Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 28 febbraio 2014

L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Venerdì della VII settimana del Tempo Ordinario


Amore mio, che altro posso fare?
Quale altra occupazione può avere un uomo valido su questa terra, fuorché di sposarvi?
Che alternativa c'è al matrimonio, eccetto il sonno?
Non certo la libertà.
A meno che non sposiate Dio, come le nostre monache in Irlanda,
bisogna sposiate un Uomo, cioè a dire Me.
La terza ed ultima ipotesi sarebbe che sposaste voi stessa
e viveste con voi, voi, voi sola:
cioè a dire in quella compagnia che mai è soddisfatta e non soddisfa mai.

Gilbert Keith Chesterton, Le avventure di un uomo vivo




Dal Vangelo secondo Marco 10,1-12.


Partito di là, si recò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare. E avvicinatisi dei farisei, per metterlo alla prova, gli domandarono: «E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?». Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla». Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L'uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto». Rientrati a casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo su questo argomento. Ed egli disse: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio».


Il commento

Vi sono domande che non cercano risposte, domande che sembrano pistole puntate. Gesù ne ha fatto più volte esperienza. E il tema del Vangelo di oggi è di quelli scottanti, duemila anni fa come oggi. I farisei conoscevano perfettamente la Torah. E, di essa, ogni cavillo legislativo. Essi si avvicinano a Gesù per metterlo alla prova, per coglierlo in fallo, per poterlo denunciare come eretico. Loro conoscevano quello che stabiliva Mosè circa il ripudio. Interrogano Gesù per sapere cosa ne pensasse, della Legge e di Mosè, e così, con una domanda trabocchetto, volevano sapere che cosa Lui pensava di loro, paladini della purità e del compimento della Legge. Tante nostre discussioni conservano lo stesso sapore. Sappiamo bene dove sia la verità, e domandiamo, parliamo, ci scaldiamo mossi solo dal desiderio di veder crollare i nostri interlocutori, di tracciare un segno ben marcato a dividere gli "altri" tra amici e nemici, buoni e cattivi, onesti e mascalzoni. Molte, troppe volte, parliamo per poter viaggiare sicuri nelle nostre decisioni e sapere chi è dei nostri e chi non lo è. Ma "Gesù conosceva il cuore" dei farisei, come conosce il nostro. Lui è Dio. E risponde, inaspettatamente, con un'altra domanda, diversa dalla loro, perché piena d'amore. Avrebbe potuto stare lì a discutere, umiliare, deridere, vincere la sua battaglia ideologica, smascherare la perfidia e l'ipocrisia dei farisei. Lo potrebbe fare mille volte con noi. Invece il suo amore colpisce al cuore, incarnato nelle sue parole che, come una lama a doppio taglio, penetrano sino alle giunture più recesse dello spirito. Le sue parole, un bagliore di luce nell'oscurità del cuore indurito, il cuore dei farisei come quello di ciascuno di noi. E' questa la parola chiave del Vangelo di oggi: sklerokardia, la malattia del nostro cuore. E' un termine rarissimo nel Nuovo Testamento, è usato solo qui (e nel parallelo di Mt. 19,8) e nel finale di Marco, quando Gesù risorto, apparendo ai discepoli, li rimprovera per la loro incredulità e durezza di cuore. La malattia del cuore è dunque l'incredulità.

