Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 4 aprile 2015

“Si fece buio su tutta la terra” Veglia nella Notte Santa

Nessuno perda di vista quella #pietra

di antonelloiapicca

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“Si fece buio su tutta la terra”. Il buio che oggi, Sabato Santo in ogni angolo di mondo, avvolge la vita di tutti. Colpiscono alcuni titoli di questi giorni: “massacro di cristiani nell’indifferenza dell’Occidente”. Già, l’indifferenza, che è la traduzione di “buio” nel linguaggio contemporaneo. L’indifferenza al martirio non è altro che il sentimento più comune di questa generazione sperduta come un gregge senza pastore.
Al netto de “La Croce” e altri organi di informazione di area cattolica, non è stato accolto nell’indifferenza generale il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili? Stessa sorte non è capitata all’approvazione al Senato della legge sul divorzio breve? E l’introduzione della pillola abortiva dei cinque giorni dopo non è scivolata nell’indifferenza? Indifferenza che inghiotte l’estendersi di quella che San Giovanni Paolo II chiamava “cultura della morte”, concetto che Papa Francesco ha specificato indicando quella contemporanea come una società fondata sulla “cultura dello scarto”.
In Giappone si è soliti cremare i defunti immediatamente dopo il funerale. Al termine della cremazione, i parenti sono invitati in una sala dove, con molta delicatezza, un funzionario illustra loro il “successo” dell’operazione. Il defunto, infatti, a differenza che in altri paesi, non è completamente ridotto in cenere, ma restano delle ossa, ormai trasformate e diventate di colore biancastro. Una parte di queste vengono deposte dai familiari nell’urna, cominciando dai piedi sino alla calotta cranica, cercando in qualche modo di “ricostruire” le fattezze del loro estinto. Una volta terminata l’operazione le ossa rimanenti insieme alle ceneri, che costituiscono la gran parte dei resti del defunto, vengono semplicemente spazzati via e gettati tra i rifiuti. “Scartati” appunto.
E’ un immagine forte, lo comprendo, ma rende bene, spero scuotendoci almeno un po’, lo scenario della società nella quale sta per planare la Pasqua di questo 2015. Alcuni, i più sensibili, cercano di salvare almeno una memoria dell’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio. I più, induriti nell’indifferenza, spazzano via i suoi resti appena dissolti dalle ideologie, che, lo sappiamo, sono il linguaggio accattivante che il nemico dell’umanità usa per sedurla e poi gettarla nella fornace ardente del fallimento.
Per questo oggi è “buio su tutta la terra”. “Tutta”, non ci sono dubbi, e significa che è buio anche dentro di noi. Forse in una parte nascosta, che per rimuovere o non pensarci abbiamo celato perfino a noi stessi. O forse il buio è ben presente, oggi, nella nostra vita. Una malattia appena scoperta? Quella di tuo figlio che non si riesce a curare? Il tuo matrimonio che sembra essersi infilato in una crisi che non vede sbocchi? Il licenziamento o il lavoro che non riesci a trovare? Ognuno sa quali tenebre avvolgano la propria vita, e di sicuro conosce anche la tentazione sottile dell’indifferenza, che sarebbe meglio chiamare cinismo. L’accidia insomma, nella quale addormentarsi per non soffrire ancora, e di più.
Ma stamattina, c’è una domanda alla quale proprio oggi non possiamo non rispondere. Nulla di speciale, semplicemente: “che cosa hai da fare stasera?”. Lo speciale sta in chi ci rivolge questa domanda. Non è tuo marito, che forse è secoli che non te la fa. Non sono gli amici, è troppo presto. Non sono i tuoi genitori, che stanno ancora discutendo su cosa fare a Pasquetta e a stasera non ci hanno neanche pensato. Allora, chi è? E’ Lui, è Cristo, lo Sposo innamorato di ciascuno di noi. E’ l’unico che ha veramente a cuore la nostra vita perché è l’unico che conosce sino in fondo ogni suo frammento. L’unico che non “scarta” nulla di noi, anzi; l’unico che, per salvarci dalla morte, ha saputo rintracciare le nostre zone più buie, quelle già conquistate dal principe della morte.
