Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 29 aprile 2015

"Beati" noi "servi" nel Servo...


Giovedì della IV settimana del Tempo di Pasqua



"Beati" noi "servi" nel Servo... 




αποφθεγμα Apoftegma

La Chiesa, quantunque per compiere la sua missione abbia bisogno di mezzi umani,
non è costituita per cercare la gloria terrena,
bensì per diffondere, anche col suo esempio, l'umiltà e l'abnegazione.

Concilio Vaticano II, Lumen gentium

Possiamo essere "beati", e non è così difficile. Basta "sapere" di essere "servi". Ma purtroppo, essere servi è proprio quello che non ci piace... E per questo non siamo "beati", cioè felici in pienezza. "Servire" nel posto di lavoro? Al contrario, in nome della giustizia non muoviamo un dito per fare qualcosa che non ci compete. "Servire" in famiglia? Ma se la donna tutto deve fare meno che "servire". E potremo continuare, a cominciare dai figli, che prova a dirgli di mettersi a servizio dei fratelli... Siamo contagiati dall'orgoglio di Lucifero, e risuona in noi lo stesso "non serviam", non serviamo degli angeli decaduti perché volevano essere "più grandi del loro Padrone" e Creatore. Ma oggi il Signore ci annuncia che è preparata per noi la prima e fondamentale "beatitudine": “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato” (Sal 32,31). Nella Chiesa possiamo sperimentarla, attraverso la confessione e gli altri sacramenti, nella predicazione e nella comunità che mai ci rifiuta. Nella misericordia possiamo "conoscere" il Signore, e il Padre in Lui. "Conoscere", ovvero essere ricreati in Cristo, che con la sua vittoria sulla morte ci dona l'identità perduta con il peccato. La stessa sua identità, l'immagine e la somiglianza con il Padre, quella del "servo" che offre la sua vita gratuitamente. Coraggio allora, gettiamoci con fiducia tra le braccia crocifisse del Signore. Coraggio, Lui si è legato a noi indissolubilmente, e la nostra vita acquista senso e pienezza solo nel lasciar trasparire dai nostri sguardi, dalle parole, dai gesti, dalla vita, la sua presenza. Frasi del tipo "ho bisogno di tempo per me stesso", "devo cercare la mia identità", stonano con la vita rinnovata di chi ha "accolto" Gesù. Sarebbe assurdo e innaturale voler vivere un'altra vita. "Saremo beati" se, "capendo", cioè sperimentando nel nostro intimo di essere la carne di Cristo che cammina nella storia, "metteremo in pratica", "faremo" secondo l'originale greco, quello che la natura divina di cui diveniamo partecipi desidera compiere in noi. Gesù "conosce quelli che ha scelto", ogni nostra debolezza e contraddizione, e ci attira a sé costituendoci "altri se stesso" per gli uomini che incontreranno. Allora, la nostra "beatitudine" è accogliere oggi la sua Parola che ci "fa", ci crea, suoi apostoli. E "sapere" che essa coincide con la salvezza offerta al nostro prossimo. Per questo ogni incontro, ogni parola detta, ogni gesto che scaturisce dall'intimità con Gesù è una scintilla dello Spirito Santo capace di salvare una vita; tu ed io nel mondo perché ogni persona che incontreremo abbia in noi l'occasione di "accogliere Cristo", e, con Lui, il Padre. Ma, come in Gesù, anche in noi "si deve adempiere la Scrittura" che ci profetizza il tradimento: "Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno". Anche oggi, qualcuno si "leverà contro di noi"! Non stupirti, come Giuda ha fatto con Gesù, qualcuno ci venderà, tradirà la fiducia, l'amore, traviserà i "segni" del "discepolo mandato" dal Signore. E sarà proprio l'amico, lui per primo. Giuda si incarnerà in chi "mangia con noi”. E' un mistero che spacca il cuore. Ma "si deve adempiere" nella nostra vita, altrimenti non si aprirebbe un cammino di salvezza per chi ci rifiuterà. Deve arrivare l'umiliazione, altrimenti non potremmo "sapere" nella nostra carne che Gesù è "Io sono", l'Onnipotente che entra nella morte e vi esce vittorioso. Ma coraggio, perché ce lo "dice fin d'ora, prima che avvenga", per farci partecipi del suo discernimento che guarda a ogni evento con gli occhi dell'amore. "Un discepolo non è più del Maestro" crocifisso, e "un apostolo non è più grande di Colui che lo ha inviato", umiliato e tradito. "Servi" di tutti, è questo il nostro "brand" inconfondibile. Lo è in quanto genitori, presbiteri, vescovi, perché lo è in quanto siamo cristiani. Chi ci è accanto ha bisogno della prova che siamo "mandati" da Cristo, ha diritto a vederci crocifissi. Come è accaduto, e accade ogni giorno per noi, che contempliamo nella nostra vita l'amore infinito di Cristo che ci accoglie e perdona i mille tradimenti con cui diciamo di non conoscerlo. 