Si comprendono allora meglio le parole di Gesù sull'indissolubilità del matrimonio se le poniamo nel loro proprio contesto che è la fede. I farisei sono ciechi, non comprendono nulla di Gesù, esattamente come i discepoli. Non hanno fede. Il cammino sin qui percorso da Gesù, i fatti, i miracoli, le sue parole, ce lo hanno svelato. Pietro stesso, la mente preda di pensieri secondo il mondo, è apostrofato satana dal suo Maestro. E il menzognero sin da principio ispira anche i pensieri e le infide domande dei farisei. Parlando di un "ordine" da parte di Mosè Gesù apre la porta della verità dinnanzi ai farisei. Mosè infatti non ha dato alcun ordine riguardo al ripudio. In Dt. 24, 1-4, l'unico passo della Torah che ne tratta, il divorzio è scontato. In esso si tratta più specificatamente del caso di un uomo che ha ripudiato la moglie e vuole sposarla di nuovo, dopo che ella è stata sposa di un altro uomo. I farisei, che conoscono la Legge, rispondono infatti che non v'è nessun ordine in materia, ma solo un permesso. Si permette qualcosa non solo perchè sia valida, ma, a volte, si permette di fare qualcosa anche per riguardo alla debolezza. O per la durezza del cuore. Non si tratta quindi di liceità o meno. Il matrimonio è qualcosa di molto più grande, riguarda il principio, riguarda Dio, e, in Lui, raggiunge il cuore degli uomini, degli sposi. E' il peccato d'orgoglio di Adamo ed Eva che ha rotto l'equilibrio d'amore pensato da Dio. E' stata la loro incredulità, la durezza del loro cuore dinanzi al potere e all'autorità di Dio a spezzare il progetto di Dio sulla Sua creatura. La durezza di cuore che percorre tutta la storia di Israele è come cristallizzata nelle parole dei farisei del vangelo di oggi. La nostra durezza, la nostra malattia.
Il matrimonio, tale come traspare dalle parole di Gesù, è essenzialmente una Buona Notizia dell'amore di Dio, l'opera che Dio ha pensato creando l'uomo. Infatti la Scrittura, per parlare del rapporto tra Dio e l'uomo, usa immagini nuziali di rara bellezza e di sconosciuta misericordia. Dio ha sempre avuto misericordia del suo Popolo, anche quando ne è stato tradito più vergognosamente. E lo ha sempre amato e perdonato. Non vi era dunque solo un principio davanti agli occhi dei farisei. Vi era anche una storia di secoli, storia di misericordia dalla quale attingere per comprendere il mistero del matrimonio. Ma la storia sino a quel giorno non era bastata, come non basta per noi. Era necessario qualcosa di più, l'amore sino alla fine di Cristo. La croce, il letto d'amore dove Dio, nel suo Figlio, ha sposato tutti noi, il legno dove ci ha fatti carne della sua carne, una sola cosa con Lui. La parola della croce è la luce che promana dalle parole di Gesù. In essa Lui ha compiuto quel che oggi ci annuncia. Il principio nel quale Dio ha creato l'uomo a sua immagine, maschio e femmina, perchè fossero una sola carne e che nessuno avrebbe mai dovuto separare, l'amore che Dio ha pensato per ogni uomo, trova il compimento nella croce del Figlio. La fede nella croce, nel suo amore infinito, è il fondamento di ogni matrimonio. Non si tratta di carattere, affinità, etc. Si tratta di fede dinanzi alla croce, la fede di chi ha sperimentato l'amore di Dio capace di sciogliere un cuore indurito. L'amore che vince l'incredulità, le sue piaghe gloriose nelle quali sono impressi i nomi di tutti noi. Adamo cade in un sonno profondo mentre Dio estrae dal suo petto una costola per formarvi Eva, profetizzando il sonno di Cristo sulla Croce, la ferita del costato, la creazione della sua sposa immacolata, la Chiesa. L'amore nuziale è questa opera divina, e il suo compimento è il risveglio di Adamo e l'incontro pieno di stupore dinanzi a quella parte di sé per la quale era nato, per la quale aveva ricevuto quel corpo, e quella costola, che ha dovuto offrire nel sonno del sacrificio: “Lo stupore è il desiderio di sapere qualcosa. Esso nasce nell’uomo per il fatto che egli vede l’effetto e ignora la causa, per il fatto che la causa di quell’effetto trascende la conoscenza e la capacità dell’uomo. Perciò lo stupore è causa di piacere, in quanto vi è congiunta la speranza di poter giungere a conoscere ciò che desidero sapere” (S. Agostino). Il piacere esultante di Adamo dinanzi a quella donna, a quell'altro io che era quel tu così bello, e unico capace di richiudere la ferita che gli era occorsa nel petto. Solo Eva, solo lei era destinata a quell'anfratto che lo percuoteva e lo faceva sentire mancante, mendicante e incompleto: "Ciò che gli era stato rubato, gli è stato reso, trasfigurato dalla bellezza (Giacomo di Saroug, Hexameron ; Omelia per il sesto giorno). Era lei la sua pienezza, lei e solo lei, e per questo, diveniva gioia, piacere, stupore. Attraverso di lei sorgeva in Adamo la speranza di conoscere la fonte di tutto quello straripamento di pace, quel senso di pienezza e di soddisfazione, la fonte inestinguibile di ogni amore, di quell'amore che, lui lo sentiva, era l'unico che dava senso a tutto, al Paradiso nel quale era stato posto, alla sua esistenza. Eva era la porta che gli dischiudeva il mistero del principio, l'origine ferma e certa della sua stessa vita. Il principio di ogni amore è dentro un sonno fecondo, e nell'incedere sicuro di Dio che accompagna Eva al suo sposo, a quell'unico uomo per il quale e dal quale era stata tratta. Eva era un dono, ecco il segreto, il dono scaturito dal suo sonno, il frutto della Croce e della risurrezione del Signore. Eva, la sposa, l'unico approdo perchè il sonno non torni, malvagio questa volta, a strappare quell'allegria piena: "Amore mio, che altro posso fare? Quale altra occupazione può avere un uomo valido su questa terra, fuorché di sposarvi? Che alternativa c'è al matrimonio, eccetto il sonno?" (Gilbert Keith Chesterton, Le avventure di un uomo vivo).
Sempre sussiste, tuttavia, la possibilità di ribellarsi contro quel disegno d'amore: si ripresenta allora quella "durezza del cuore" (cfr Mt 19, 8) per la quale Mosè permise il ripudio, ma che Cristo ha definitivamente vinto. A tali situazioni bisogna rispondere con l'umile coraggio della fede, di una fede che sostiene e corrobora la stessa ragione, per metterla in grado di dialogare con tutti alla ricerca del vero bene della persona umana e della società. Considerare l'indissolubilità non come una norma giuridica naturale, ma come un semplice ideale, svuota il senso dell'inequivocabile dichiarazione di Gesù Cristo, che ha rifiutato assolutamente il divorzio perché "da principio non fu così" (Mt 19,8). Il principio del disegno di Dio ci è consegnato oggi nella Croce del Signore. La sua croce nella nostra, il luogo dove ci dà ogni giorno appuntamento per essere con Lui una sola carne. E, in lui, una sola carne marito e moglie, spesso "croci" gli uni per gli altri, e, quindi, nel Signore, più saldamente uniti. Indissolubilmente. E' nella croce che Dio li ha uniti, per sempre. Il verbo greco synezeuxen che indica "congiunto" infatti, è formato dalla preposizione-prefissosyn ("con") e dalla radice zeug-, che descrive anche due animali uniti dal "giogo" (zeugos). Il giogo che unisce gli sposi è dunque il giogo di Cristo, mite e umile di cuore. Esso è leggero e dolce perchè è l'unico adeguato a ciascuno dei due, l'unico che li fa, giorno dopo giorno, una sola carne. Non può esservi giogo diseguale, pena inciampare, cadere, rompere l'unità. Il giogo di Cristo, le sue braccia distese ad unire gli sposi, il suo amore infinito che ogni giorno perdona, e fa perdonare; ama e dona di amare. Che Dio conceda a tutti noi, "rientrati a casa" con il Signore, nel seno benedetto della Chiesa dove siamo gestati nella verità e nella libertà dei figli, la fede capace di aprire gli occhi sulla croce gloriosa del Signore risorto, e credere all'amore che vince ogni male, la fonte di vita per ogni matrimonio, il giogo soave che conduce gli sposi, indissolubilmente uniti, sino al Cielo.

giovedì 27 febbraio 2014

"Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete?"