E di nuovo, oggi, vuole entrarvi con noi. Per questo ci chiede che cosa abbiamo da fare stasera, se per caso abbiamo già pianificato qualcosa più importante che risorgere con Lui dalla morte per entrare nella vita che non muore. Può essere che l’indifferenza abbia colto qualcuno di noi al punto di farlo sorvolare sulla “notte delle notti”. Può essere che, per non pensare al buio del sepolcro, alcuni abbiano accantonato la speranza. Ma può darsi che molti di noi, sino ad oggi, in nessuna notte di Pasqua abbiano visto “la stella del mattino”, quella “che non conosce tramonto”. Un po’ di consolazione quella sì per carità, per la bellezza delle architetture e la dolcezza dei canti; magari anche un briciolo di forza insperata per affrontare le difficoltà, grazie all’ascolto della Parola di Dio proclamata e il potere dei sacramenti. Ma di un cambio radicale, di un’autentica resurrezione, di una vita nuova capace di andare oltre la morte che la storia di ogni giorno ci presenta, della vita sovrabbondante di Cristo che ti fa distendere le braccia sulla croce per offrirti gratuitamente all’altro, di tutto questo nulla. E stiamo ancora, dopo tanti anni, “scartando” pezzi preziosi del puzzle che compone la nostra vita.
Ma si può spiegare perché ancora non siamo così felici da desiderare il Cielo più di ogni altra cosa, più dell’amore della moglie o del marito, più della salute e della riuscita dei figli, più della gita di Pasquetta e delle vacanze in estate, più del lavoro e dello stipendio, più delle cose più banali e di quelle importanti. Perché non desideriamo di stare con Cristo e non vediamo ancora il giorno della nostra morte come il nostro “dies natalis”, il più importante, il più bello, l’unico davvero da sperare che sia il più vicino, come una fidanzata innamorata aspetta il giorno in cui sposerà il suo fidanzato, o come una moglie che ama davvero suo marito partito in guerra, aspetta il giorno del suo ritorno.
Si può spiegare perché la morte ci fa ancora così paura, quella fisica certo, e tra tante sofferenze, ma anche, e soprattutto, quella in agguato nelle parole di chi ci è più vicino, nell’ingiustizia preparata per noi in ufficio, nelle tasse inique che si papperanno proprio quel tesoretto accumulato con tanta fatica, nel dolorino intercostale che potrebbe nascondere i sintomi di un cancro fulminante ai polmoni. E la morte che si è fatta cultura e sta scartando i nostri figli perché cristiani, esattamente come scarta, da una parte all’altra del mondo, tante vite solo perché appartengono ai “crociati”, a persone cioè, bambini, giovani e anziani, segnate dalla Croce di Cristo. La morte che sembra preparare un futuro inquietante per le nuove generazioni, nelle quali sarà discriminato chi segue le orme della Verità…
Temiamo ancora la morte, mentre un cristiano è stato liberato dalla sua paura. Nella Lettera agli Ebrei leggiamo infatti che “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche” Gesù “ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2, 14-15). Se dunque abbiamo ancora paura della morte significa che non siamo liberi, cioè cristiani… No, non scandalizzatevi, lo ha ripetuto il Papa, parlando dei “non cristiani battezzati, ai quali la secolarizzazione, la mondanità e tante altre cose hanno fatto dimenticare la fede”. Per un po’ di tutto questo non possiamo perdonare quel torto, non riusciamo ad aprirci alla vita, e scappiamo ad ogni avvisaglia di morte.
E siamo ancora schiavi della paura della morte perché, sino ad oggi, abbiamosbagliato porta per entrare nella Veglia Pasquale. Non ci siamo entrati da quella del nostro sepolcro, dove Cristo è stato deposto nella notte della sua Pasqua. Non abbiamo accettato fino in fondo che le tenebre che avvolgono il mondo erano le nostre. Insomma, non abbiamo ancora disceso i gradini dell’umiltà che, nei fonti antichi, conducevano i catecumeni alle acque del battesimo, posto non a caso nel cuore della Veglia Pasquale. Per noi, che il battesimo lo abbiamo già ricevuto, significa che ancora non abbiamo camminato abbastanza nella conversione, che inizia sempre dallo scoprire se stessi e dall’accettarlo. Altrimenti come spogliarsi dell’uomo vecchio per rivestire il nuovo?
