Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 31 luglio 2015

Lettura della Bibbia: età moderna e contemporanea.

AlzogliOcchiversoilCielo





Lettura della Bibbia: età moderna e contemporanea


http://www.bicudi.net/analisi_narrativa/fabris.jpg
Rinaldo Fabris
(dispensa presentata nel corso del Master Bibbia e cultura europea 2008)
2. Umanesimo e Rinascimento
a. Lo studio delle lingue bibliche
b. Umanisti e studio delle “Sacre Lettere”
3. La Riforma protestante
a. Nuovi orientamenti ermeneutici
b. Commentatori - esegeti
4. La Controrifoma cattolica
a. Il Concilio di Trento
b. Il “secolo d'oro” dell'esegesi cattolica (1563-1663)
5. edizioni della Bibbia (secoli xv-xvii)
a. Bibbie a stampa
b. Bibbie poliglotte
c. Manuali di introduzione
d. Commenti
6. La Bibbia nei secoli dell'illuminismo (xvii-xviii)
a. Inghilterra
b. Italia
c. Olanda
d. Francia
7. Il metodo storico-critico (secoli XVIII-XX)
a. La critica testuale
b. La critica letteraria della Bibbia
c. Le fonti del Pentateuco degli altri libri dell'AT
d. La critica delle fonti dei libri del NT - ”La questione sinottica”
e. La teoria delle due fonti: la fonte Q
f. Le fonti degli Atti degli apostoli
g. Le fonti del Quarto Vangelo
h. I generi letterari - AT
i. La “storia delle forme” (Formgeschichte) dei Vangeli
l. Storia della tradizione (Überlieferungsgeschichte)
m. Storia della redazione (Redaktionsgeschichte)
n. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) dei libri dell'AT
o. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) dei vangeli sinottici
p. La storia della redazione (Redaktionsgeschichte) del Vangelo di Giovanni
8. Bibbia e magistero della chiesa cattolica.
a. Leone XIII (Gioachino Pecci - 1878-1903)
b. Pio X (Giuseppe Sarto - 1903-1914)
c. Alfred Loisy (1857-1940): la crisi modernista
d. Marie-Joseph Lagrange O.P. (1855-1938)
h. Giovanni XXIII (Angelo Roncalli - 1958-1963
i. Paolo VI (Giovanni Battista Montini - 1963-1978) 
l. Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla - 1978-2005): Dopo la Dei Verbum

"Viene" da Nazaret ma "viene" anche dal Cielo, per trasformare le nostre Nazaret in meravigliose città celesti.




αποφθεγμα Apoftegma


Non è questi il figlio di Giuseppe, il carpentiere?” 

Questo appunto dicevano i Giudei increduli per diminuire il Figlio di Dio, 
perché lo credevano figlio di un carpentiere. 
Ma, talvolta, l’iniquità, a sua insaputa, suole riuscire profetica. 
Veramente il Signore e Salvatore nostro era figlio di un carpentiere, 
ma di quel carpentiere, cioè di Dio Padre, che per mezzo del medesimo Figlio 
si è degnato di creare il cielo e la terra e tutto l’universo. 
Questo è il figlio del carpentiere, che per piantare il ferro nel legno 
allo scopo di lavorare i cuori dei credenti, 
si degnò di essere appeso in croce. 
Senza dubbio, davvero figlio del carpentiere, 
perché col fuoco spirituale rammollì i cuori degli uomini come ferro, 
per chiamarli alla grazia della sua fede. 
Infatti il carpentiere suole rammollire il ferro col fuoco.