L'ANNUNCIO
Gesù è in cammino verso Gerusalemme, il suo destino, e sullo sfondo, si distinguono i tratti della Croce, disegnati sin dalle sue prime parole: il bicchiere d'acqua per i discepoli assetati, la sete di coloro che sono di Cristo, la sete di Cristo crocifisso. Con essa si compie la passione del Signore e la croce brilla in tutto il suo splendore: "In Gesù, la sete è il desiderio di comunicare i suoi doni, lo Spirito Santo" (Ignace de la Potterie, Il mistero del cuore trafitto). La sete di Gesù è un desiderio d'amore, di salvezza per ogni uomo. Lo aveva compreso sino in fondo Madre Teresa di Calcutta: "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete", che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo, è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta). Il desiderio di una santa coincide così con il desiderio del Signore. La sete di Gesù, sulla croce come al pozzo di Sicar, dove si fa mendicante presso la donna samaritana, immagine dell'umanità idolatra. La sua sete nel sole caldo di mezzogiorno accende nella donna la sete di un'acqua che zampilli per la vita eterna: la sete di Gesù accende la sete di Vita, come il desiderio di Gesù di salvare ogni uomo, innesca il desiderio di Lui nell'uomo. La sua sete suscita quello che un filosofo contemporaneo, René Girard, chiama l'imitazione di Gesù, l'imitazione del suo desiderio. Coloro che non conoscono Gesù hanno il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Lo ribadisce tutta l'ecclesiologia del Vaticano II. Per questo basta "un bicchiere d'acqua" donato ai discepoli nel Nome di Cristo, perché sono suoi, per non perdere la ricompensa. Il Cielo, Gesù stesso si fa loro ricompensa, proprio attraverso la sete dei discepoli, la stessa sua sete, lo zelo d'amore che lo divora, così potente da accendere in chiunque si imbatta in Lui una sete inestinguibile di Lui. La sete dei discepoli è l'occasione, la possibilità donata ad ogni uomo di partecipare dei beni che essi incarnano nel loro desiderio. La vita nuova in Cristo appare nel loro desiderio, lo stesso di Cristo, che coincide in un amore che trascende i limiti di questo mondo, l'agape, l'amore crocifisso, il "sale" che si scioglie come il chicco di grano caduto in terra deve morire per portar frutto. Il sale infatti, non solo biologicamente, è legato alla sete. Essa suppone anche una mancanza, una povertà, una nudità: la sete dei discepoli costituisce, infatti, anche l'immagine della loro vita crocifissa con Cristo: il suo l'amore sprigionato in loro attraverso il loro vivere crocifisso. La sete è il segno di un amore che genera stupore e tenerezza in chiunque si incontri. Non a caso i discepoli sono chiamati da Gesù i piccoli, i bambini. Non a caso San Paolo qualifica gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto, spettacolo per il mondo e per gli angeli. I discepoli crocifissi, portano ogni giorno nel loro corpo il morire di Gesù, perché, a beneficio di tutti, possa essere manifestata in loro la resurrezione del Signore. Ogni discepolo vive come San Paolo con una spina nel fianco. Come un assetato è sempre debole e bisognoso, eppure proprio in questa condizione si fa presente la potenza di Dio. La Croce è il mezzo concreto perché si faccia visibile Dio. La piccolezza indicata dalla sete è dunque una condizione indispensabile del discepolo, funzionale alla sua missione. La debolezza che scaturisce dalla Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, ovvero il sale di cui parla Gesù. Così Egli ci mette in guardia sui pericoli molto concreti che si addensano su coloro che sono di Gesù: lo scandalo e perdere il sapore, aspetti diversi di un'unica possibilità, rinnegare Cristo. Sono molti i piccoli che hanno iniziato a credere, gli stessi che forse hanno mosso i primi passi proprio commuovendosi di fronte a un discepolo assetato, crocifisso. I piccoli che hanno appena visto in un cristiano Colui che lo ha inviato, e, mossi intimamente dalla testimonianza, hanno iniziato a desiderare un'altra vita in un cammino di conversione, sono ancora molto deboli nella fede. La Chiesa è chiamata ad avere pazienza, ad aprire ovunque cammini di conversione dove i piccoli possano essere gestati alla fede senza ricevere scandali. Ambienti protetti, come "ospedali da campo", dove saranno accolti prima in terapia intensiva e poi nei reparti, e successivamente accompagnati nella riabilitazione, sino a rinascere come figli pronti alla Croce. Così, salvati dalla Croce, i piccoli diventano adulti nella fede restando piccoli insieme a Cristo: dalla Croce alla Croce, prima salvati e poi a salvare, è questo il cammino profetizzato nel brano di oggi. Piccolo è chiunque sia di Cristo, chi vive nella debolezza e nella precarietà della vita la propria fede. "Piccoli" sono i cristiani, e possono subire scandali dai grandi secondo il mondo, da chi ha cambiato casacca e appartenenza, da chi non è più di Cristo ma dell'avversario, i cristiani da salotto, come ripete spesso Papa Francesco. Essi riducono la Chiesa a una comunità chiusa, che esclude l'irrompere dello Spirito nei luoghi e nelle persone che meno ti aspetti. Nei momenti difficili Dio appare nei carismi che si incarnano e fanno saltare vecchie alchimie, metodi atrofizzati come ripeteva Giovanni Paolo II. Essi sono stati e sono "i piedi" che corrono e le "mani" che si distendono verso i piccoli, i poveri, i peccatori, che proprio non ce la fanno ad andare a messa, alle riunioni o ai corsi biblici. Sono "gli occhi" che intercettano i dolori e le paure che sommergono gli uomini nelle periferie dell'esistenza. Frustrare piedi, mani e occhi rinnovati di zelo e coraggio significa "scandalizzare" i piccoli, farli inciampare nel cammino di conversione, chiudergli il Cielo e rubargli la speranza. E' meglio che i cristiani, pastori e semplici fedeli, "taglino" le loro "mani, i loro "piedi, e cavino i loro "occhi" se sono ormai chiusi nel timore di uscire, rischiare tempo e piani pastorali, e sporcarsi per andare in cerca della pecora perduta. Vale per Vescovi e preti come per sposi, genitori e amici. E' "meglio tagliare" la carne che impedisce allo Spirito di operare nella Chiesa e schiudere così il Regno dei Cieli... Le parole di Gesù rispondono ancora alla questione posta da Giovanni circa l'uomo che scacciava i demoni pur non essendo parte del gruppo dei discepoli. Gesù invita la sua Chiesa a convertirsi ogni giorno, a circoncidere cuore e carne per non cedere alla tentazione del narcisismo spirituale, un sofà dove sprofondare e giudicare, escludere, disprezzare. Siamo chiamati a restare crocifissi con Lui, aprendo le braccia verso tutti, inchiodandole al suo amore: "Essere discepolo senza rinunciare, senza soffrire, è una contraddizione tanto manifesta quanto un sale che ha perduto la sua qualità di sale. La qualità costitutiva del discepolo è inseparabile dal ruolo che egli deve compiere nel mondo... Si vede allora come colui che deve avere il sale può egli stesso essere identificato con il sale. Da una parte il sale non ha ragion d'essere se non per la funzione che deve svolgere sulla terra. D'altra parte.... in Palestina si conosce un sale - sia che si tratti di un miscuglio depositato dal Mar Morto o delle piastre di sale utilizzate nei forni - del quale si può dire che deve rinchiudere la forza del sale, poiché in teoria si può perdere.... Così i discepoli che non sapranno sacrificare tutto potranno ancora chiamarsi discepoli, ma mancherà loro ciò che fa il discepolo" (O. Cullmann , La fede e il rito). Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, ed un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e, in modo particolare dei discepoli, di tutti noi, sarà dunque percorsa da queste fiamme che divorano ogni scoria, ogni scandalo. La croce ne sarà lo strumento incandescente. L'amore di Dio non permetterà la rivincita del demonio e le tenterà tutte per salvare quelli che sono di Cristo. La croce, la prova, la persecuzione, la sofferenza sono i viatici che Dio ci dona per condurci a Gerusalemme, per non essere gettati fuori di essa, come un rifiuto "nella Geenna". Il fuoco del suo amore arderà anche oggi la nostra vita, e giungerà dalla moglie, dal marito, dai figli, dalla suocera. Ma è un ardere che ci proteggerà per non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, come ogni sacrificio dell'antica alleanza, il discepolo deve essere salato con la croce, la porta stretta che si apre su Gerusalemme. Gerusalemme è la nostra Patria, il nostro destino, alla cui dimenticanza è preferibile che si paralizzi la mano destra, che sia tagliata direbbe Gesù. Si tratta di aver sete, di desiderare il desiderio di Cristo, mendicare come Lui alle porte d'ogni uomo, come l'ultimo, come San Francesco. Nella Chiesa il Signore ci dona il suo pensiero e i suoi sentimenti, il sale dell'amore crocifisso. E' questo il grembo della "pace" tra i fratelli, l'unità, la comunione che è il segno più concreto d Dio sulla terra.

È meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna.

Giovedì della VII settimana del Tempo Ordinario


Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" (Gv 19, 28),
che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo,
è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore.
Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù,
era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa,
e la forza interiore che le faceva superare sé stessa
e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo
al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri

Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, Domenica 19 ottobre 2003




Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50.
Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco. Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri».


Il commento


Gesù è in cammino verso Gerusalemme, il suo destino, e sullo sfondo, si distinguono i tratti della Croce, disegnati sin dalle sue prime parole: il bicchiere d'acqua per i discepoli assetati, la sete di coloro che sono di Cristo, la sete di Cristo crocifisso. Con essa si compie la passione del Signore e la croce brilla in tutto il suo splendore: "In Gesù, la sete è il desiderio di comunicare i suoi doni, lo Spirito Santo" (Ignace de la Potterie, Il mistero del cuore trafitto). La sete di Gesù è un desiderio d'amore, di salvezza per ogni uomo. Lo aveva compreso sino in fondo Madre Teresa di Calcutta: "Il grido di Gesù sulla croce, "Ho sete" (Gv 19, 28), che esprime la profondità del desiderio di Dio dell'uomo, è penetrato nell'anima di Madre Teresa e ha trovato terreno fertile nel suo cuore. Placare la sete di amore e di anime di Gesù in unione con Maria, Madre di Gesù, era divenuto il solo scopo dell'esistenza di Madre Teresa, e la forza interiore che le faceva superare sé stessa e "andare di fretta" da una parte all'altra del mondo al fine di adoperarsi per la salvezza e la santificazione dei più poveri tra i poveri" (Giovanni Paolo II, Omelia per la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, Domenica 19 ottobre 2003). Il desiderio di una santa coincide così con il desiderio del Signore, il desiderio di amare. La sete di Gesù, sulla croce come al pozzo di Sicar, dove si fa mendicante presso la donna samaritana, immagine dell'umanità idolatra. La sua sete nel sole caldo di mezzogiorno accende nella donna la sete di un'acqua che zampilli per la vita eterna: la sete di Gesù accende la sete di Vita, come il desiderio di Gesù di salvare ogni uomo, innesca il desiderio di Lui nell'uomo. La sua sete suscita quello che un filosofo contemporaneo, René Girard, chiama l'imitazione di Gesù, l'imitazione del suo desiderio. Collegando mirabilmente cristianesimo e antropologia, Girard indica come le verità più fondamentali dell'uomo siano contenute nei vangeli; la situazione dell'uomo, che in forme diverse appare in ogni cultura, si fonda sul desiderio: "quando Gesù dice "Imitatemi", egli non intende certo suggerire che noi dovremmo imitare le sue maniere , il suo aspetto.... Ciò che egli vuole che noi imitiamo è qualcosa di più accessibile a noi, qualcosa di cui egli parla ampiamente: il suo desiderio. Tuttavia il paradosso del desiderio di Gesù è che esso non è il suo desiderio.... si tratta invece di un desiderio in se stesso imitativo o mimetico. Gesù imita il Dio invisibile che egli chiama Padre" (René Girard, La vittima e la folla). Attraverso Gesù, i discepoli sono condotti a desiderare ciò che Dio Padre desidera. I discepoli, come in una "cascata" gettata nel corso della storia, imitano Gesù, "la sua imitazione del Padre... Questa cascata di desideri imitativi o mimetici contrasta in modo netto con la passione per l'assoluta singolarità e autonomia dell'individuo che caratterizza la nostra epoca moderna... Tutti gli attuali guru ci consigliano di "realizzare noi stessi", di essere "ciò che vogliamo": la sola via per raggiungere la grandezza, così ci assicurano, è rigettare qualsiasi influenza, e lasciarci andare in qualunque momento a qualunque desiderio si impossessi di noi" (Ibid.).
E' l'attualità folgorante del Vangelo: Gesù conosce bene il cuore dell'uomo, specie dei suoi apostoli, gli intimi a cui si rivolge nel brano odierno. Gesù parla a ciascuno di noi, a noi che "siamo di Cristo", riscattati, comprati al caro prezzo della sua vita. Siamo stati infatti lavati, santificati, giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (cfr. 1 Cor. 6,11). Sono le Parole per i suoi santi, chiamati secondo il suo disegno: "Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere immagine del Figlio suo, perchè egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati" (Rom. 8, 29-30). Parole di un Primogenito per i suoi fratelli, chiamati a portarne l'immagine. Il quadro del Vangelo di oggi è dunque la totale identificazione, imitazione secondo Girard, dei discepoli con il loro Maestro. E' il fattore decisivo degli ammonimenti di Gesù: Coloro che non conoscono Gesù hanno il diritto di incontrarlo nei suoi fratelli. Lo ribadisce tutta l'ecclesiologia del Vaticano II. Per questo basta "un bicchiere d'acqua" donato ai discepoli nel Nome di Cristo, perchè sono suoi, per non perdere la ricompensa. Il Cielo, Gesù stesso si fa ricompensa, proprio attraverso la sete dei discepoli, la stessa sua sete, lo zelo d'amore che lo divora, così potente da accendere in chiunque si imbatta in Lui una sete inestinguibile di Lui. Il suo desiderio imitato dai discepoli è la porta del Cielo, della ricompensa dischiusa dinanzi ad ogni uomo. La sete dei discepoli è l'occasione, la possibilità donata ad ogni uomo di partecipare dei beni che essi incarnano nel loro desiderio. La vita nuova in Cristo appare nel loro desiderio, lo stesso di Cristo, che coincide un amore che trascende i limiti di questo mondo, l'agape di cui ha scritto Benedetto XVI nell'Enciclica "Deus caritas est". In essa infatti il papa scrive: " Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo « prima » di Dio, può come risposta spuntare l'amore anche in noi.... Si rivela così possibile l'amore del prossimo nel senso enunciato dalla Bibbia, da Gesù. Esso consiste appunto nel fatto che io amo, in Dio e con Dio, anche la persona che non gradisco o neanche conosco. Questo può realizzarsi solo a partire dall'intimo incontro con Dio, un incontro che è diventato comunione di volontà arrivando fino a toccare il sentimento. Allora imparo a guardare quest'altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico. Al di là