Ma oggi può essere diverso. Oggi è diverso, per tutti noi! Potremo rinnovare come mai fatto nella nostra vita le promesse battesimali. Oggi, infatti, ci attende un fuoco alla porta della nostra chiesa, immagine della vita nuova che ci è promessa. A quel fuoco potremo accendere lo stoppino della nostra candela, ed entrare alla luce di Cristo nel buio del nostro sepolcro, sin dove nessuno è mai entrato, come ha registrato Giovanni nel suo racconto della Passione. Potremo scendervi seguendo Lui che vi è entrato senza paura, per puro amore di ciascuno di noi e di ogni uomo. Sapeva che era il suo, e che nessun altro avrebbe potuto esservi deposto. Quei peccati poteva prenderli solo Lui, perché solo Lui li poteva cancellare nel suo corpo offerto sulla Croce per noi.
E lì, dove il mondo crede impossibile la vita e la gioia, nella debolezza estrema, nei fallimenti, nelle ingiustizie patite e inferte, in quel luogo oscuro che per sfuggirlo ci inventiamo ogni follia, e per silenziare poi il grido della coscienza ne chiediamo il riconoscimento legale; proprio lì, dove nell’oscurità si nascondono aborto ed eutanasia, famiglie patchwork e finte famiglie, e tutti i nostri peccati, scopriremo che è arrivata la Chiesa, il Corpo di Cristo deposto nel sepolcro dell’umanità.
Ma stanotte è diversa da tutte le altre notti. Per questo nel luogo delle nostre paure ci sentiremo accolti dal canto dell’Exultet che ci annuncerà quello che forse non abbiamo osato sperare, che molti hanno smesso o rifiutano di credere, che troppi ancora non conoscono: “Lo splendore del Re ha vinto le tenebre, le tenebre del mondo!”.
Sì lo splendore di Cristo ha trasformato il sepolcro in un grembo fecondo di vita! La luce della sua Pasqua ha diradato le tenebre di menzogna che, come un laccio, il demonio ha gettato sul mondo. Cristo è risorto davvero, come aveva detto ai suoi discepoli. Come la Chiesa ci ha detto tante volte, Cristo ha vinto la morte, riducendo con la sua morte all’impotenza il demonio che della morte ha il potere. Con la sua morte che ha raggiunto la nostra morte, per destarci con Lui alla Vita che non muore.
Lo annunciano le letture che ascolteremo durante la celebrazione. Come una luce sempre più potente esse diraderanno la spessa coltre di inganni che ci hanno tenuti schivi nella paura: luce di vita nella Creazione, quando Dio ha compiuto il miracolo della vita laddove c’era solo buio e caos. Tutto ha creato perché la sua opera molto buona e molto bella godesse della sua intimità nella quale non v’è traccia di corruzione e dolore.
Alba di vita sui primi passi della storia di Salvezza con cui Dio ha cercato l’uomo ribelle condannato all’esilio nell’oscurità del mondo, chiuso come un sepolcro buio dietro le porte sprangate del Paradiso. Luce nella notte di Abramo, nostro padre, che, come racconta il Targum Neophiti, sul Moria dell’obbedienza perfetta con il suo figlio Isacco ha illuminato profeticamente il cammino di tutti i suoi figli: “venite e vedete la fede sulla terra, il Padre che sacrifica il suo figlio e il figlio carissimo che gli offre la sua gola”.