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Giovanni 13,16-20.

In verità, in verità vi dico: un servo non e' piu' grande del suo padrone, ne' un apostolo e' più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica. Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno. Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perche', quando sara' avvenuto, crediate che Io Sono. In verita', in verita' vi dico: Chi accoglie colui che io mandero', accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».


Piccoli per il giogo di Cristo.

29 aprile. Santa Caterina da Siena


Piccoli per il giogo di Cristo



E' tutto troppo più grande di noi. Non sappiamo. Non conosciamo. Non capiamo. Accettiamolo. Tu ed io, oggi, come Santa Caterina da Siena, siamo "quelli ai quali" il Padre "vuole rivelare suo Figlio". Perché? Perché siamo “piccoli”, nonostante ci atteggiamo a grandi. Non a caso, sono proprio i bambini che imitano gli adulti. Così anche noi, adulti per l'anagrafe, ma con un inguaribile cuore di bambini, ci trucchiamo, mascheriamo, cercando di sollevarci una spanna sugli altri, per apparire quello che non siamo, maturi, saggi, affidabili. Ma se gli eventi ci svelano che siamo così, non stupiamoci, e accettiamo d'essere “piccoli”, senza giudicarci e disprezzarci, perché quando la storia ci smaschera è una "benedizione".
Benedetti i giorni così come "piacciono" a Dio, perfetti per la nostra conversione alla santità. Benedetti coloro che non ci lasciano navigare tranquilli a cento metri d'altezza; benedetta nostra moglie quando ci dice la verità e ci scopre a cercare consolazioni effimere di carne malsana davanti al computer; benedetto nostro marito quando ci svela intrappolate nella vanità; benedetti i genitori che sanno rimproverare e richiamare alle responsabilità e all'obbedienza i propri figli; benedetti i mal di denti che ridimensionano i muscoli cesellati in palestra; benedetto il capoufficio che non ci fa sentire unici e indispensabili; benedetta la fidanzata che ci richiama al rispetto.
Benedetta la storia quando ci umilia, perché ci rende capaci di ascoltare le confidenze del Signore con le quali ci rivela i misteri del Regno. Dove c'è già qualcosa di "grande", ovvero la "sapienza" e l'"intelligenza" della carne, non c'è spazio per la "grandezza" delle "cose" di Dio e di Gesù. La Trinità si ferma dinanzi alla superbia, si "nasconde", tace e occulta i suoi segreti. Solo chi accetta di essere “piccolo”, “infante” ovvero senza parole né forze di fronte alla grandezza della Legge e delle sue esigenze che ci superano, può lasciarsi attirare dalla Croce di Gesù, l’unico luogo dove abbandonarsi per “trovare riposo” autentico.
Su di essa, infatti, “impariamo” ad essere “miti e umili di cuore” come Gesù. Mite è colui che è stato domato, che cioè ha "imparato" ad obbedire. Etimologicamente la mansuetudine, la mitezza è caratteristica dell'animale ammansito perché sia docile nel sottoporsi al “giogo”. Coraggio fratelli, perché Gesù sa che siamo “piccoli” proprio per “imparare da Lui”, attraverso il suo "giogo soave". Solo Lui può domare l'animale selvatico che è in noi perché non ci impone nulla, non insegna dall'alto della sicumera, ma si è fatto mettere il “giogo” della Croce per accoglierci e camminare con noi sulla via della conversione. Il suo “giogo” non ci fa sbandare, non ci strattona, non ci fa cadere. E' "dolce" perché è perfetto per ciascuno di noi: innanzitutto perché è fatto con il Legno impregnato del sangue di Cristo. E che cosa c'è di più “dolce” dell'amore distillato in quel sangue colato per cancellare ogni nostro peccato e riportarci tra le braccia del Padre, mansueti come agnellini?
Inoltre, il suo "carico è leggero" perché lo ha portato Lui per primo, e non smette di portarlo. Gesù, infatti, è sceso, e scende anche oggi, esattamente dove siamo, spogliandosi di tutto pur di farsi come noi, eccetto il peccato. Come noi in questo momento, capite? Come sei ora, come stai? Ebbene Lui si è già fatto come te, per starti accanto, senza scandalizzarsi per come ti sei ridotto. Per questo, la Croce con la quale ci ammaestra ha le nostre misure di oggi: è adatta alla nostra “piccolezza”, cioè a tutte le manifestazioni del nostro orgoglio, alle parole, ai progetti, agli schemi, agli atteggiamenti, per potare tutto dolcemente nel suo amore. Se Lui è accanto a noi portando il “giogo” con noi, significa che ogni passo che faremo sarà immerso nella misericordia e nell'amore. Proprio la Croce l'unica scuola adatta a noi; ciò che ci sembra assurdo e inaccettabile nella nostra vita è l'unico giogo adeguato a noi. Per questo, l'umiltà e la mitezza si "ascoltano" nella storia attraverso la quale il Signore ci parla e dove scende per raggiungerci; e si accolgono, come Parole di Dio che hanno il potere di realizzarsi. “Rimanete nel mio amore prendendo il mio giogo sopra di voi”, ecco cosa significa “imparare” da Gesù. Solo così potremo trovare "ristoro", la pace che il mondo non conosce perché, come spesso facciamo anche noi, la cerca nelle creature. 
Mentre nella Chiesa stiamo “imparando” che l'unico ristoro autentico è l'amore di Cristo, immutabile, che c'è e ci colma a prescindere da ogni attività. Non dobbiamo far altro che imparare sulle sue orme, laddove e come Lui ha “imparato” a obbedire, ovvero dalle cose che patì. Sulla croce di oggi potremo anche noi “imparare” l'obbedienza, unica porta al vero riposo. Diversamente saremo sempre assaliti da scrupoli e dubbi. Chi non obbedisce non è mai certo di fare la cosa giusta, mentre chi è unito a Cristo nel suo “giogo” conoscerà la pace di chi compie la volontà di Dio. Oggi, nella semplicità delle ore che ci accolgono, negli incontri, nelle cose da fare e ripetere mille volte, si compie una liturgia d'amore. Come il Cireneo porteremo la Croce con Cristo. Forse inconsapevoli, ma aggrappati alla sua Croce; mentre crediamo di portarla scopriremo che è proprio essa a portarci alla pace e al riposo: "Ho capito che c'è solo un modo per essere felici: essere agnelli. Prendere su di sé anche il male degli altri, oltre al proprio, non entrare in risonanza con le malignità, porgere mitemente il collo. L'agnello lo fa non perché sia masochista e gli piaccia soffrire, né quando sia represso. Lo fa quando ha un pastore buono che gli vuole bene veramente e si prende cura di lui. Allora niente che succeda può portarci via la contentezza" (Costanza Miriano).
    