dell'apparenza esteriore dell'altro scorgo la sua interiore attesa di un gesto di amore, di attenzione.... Io vedo con gli occhi di Cristo e posso dare all'altro ben più che le cose esternamente necessarie: posso donargli lo sguardo di amore di cui egli ha bisogno.... (Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est). Questo sguardo di Cristo è proprio la sua sete, il suo desiderio d'amore, l'ardente desiderio di mangiare la Pasqua, di donarsi, di amare sino alla fine. L'amore donato sul legno della croce, il "sale" che si scioglie come il chicco di grano caduto in terra deve morire per portar frutto. Il sale infatti, non solo biologicamente, è legato alla sete. Essa suppone anche una mancanza, una povertà, una nudità: la sete dei discepoli costituisce, infatti, anche l'immagine della loro vita crocifissa con Cristo: il suo l'amore sprigionato in loro attraverso il loro vivere crocifisso. La sete è il segno di un amore che genera stupore e tenerezza in chiunque si incontri. Non a caso i discepoli sono chiamati da Gesù i piccoli, i bambini. Non a caso San Paolo qualifica gli apostoli come la spazzatura del mondo, messi all'ultimo posto, spettacolo per il mondo e per gli angeli. I discepoli crocifissi, portano ogni giorno nel loro corpo il morire di Gesù, perchè, a beneficio di tutti, possa essere manifestata in loro la resurrezione del Signore. Ogni discepolo vive come San Paolo con una spina nel fianco. Come un assetato è sempre debole e bisognoso, eppure proprio in questa condizione si fa presente la potenza di Dio. La Croce è il mezzo concreto perchè si faccia visibile Dio: "Affinchè su di me stia la potenza di Cristo: il verbo usato da Paolo è quello stesso che, nell'Antico Testamento esprimeva la presenza della gloria del Signore sopra l'Arca dell'Alleanza.... e poi sul Tempio di Gerusalemme, l'unico luogo in cui abitasse Dio sulla terra; ed infine nel Nuovo Testamento la presenza incarnata della Parola di Dio, come è detto nel Prologo di Giovanni 1,14: " Il Verbo si è fatto carne ed ha abitato tra noi". L'apostolo cosciente della sua debolezza, e nella misura in cui lo è, diviene un'incarnazione della potenza stessa di Cristo Gesù" (Stanislas Lyonnet, La vita secondo lo Spirito, Roma 1967, pag 319). La debolezza indicata dalla sete è dunque una condizione indispensabile del discepolo, funzionale alla sua missione. La debolezza che scaturisce dalla Croce, con le sofferenze, le persecuzioni, gli affanni tipici dell'apostolo, ovvero il sale di cui parla Gesù. 
Per questo le parole di Gesù sono molto più che semplici ammonimenti. Esse, per un verso, ci illuminano su quello che identifica i suoi più intimi, l'essere crocifissi con Lui; per un altro verso ci mettono in guardia sui pericoli molto concreti che si addensano su coloro che sono di Gesù: lo scandalo e perdere il sapore, aspetti diversi di un'unica possibilità, rinnegare Cristo. Sono molti i piccoli che hanno iniziato a credere, gli stessi che forse hanno mosso i primi passi proprio commuovendosi di fronte a un discepolo assetato, crocifisso. I piccoli che hanno appena visto in un cristiano Colui che lo ha inviato, e, mossi intimamente dalla testimonianza, hanno iniziato a desiderare un'altra vita in un cammino di conversione, sono ancora molto deboli nella fede. Ma piccolo, lo abbiamo visto, è comunque anche chiunque sia di Cristo, chi vive nella debolezza e nella precarietà della vita la propria fede. "Piccoli" sono i cristiani, e possono subire scandali dai grandi, da chi ha cambiato casacca e appartenenza, da chi non è più di Cristo ma dell'avversario, i cristiani da salotto, come ripete spesso Papa Francesco.. Infatti, scrive Girard che "non c'è niente in noi che sia definibile come un "istinto" o un "sesto senso" capace di dirigerci infallibilmente verso il vero oggetto del nostro autentico desiderio.... L'autenticità nel regno del desiderio è il mito romantico moderno per eccellenza. Una volta che i nostri bisogni essenziali sono soddisfatti....usciamo a "far compere", andando alla ricerca del desiderio più allettante" (Girard, ibid.). Vengono qui alla mente le immagini pubblicitarie, dirette e indirette, nelle quali affoghiamo lo sguardo ogni giorno. Le carni femminili in mostra sul tram, al lavoro, a volte perfino in chiesa. E le nostre mani protese, i nostri piedi lanciati, i nostri occhi rapiti. Oggetti, merce, modelli, ideali, culture, pensieri, ideologie, parole, un fiume in piena travolge i nostri giorni, e siamo assediati: "Ma sono proprio i nostri desideri più intensi i primi ad essere presi n prestito da qualche modello, e perfino quando i modelli sono in se stessi migliori di noi possono diventare un pericolo, semplicemente a causa della loro vicinanza. Allorchè noi imitiamo il desiderio del nostro vicino, ne nasce un secondo desiderio che vuole afferrare l'oggetto già desiderato o posseduto da questo modello, e ciò che ne risulta è la rivalità mimetica... Il desiderio non è una relazione lineare fra noi e l'oggetto che desideriamo, ma un triangolo al cui vertice sta il nostro prossimo" (Girard, ibid.). Quante rivalità anche tra i discepoli, desiderando un bene persino difficilmente biasimabile come è la vicinanza al Maestro. Le rivalità, lo scandalo per eccellenza secondo San Paolo: "c'è una parola nel Nuovo Testamento per indicare la rivalità mimetica, skandalon, che vuol dire ostacolo. Essa si riferisce ad un ostacolo straordinario, assai difficile da evitare perchè, dal momento che continuiamo a scontrarci con esso, ne veniamo sempre più attratti.... Gli scandali accadono quando la nostra fascinazione per il modello-ostacolo aumenta, tramutandosi dapprima in indignazione, poi in gelosia, invidia, odio e, alla fine, in illimitata vendetta, la più ripetitiva e mimetica delle violenze.... Liberarsi dagli scandali è tanto più difficile quanto è facile scivolare in essi... Più fiduciosa è l'imitazione, più l'imitatore sarà vulnerabile, e il peggior crimine che possiamo commettere a tale proposito è esporre i bambini innocenti alla trappola degli scandali. Con una parola sola Gesù mette il dito sulla reale dinamica dei nostri più pericolosi conflitti, spiegando il motivo per cui essi sono così frequenti, ostinati, contagiosi e incontrollabili" (Girard, ibid. pagg 47-48). 
