ha costituito e formato, dissolversi nel fallimento della morte. E la nostra Madre che ci ha rigenerato, Maria, la Chiesa, anch'essa sofferente per noi, le sue preghiere, la sua intercessione, lo zelo pieno d'amore che non ci lascia mai, sino al'ultimo respiro, sin dentro la morte. Su tutto lo sguardo compassionevole di Dio, lo stesso che ha guardato il Popolo oppresso da quattrocento anni di schiavitù in terra d'Egitto, lo stesso che ha amato quella madre vedova di quel giovinetto. 


La compassione che ha mosso Gesù a toccare quella bara e a ridare vita al ragazzo è la compassione di suo Padre che lo ha riscattato dalle angosce della morte. E' la compassione che tocca la nostra bara oggi, che si contamina con la nostra morte, e che ci risveglia e rialza ad una nuova vita. "Dico a te!", a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla moltitudine. Sono una chiamata personale ad alzarci dalla tomba, per ricominciare a parlare, ad entrare nella comunione nuova che Lui ci dona, nell'amore capace di risuscitarci. Parlare per donarci agli altri, per uscire dalla solitudine della tomba e ricominciare a vivere, che significa amare, nella storia concreta che siamo chiamati a vivere, senza sperare ed esigere cambiamenti, certi che la compassione di Dio ci conduce ogni istante ad attraversare la porta stretta dell'ingiustizia, della sofferenza e della Croce. Risuscitati per tornare a nostra Madre. Risuscitati per sperimentare la riconciliazione, e vivere nell'intimità della Chiesa, il luogo dove la nostra storia di carne, anche nei suoi aspetti più misteriosi e dolorosi, incontrano la pace di chi vi scopre l'amore infinito di Dio. Come Giovanni sotto la Croce siamo risuscitati per accogliere Maria, la Mediatrice di tutte le Grazie, nella nostra casa, nella trama della nostra vita. Per questo oggi il Signore ci perdona e ci riscatta dalle ingiustizie, per donarci a sua Madre, alla Chiesa, al Regno dei Cieli dischiuso per noi qui su questa terra. Risuscitare per gustare e vivere già oggi il Cielo nella nostra storia. E' questa la Profezia apparsa tra noi, la visita di Dio: "Non piangere! Alzati!" ed entra nella volontà d'amore di Dio, una vita trasfigurata sui passi della storia, attraverso tsunami e sofferenze, verso il compimento che ci attende in Cielo, in Cristo Gesù risorto che ci ama di un amore incorruttibile.



>14 / 09/2011 > Esaltazione della Santa Croce<
NB:
> Le immagini sono dei blog citati nel post.

GiuM@

mercoledì 7 settembre 2011

Leggere la Bibbia "UOMINI E PROFETI" > RAI Radio 3 >

   
Il sabato e la Domenica ore 9,30 > 10,15
"Uomini e Profeti"

un programma su Rai Radio 3  di Gabriella Caramore

a cura di Paola Tagliolini

in redazione e in regia Antonella Borghi

consulenza musicale di Cristiana Munzi.
Il programma ripropone alcune letture bibliche:

commentando e leggendo in modo progressivo

 i libri biblici, partendo dalla Genesi.

Libro dei Salmi; Cantico dei Cantici; Libro di Rut; Qohèlet

Programmazione estiva dal 2 luglio al 18 settembre
il sabato e la domenica

dalle 13.00 alle 13.45

“Dio è nei cieli e tu sei sulla terra”
 
Paolo De Benedetti Legge Qohelet










sabato 10 settembre — 1 puntata:
 “Tutto è vanità e un inseguire il vento”
domenica 11 settembre — 2 puntata:

 “Un tempo per cercare,
un tempo per perdere”
 sabato 17 settembre  — 3 puntata:
 “Il desiderio dell’eterno”
domenica 18 settembre  — 4 puntata:

 “Come un’ombra”

 

Suggerimenti bibliografici :

Paolo De Benedetti, Qohèlet,

 Morcelliana 2004-Collana Uomini e Profeti

Qohèlet o l'Ecclesiaste

 Einaudi 1970 - 1994
, a cura di Guido Ceronetti,
 

Uomoni e profeti
01/07/2004 - Dietrich Bonhoeffer,

 Risposta alle nostre domande.

 Pensieri sulla Bibbia, Queriniana, Brescia 2003

Uomini e Profeti

Per riascoltare "Leggere la Bibbia"
 Libro dei Proverbi >
Sulla tavola del cuore:


GiuMa