E poi luce di libertà che illumina l’aurora della prima Pasqua, come una promessa per tutti noi: il faraone, immagine del demonio, e il suo esercito sbaragliato e precipitato nel mare, incapace di raggiungere il popolo santo sul cammino verso la terra promessa. Guarderemo anche noi il mare, ascolteremo la promessa, e cominceremo a sperimentarla compiuta nella nostra vita: “quei nemici non li rivedrete mai più!”. Quel giudizio nei confronti di tuo marito non rivedrai mai più! Potrai donarti a lui senza riserve e vedrai la luce del perdono generare una nuova vita nella tua famiglia.
E poi ancora luce di profezie meravigliose che si compiranno questa notte, notte di nozze con il Signore, nella Nuova ed Eterna Alleanza sigillata nel suo sangue. Sino al Gloria e all’Alleluia che romperanno il silenzio di questo tempo, immagine del silenzio del sepolcro nel quale per troppo tempo siamo rimasti sepolti. Quel canto farà tremare le navate, perché dirà le parole che non siamo ancora riusciti a dire a nessuno; le parole che i nostri ragazzi balbettano goffamente nei loro messaggi fitti di abbreviazioni: la parole dello Sposo che, finalmente, alla fine della notte, ha trovato la Sposa: “Ti amo!”
Ci ama il Signore, di amore eterno, più forte d’ogni peccato e di ogni morte. Ce lo sta dicendo con quella pietra rovesciata, che tante volte ci siamo chiesti, nell’abisso dell’angoscia, chi sarebbe stato capace di rotolarla e tirarci via da lì dentro. Proprio come, di fronte all’impazzimento planetario, ci stiamo chiedendo “chi ci rotolerà la pietra” che ha chiuso l’umanità nel sepolcro della solitudine? Chi rotolerà la pietra che chiude nella prigione dell’inganno la vita di tanti che si illudono di trovare felicità nel diventare il genere che sente d’essere in quel momento? Chi rotolerà la pietra dietro la quale la droga, l’alcool, il prestigio, il denaro, il potere, il sesso offrono morte colorata di piacere?
Ma stanotte quella pietra ci fisserà e ci chiamerà. E’ una pietra, ma ci sembrerà viva. Guarderemo alle finestre e scopriremo che proprio in quel momento starà albeggiando; sì guarda bene, è apparsa la stella del mattino, quella che non conosce tramonto. La notte non ha l’ultima parola, “le prime luci” di questo giorno speciale sfioreranno i nostri occhi, perché vedano quello che non hanno mai visto. Fisseremo la nostra vita, e il sepolcro dove sino a poco fa giacevamo esanimi. E la pietra, dov’è la pietra? E la tomba? E’ spalancata, luminosa. Ci accosteremo, e la scopriremo vuota. Le bende, il sudario, gli abiti della morte che abbiamo indossato sono lì, ripiegati, come una pagina del passato, ma noi, no, non siamo più lì dentro. Che succede, è sparito il rancore. Era vero, quel nemico che mi ha inchiodato al giudizio non c’è più, non lo vedo più dentro di me, c’è solo una luce intensa che accende il cuore di un sentimento nuovo. E’ misericordia, è pazienza, è amore!
Sì è l’amore che ha invaso il nostro cuore perché il peccato e la morte che gli avevano usurpato il posto non ci sono più. Ascolteremo le parole che la Chiesa annuncia da duemila anni sino agli estremi confini della terra conficcarsi dentro di noi come una cosa viva: “Non è qui, è risorto! Andate in Galilea, là lo vedrete!”. Ecco dunque il perché della trasformazione radicale che tutti ci attende. Cristo è risorto dal sepolcro, e ci attende questa notte nel nostro sepolcro per trascinare anche noi nella sua vittoria! Cristo è risorto per liberarci dalla paura della morte e chiamarci a seguirlo in Galilea.
Perché la Pasqua non è solo per chi, per Grazia, stanotte la vivrà così. La Pasqua è per ogni uomo che, mentre celebreremo la Veglia, starà gettando la sua vita nella spazzatura. La Pasqua è la stazione di partenza di un treno che punta diritto alla Galilea. La Pasqua è per noi l’inizio di una vita nuova da rivelare e annunciare la mondo.