"Tutto” di noi, infatti, “è stato dato a Gesù"; nulla, neanche il momento più buio, è fuori del suo controllo amorevole. E in questa esperienza del potere infinito della sua misericordia che "tutto" copre e "tutto" perdona, “conosceremo il Figlio”, una persona viva, un fratello che non ci giudica mai. Non sono la carne, la volontà umana, gli sforzi a farci "conoscere il Padre": "nessuno se non il Figlio" e ciascuno di noi ai quali, nella Chiesa e per pura Grazia, giorno per giorno, Gesù “ci rivela” la bellezza e la pienezza di una vita da figli liberi, perdonati, sanati, amati. Proprio come aveva sperimentato Santa Caterina da Siena: "Tu sei un fuoco che arde sempre e non si consuma. Sei tu che consumi col tuo calore ogni amor proprio dell'anima. Tu sei fuoco che toglie ogni freddezza, e illumini le menti con la tua luce, con quella luce con cui mi hai fatto conoscere la tua verità. Specchiandomi in questa luce ti conosco come sommo bene, bene sopra ogni bene, bene felice, bene incomprensibile, bene inestimabile. Bellezza sopra ogni bellezza. Sapienza sopra ogni sapienza. Anzi, tu sei la stessa sapienza. Tu cibo degli angeli, che con fuoco d'amore ti sei dato agli uomini. Tu vestimento che ricopre ogni mia nudità. Tu cibo che pasci gli affamati con la tua dolcezza. Tu sei dolce senza alcuna amarezza. O Trinità eterna!"


L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse: 
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
 

Riflessioni sul Giudizio Universale.


Verrò un giorno. Riflessioni sul Giudizio Universale.