Gesù conosce il nostro cuore, la fonte da dove nascono gli scandali, e ci mostra la via per combatterli. Il cuore è affar suo, perché ai suoi intimi ha donato il suo cuore, il suo pensiero. Gesù ammonisce quanti hanno percorso, e stanno percorrendo con Lui, il cammino della Kenosis, dell'abbassamento, dell'umiliazione. Parla a chi è crocifisso con Lui. A loro compete il permanere nel suo amore, legati alla Croce, come Isacco sul Moria, il timore di vedere perduta la missione affidata, la lotta quotidiana per dare morte alle membra che ancora appartengono alla terra: mani, piedi, occhi. Demonio, carne, mondo. La cupidigia soprattutto, che è idolatria, liturgia offerta agli idoli, desideri mimetici con l'idolo di turno: sesso, potere, denaro e tutti gli altri. Crocifiggere le membra asservite alla cupidigia, la pleonexia, che significa, secondo l'etimologia, voler possedere, sempre di più, usurpando e rubando, l'esatto contrario dell'agape. Ecco allora il cammino di ogni giorno, il combattimento a volte cruento così indispensabile ad ogni missione. Il cammino di Giacobbe al guado del Jabbok, tappa obbligata verso la terra che aveva abbandonato. Una notte di lotta, le nostre notti che attraversano misteriosamente ogni nostro giorno. Le tentazioni, l'angoscia, ma anche il seno che gesta il giorno. Senza notte, senza combattimento, non si entra nel Regno, come fu la notte oscura per S. Giovanni della Croce e tanti altri santi. Come Israele, anche il discepolo è un eletto, contrassegnato per una missione: per questo sarà schiacciato, ferito. Per questo, quasi come un'eco delle parole di Gesù sulla violenza da fare alle proprie membra occasione di scandalo, Giacobbe sarà oggetto della violenza dell'angelo di Dio. E ne uscirà zoppo, per entrare nella terra. Meglio zoppo che con due piedi, meglio potersi appoggiare a Dio ed assolvere alla propria missione, che perdere la propria vita. Zoppo, cieco, monco, ma forte con Dio, ecco il mistero della debolezza del discepolo. San Paolo tratta duramente il proprio corpo, e lo riduce in schiavitù, e lo scrive in un contesto di missione, quando dice di far tutto per il Vangelo, d'essersi fatto tutto a tutti. Si tratta di sottomettere, nella Grazia di chi è "di Cristo", tutto ciò che si pone come scandalo, ostacolo al cammino verso Gerusalemme, la missione di Cristo, la missione dei suoi. "Essere discepolo senza rinunciare, senza soffrire, è una contraddizione tanto manifesta quanto un sale che ha perduto la sua qualità di sale. La qualità costitutiva del discepolo è inseparabile dal ruolo che egli deve compiere nel mondo... Si vede allora come colui che deve avere il sale può egli stesso essere identificato con il sale. La stessa immagine... invita a prolungare la linea del senso del discorso della montagna: voi siete il sale della terra. Infatti da una parte il sale non ha ragion d'essere se non per la funzione che deve svolgere sulla terra. D'altra parte.... in Palestina si conosce un sale - sia che si tratti di un miscuglio depositato dal Mar Morto o delle piastre di sale utilizzate nei forni - del quale si può dire che deve rinchiudere la forza del sale, poichè in teoria si può perdere.... Così i discepoli che non sapranno sacrificare tutto potranno ancora chiamarsi discepoli, ma mancherà loro ciò che fa il discepolo" (O. Cullmann , La fede e il rito). Tutti, infatti, saranno salati con il fuoco. C'è un fuoco che rimanda allo Spirito Santo, ed un fuoco che è immagine dell'amore e della gelosia divina. La storia di ogni uomo, e, in modo particolare dei discepoli, di tutti noi, sarà dunque percorsa da queste fiamme che divorano ogni scoria, ogni scandalo. La croce ne sarà lo strumento incandescente. L'amore di Dio non permetterà la rivincita del demonio e le tenterà tutte per salvare quelli che sono di Cristo. La croce, la prova, la persecuzione, la sofferenza, i viatici che Dio ci dona per condurci a Gerusalemme, per non essere gettati fuori di essa, come un rifiuto nella Geenna. Il fuoco del suo amore per non cadere nel fuoco eterno della sua assenza. Così, come ogni sacrificio dell'antica alleanza, il discepolo deve essere salato con la croce, la porta stretta che si apre su Gerusalemme. Per entrare nel Regno e fuggire l'inferno è necessario andare a Gerusalemme, e ricevere il sale, salire con Cristo sulla la croce. Gerusalemme, la nostra vocazione, la nostra Patria, il nostro destino, alla cui dimenticanza è preferibile che si paralizzi la mano destra, che sia tagliata direbbe Gesù. Gerusalemme preziosa, nostra autentica dimora, per lei tutto il resto è nulla, spazzatura. Per Cristo, per essere trovato eternamente in Lui il discepolo lascia tutto, ed è una liberazione, non un'effettiva rinuncia. E' un lasciare qualcosa di effimero per Qualcuno che è tutto. Per Cristo. L'abbandono di ogni sicurezza che fa passare per la sofferenza purificatrice, le vampe di fuoco dell'amore geloso di Dio, è il nostro cammino d'ogni giorno. Per il discepolo, per ciascuno di noi come per Israele " la sofferenza è la mano di Dio sopra Israele, un segno che lo contraddistingue in modo indelebile. E' l'amore che crea la sofferenza" ( F. Manns, La Chiesa madre di Gerusalemme). La sofferenza, la sete, il sale, l'amore di Dio. Si tratta di aver sete, di desiderare il desiderio di Cristo, mendicare come Lui alle porte d'ogni uomo, come l'ultimo, come San Francesco. "Idem velle atque idem nolle — volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell'amore: il diventare l'uno simile all'altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare. La storia d'amore tra Dio e l'uomo consiste appunto nel fatto che questa comunione di volontà cresce in comunione di pensiero e di sentimento e, così, il nostro volere e la volontà di Dio coincidono sempre di più: la volontà di Dio non è più per me una volontà estranea, che i comandamenti mi impongono dall'esterno, ma è la mia stessa volontà, in base all'esperienza che, di fatto, Dio è più intimo a me di quanto lo sia io stesso. Allora cresce l'abbandono in Dio e Dio diventa la nostra gioia (cfr Sal 73 [72], 23-28) (Benedetto XVI, Deus caritas est). E' questo il sale con cui Gesù termina il suo discorso. Il pensiero di Cristo, la sua sapienza, i suoi sentimenti. Niente per rivalità, o per vanagloria, guardando i desideri degli altri, stimando ognuno superiore a sé. Il sale della sapienza della croce, il sale dell'amore crocifisso. E' questo il grembo della pace tra i fratelli, l'unità, la comunione che è il segno più concreto d Dio sulla terra. Un amore celeste, la vita celeste. Il sale, la croce attraverso la quale ogni giorno, il nome di Dio è santificato nei discepoli, nella Chiesa, in noi. Il Nome dolcissimo nel quale ogni uomo, con un semplice bicchiere d'acqua, vede schiudersi il Cielo.

mercoledì 26 febbraio 2014

Chi non è contro di noi è per noi.


Il cuore di Cristo è il cuore di un Dio che, per amore, si è «svuotato». 
Ognuno di noi che segue Gesù dovrebbe essere disposto a svuotare se stesso. 
Siamo chiamati a questo abbassamento: essere degli «svuotati». 
Essere uomini che non devono vivere centrati su se stessi 
perché il centro è Cristo e la sua Chiesa. 
E Dio è il Deus semper maior, il Dio che ci sorprende sempre. 

Papa Francesco



Dal Vangelo secondo Marco 9,38-40

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri».
Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.
Chi non è contro di noi è per noi». 


Il commento

Gesù aveva appena preso un bambino e, postolo in mezzo ai discepoli, lo aveva abbracciato, per insegnare l'unico modo con cui si accoglie Lui e Colui che lo ha mandato. Ma niente, non c'era verso; i suoi discepoli continuavano a non capire. Erano con Lui da tempo, ma non lo avevano ancora accolto. Come Pietro, anche Giovanni pensava ancora secondo gli uomini che scartano i piccoli. Camminavano con Gesù, come noi, ma i loro criteri erano ancora mondani. Cercavano la propria identità come al tempo di Babele, quando gli uomini smisero di camminare e si stabilirono in una città. Basta precarietà, bisognava installarsi per difendersi, e così darsi un "nome". La città di Babele è immagine del principio di ogni corruzione, la stessa che segnava ancora il cuore di Giovanni e degli altri discepoli intenti a discutere su chi fosse il più grande, su chi avesse un "nome" più prestigioso da garantire il primo posto. Per questo il "nome di Gesù" appariva loro come la torre che gli uomini tentarono di costruire proprio per darsi un nome, che significa un'identità, un senso nel mondo. Gesù, che, secondo la mentalità orientale era presente nel suo "nome", era per loro il "brand" che distingueva il gruppo, alla perfetta mentalità del mondo. Paradossalmente, Gesù era issato come una barriera per distinguersi e difendersi. Del resto i discepoli, invece di pregare, discutevano e litigavano proprio per scalare la "società", come si fa in qualunque impresa, per poi competer con le altre. E così, proprio loro che si indignavano per "uno che scacciava i demoni nel nome di Gesù", non riuscivano a scacciarli. Quel "nome", pronunciato da loro, non aveva "potere" perché attraverso di esso cercavano la propria gloria; non era "dynamis" perché si erano installati ed erano entrati in competizione tra loro e con gli altri raggiunti dalla Grazia. Avevano rotto la comunione in nome della carne. Così accade a chi, come noi, usa della Chiesa e della comunità per se stesso. Si può stare nella Chiesa con la mentalità del mondo, cercando di raggiungere i propri obbiettivi, schiavi dell'autoreferenzialità. Si può essere accanto a Cristo e ai fratelli ma seguire la volontà del demonio. L'uomo è stato creato per amare, per aprirsi all'altro e donarsi nella comunione; ci definisce l'appartenenza a Dio e ai fratelli, la comunione della Chiesa. Ma il demonio, principio di divisione, ha seminato nei cuori l'invidia e la superbia che spinge a "vedere" l'altro come un nemico. Esattamente come i discepoli hanno "visto" quello che scacciava i demoni in nome di Gesù. E così, proprio loro che non ci riuscivano, "impedivano" a chi "non era dei nostri" di lottare con il male e vincerlo in Cristo. 
Ecco il punto. Quell'uomo non seguiva loro! Per questo era da tagliare, escludere, disprezzare, scandalizzare, come dirà poi Gesù. I discepoli avevano fatto della comunità una cosa loro, mondana, nella quale vigevano le regole e gli usi di ogni gruppo umano, trasformandola in un luogo di schiavitù. Come accade spesso nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie, nei rapporti tra moglie e marito, tra genitori e figli, tra fidanzati e amici. Essere "dei nostri" significa essere ammessi nel proprio cerchio magico, tutto carne e passioni. Implica seguirsi a vicenda, e per questo litigare e giudicarsi, invidiarsi ed essere gelosi. Perché chi segue un uomo va dietro ai suoi limiti, e che fallimento diventa allora la vita. Che stoltezza quando un prete vuole farsi seguire e lega a sé le persone, rubandole a Cristo di cui dovrebbe essere l'amico che gioisce nel diminuire perché chi possiede la sposa è lo Sposo. O quando un padre e una madre spingono i figli ad essere come loro, a ricalcarne le orme frustrando le loro personalità e disprezzando le debolezze; non si accorgono che li scandalizzano allontanandoli da Cristo, che li ama e li ha scelti peccatori e liberi, unici e irripetibili. O un fidanzato quando cerca di assorbire la fidanzata nel proprio tempo, nei gusti e nei desideri, obbligandola a servire le proprie concupiscenze, dando inizio così alla rovina certa del matrimonio. La corruzione non può che generare corruzione. E disprezzo per i piccoli; chi si illude di dover essere seguito, chi scrive leggi ispirate dagli slogan, chi partorisce ideologie non si accorgerà dei piccoli che muovono i primi passi. Sarà geloso del proprio posto e guarderà tutti come a dei potenziali usurpatori. Per questo Gesù aveva preso un bambino e lo aveva abbracciato: per mostrare profeticamente che cosa è la Chiesa. Essa è una comunità abbracciata da Cristo, dove ciascuno è amato così come è, nella sua piccolezza, nelle sue miserie. Nella Chiesa è preservata la libertà di ciascuno, anche di sbagliare, perché tutti seguono Cristo che sale alla Croce, per entrare con Lui nel Cielo, in un'appartenenza nuova che trascende la carne. Nella Chiesa non si è "dei nostri", ma tutti sono suoi, riscattati dal sangue di Cristo. Non c'è omologazione ma comunione nella diversità. Per questo Giovanni, pur con le sue turbolenze di "figlio del tuono", con la sua irruenza, dà voce a una questione sempre viva nella Chiesa: la diversità che impaurisce. Giovanni è immagine del carisma, dei tuoni dello Spirito che irrompono e fanno tremare l'istituzione quando essa si è troppo installata e mondanizzata. E' vero che anche lui lo ha impedito, ma è soprattutto vero che lui e non altri, Pietro ad esempio, sottopone la questione a Gesù; quasi si identifica con quell'uomo che non è con loro, come sarebbe capitato a lui quando, correndo più veloce di Pietro verso il sepolcro, vi giungerà per primo; ma aspetterà Pietro, l'istituzione, come ora si rivolge a Gesù e sembra chiedergli: "Maestro" - e così gli riconosce l'autorità per insegnare - "glielo abbiamo vietato", ma è giusto o no? In fondo non sta con noi, è un irregolare. Forse è un bambino che sta balbettando la sua fede, ma ha creduto, e nel Tuo nome ha vinto il male. Nella sua vita si vedono opere di vita eterna... Proprio in virtù di questo segno Gesù risponde a Giovanni e ai discepoli, alla Chiesa di ogni generazione e a ciascuno di noi: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi". Si mette con loro, al centro della comunità, con autorità. E ci detta la linea, il criterio per discernere, la luce per camminare. Quell'uomo è immagine dei figli che non seguono le nostre regole, come di chiunque cammina al nostro lato senza seguire le nostre idee, come dei carismi che visitano la Chiesa. C'è un criterio per discernere: il "nome" di Gesù ha potere in lui? Perché se i fatti testimoniano dell'opera soprannaturale di Dio, allora è di Cristo, "non potrà rinnegarlo". La Chiesa non segue un ideale o una moda; non difende la maglia di una squadra; non si identifica in un inno nazionale e una bandiera. La Chiesa è il tempio della libertà, dove ciascuno segue Cristo che si è fatto il più piccolo perché nessuno fosse escluso. Se si esclude il debole si esclude Cristo, e quindi il Padre, e quindi anche se stessi. Per questo, nelle parole successive, Gesù metterà in guardia i discepoli dallo scandalizzare i piccoli che credono in Lui. E' meglio "tagliare" qualcosa di se stessi, circoncidere la propria carne, che ferire la comunione; "chi non è contro Cristo e la sua Chiesa è per noi", è a nostro favore, ci aiuta a uscire da noi stessi, a convertirci, ad amare Cristo e "scacciare il demonio, l'unico autentico avversario. 