La Galilea dei gentili, infatti, è ogni periferia di questa terra così lontana dal Paradiso. E’ dove l’Isis semina morte, dove le ideologie perverse seminano inganni. E’ dove giace l’uomo di questa generazione, cieco come uno che non ha mai visto l’amore nella sua vita. E’ dove Gesù ci precede per illuminarlo con il suo amore fatto carne in noi. Perché chi taglia le gole, in fondo, accecato dal fanatismo che non riesce a dargli la pace e la letizia che desidera nel suo intimo, spera inconsciamente di vedere la vera fede sulla terra, un cristiano che offre loro il suo collo! Chi perseguita la Chiesa è perché non ha gioia dentro, è morto e non sa fare altro che seminare morte intorno a se, l’unico modo per tamponare una ferita che non smette di sanguinare. Così come accade a chiunque incontrerai domani, magari tornando dalla celebrazione che ha cambiato la tua vita. Ma l’avrà cambiata davvero, non sarai più te e vivere, ma Cristo in te. E allora saprai offrire la tua vita sino alla fine, come un martire della vita che non ha fine, come un testimone autentico di Cristo risorto dalla morte.
Il mondo non ha bisogno di un cristianesimo scaldacuori, di una religione tra le tante, per di più autoreferenziale, come ripete papa Francesco. Il mondo ha bisogno dei cristiani che, infinitamente felici per aver sperimentato l’amore di Dio nella Pasqua di Cristo che li ha stanati nel buio e li ha risuscitati con Lui, non desiderano e non sperano altro che amare nel suo stesso amore. Di cristiani che non possono far altro che amare e donarsi, e perdonare, senza scartare nulla, di nessuno. Di cristiani che in ogni istante sanno riconoscere la pasqua che li attende, dove scendere con Cristo nei sepolcri dell’altro, e lì morire per lui e donargli così la vita di Cristo. Di cristiani che vivono ogni giorno la notte delle notti, ovunque, per chiunque. Solo così la notte di questa Pasqua sarà uno spettacolo che la stragrande maggioranza degli uomini non ha ancora visto, quello dello “splendore del Re che vince le tenebre del mondo” salvandolo dalla rovina.
Articolo pubblicato su

LaCroce#quotidiano

del 4 aprile 2015

Veglia nella Notte Santa. Commento audio al Vangelo






Dunque tra i morti è la vita? Sotto terra è tuttora il sole senza sera? 
Il coro delle mirofore facendo lamento esclamava:
venite, corriamo in fretta al santo sepolcro a vedere.
Ma scorgendovi un angelo risplendente, restarono stupite e smarrite.
E questi, facendo cessare il loro lamento, gridò:
è risorto il datore di vita, non abbiate timore, o pie donne.
All’alba il coro delle donne, prima del sole
si diede a cercare il Sole che nella tomba era tramontato.
Ma l’angelo radioso si rivolse a loro:
è sorta la luce che illumina quanti dormono nelle tenebre!
Portate l’annuncio ai discepoli, astri dell’aurora,
mutate l’abbattimento in gioia, e cantate in coro,
con cuore che non dubita,
facendo risuonare l’annuncio della pasqua gaudiosa, della salvezza del mondo.