DI AUTORI VARI
giudizio
di Susanna Tamaro
Da un anno faccio parte dell’Opera del Duomo di Orvieto, l’antichissima istituzione che –  fin dalla posa della prima pietra nel 1290–  si  occupa di provvedere alla manutenzione e alla conservazione della Cattedrale e dell’amministrazione dei suoi beni. Nell’ambito di questo ruolo, mi è stato chiesto di organizzare –  nell’arco dei tre anni del mio incarico –  degli eventi culturali.   Mi è sembrata quindi la giusta occasione per tentare di  restituire a questo  luogo sacro,  accanto all’universalmente riconosciuta bellezza artistica,  anche una voce in grado di parlare alla solitudine e allo smarrimento degli uomini di oggi.
Come  tutti sanno, il  Duomo ospita all’interno della Cappella di San Brizio  il Giudizio Universale di Luca Signorelli,  e per questa ragione ho avuto l’idea  di  dare vita –  invece del solito festival con dibattiti e presentazioni di cui ormai abbiamo molti esempi di successo nel nostro paese – a una dimensione diversa e più approfondita di comunicazione.  Saranno infatti soltanto quattro Lectio Magistralis  ispirate, seppure in modo diverso, al tema del Giudizio Universale. Il mio intento è quello di creare un appuntamento annuale nel quale  le persone che si fanno domande possano ritrovarsi per poter approfondire stimoli e riflessioni che sono al di fuori dal frastuono dei media. Il mondo contemporaneo ci pone  davanti a tante  e sempre nuove sfide, ed è proprio, a mio avviso,  la risposta che sapremo dare a queste sfide che ci renderà capaci di indirizzare la nostra società verso una dimensione più umana del vivere o  verso invece scenari di apocalittica distruzione.
Ho voluto così interpelllare  testimoni che fossero al di fuori dei soliti circuiti mediatici e dunque, proprio per questo, capaci di sorprenderci con le loro riflessioni.
Aprirà dunque  venerdi 1 maggio alle 17, il prof. Luigino Bruni,   docente di economia alla Lumsa e collaboratore di Avvenire, con un intervento dal titolo: Vogliamo un cielo più alto del tetto di casa: l’eclissi del tempo e il desiderio di paradiso.
 Sabato 2  maggio, alle 10, il contributo di Andrea Segré, docente di politica agraria internazionale e comparata presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna, avrà come titolo: Primo, non sprecare. Dieci ingredienti per uscire dalla crisi.Sempre sabato, alle ore 17, Il presidente della Specola Vaticana e astrofisico Padre  José J.Funes S.J, ci parlerà della  Fine dell’Universo. Domenica 3 maggio alle 10, il professor Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza e docente di Biologia Cellulare presso il Dipartimento di Biotecnologia e Bioscienza  all’Università di Milano-Bicocca, farà un intervento dal titolo:Dal Caos verso la Complessità dell’Uomo e una Nuova Medicina. Concluderà nel pomeriggio alle 17, il professor Giuseppe della Fina,  archeologo e direttore del Museo Etrusco di Orvieto ci illustrerà come scompare una civiltà. In questo caso quella degli Etruschi, alla quale ha dedicato la sua vita di  studi.A margine del convegno, il sabato sera, alle 21, all’interno del Duomo il Trio Matisse eseguirà il Quatuor pour la fin du temps scritto dal compositore francese Olivier Messiaen nel campo di concentramento di Goerlitz, durante l’invasione tedesca della Francia.Per facilitare la partecipazione delle famiglie, abbiamo inoltre previsto – in contemporanea agli orari delle conferenze –  quattro laboratori dedicati ai bambini nei suggestivi Sotterranei del Duomo tenuti dall’artista polacca Agnieszka Zawiska, autrice e illustratrice,  tra l’altro, di un libro dal titolo Un seme speciale. La meravigliosa storia del Corpus Domini  proprio sul miracolo di Bolsena che ha dato il via alla costruzione  del Duomo. 
Susanna Tamaro

credo che Bach pensasse ... al Giudizio Universale...!

martedì 28 aprile 2015

Madagascar, l’“oro verde” delle carmelitane.

Le monache coltivano un’alga per realizzare un integratore alimentare i cui effetti sono di grande aiuto ai malati, agli anziani e soprattutto ai bambini malnutriti

Madagascar, l’“oro verde” delle carmelitane.