Cromazio di Aquileia




Gesù viene oggi a Nazaret, la sua patria. Viene cioè nelle nostre città, nei nostri quartieri, nei luoghi che frequentiamo ogni giorno. Viene perché “colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine”. Ciò significa che anche oggi abbiamo bisogno di nuovo di essere messi da parte, strappati al mondo, alla carne e al demonio che ci seducono per non farci vivere secondo la volontà di Dio che ci ha scelti ed eletti per essere suoi figli. Eppure può succedere come quel giorno a Nazaret, e chissà quante volte è già accaduto… Possiamo cioè “scandalizzarci” del fatto che, “per ridurre all’impotenza il demonio” e farci figli del suo stesso Padre, Gesù “divenga partecipe” oggi della nostra carne e del nostro sangue. E’ difficile infatti imbattersi in un amore così e non inciampare sulla sua gratuità. Nessuno si è fatto mai compatriota dei nostri fallimenti. Nessuno ci ha amato sino a farsi peccato, sino a condividere le conseguenze dei nostri peccati. Non a caso nel parallelo di Luca la scena del rifiuto si svolge in sinagoga, dopo che Gesù aveva annunciato solennemente che proprio in quel giorno si stavano compiendo le profezie che Egli stesso aveva proclamato. Gesù, il loro compatriota, era il Vangelo fatto carne, lì, in quel momento, per loro. E che dicevano le profezie? Annunciavano la libertà! L'uomo nuovo che rinasce dal battesimo. Gesù è "venuto nella sua patria" per spalancare le porte sprangate che la chiudevano nella schiavitù della paura della morte. Gesù è venuto per strappare ai confini terreni e carnali la sua patria, e quindi quella di ogni uomo; per demolire le barriere della morte che limitano e rinserrano ogni rapporto nell'egoismo e nella concupiscenza. Come accade sovente anche a noi, in un primo momento la "gente" di Nazaret si "stupisce" per gli "insegnamenti" di Gesù. Non parlava, infatti, come i loro scribi, e aveva una "sapienza" e un potere di compiere "miracoli" che non avevano mai visto. Ma ai loro occhi era come se quella sua eccezionalità straripasse dalla sua carne, era impossibile che quell'uomo che aveva vissuto con loro tanto tempo potesse contenerla; già, "da dove gli veniva"? Gli veniva dallo stesso Cielo dal quale i cristiani, i nuovi compatrioti, avrebbero ricevuto in dono lo Spirito Santo; gli "veniva" dalla "patria" che è madre di tutte le patrie, dalla Gerusalemme celeste; gli "veniva" dal Padre, dal quale ogni paternità, e quindi ogni patria prende origine. E perché Nazaret fosse accolta nella paternità divina, perché tutte le patrie degli uomini diventassero parte della Patria celeste, Gesù è "venuto" a prendersi il rifiuto dei suoi patrioti. Per renderli figli di Dio e così fratelli oltre la carne, ha lasciato che il peccato lo uccidesse nella carne. Per liberarli e introdurli nella vita nuova "è divenuto partecipe della loro carne e del loro sangue" con cui è entrato nella morte, e con cui ne è uscito vittorioso. Per salvarci ha assunto su di sé le invidie, le gelosie, le meschinerie che ci avvelenano la vita; si è fatto peccato, peccato nella carne, nella famiglia, nei rapporti dove tutti inciampiamo. Ha lasciato che il peccato originale, consumato non a caso da due sposi, lo deponesse nella tomba. Ma è risorto, per fare di ogni peccatore la sua sposa senza macchia né ruga, perché ogni legame bloccato dal peccato e dalla paura, potesse ritrovare la libertà dell'amore autentico, libero e nella verità. 
La sua "venuta" a Nazaret è identica alla sua "venuta" nella nostra vita, per scendere nelle profondità del peccato nel quale ci ha concepito la nostra madre nella carne. A Nazaret va in scena tutta la nostra vita, quella di ogni giorno, fatta di piccole e semplici cose, ma segnata dal peccato originale. Anche noi abbiamo bisogno di un messia che si infili nella quotidianità. Ed è necessario anche lo scandalo di fronte alla normalità del suo amore. Tanto il demonio ci ha fatto credere speciali, praticamente come Dio, che ormai sappiamo immaginarci la salvezza, la felicità, la svolta nella vita "venire" solo attraverso chissà quale effetto speciale. Mai e poi mai Gesù il Messia "verrà" dalla Nazaret che conosciamo bene, dal marito, dalla moglie, dai figli, dai fratelli, dal lavoro di ogni giorno, a casa tra pranzi, cene e pannolini, o in ufficio, snervante, deprimente; mai da un malattia, da un fallimento amoroso, da un licenziamento. No, siamo certi che la salvezza ci verrà da un fatto capace di cambiare radicalmente le nostre esistenze. E