Sant'Andrea di Creta



L'ANNUNCIO
Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salòme comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall'ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande. Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"».(Dal Vangelo secondo Marco 16, 1-7) 

Anche Giuseppe di Arimatea, il discepolo di Gesù che con coraggio aveva chiesto a Pilato il suo corpo, per “avvolgerlo in un candido lenzuolo e deporlo nella sua tomba nuova”, dopo aver “rotolato una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne era andato”. Il coraggio e l’amore a Gesù di quell’uomo, il più fedele di tutti, si era esaurito di fronte al suo sepolcro. Di più non poteva fare e dare, ed era stato molto.Invece, “Maria di Magdala e l’altra Maria erano lì, davanti al sepolcro”. Che cosa avranno pensato guardando deporre il corpo di Gesù? Quali sentimenti nel vederlo scomparire lentamente dietro alla pietra? Dolore, struggimento, sfinimento, ma non solo. Erano donne, e donne ebree; educate all’amore silenzioso, avevano di certo imparato la fedeltà dall’esempio luminoso di Rut. Invitata dalla suocera Noemi a tornare nel suo Paese per trovarvi un marito, pur rimasta vedova e nella più grande precarietà, non volle abbandonare Noemi: “Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio” (Rut 1:16).dov’era andato Colui al quale avevano promesso la stessa fedeltà di Rut? Dove stava? In quel sepolcro sigillato. E con Gesù lì dentro c’era anche il loro popolo, la loro famiglia, il loro passato, il presente e il futuro; le speranze, le gioie e i dolori. La loro storia e la loro vita. E lì dentro c’era anche il Dio che Gesù le aveva rivelato, il Dio dei loro padri divenuto il loro Dio fatto carne, perché lo avevano creduto e accolto in virtù dell’esperienza del suo perdono.Per questo “erano lì, davanti al sepolcro”. Non potevano lasciare Gesù, dovevano essere con Lui. Lo amavano, e l’amore non è dentro belle e dolci parole. L’amore è dove è l’amato,  non nelle rime dei poeti o dei cantautori. L’amore non è nei milioni di “Ti amo” vergati su biglietti infilati in un mazzo di rose, o digitati compulsivamente su uno smartphone. Amore non è dirselo neanche quando si fa l’amore. Nemmeno quando sembra di toccare il cielo, e il tempo si dilata in un secondo di piacere appassionato.Amore è altro, si nutre di concretezza. Amore è “stare lì, davanti al sepolcro” dopo che tutti se ne sono andati. Amore è curare e custodire, vigilare e nutrire. Amore è “comprare olii aromatici per andare a ungere il corpo dell’Amato”. Amore è non rassegnarsi alla sua fine, perché chi ama sa che “forte come la morte è l’amore”, come “una fiamma del Signore!”. Chi ama ha sperimentato che “le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo”.Per questo, pur riposando per le fatiche e le emozioni vissute in quei giorni, il cuore di “Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome” vegliava; ed è stato come se, nel cuore della notte, qualcuno avesse “messo la mano nello spiraglio della loro porta”. Sì, deve essere stato proprio come recita il Cantico dei Cantici, “un rumore” le ha destate da quel sonno colmo d’amore. Un “rumore” che era una misteriosa profezia di speranza, come il fruscio soave che sveglia la vita nell’aurora della natura. Un “rumore”, era il Diletto che bussava, lo sapevano, qualcosa glielo diceva nel fondo di quel loro cuore in veglia. Un “rumore”, erano forse gli stessi attimi nei quali l’Amato si stava ridestando dalla notte del sepolcro rotolando via la pietra? Non era Lui che le chiamava con la fragranza inconfondibile del suo amore più forte della morte?Altrimenti perché uscire all’alba per recarsi alla tomba? Sì, anche per il timore dei nemici di Gesù, ma di certo era statoil cortocircuito d’amore che tante volte le avevano fatto ardere il cuore; era il suo amore che ridestava il loro a farle scattare in piedi, incapaci di resistere ancora. Dovevano andare da Lui, non potevano lasciarlo solo, sarebbero morte anche loro nel non senso di una vita senza l’Amato.E così, di fretta, sono uscite, mentre le loro “mani stillavano mirra sulla maniglia del chiavistello”, proprio quella mirra che stringevano al cuore per ungere il corpo del Signore. Ormai “il sole del primo giorno dopo il sabato era sorto”, e una luce strana illuminava il loro cammino. Un passo dietro l’altro, con il cuore a mille che le sospingeva, e quel sentiero sbranato in un soffio, perché dovevano, in qualche modo, “aprire al loro Amato” che aveva bussato nel cuore della notte.Ma non sapevano come fare, gli uomini come al solito, erano spariti nel momento in cui avevano bisogno di loro: “chi ci rotolerà via il masso dall’ingresso del sepolcro?”