L’alga che salva molte vite dalla malnutrizione.Bastano pochi millimetri per contenere una grande risorsa. Proteine, vitamine, lipidi si concentrano tra le volute di una semplice alga azzurra: la spirulina. Diffusa nelle acque salmastre del Madagascar, l’alga deriva il suo nome dalle spire del suo microscopico fusto.
Di colore scuro, dalla forma stretta e allungata, cresce spontaneamente tra spiagge candide e le mangrovie di questa terra aspra e arrabbiata. Un vero e proprio concentrato di elementi nutritivi che le monache contemplative carmelitane di Amborovy, vicino a Mahajanga, hanno scoperto nel 2010. Impossibilitate a coltivare il riso per le avverse condizioni ambientali, si sono dedicate all’alga preziosa, le cui proprietà erano già state sperimentate in altre diocesi malgasce.
«Conoscevamo già l’efficacia della spirulina – spiega la madre priora Suor Odette – i cui effetti sono di grande aiuto ai malati, agli anziani e soprattutto ai bambini malnutriti». L’estrema povertà della popolazione malgascia e il cattivo utilizzo delle risorse naturali a causa dell’instabilità politica e lo sfruttamento dei paesi esteri infatti generano una cronica denutrizione, soprattutto infantile. Infezioni, malaria o problemi ai polmoni poi, piagano ulteriormente gli abitanti.
Cosa può fare una microscopica alga in questo drammatico contesto? Scoperta casualmente in un villaggio nel sud dell’isola durante una visita di alcuni membri della fondazione pontificia nella diocesi malgascia di monsignor Roger Victor, vescovo di Mahajanga, si è aggiudicata ben presto il nome di “Oro verde”: «In questo piccolo centro del sud il tasso di mortalità infantile era nettamente inferiore alla media nazionale. In Madagascar purtroppo tantissimi bambini muoiono perché gravemente malnutriti. Qui qualcosa sembrava allentare la morsa» ricorda il prelato.
Dopo alcune ricerche è stato possibile attribuire la straordinarietà del villaggio alla presenza di un bacino ricco di spirulina. Così sono nati i primi laboratori nella diocesi di Morondava guidata da monsignor Fabien Raharilamboniana. Il vescovo è stato il primo nel 1999 a trovare un accordo con un’associazione francese per la coltivazione dell’alga. Poi, nel 2010, le suore carmelitane si sono impegnate anche loro nel proseguire questa coltura. «Sicure degli ottimi risultati – spiega Suor Odette – ci siamo lanciate in questo progetto che va ben aldilà del nostro sostentamento».
Non della produzione di candele, ricami o ostie vive la comunità di queste suore, ma della coltivazione e vendita di quest’alga per creazione di integratori alimentari. Dato il successo dell’esperimento però, le religiose hanno scelto di fare di più: donano la preziosa polvere di spirulina ai bambini e alle famiglie più povere dell’isola.
«Molti medici consigliano “l’oro verde” a chi non può permettersi di acquistare medicine. Ma purtroppo anche l’alga ha un costo, troppo spesso proibitivo per tanti malgasci. Così, grazie alla spirulina che noi doniamo – aggiunge la religiosa – i bambini aumentano di peso pur non mangiando abbastanza riso». In Madagascar, infatti, l’80% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno e solo il 15% della popolazione ha accesso alle cure mediche di base.
Nei villaggi i bambini muoiono ancora per malattie perfettamente curabili e l’isola è al 6° posto nel mondo per malnutrizione infantile. Molte famiglie non possono curare i propri figli per mancanza di denaro o per l’assenza di un ospedale nelle vicinanze e la Chiesa locale è tra le poche realtà al fianco della popolazione. La presenza dei dispensari cattolici, come quella della spirulina, è davvero essenziale per sopperire alle gravi mancanze della sanità pubblica.
Oggi, lo stabilimento di spirulina delle suore carmelitane è il più conosciuto del Madagascar: costituito da 21 grandi vasche di coltivazione, dà lavoro a decine di operai che permettono alle proprie famiglie di vivere in modo più agiato. Nonostante le carenze rimangano moltissime, oggi il Madagascar ha una marcia in più grazie alla spirulina, integratore alimentare sia per chi combatte la fame che per chi l’ha già vinta.
(articolo tratto da http://www.missionline.org

Nascosti nella mano del Buon Pastore.

Martedì della IV settimana del Tempo di Pasqua


Nascosti nella mano del Buon Pastore

Primo battistero conservato al mondo, in Siria a Dura-Europos, circa al 240 d.C

Al termine del commento, una galleria dei particolari dell'affresco 

αποφθεγμα Apoftegma

Nei giorni di Mattatià, 
figlio dell'alto sacerdote Yohanan l'Asmoneo, e dei suoi figli, 
quando il cattivo re dei greco-siriani si è scagliato 
contro la Tua nazione Israele per indurla a dimenticare la Tua Torah 
ed abrogare le leggi della Tua volontà, 
Tu, nella Tua tanta misericordia, 
ti sei alzato in piedi per loro nel momento del loro dolore; 
Tu hai combattuto la loro battaglia... 
Hai dato i forti nelle mani dei deboli, i tanti nelle mani dei pochi... 
A quel tempo per la Tua nazione Israele 
hai realizzato una grande salvezza e una grande redenzione.


Preghiera Al haNissim" (letteralmente "per i miracoli") 
che si recita durante la festa di Hanukkah


E' "inverno", ed è molto più di una stagione. E' la realtà nella quale si trovavano i "capi dei giudei", molto simile alla nostra. L'inverno è freddo e piovoso, la vita sembra addormentata, fa notte presto e si ha bisogno di luce e di calore. Rieccheggia, in questa notazione non a caso precisa, un versetto del Cantico dei Cantici: "L'inverno è passato, la pioggia è finita e se n'è andata". I Padri hanno visto in questo inverno la situazione della sposa, immagine del Popolo di Israele, prima dell'avvento di Cristo: "fino adesso durante l'inverno delle tentazioni e le tempeste dei vizi, la sposa se n'è stata rintanata e impaurita, le bastava rinchiudersi in se stessa. Non usciva mai fuori di sé, non coglieva i fiori della Scrittura Divina, non aveva le gioie spirituali della Grazia o i frutti dello Spirito" (Guglielmo di Saint-Thierry). Ed era proprio così, un duro inverno per Israele, anni e anni sotto il giogo dei Romani. E' un duro inverno per noi, da quando, come predicava Gregorio di Nissa, "l'inverno della disobbedienza seccò la radice, e quindi il fiore fu scosso e si dissolse a terra, l'uomo fu spogliato della bellezza dell'immortalità, e si seccò l'erba delle virtù, e l'amore per Dio si raffreddò perché abbondò l'ingiustizia, per cui si sollevarono in noi le molteplici passioni che producono lo sciagurato naufragio dell'anima nostra". 