invece Gesù "viene" proprio da Nazaret, da quello che non accettiamo e che vorremmo cambiare. "Viene" da Nazaret per tornare a Nazaret; "viene" dalla nostra stessa carne, per "venire" alla nostra carne e deporvi un seme di Cielo. "Viene" da Nazaret ma "viene" anche dal Cielo, per trasformare le nostre Nazaret in meravigliose città celesti. Così è nata la Chiesa, così rinascerà la tua famiglia, simile alla santa Famiglia di Nazaret. Gesù, infatti, non "viene" a cambiarne le mura, le vie, le case, i negozi... Il tuo carattere e quello dell'altro probabilmente non cambierà di una virgola, perché il Messia "viene" a trasformare dal di dentro le relazioni, il cuore dei suoi abitanti. "Viene" a darci un cuore nuovo, capace di amare e accogliere l'altro come il Messia inviato alla nostra vita. Gesù, infatti, doveva redimere l'ordinario, perché lo straordinario non esiste, è figlio della menzogna del demonio: noi non siamo diventati come Dio, per questo Dio si è fatto uomo. Ci scandalizzerà ancora che il Messia entri dalla porta di servizio, ma l'unica verità è che siamo tutti lì, a Nazaret... Lui non si è "scandalizzato" di te, perché tu ti scandalizzi di Lui? Perché non ti accetti, non sopporti le debolezze, la precarietà spirituale... E così ti scandalizzi degli altri, e di Lui, che invece di fare il miracolo di cambiarti si fa come te... E non capiamo che è per farci, poco a poco, come Lui, lasciando intatta la nostra fragilità. Per questo, confessiamolo, è già successo, vero? che "a causa della nostra incredulità, non ha potuto fare molti prodigi"... Lo abbiamo "disprezzato" e rifiutato proprio perché si è presentato come uno di noi: un povero prete, un catechista a cui non daresti due lire; o nella carne di chi ti è accanto. Non abbiamo ascoltato le sue "profezie" perché risuonavano nelle voci che ci siamo illusi di conoscere molto bene. Ma oggi di nuovo Gesù ci annuncia una "profezia", coraggio! Guardati intorno, ti dice, guarda al più piccolo di casa, come Samuele guardò a Davide. Scruta ciò che sembra non avere valore, perché è lì che risplende la vita divina nella carne umiliata di Cristo. Così è nella storia, dove si incarna nei più poveri, negli ultimi, in quelli che il mondo neanche guarda più. Così oggi busserà alla tua porta, come Lazzaro piagato giaceva sull'uscio del ricco epulone. Lo aveva ben compreso San Francesco, che non a caso inviò Frate Rufino a predicare nudo nel Duomo di Assisi, episodio ritratto magistralmente da Liliana Cavani. La misura della fede emergeva dall'accoglienza di quell'uomo inerme, completamente nudo. Era Cristo "venuto" nella Chiesa, era il Servo di Yahwé che tutti erano capaci di venerare nelle immagini scolpite ma che rifiutavano se "veniva" loro a "insegnare" in carne e ossa di povero e ultimo. Purtroppo accade ancora oggi nella Chiesa, quando parroci e fedeli rifiutano i doni dello Spirito Santo, i carismi che Dio dona incartandoli nella carne dei loro fratelli; deboli, fragili, magari laici e non sacerdoti, e per questo disprezzati, perché è ancora vero che "un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua". E in quelle parrocchie Dio non può compiere i "molti prodigi" che avrebbe voluto compiere... E' un mistero, ma è così, profetizzato duemila anni fa da Gesù, che lo aveva vissuto in persona. Ah l'incredulità dei pii... E' puro diserbante sparso nelle comunità... E così nelle nostre case, dove amiamo e accogliamo sin tanto che l'altro non ci si presenta nudo, ferito, piagato dai propri peccati, dalla debolezza, dagli errori. Apri gli occhi del cuore allora, e guarda bene, sei tu quell'uomo ferito, è il tuo matrimonio, la tua storia, ed è Lui che "viene" ancora per salvarti. E' Lu che ti parla, è Cristo vivo in tuo marito, in tua moglie, in tuo figlio. E ti sta "insegnando" a spogliarti dell'uomo vecchio gettandolo nella misericordia di Dio; le relazioni difficili ci stanno "ammaestrando" nell'umiltà, spingendoci a chiedere aiuto alla Chiesa. Abbiamo rifiutato tante volte il Signore, scappando dalla Croce. Ebbene oggi ci è offerta una nuova possibilità: accogliamolo nella carne, anche nei difetti dei fratelli. Lui ha già rotto ogni muro che ci separa da loro. Basta aprire un pochino il cuore e lasciare che Lui compia in noi il "prodigio" della sua "sapienza" crocifissa. Allora ci farà stendere le braccia con Lui per amare, perdonare, e offrirci liberamente, senza esigere, senza usare dell'altro; allora vedremo la nostra Nazaret tingersi di Cielo. 