. Ancora una volta la concretezza dell’amore! Nessuna parola prestata al dubbio, alla frustrazione, neanche al dolore. Loro amavano Gesù, e in quel momento amarlo significava aprire la tomba dove era stato deposto. Nient’altro. Niente romanticismi, sentimentalismi, cuoricini e citazioni da postare. Solo un problema reale da affrontare, senza scappare.Perché l’amore, se è autentico, se è quello che Dio stesso ha effuso nel cuore e non quello che, di solito, “sentiamo” nel petto e che ci mangia lo stomaco, si imbatterà sempre in una pietra da rotolare. Per incontrare l’amato occorre sperimentare l’impossibilità delle proprie forze, e chiedersi, umilmente, “chi” ci potrà aiutare a togliere la pietra. La pietra dell’egoismo, della lussuria, del giudizio, della gelosia; la pietra che l’uomo vecchio ha impastato con il fango dei propri peccati e ha fatto rotolare come una barriera invalicabile tra lui e l’altro. La durezza del cuore sulla quale si infrangono gli innamoramenti adolescenziali e quelli, più pericolosi, degli adulti rimasti ragazzini, come le promesse scambiate dinanzi a un tramonto e i sogni di tutte le cenerentole in attesa del principe azzurro. La pietra sulla quale si sgretola ogni desiderio di bene, di un amore che non finisca.Ma le donne che quel mattino si stavano recando al sepolcro sapevano tutto questo. Maria di Magdala aveva sperimentato l’immane pesantezza di quella pietra nei sette demoni che l’avevano tenuta schiava del peccato. Sapeva e per questo si chiede “chi” avrebbe avuto la forza di rotolarla di nuovo, “chi” se non Colui che aveva espulso uno ad uno i suoi sette demoni, rotolando le sette pesantissime pietre che l’avevano separata da Lui, chiudendola nell’infelicità.“Ma, guardando, videro che il masso era già stato rotolato via, benché fosse molto grande”. Dunque, era successo di nuovo, “ma” stavolta era qualcosa che non avevano mai “visto”. Lì dentro c’era l’Unico che avrebbe potuto farlo, ed era morto appeso a una Croce. Le avevano visto le sue mani inchiodate piegarsi senza vita. Loro erano lì con Maria, ai piedi del legno. Avevano visto Lui accasciarsi nell’ultimo respiro di misericordia. Quel sangue benedetto aveva bagnato anche le loro mani, mentre le sue membra esanimi sfioravano il fango della terra ferita come Lui dal terremoto del male. Gli avevano chiuso gli occhi, lo avevano consegnato a Giuseppe, e lo avevano visto deporre in quel sepolcro.Allora, se non Lui, che era l’Unico capace di perdonare il peccato che ci separa dalla vita e dall’amore, “chi” aveva rotolato la pietra? Dovevano capire, scoprire che cosa fosse accaduto, perché, ne erano certe, il “rumore” d’amore lo avevano sentito e riconosciuto. E più d’ogni pensiero, ancora una volta, era la concretezza del loro amore a spingerle nel suo sepolcro. Era ancora lì, avrebbero potuto ungerlo oppure qualcuno dei suoi nemici aveva profanato la tomba sottraendo il suo corpo?Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d'una veste bianca, ed ebbero paura”: che succede, non è Lui, non gli assomiglia, può l’amore restare deluso? Ecco la radice di ogni paura, la possibilità che l’amore finisca, dissolto nel nulla, nel vuoto dell’assenza. La paura vera, infatti, è che l’amore che speriamo non abbia più carne e volto, parole e sguardi, che non sia più concreto da abbracciare, un corpo e una vita nei quali donarsi. La paura che la morte sottragga alla vista e ai sensi la possibilità dell’amore, la sua incarnazione qui ed oggi, nel marito e nella moglie, nei figli e nei fratelli, negli amici e anche nei nemici. La paura di trovarsi con il