Nel mezzo di questo inverno Gesù "passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone". Questo era un colonnato coperto posto sul lato orientale del cortile cortile dei gentili, esterno del Tempio. Gesù passeggiava dunque su quel limite dove la santità di Dio si affacciava sulla vita dei pagani. Anche questa notazione è importante: Gesù cammina sul confine che separava Israele e il loro Dio dalle altre Nazioni e dai loro dei. E qui inizia il processo dei Giudei a Gesù, identico a quello che, ogni giorno, anche noi intentiamo contro di Lui. Qui "gli si fecero attorno". Gesù passeggia come Dio nel Paradiso alla ricerca di Adamo. La sua sola presenza in quel luogo è per ciascuno un interrogativo: "dove sei?". La domanda dei Giudei, in fondo, è il tentativo goffo di difendersi di fronte a quella presenza così ingombrante: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente», che, seguendo l'originale greco, si potrebbe leggere anche: ""Fino a quando ci toglierai la vita?". Proprio come Adamo che aveva paura di Dio, ormai nudo e preda dell'"inverno". Potremmo allora chiederci chi, sotto il portico di Salomone, fosse Adamo: i giudei e i loro capi? Oppure i gentili che sin lì potevano arrivare? Adamo era dentro o fuori il "recinto" del Tempio? Non è una domanda da poco. 

Il dialogo tra i capi dei Giudei e Gesù avviene, infatti, mentre "ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione". E Hanukah, la festa della Dedicazione, aveva a che fare proprio con i pagani: ricorda, infatti, il tempo in cui "il Tempio fu pieno di dissolutezze e gozzoviglie da parte dei pagani, che gozzovigliavano con le prostitute ed entro i sacri portici si univano a donne e vi introducevano le cose più sconvenienti. L’altare era colmo di cose detestabili, vietate dalle leggi. Non era più possibile né osservare il sabato, né celebrare le feste tradizionali, né fare aperta professione di giudaismo" (2 Maccabei 6,4-6). Il culmine si raggiunse quando il Tempio fu profanato, spogliato dei suoi tesori e usato per il culto pagano. Nel 165/166 a.C. Giuda Maccabeo e i suoi fratelli ebbero finalmente la meglio, riconquistarono il Tempio e lo dedicarono di nuovo. Istituirono allora la festa di Khanukàh per celebrare la vittoria. 

Ma, accanto all'evento della riconquista, c'è un altro aspetto importante di questa festa; ce lo racconta il Talmud: "Cosa è Hanukhah? Hanno insegnato i Maestri: il 25 del mese di Kislev iniziano gli otto giorni di Hanukhah, giorni in cui non si possono fare manifestazioni di lutto e non si può digiunare. Quando i greci entrarono nel Tempio, resero impuro tutto l'olio, e gli Asmonei, dopo aver sconfitto il nemico greco, cercarono e non trovarono che una sola ampolla d'olio, che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote. Questa ampolla sarebbe bastata per illuminare il Tempio un solo giorno. Accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni. L'anno seguente stabilirono di rendere quei giorni, giorni di festa e di lode" (Talmud Shabbath 21b). Durante la festa i cortili del Tempio risplendevano di luce. Ogni casa era illuminata dal candelabro poste ben in vista vicino alle porte che davano sulla strada, affinché si potesse vedere la luce dall'esterno. Al tramonto della prima sera si accendeva una candela, la seconda sera due, e così sino all’ottavo giornoLa prima candela si accendeva sul lato destro del candelabro, e poi via via le altre da destra a sinistra; tutte però si accendevano servendosi dello "Shamash" – la cosiddetta "candela servitore" – che si poneva sul candelabro in luogo diverso e lontano dalle altre otto candele. Tutto questo per ricordare il "miracolo" che Dio aveva compiuto, segno e sigillo della liberazione di Israele dal giogo di Antioco Epifane, e il ritorno alla purezza del culto. Ad Hanukhah, dunque, era forte l'attesa messianica, ed era tutta orientata verso il ristabilimento della libertà per il popolo di Israele. E' in questo contesto che dobbiamo comprendere la domanda dei capi dei Giudei. 