    




QUI IL COMMENTO COMPLETO








L'ANNUNCIO
 Dal Vangelo secondo Matteo 13, 54-58
In quel tempo Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. 
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi.





Il Vangelo del giorno....

giovedì 30 luglio 2015

“Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”



Giovedì della XVII settimana del Tempo Ordinario





L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù disse alla folla: “Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”.Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.Terminate queste parabole, Gesù partì di là. 
(Dal Vangelo secondo Matteo 13, 47-53)




Pazienza e misericordia, timore e pietà scandiscono il tempo del nostro pellegrinaggio. Siamo tutti parrocchiani, ovvero pellegrini in terra straniera, le cose a cui incolliamo i nostri cuori e i nostri sensi non ci soddisfano. Siamo nel mondo, ma non siamo del mondo. Viviamo nella carne, ma non viviamo per la carne. E' il mistero che tende la nostra vita come una corda di violino. Come pesci tratti dal mare cerchiamo ancora l'acqua che, in apparenza, assomiglia alla vita per la quale siamo stati creati. Ma non è così: apparteniamo a una specie unica e diversa da tutte le altre. Siamo i fratelli di Gesù, il pesce pescato all'amo della Croce, come lo raffiguravano i cristiani delle origini (Icthys, che significa in greco pesce, dalla frase ‘Iesus Cristos Théou Uios Soter, ov­vero Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore). Siamo nati e salvati per un'altra Patria, per il Cielo. Gli inganni, le menzogne, le tentazioni ci sospingono con irruenza verso l'abisso da cui siamo stati tratti. Mentre nel nostro intimo lo Spirito Santo ci sussurra "Vieni al Padre". Benedetto XVI, inaugurando il suo pontificato, ricordava un'immagine cara ai Padri: "Per il pesce, creato per l’acqua, è mortale essere tirato fuori dal mare. Esso viene sottratto al suo elemento vitale per servire di nutrimento all’uomo. Ma nella missione del pescatore di uomini avviene il contrario. Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; in un mare di oscurità senza luce. La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita. E’ proprio così – nella missione di pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio. E’ proprio così: noi esistiamo per mostrare Dio agli uomini. E solo laddove si vede Dio, comincia veramente la vita. Solo quando incontriamo in Cristo il Dio vivente, noi conosciamo che cosa è la vita. Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di DioCiascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo. Non vi è niente di più bello che conoscere Lui e comunicare agli altri l’amicizia con lui" (Benedetto XVI). Per questo, ogni istante che ci è dato è l'attesa d'un compimento. La chiave della nostra vita è tutta qui: un'attesa che geme come nei travagli del parto. Siamo stati pescati dalla rete di Cristo. La sua Croce ci ha salvati dall'abisso della morte. Ma non è finita. Siamo in cammino per raggiungere la "riva", la terra promessa, la vita nuova dei figli di Dio, primizia di quella eterna. Siamo chiamati ad essere "pesci buoni", come il grano buono, e belloPesci puri, "commestibili" secondo la Legge, perché lavati, salvati, santificati dal sangue di Cristo. Ma con noi è pescata "una grande quantità di pesci", e dobbiamo convivere con quelli "cattivi", "impuri" secondo un significato dell'originale, segni di morte che nessun ebreo poteva mangiare. Pesci cattivi che si rendono impuri, tagliati fuori dal popolo della promessa; pesci ai quali il demonio ha nascosto l'eredità. Sono accanto a noi, come un segno; sono i fratelli dal cuore indurito che, nonostante siano stati salvati dalla morte, continuano a mormorare, giudicare; gelosi delle "cose vecchie" rifiutano le "nuove", perché, come i farisei e gli scribi, si illudono nella loro superbia di poter fare a meno di Gesù. Anzi, pervertono la salvezza ottenuta per Grazia spacciandola a se stessi e agli altri come un frutto della loro buona volontà, del loro impegno, della loro alta moralità; i "pesci cattivi" sono affetti dal cosiddetto "pelagianesimo dei pii. Essi non vogliono avere