Ultimo Messaggio da Medjugorje - Dato a Mirjana Dragicevic.


Messaggio del 2 Gennaio 2014

Ultimo Messaggio da Medjugorje

Dato a Mirjana Dragicevic, il 2 Febbraio 2014

CHE MI BACI "El jacal de los pastores " >>> Venite a me voi tutti.>>> e Altri CANTI.


Kiko Arguello: El jacal de los pastores (Ct. 1, 2-8)




El jacal de los pastores (CT 1, 2-8) 

*

EL JACAL DE LOS PASTORES. (Ct 1, 2-8)

    Re-
S.  Que me bese con besos de tu boca,
      Sib                        La 
    mejores son que el vino tus amores.
    
    Tu nombre es ungüento que se vierte,
                           Re-
    por eso te aman las doncellas.


    
A.  LLÉVAME EN POS DE TI, SALGAMOS.
         Sib              La
    LLÉVAME TRAS DE TI, CORRAMOS.
    
    CELEBRAMOS TUS AMORES MAS QUE EL VINO.
                           Re-
    CON CUÁNTA RAZÓN ERES AMADO.


    
    HAZME SABER, AMADO DE MI ALMA
      [Sib]               La   
    DONDE APACIENTAS EL REBAÑO,
    
    PARA QUE YO NO ANDE VAGABUNDA
                         Re- 
    DETRÁS DE OTROS COMPAÑEROS.


    
S.  Si no lo sabes, oh bella entre las bellas,
             Sib           La 
    sigue la senda de mis ovejas
    
    y lleva por allí tus cabras, 
                             Re- 
    hasta el jacal de los pastores.


    
A.  LLÉVAME ...
    
    HAZME SABER ...

*

CHE MI BACI. (Ct 1, 2 ss)

     Re-
C.  Che mi baci

    coi baci della sua bocca:
     Sib
    più dolce del vino
               La
    è il tuo amore,

    il tuo nome

    è unguento che si versa:

    per questo
                  Re-
    ti aman le fanciulle.


A.  PORTAMI INSIEME A TE, USCIAMO:
         Sib                  La
    ATTIRAMI DIETRO A TE, CORRIAMO!
        La7
    CELEBREREMO I TUOI AMORI

    PIÙ DEL VINO,
                       Re-
    OH QUANTO È BELLO AMARTI!

    MOSTRAMI TU AMATO DEL MIO CUORE
                    La
    DOVE TU VAI A PASCOLARE

    AFFINCHÉ IO NON SIA VAGABONDA
                       Re-
    DIETRO AD ALTRI COMPAGNI.

    MOSTRAMI TU AMATO DEL MIO CUORE
                    La
    DOVE TU VAI A PASCOLARE

    AFFINCHÉ IO NON SIA VAGABONDA
                       Re-
    DIETRO AD ALTRI COMPAGNI.


C.  Se non lo sai

    o bella fra le donne,
     Sib
    segui il sentiero
              La
    del mio gregge

    e porta lì

    le tue caprette
                           Re-
    fino alla dimora dei pastori.


A.  PORTAMI INSIEME A TE, USCIAMO...
Kiko Arguello: Che mi baci.

        Il Padre che e nei cieli (BorcheinuAvinu) Arranjo 12

************

IL PADRE CHE E' NEI CELI .(CANTO NEOCATECUMENALE) FILIPPUCCI

Radio V comunità Cammino Neocatecumenale
>>> VENITE A ME VOI TUTTI. (Mt 11, 28-30) 

Barrè al III tasto Do C.

 Venite a me, voi tutti Mi La- che siete affaticati ed oppressi, Fa Mi ed io vi ristorerò. (2 v.) Do Prendete il mio giogo sopra di voi Mi e imparate da me La- che sono mite ed umile di cuore, Fa Mi e troverete ristoro per voi, Fa Mi troverete ristoro per le vostre anime. Do Mi A. PERCHÉ IL MIO GIOGO È SOAVE Fa PERCHÉ IL MIO GIOGO È SOAVE Mi E IL MIO CARICO LEGGERO. Fa PERCHÉ IL MIO GIOGO È SOAVE Mi E IL MIO CARICO LEGGERO.