Volevano spingere Gesù a rivelarsi, lo affrontano con malizia e violenza perché svelasse finalmente se era Lui il liberatore atteso. Ma, in fondo, avevano già stabilito che non lo era. I Giudei non volevano "conoscerlo", ma solo smascherarlo per avere un capo d'accusa con cui poterlo fare fuori; pur essendo discendenza di Abramo, pur stando al di qua del "recinto", nel cuore del Tempio, erano pagani esattamente come quelli che dovevano restarne al di là. Anzi, avevano un peccato più grande, perché, pur avendo a disposizione la Legge e le Profezie, non erano capaci di riconoscerlo, erano ciechi che non accettavano di esserlo. Aspettavano un nuovo Giuda Maccabeo, e avevano di fronte il figlio di Giuseppe il falegname, uno che veniva da Nazaret... Gesù lo sapeva, e per questo risponde sibillino: "Ve l'ho detto e non credete"; non potete credere perché ascoltate la voce del Padre vostro; "voi non credete perché non siete mie pecore", ascoltate, infatti, la voce di un altro pastore, uno come Giuda Maccabeo; al tempo c'erano, infatti, gli zeloti, e Giuda, un "ladro", era zelota, come Barabba, un "brigante". Insomma, la voce del demonio. 

Anche noi aspettiamo un tipo ben preciso di Messia, il Cristo che ci siamo fabbricati; quello che, purtroppo, anche nella Chiesa, alcuni ci hanno predicato; il Cristo che l'educazione, ricevuta in famiglia e a scuola, o la mentalità mondana, in televisione, su internet, tra gli amici, hanno modellato in noi. Altro che "pecore" del "recinto" di Gesù, preparate per il sacrificio! Ma attenzione, nel contesto di questa festa, il discorso si fa più sottile. "Fino a quando ci toglierai la vita?", cioè fino a quando non ci risponderai su quanto più ci angoscia, ovvero la nostra felicitàA volte cadiamo nella trappola e chiediamo la felicità agli idoli. Ma c'è un'idolatria più grande, la più grande, ed è subdola, sa nascondersi e camuffarsi bene. E' quella originale: la superbia di diventare come Dio. Non solo per quello che riguarda le relazioni e la storia, cioè diventare dio di tutto, di dirigere, di saziarsi, di avere potere e prestigio. Qui si tratta della superbia che ci vorrebbe come Dio in quanto a santità morale, a non dover più sottostare alle tentazioni, ad essere perfetti in senso legalistico. La superbia che non ci fa riconoscere d'essere sue pecore, ma che ci vorrebbe pastori capaci di condurre nel bene la propria vita. Aspettiamo cioè ogni giorno un Cristo che ci faccia puri, che ci liberi dal giogo esterno a noi, quello di Antioco Epifane, che, secondo noi, ci impedisce la fedeltà e la felicità. E invece Gesù dice qualcosa di completamente diverso: Io sono molto di più del Messia, del pastore che aspettate. "Io e il Padre siamo una cosa sola", cioè, "Io sono Dio". E Dio ha rivelato il suo Nome, la sua identità, con una "voce" da dentro il roveto ardente che non si consumava. Questo significa che la felicità, ovvero la vita eterna, piena, realizzata ci viene data da Lui in mezzo al fuoco delle tentazioni. È li che possiamo "ascoltare la voce" il Pastore, che è Dio, più potente della morte. 

L'idolatria è nel nostro cuore, ed è lì che il "Pastore vero e bello" depone se stesso e la sua vita che non ha limiti. E' lì che possiamo essere riconsegnati a una vita da figli di Dio, capace di celebrare nella storia la liturgia che renda onore e gloria al Padre, quella dell'Agnello immolato. E il Pastore può giungere al cuore solo attraverso l'"ascolto". "Ascoltare" è il verbo della fede, è l'antidoto all'idolatria. "Idolo" in greco deriva da "vedere". Noi crediamo che l'intimità e la conoscenza si diano attraverso gli occhi; per questo la nostra società è fondata sul vedere. Ma la visione resta esterna, mentre le parole arrivano al cuore. Come è accaduto alla Vergine Maria. L'ascolto è l'apertura umile di una pecora che si affida al suo pastore, perché la conoscenza sorge e si compie ascoltando, che in ebraico è sinonimo di obbedire. Essere una cosa sola è ascoltare e quindi "seguire", come il Figlio ha fatto con il Padre: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono". 