nessun perdono e in genere nessun vero dono di Dio. Essi vogliono essere in ordine: non perdono ma giusta ricompensa. Vorrebbero non speranza ma sicurezza. Con un duro rigorismo di esercizi religiosi, con preghiere e azioni, essi vogliono procurarsi un diritto alla beatitudine. Manca loro l'umiltà essenziale per ogni amore, l'umiltà di ricevere doni a di là del nostro agire e meritare... Così questo pelagianesimo è un'apostasia dall'amore e dalla speranza, ma in profondità anche dalla fede" (J. Ratzinger). "Apostasia" di chi è già nella "rete" della Chiesa, ma ha rinnegato la Grazia, nella quale sono donate le virtù che definiscono un "pesce buono", ovvero un cristiano. Possono essere preti, suore, come padri e madri di famiglia. Per l'ipocrisia, infatti, non c'è altra appartenenza che la menzogna... A loro sono dirette le parole che Paolo scrisse ai Galati: "Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia" (Gal 5,4). Ecco, chi dimentica da dove è stato pescato, chi non vede la grazia della rete che lo ha colto mentre nuotava nel mare della morte, non ha più nulla a che fare con Cristo. La cosa più terribile che possa accadere, la morte. Sono "morti" che camminano, hanno dentro un vuoto insopportabile, e sono affetti dalla terribile schizofrenia dell'anima che significa essere "pesci cattivi"; questa è, infatti, una contraddizione in termini: non si può essere nella rete di Cristo e non appartenergli, non si può servire a due padroni, perché si amerà l'uno e si disprezzerà l'altro. Per questo li trovi sempre in piedi a giudicare, a farsi vanto della loro presunta giustizia, e si siedono sulle cattedre e impongono leggi, mentre nel cuore nascondono abomini e rapine: giudizi, passioni, maldicenze, avarizia, violenza. Sono ormai "impuri", non possono accedere al culto "nuovo" in spirito e verità; proprio loro, che invece si ritengono gli unici puri, gli impegnati, quelli che stanno salvando il mondo, sempre in prima fila nelle liturgie, a leggere, a raccogliere le offerte, "perché se non ci fossi io, questa parrocchia come finirebbe"; e giudicano, con dentro il cuore di Marta prima che incontrasse davvero Gesù, e così vanificano la Croce di Cristo che li ha salvati gratuitamente. "Pesci cattivi" come tanti preti sempre ad esigere impegno in parrocchia dal gregge loro affidato; o come le madri e i padri, i fratelli, che tanto si prodigano, in apparenza sono stupendi, ligi, ma nel loro cuore abita lo stesso demone che aveva afferrato il fratello maggiore della parabola del figlio prodigo. Ecco, questi è proprio un'immagine fedele di chi sia un "pesce cattivo": vive in "casa" con il Padre, è "sempre con Lui", e tutto di Lui gli appartiene; ma non si sente figlio. Il demonio gli ha fatto credere che il Padre fosse un mostro, un senza cuore: è geloso, e finisce con il giudicare suo Padre, perché prima aveva disprezzato e cancellato il fratello minore. E' un "pesce" che, una volta nella "rete" si è "adirato"; credeva, infatti, di averne il diritto solo lui, e non quello scapestrato del fratello. Si indigna e scandalizza per la bontà del Padre, perché non così dovrebbero andare le cose, non c'è giustizia: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo ordine, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici". I "pesci cattivi" hanno ancora il cuore "fuori dalla rete"; desiderano "far festa con gli amici" di prima: non sono mai passati alla fede, non hanno rinunciato agli idoli, non hanno cambiato mentalità, sono ancora in Egitto, del quale rimpiangono agli e cipolle. Per questo il figlio maggiore "non voleva entrare" di nuovo in casa: chiamato a diventare figlio, era rimasto abbracciato al suo ego, schiavo della superbia e dell'idolatria. Le stesse malattie mortali dell'anima che affliggono chi si corrompe dopo essere stato salvato: "corruptio optimi pessima" scriveva S. Gregorio Magno, ovvero "Ciò che era ottimo, una volta corrotto, è pessimo". Ed è un pericolo che è sempre accanto a noi, vicinissimo: "La vergogna della Chiesa! Ma ci siamo vergognati di quegli scandali, di quelle sconfitte di preti, di vescovi, di laici? La Parola di Dio in quegli scandali era rara; in