nulla, nessuno che ci ami, nessuno da amare. La paura della morte vera, più terribile di quella fisica, della morte del nostro essere che vive solo se, amato, può amare.Era questa la paura delle donne, non certo quella di un ragazzino. La paura davanti a quella visione imprevista, perché non era quello che conoscevano, non era quello che avevano visto con gli occhi lucidi d’amore. Quel “giovane” non era Colui che avevano amato, che volevano amare… La paura che, per questo, le sconvolgeva fin dentro le fibre più intime del loro essere. Che cosa era successo? Perché non c’era il suo corpo? Doveva essere lì, perché loro dovevano ungerlo con il loro amore. Ah, santa testardaggine delle donne… Doveva! gridava il loro cuore, perché no, il loro amore non si era esaurito di fronte a quella pietra sigillata.O forse sì, più di Giuseppe, più di ogni altro il loro amore s’era dilatato, ma, come accade alla Sposa del Cantico dei Cantici, anche loro dovevano imbattersi nell’assenza dell’Amato. Perché al loro amore mancava l’esperienza decisiva, l’incontro del limite estremo del loro amore con l’amore sino alla fine dell’Amato. Maria di Magdala sapeva che il peccato era stato il suo limite. Ma era stata perdonata, aveva cambiato vita, che cos’altro le restava da sperimentare?Alla concretezza del suo amore mancava la concretezza della risurrezione di Gesù. Le mancava quello che, probabilmente, manca a tutti noi.Anche noi siamo stati perdonati tante volte, e ci siamo alzati di buon mattino seguendo l’amore che ci chiamava ad aiutare la moglie, a cullare il bambino, o al servizio dei fratelli. Anche noi abbiamo visto la pietra rovesciata, siamo entrati nel sepolcro e lo abbiamo trovato vuoto. E quel vuoto ci ha inchiodato alla paura di perdere quello che avevamo ricevuto da Dio. Come Abramo salendo il monte Moria. Ecco, alle donne innamorate di amore fedele a Cristo, a ciascuno di noi oggi, manca credere alla parola di un angelo che appare proprio accanto al figlio che dovremmo sacrificare, alla possibilità di perdere tutto, ma proprio tutto.Come alle mirofore, ci manca credere all’annuncio di un angelo in vesti bianche pronunciato proprio dentro al sepolcro dove non riusciamo più a riannodare le fila del nostro amore, perché ci sembra di non vedere più l’Amato. Ci manca la fede che viene dalla stoltezza della predicazione della Chiesa, che oggi fa sue per noi le parole dell’angelo: “Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto”.“E’ risorto, non è qui!”. Guarda “il luogo dove era deposto”, guardalo bene perché, come è vero che lo hai visto deporre su quella pietra, è vero che è risorto e non è più qui. Era necessario che giungessi fin qui, al fondo della paura, altrimenti non saresti stato liberato. Era necessario quel dolore, quel tradimento, era necessario che la stessa opera di Dio nella tua vita scendesse in quel sepolcro, sparendo ai tuoi occhi. Era necessaria la notte, per purificarti e deporre nel tuo cuore l’amore puro, autentico, capace di camminare nella notte senza appropriarsi di nulla,Era necessaria la tua vita sino ad oggi perché tu potessi ascoltare che Cristo ci precede tutti in Galilea, nella storia che ancora dobbiamo vivere, “nella vita nuova dove, risorti con Lui, siamo chiamati a camminare”. “Nuova”, come quella tomba irriconoscibile senza il corpo di Gesù, come sarà l’attitudine di tuo marito tra dieci anni, o la crisi di tuo figlio, o la malattia che non ti aspetti. “Là lo vedremo” per amarlo in un amore incorruttibile, al di sopra di tutto e di tutti. “Là lo vedremo” insieme a “ai suoi discepoli e a Pietro”, la Chiesa che ci accompagnerà in quest’esodo d’amore che è la vita dei cristiani sulla terra. L’amore compiuto nelle donne, immagini luminose della Chiesa, che Gesù lo hanno imparato ad amare, passo dopo passo, notte dopo notte, sino al fondo del sepolcro, oltre la pietra, oltre se stesse, senza riserve.  Che il Signore ci conceda questa notte la stessa esperienza di queste donne.
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                         Preconio Pasquale


Preconio Pasquale Kiko





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