Gesù rivela se stesso rivelando la nostra identità! Non importa se dentro o fuori dal "recinto", ogni uomo è immagine di Dio creato da Lui attraverso la sua Parola. Ascoltando possiamo essere ricreati ogni istante dalle mani di Gesù, che plasmano in noi l'agnello, mani che parlano potremmo dire; e, con la sua Parola, ci difendono dagli idoli. Nessun idolo "può strapparci dalla sua mano". Ciò significa che "Il Padre di Gesùriguardo a ciò che mi ha dato, è più grande di tutti" gli idoli di questo mondo. Il Padre ha dato a Gesù ciascuno di noi come suoi fratelli, creati in Lui a immagine e somiglianza di Dio: per questo "nessuno può strappare" la nostra identità "dalla sua mano" crocifissa, che è la stessa mano creatrice del Padre. Basta ascoltare per rinascere! Basta ascoltare davvero la sua Parola, come già la festa di Hanukhah annunciava: alcuni rabbini, infatti, vedevano la forza della sapienza della Torah nel miracolo dell'ampolla che non si è consumataNel mondo si vive "ascoltando" la "voce" di Dio che ci parla dal roveto, da questa ampolla che miracolosamente continua ad ardere senza consumarsi; ciò significa aprirsi alla sapienza della Croce che, pur essendo uno strumento di tortura e di morte, in Cristo è divenuta fonte di salvezza e di "vita eterna". Che bello, che consolazione! Siamo poveri e incoerenti, deboli e peccatori, eppure "Tu, nella Tua tanta misericordia, ti sei alzato in piedi per loro nel momento del loro dolore; Tu hai combattuto la loro battaglia... Hai dato i forti nelle mani dei deboli, i tanti nelle mani dei pochi" (Preghiera Al haNissim - letteralmente "per i miracoli"- che si recita durante la festa di Hanukkah). 

Coraggio allora, perché Gesù è il Servo sofferente, che arde nel sacrificio come il roveto ma non si consuma, si dona come "Shamash" ma moltiplica l'olio dello Spirito Santo per dare la luce della verità alle altre candele che siamo ciascuno di noi, affinché possiamo risplendere sul candelabro. Gesù è il Pastore che fa giustizia degli idoli per mezzo della sua Croce. Sulla Croce si era rotto il "muro di separazione", aperto il "recinto" laddove Gesù stava passeggiando, il suo sangue era offerto per Giudei e pagani, anche per ogni Antioco Epifane della storia, anche per chi ti insulta, per quelli che incarnano il demonio che ti tenta a ribellarti e separarti, divorziare, fare causa, chiuderti alla vita; tutti rinchiusi sotto il peccato, tutti, tu, io e ogni "altro", perché fosse fatta misericordia a ogni uomo. 

"Le opere che Gesù ha compiuto nel nome del Padre suo, queste gli hanno dato testimonianza", perché erano fatte in quel Nome rivelato tra le fiamme di un amore che brucia idoli e morte ma non si consuma. Erano profezia dell' "opera" decisiva compiuta sul Golgota. Sulla Croce Gesù era la "sola ampolla d'olio che era rimasta pura, perché ancora chiusa con il sigillo del Sommo sacerdote", del Padre. E "accadde un miracolo con quella ampolla, e così essi poterono accendere il lume per otto giorni": Gesù è risuscitato e ha "dato" alle "sue pecore", a ogni uomo che "ascolta la sua voce" la "vita eterna", della quale è simbolo proprio l'"ottavo giorno". Per questo "nessuno ha potuto strappare" alcun uomo dalla sua mano, che, stretta a quella del Padre, è scesa sino agli inferi per liberare tutti, Giudei o pagani che fossero. Non si consumerà l'amore nel tuo matrimoni, anche se mille problemi e tentazioni lo accerchiano ogni giorno; non si brucerà la vita di tuo figlio,  il tuo ministero sacerdotale, la tua vocazione consacrata. E per questo "miracolo" che si rinnova istante dopo istante nella nostra vita, possiamo credere che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio che è "una cosa sola con il Padre". 

Per questo siamo pecore elette per "conoscere" il Pastore, cioè per avere una intimità tale che in noi sia vivo Lui: "sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo è vivo in me". Il Messia non è dunque Barabba, non è uno che rinnova le gesta di Giuda Maccabeo, ma è il Pastore che offre la vita per le pecore sino a diventare una cosa con loro come lo è con il Padre, perché in Lui possano passare in mezzo a qualunque valle oscura. È il Pastore che le conduce fuori ad immolarsi per vincere la menzogna dei "lupi" con la forza dell'amore e del martirio. "il Buon Pastore che combatte contro le potenze del male, trionfa su di esse ed introduce le pecore nei pascoli paradisiaci, appare nel quadro della teologia della morte e del martirio. M. Quasten ha notato, infatti, che il Buon Pastore, al di fuori dei battisteri, appariva soprattutto sui sarcofagi. Questa duplicità di raffigurazione appariva anche nelle preghiere della liturgia dei morti. Cristo è il Pastore che strappa la pecora ai lupi che cercano di divorarla, lupi che sono i demoni che tentano di impedirne l'ingresso al cielo" (J. Danielou). Ripetiamo allora ogni giorno "Legami" Gesù alla volontà del Padre, stringimi nel tuo amore, perché nessuno mi strappi da Te, e così possa essere luce posta sul candelabro per chi mi è accanto, le "pecore che ancora devono diventare un solo gregge".






L'ANNUNCIO
Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno. Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza; ma voi non credete, perché non siete mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola».
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 10,22-30)