quegli uomini e in quelle donne la Parola di Dio era rara! Non avevano un legame con Dio! Avevano una posizione nella Chiesa, una posizione di potere, anche di comodità. Ma la Parola di Dio, no! "Ma, io porto una medaglia"; "Io porto la croce"… Portavano l'arca come i leviti, ma senza il rapporto vivo con Dio e con la Parola di Dio! Mi viene in mente quella Parola di Gesù per quelli per i quali vengono gli scandali… E qui lo scandalo è venuto: tutta una decadenza del popolo di Dio, fino alla debolezza, alla corruzione dei sacerdoti" (Papa Francesco). Ecco, il Vangelo di oggi è anche una chiamata serissima alla vigilanza, all'ascolto della Parola con un cuore docile e aperto alla sua realizzazione in noi. All'obbedienza alla Chiesa, all'umiltà di chi non presume d'essere un "pesce buono" grazie alle sue forze, rigettando la stoltezza di sentirci a posto, senza bisogno di convertirci. Non dimentichiamolo, il diavolo come un leone ruggente ci gira intorno cercando chi divorare; anche lui è un cercatore di perle, e punta a quelle di "grande valore", i cristiani amati e pescati da Cristo... Coraggio allora, non allontaniamoci mai dal Memoriale della nostra salvezza, l'Eucarestia che ci ricorda la pesca del Signore, il suo mistero pasquale nel quale siamo stati salvati, e che lo realizza ancora nell'oggi nel quale lo celebriamo. Coraggio, camminiamo umilmente con il nostro Dio, guardiamo con il santo timore di Lui i "pesci cattivi", pensiamo come i padri del deserto, che si ritenevano gli ultimi e i peggiori della terra; guardiamo ai "pesci cattivi" e pensiamo che essi si salveranno e noi no, se non resteremo uniti a Cristo indissolubilmente. E preghiamo per loro, e per loro offriamo le nostre sofferenze. E attenzione a non ergerci a giudici dei fratelli! A non trasformarci in pubblici ministeri impegnati costantemente nelle indagini di una malsana operazione "anime pulite". Ciò che nella Chiesa anima i "pesci buoni" nelle relazioni con quelli "cattivi" è la pazienza che nasce dall'amore e dallo zelo di custodire l'unità; è la stessa carità di Cristo effusa in loro, quella che li rende appunto "buoni" nella bontà del "pescatore", lo stesso amore testardo di Dio che non vuole che nessuno si perda: "Il Signore stesso è un esempio straordinario di pazienza: sopportò la presenza del demonio addirittura fra gli stessi dodici Apostoli, fino alla passione. Non per questo, tuttavia, ritenne che dovesse essere soppressa ogni disciplina nella Chiesa; anzi raccomandò di farne uso quando disse: Fate attenzione: se tuo fratello ha commesso una mancanza contro di te, vai e riprendilo fra te e lui solo. Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello. Ma oggi noi vediamo uomini che considerano solo precetti rigorosi che ordinano di reprimere i perturbatori, di “non dare le cose sante ai cani”, di “trattare come un  pubblicano” chi disprezza la Chiesa, di staccare dal corpo il membro che dà scandalo. Il loro zelo inopportuno turba la Chiesa, perché vorrebbero togliere la zizzania prima del tempo e l’ accecamento li rende essi stessi nemici dell’unità di Gesù Cristo... Stiamo attenti che nel nostro cuore non cresca l'empia e funesta presunzione per la quale pensiamo di doverci separare da loro per non essere contaminati dai loro peccati, cercando poi di trascinarci dietro un codazzo di discepoli puri e santi. Non faremmo che rompere l’unità, col pretesto di non frequentare i cattivi. Piuttosto, ci vengano in mente quelle parabole, quelle divine predizioni e quegli esempi così chiari delle Scritture con i quali è stato manifestato e preannunziato che i cattivi saranno mescolati ai buoni nella Chiesa fino alla fine del tempo, fino al momento del giudizio e che, in questa unitaria partecipazione ai Sacramenti, essi non saranno di alcun danno per i buoni che non diventeranno complici delle loro azioni" (S. Agostino). Non siamo chiamati a "separare e gettare nella fornace"; in questa tentazione si rivede quella originale, quando il serpente indusse Adamo ed Eva a farsi come Dio, per conoscere il bene e il male e così giudicare da se stessi chi fosse buono e chi cattivo. E' ciò che hanno fatto tutte le dittature, ma è tutta farina del demonio, perché per i cristiani la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio. La carità tutto copre, tutto scusa, tutto crede, a costo di far passare per deboli e stolti i "pesci buoni". La carità di Cristo spinge a cercare un varco, una fessura, un micron di apertura nel cuore dei "pesci cattivi", per entrare in relazione con loro e stanare l'opera del demonio con l'annuncio di quella misericordiosa di Dio: siamo chiamati ad "aprirci agli altri, al prossimo. Ad uscire da sé. E quando io esco da me, incontro Dio e incontro gli altri. Come li incontro gli altri? Da lontano o da vicino? Occorre incontrarli da vicino, la vicinanza. Vicinanza è una parola chiave: essere vicino. Non spaventarsi di niente. Essere vicino. L’uomo di Dio non si spaventa. Si tratta di vicinanza a una cultura, vicinanza alle persone, al loro modo di pensare, ai loro dolori, ai loro risentimenti. Tante volte questa della vicinanza è proprio una penitenza, perché dobbiamo sentire cose noiose, cose offensive. E’ quella vicinanza prudente, che sa fino a dove si deve arrivare. Ma, vicinanza significa pure dialogo; bisogna leggere nella Ecclesiam Suam, la dottrina sul dialogo, poi ripetuta dagli altri Papi. Il dialogo è tanto importante, ma per dialogare sono necessarie due cose: la propria identità come punto di partenza e l’empatia con gli altri. Se io non sono sicuro della mia identità e vado a dialogare, finisco per barattare la mia fede. Non si può dialogare se non partendo dalla propria identità, e l’empatia, cioè non condannare a priori. Ogni uomo, ogni donna ha qualcosa di proprio da donarci; ogni uomo, ogni donna, ha la propria storia, la propria situazione e dobbiamo ascoltarla. Poi la prudenza dello Spirito Santo ci dirà come rispondervi. Partire dalla propria identità per dialogare, ma il dialogo, non è fare l’apologetica, anche se alcune volte si deve fare, quando ci vengono poste delle domande che richiedono una spiegazione. Il dialogo è cosa umana, sono i cuori, le anime che dialogano, e questo è tanto importante! Non avere paura di dialogare con nessuno. Si diceva di un santo, un po’ scherzando – non ricordo, credo fosse San Filippo Neri, ma non sono sicuro – che fosse capace di dialogare anche con il diavolo. Perché? Perché aveva quella libertà di ascoltare tutte le persone, ma partendo dalla propria identità. Papa Benedetto ha un’espressione tanto bella: “La Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. E cosa è l’attrazione? È questa empatia umana che poi viene guidata dallo Spirito Santo" (Papa Francesco). Sono parole stupende, magari le potessimo accogliere e farle nostre, sino a viverle in casa, quando il coniuge, o un figlio si trasformano in "pesci cattivi"; o nelle nostre comunità, quando un fratello si lascia ingannare dal demonio. O con un amico, un parente, un collega, perché è anche vero che solo Dio sa sin dove arriva la sua rete di misericordia. Noi sappiamo che è arrivata sino a noi, peccatori e lontani... E, nell'amore che supera i confini giuridici, sino a ogni uomo. Certo, vi è una "rete" visibile, senza la quale nessuno potrebbe salvarsi. Ma non dimentichiamo mai che essa è sacramento di salvezza per tutti gli uomini. A loro siamo inviati, attraverso l'annuncio della Verità e la vicinanza, la pazienza e la misericordia; con amore, amore, amore verso ogni "pesce cattivo". Perché chi non lo è stato? E chi non ha sofferto il moralismo senza carità di chi ci ha giudicato ed emarginato? E chi, invece, non ha sperimentato almeno una volta la fermezza dolce dell'amore di Cristo, attraverso una Chiesa che ci ha detto sì la verità sui nostri peccati, ma per annunciarci il perdono capace di rigenerare anche il "pesce più cattivo"? E se per caso ci rendessimo conto di essere tra i "pesci cattivi", coraggio! Il Vangelo di oggi è una Buona Notizia: c'è speranza! Se hai scoperto di avere giudizi, di essere ancora attaccato ai beni di questo mondo, soprattutto al denaro; se lo spirito malvagio di questa società si è infilato in te trasformandoti in un giustiziere implacabile, in un indignato, prostrato dinanzi agli idoli culturali che scambiano il bene con il male; se stai mormorando contro Dio, c'è speranza: convertiti oggi e apriti al perdono che la Chiesa ti offre. E accetta il combattimento che ci attende ogni giorno. In esso però, come scriveva Péguy, “il Padre ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani, la sua speranza eterna”. La speranza donata a Pietro dalle mani di Cristo che lo tiravano fuori dall'abisso nel quale era caduto per la sua incredulità. Anche Pietro, come ciascuno di noi, prima d'essere pescatore di uomini, ha sperimentato cosa significhi essere un uomo pescato da Cristo, cioè tratto dal fondo della debolezza, della carne e dell'incredulità. Coraggio allora, perché anche oggi vi saranno angeli inviati dal Padre a separare il buono dal cattivo, il puro dall'impuro. Anche oggi i messaggeri della Buona Notizia ci incontreranno per salvarci. Che il Signore ci conceda di non indurire il nostro cuore, di lasciarci amare e riconciliare, di essere strappati alle menzogne e ai veleni del nemico. Che oggi, anticipo della fine dei tempi, il Signore ci faccia ancora suoi, gettando nella fornace tutto quello che in noi ci separa da Lui, tutto quello che ci impedisce di amarlo e lodarlo, le nostre impurità. E ci doni la misericordia e la pazienza di fronte alla storia, nella quale è Lui che agisce. La pazienza della speranza, la perseveranza dell'amore: "Quando Cristo ha guardato la Maddalena con uno sguardo furtivo per la strada, era una cosa semplice: era un richiamarla con una semplicità ad una semplicità in cui la purità dominava, ridominava; contraria alla sua storia, ma non contraria alla sua possibilità presente" (Mons. Luigi Giussani). La pazienza di sapersi ogni giorno bisognosi di essere ri-pescati, ogni giorno strappati alla carne e al peccato che in essa abita, e liberati dalla memoria avvelenata della nostra storia impura per sperimentare la nuova, pura e feconda possibilità presente. Appoggiati alla sua fedeltà, che è il sigillo profetico che ci svela l'autenticità e la credibilità dell'eterna. "Capire tutte queste cose" è vivere la promessa, già deposta mentre eravamo sul fondo del mare, quando eravamo schiavi del peccato - le cose antiche - illuminata dall'amore di Cristo - la cosa nuova - che non delude. Entriamo in pace e pieni di una gioiosa speranza in questo nuovo giorno dove ci attende il nostro destino, il nostro dolcissimo Signore. Ieri hai litigato con tua moglie? Coraggio, l'annuncio del Vangelo ti ha preso nella rete le cui maglie sono una fitta trama di misericordia; lasciati pescare, e trascinare via dal risentimento, dai giudizi, dal rancore. Lasciati portare sull'altra riva, fai Pasqua con Cristo, accetta il suo perdono e chiedi perdono. In Lui tutto può ricominciare, ogni giorno. Attraverso la "rete gettata" dalla Chiesa attraverso la Parola che ci annuncia ogni giorno e i sacramenti con i quali ci rigenera in Cristo, possiamo passare dall'oscurità delle profondità marine nella quale vive l'uomo vecchio, che è "cattivo", "impuro", incapace di verità e tenerezza, pazienza e amore, alla luce senza tramonto dell'alba pasquale dove la barca della comunità cristiana, e le braccia dei fratelli, ci trascinano per respirare l'ossigeno della vita eterna. Così non inciamperemo, e arriveremo, di "riva" in "riva", sino all'ultima, quella del Paradiso: "Per incontrare la speranza, bisogna essere andati al di là della disperazione. Quando si arriva fino al colmo della notte, si incontra un’altra aurora […] Non sperano se non coloro che hanno avuto il coraggio di disperare delle illusioni e delle menzogne nelle quali trovavano una sicurezza che essi prendevano falsamente per speranza” (G. Bernanos). 










αποφθεγμα Apoftegma


Noi uomini viviamo alienati, nelle acque salate della sofferenza e della morte; 
in un mare di oscurità senza luce. 
La rete del Vangelo ci tira fuori dalle acque della morte 
e ci porta nello splendore della luce di Dio, nella vera vita.
Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, 
sorpresi dal Vangelo, da Cristo.
 Non vi è niente di più bello che conoscere Lui 
e comunicare agli altri l’amicizia con lui

Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato.