Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 30 aprile 2013

Esperienza e conoscenza per amare lo Spirito - RnS

Esperienza e conoscenza per amare lo Spirito 
Relazione di p. Raniero Cantalamessa


"Nell'Anno della fede gridiamo: ‘Credo nello Spirito Santo che è Signore e dà la vita'". È stato questo il tema della relazione tenuta da p. Raniero Cantalamessa,  predicatore della Casa pontificia. Un'esegesi attenta e scrupolosa dell'"articolo" del Credo Niceno Costantinopolitano, un profondo insegnamento attraverso il quale «passare dalla "realtà" alla "formula" cioè un modo per dare contenuto a quello che professiamo come cristiani nel Credo, per dare una forma alla nostra esperienza dello Spirito Santo in modo che la fede carismatica sia un'espressione forte, vibrante, gioiosa della fede dogmatica della Chiesa cattolica».
«Se mi seguirete con attenzione - ha detto il Predicatore sorridendo e rivolgendosi ai presenti ˗, potrete andare via con un "diploma in teologia"!». Dopo aver accennato alla storia della nascita dell'articolo di fede sullo Spirito Santo, padre Raniero lo ha commentato mettendone in evidenza le tre affermazioni fondamentali. Ha poi approfondito il mistero della Trinità sottolineando che «se Dio è amore, allora deve essere per forza Trinità perché l'amore non può
esistere se non tra due persone (chi ama e chi è amato) e l'amore che le unisce». Nella Trinità lo Spirito Santo è colui che crea l'unità tra il Padre e il Figlio. Numerosissimi sono i doni e le grazie che sgorgano da questa Unione trinitaria, come ad esempio la Pentecoste. Infine, il Predicatore ha rivolto un saluto a Papa Francesco, ricordando la sua umiltà, e un ringraziamento a Benedetto XVI per il prezioso operato svolto nel corso del suo Pontificato e ha invitato i fedeli a innalzare un "muro di preghiera" per la Chiesa.
«Non basta solo l'esperienza, è necessaria anche la conoscenza dello Spirito», ha aggiunto Martinez ringraziando p. Cantalamessa per il suo intervento appassionato e ricco di parresia. Esperienza e conoscenza insieme ci permettono di amare ancora di più lo Spirito Santo. Poi, il Presidente RnS ha ricordato la costante presenza del Predicatore alle Convocazioni nazionali, fin dal primo Incontro svoltosi nel 1978, concludendo con un gesto che p. Matteo La Grua soleva ripetere quando ascoltava insegnamenti particolarmente ispirati: il "bacio santo", che si dà sulla fronte perché lì è il "pensiero di Cristo". «Ora - ha continuato Martinez -, anche noi abbiamo il pensiero di Cristo».
Daniela Di Domenico

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"Non ho paura della morte. La mia fede mi da' questa bella sicurezza!"


Dalla Lettera di un giovane soldato tedesco ai suoi genitori scritta nella sacca di Stalingrado dove poi mori'










Dal Vangelo secondo Giovanni 14,27-31.

Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la da' il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornero' a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perche' il Padre e' più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perche' quando avverra', voi crediate. Non parlero' più a lungo con voi, perche' viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo via di qui». 

Il Commento

La Pace e' il dono messianico per eccellenza. Al termine del sacramento della confessione il presbitero ci congeda dicendoci: "Il Signore ti ha perdonato, vai in pace". Le stesse parole di Gesu' sono proclamate nella liturgia eucaristica prima di accostarsi alla comunione implorando il Signore ormai presente nelle specie del pane e del vino, di "non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa"; al termine della Celebrazione poi, il Presbitero congeda l'Assemblea invitando ciascuno ad andare in pace. Un Vescovo saluta liturgicamente il popolo annunciando la Pace. Dalla liturgia e dai sacramenti comprendiamo come la pace sia il sigillo di un'esperienza che trascende il mondo e i suoi limiti. Essa e' il tesoro prezioso che il Messia Gesu' di Nazaret, vincendo la morte e il peccato, ha scovato nel Cielo, nel Regno di suo Padre, dove e' ed entrato con la nostra stessa carne. E' come un souvenir di quel Regno, molto di piu', e' il grappolo d'uva che gli esploratori inviati da Mose' hanno riportato dalla Terra Promessa. La Pace e' cio' che ogni cuore desidera, il riposo dello Spirito, la certezza in mezzo alla bufera, il respiro di vita tra i rantoli della morte che incombe. La Pace del Signore e' il frutto del suo mistero pasquale, e' il suo sguardo di misericordia che incontra i nostri occhi impauriti e turbati sotto il peso dei peccati. Shalom! Pace a voi! Il saluto di Cristo risorto dalla morte rivolto ai discepoli impauriti nel Cenacolo: "E’ molto importante quello che riferisce il Vangelo, e cioe' che Gesu', nelle due apparizioni agli Apostoli riuniti nel cenacolo, ripete' piu' volte il saluto «Pace a voi!». Il saluto tradizionale, con cui ci si augura lo shalom, la pace, diventa qui una cosa nuova: diventa il dono di quella pace che solo Gesu' puo' dare, perche' e' il frutto della sua vittoria radicale sul male. La «pace» che Gesu' offre ai suoi amici e' il frutto dell’amore di Dio che lo ha portato a morire sulla croce, a versare tutto il suo sangue, come Agnello mite e umile, «pieno di grazia e di verita'» (Gv 1,14)" (Benedetto XVI, Angelus del 15 aprile 2012). La Pace scaturisce dal perdono, libera dal peso della colpa, rinnova lo spirito e apre sconfinati spazi alla speranza. La pace e' lo stile di vita di chi ha conosciuto il Signore, di chi lo ha incontrato vivo e vittorioso sulla morte. La pace che non si perde neanche in mezzo alla guerra, alla sofferenza, ai fallimenti. Il mondo cerca compromessi e baratti per ottenere la pace. Il mondo sancisce la pace sui corpi dei vinti. La Pace del Signore invece riscatta chi ha perduto, Lui che ha vinto fa la pace e la dona sciogliendo le catene degli sconfitti ridotti in schiavitu'. La Pace cui aneliamo anche oggi, anche ora, e' il trofeo conquistato sulla Croce, il frutto maturo dell'obbedienza di Cristo. Il nostro cuore indurito e ingannato dall'orgoglio del demonio trova nell'umilta' di Cristo l'amicizia e la gioia perdute.


Se oggi non abbiamo pace occorre chiederci perche' le situazioni o le persone hanno il potere di sottrarcela. Se non siamo in pace e' perche' siamo usciti dal Regno, dalla comunione con Dio: stiamo cercando la nostra volonta' e non quella del Padre, perche' solo in essa vi e' la vera pace. Ma oggi ci viene annunciato qualcosa di impensabile. Il fiume di male che ha lambito le nostre esistenze devastandole si scatena ancora su Cristo; la furia del demonio, il principe di questo mondo che non ha nessun potere su Gesu', si abbatte su di Lui per infrangersi e dissolversi nel suo Corpo offerto per puro amore. Il Signore ci avverte "prima", ci rivela sin da ora quale sia il cammino che i "suoi" sono chiamati a percorrere: portare su di se' il peccato che si abbatte su Cristo vivo nei cristiani, perche' gia' ora essi sono "andati al Padre" con Lui, assisi alla destra di Dio insieme con il loro Capo. I piedi degli apostoli si posano su questa terra, nel loro corpo si compie cio' che manca alla passione di Gesu', il compimento del suo amore crocifisso nelle generazioni che si susseguono. Ma nessuna persecuzione, nessun male, neanche il demonio ha potere sulla lkoro anima, perche' essa e' custodita, gia' durante la vita terrena, nel cuore di Dio, al sicuro con il loro Signore. Verra' oggi il principe di questo mondo a scuotere la nostra vita, viene ogni giorno a perseguitare la Chiesa, ed e' perche' il mondo, iniziando da ciascuno di noi, veda, sappia e sperimenti il suo amore immenso al Padre che lo spinge a compiere il sacrificio piu' grande. In Lui, attraverso i sacramenti, la Parola e la comunione della Chiesa, possiamo partecipare del suo trionfo e ricevere in eredita' la Pace che supera ogni intelligenza, il sigillo del Cielo che ci guida sino all'eternita', accompagnandoci gia' oggi dal Padre, il piu' grande di ogni peccato, sofferenza e male che si abbatte sulla carne: e' Dio, e' Lui che ci ama e trasfigura anche la nostra povera carne, deponendola, con le sue ore e la sua storia, nella misericordia senza limiti, dove solo possiamo gustare la Pace di chi puo' riposare nella sua volonta'.






Omelia 77


Che cosa ci lascia quando se ne va, se non se stesso, dal momento che non ci abbandona? Lui stesso è la nostra pace, lui che ha superato in sé ogni divisione. Egli è la nostra pace se crediamo in lui, e sarà la nostra pace quando lo vedremo così come egli è.


1. Nel passo del santo Vangelo, che precede immediatamente quello che è stato letto ora, il Signore Gesù aveva detto che egli e il Padre sarebbero venuti in coloro che lo amano e presso di essi avrebbero stabilito la loro dimora. Prima ancora, parlando dello Spirito Santo, aveva detto: Voi lo conoscerete, perché rimarrà presso di voi, e sarà in voi (Gv 14, 17). Perciò abbiamo concluso che le tre Persone divine abitano insieme nei fedeli come nel loro tempio. Se non che adesso dice: Queste cose vi ho detto stando ancora con voi (Gv 14, 25). Quella stabile dimora, dunque, che promette nel futuro, è diversa da questa che dichiara già in atto. Quella è spirituale e si attua nel profondo dell'anima, questa è corporale ed esteriore, e tale che si può vedere e sentire. Quella rende beati in eterno i redenti, questa è una visita nel tempo in ordine alla redenzione. Nel primo caso il Signore non si allontana da quelli che lo amano, nel secondo caso viene e va. Queste cose vi ho detto stando ancora con voi, cioè quando era con loro fisicamente, e visibilmente si intratteneva con loro.


2. Ma il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre invierà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto ciò che vi ho detto (Gv 14, 26). Forse il Figlio si limita a parlare e lascia allo Spirito Santo il compito di insegnare, di modo che dal Figlio ascoltiamo soltanto le parole e potremo comprenderle soltanto quando lo Spirito Santo ce le insegnerà? Come se il Figlio parlasse senza lo Spirito Santo, o lo Spirito Santo insegnasse indipendentemente dal Figlio. O non si deve invece dire che anche il Figlio insegna e anche lo Spirito Santo parla, e, quando Dio parla e insegna, è tutta la Trinità che parla e insegna? Ma siccome Dio è Trinità, occorreva menzionare le singole persone, perché ne sentissimo parlare distintamente e le considerassimo inseparabili. Ascolta il Padre che parla, quando leggi: Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio (Sal 2, 7). Ascolta il Padre che insegna, quando leggi: Chiunque ha ascoltato il Padre e ha accolto il suo insegnamento viene a me (Gv 6, 45). Hai sentito ora il Figlio che parla, e che di se stesso dice: tutto ciò che vi ho detto; e se vuoi renderti conto che egli anche insegna, ricorda ciò che il Maestro dice: Uno solo è il vostro maestro: Cristo (Mt 23, 10). Quanto allo Spirito Santo, di cui hai sentito dire adesso: Egli vi insegnerà ogni cosa, ascoltalo mentre parla, quando leggi negli Atti degli Apostoli che lo Spirito Santo disse a san Pietro: Su, va' con loro, perché li ho mandati io (At 10, 20). Tutta la Trinità, dunque, parla e insegna; ma se non venisse di volta in volta designata anche nelle singole persone, certamente l'umana debolezza non arriverebbe mai a individuarle. Ed essendo le tre Persone indivisibili, non avremmo mai saputo che sono Trinità, se di essa si parlasse sempre collettivamente; infatti, quando diciamo Padre e Figlio e Spirito Santo, distinguiamo le persone, sebbene esse siano necessariamente inseparabili. Quanto alle parole: Egli vi rammenterà, dobbiamo tener presente, e non dobbiamo mai dimenticarlo, che i suoi salutari ammonimenti appartengono all'ordine della grazia, che lo Spirito Santo ci rammenta.


[Promette la pace. ci darà la "sua" pace.]


3. Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14, 27). Questo è ciò che leggiamo nel profeta: Pace su pace. Ci lascia la pace al momento di andarsene, ci darà la sua pace quando ritornerà alla fine dei tempi. Ci lascia la pace in questo mondo, ci darà la sua pace nel secolo futuro. Ci lascia la sua pace affinché noi, permanendo in essa, possiamo vincere il nemico; ci darà la sua pace, quando regneremo senza timore di nemici. Ci lascia la pace, affinché anche qui possiamo amarci scambievolmente; ci darà la sua pace lassù, dove non potrà esserci più alcun contrasto. Ci lascia la pace, affinché non ci giudichiamo a vicenda delle nostre colpe occulte, finché siamo in questo mondo; ci darà la sua pace quando svelerà i segreti dei cuori, e allora ognuno avrà da Dio la lode che merita (cf. 1 Cor 4, 5). In lui è la nostra pace, e da lui viene la nostra pace, sia quella che ci lascia andando al Padre, sia quella che ci darà quando ci condurrà al Padre. Ma cos'è che ci lascia partendo da noi, se non se stesso, che mai si allontanerà da noi? Egli stesso, infatti, è la nostra pace, egli che ha unificato i due popoli in uno (cf. Ef 2, 14). Egli è la nostra pace, sia adesso che crediamo che egli è, sia allorché lo vedremo come egli è (cf. 1 Io 3, 2). Se infatti egli non ci abbandona esuli da sé, mentre dimoriamo in questo corpo corruttibile che appesantisce l'anima e camminiamo nella fede e non per visione (cf. 2 Cor 5, 6-7), quanto maggiormente ci riempirà di sé quando finalmente saremo giunti a vederlo faccia a faccia?


4. Ma perché, quando dice: Vi lascio la pace, non dice: la mia pace, mentre aggiunge mia quando dice: Vi do la mia pace? Forse il possessivo mia si deve sottintendere in modo che si possa riferire a tutte e due le volte che il Signore pronunzia la parola "pace", anche se esplicitamente lo dice una volta sola? O c'è anche qui un segreto, per cui bisogna chiedere e cercare, e solo a chi bussa sarà aperto? Che meraviglia, se ha voluto che per sua pace si intendesse solo quella che egli possiede? Questa pace, invero, che ci ha lasciato in questo mondo, è da considerarsi piuttosto nostra che sua. Egli, non avendo alcun peccato, non porta in sé alcun contrasto; noi invece possediamo ora una pace che non ci dispensa dal dire: Rimetti a noi i nostri debiti (Mt 6, 12). Esiste dunque per noi una certa pace, quando, secondo l'uomo interiore ci compiacciamo nella legge di Dio; ma questa pace non è completa, in quanto vediamo nelle nostre membra un'altra legge che è in conflitto con la legge della nostra ragione (cf. Rm 7, 22-23). Esiste pure per noi una pace tra noi, in quanto crediamo di amarci a vicenda; ma neppure questa è pace piena, perché reciprocamente non possiamo vedere i pensieri del nostro cuore, e, per cose che riguardano noi, ma che non sono in noi, ci facciamo delle idee, gli uni degli altri, in meglio o in peggio. Questa è la nostra pace, anche se ci è lasciata da lui; e non avremmo neppure questa, se non ce l'avesse lasciata lui. La sua pace, però, è diversa. Ma se noi conserveremo sino alla fine la nostra pace quale l'abbiamo ricevuta, avremo quella pace che egli ha, lassù dove da noi non potranno più sorgere contrasti, e nulla, nei nostri cuori, rimarrà occulto gli uni agli altri. So bene che in queste parole del Signore si potrebbe vedere semplicemente una ripetizione. Vi lascio la pace, vi do la mia pace; dice: pace, e ripete: la mia pace; dice: vi lascio, e ripete: vi do. Ciascuno interpreti come vuole. Ciò che importa a me, e credo anche a voi, miei cari fratelli, è conservare questa pace quaggiù dove concordi possiamo vincere l'avversario, e anelare a quella pace lassù dove non soffriremo più alcun avversario.


5. La precisazione, poi, che il Signore fa: non ve la do come la dà il mondo (Gv 14, 27), che altro significa se non questo: non ve la do come la danno coloro che amano il mondo? I quali appunto si danno la pace per godersi, al riparo di ogni contesa e guerra, non Dio, ma il mondo loro amico; e quella pace che concedono ai giusti, evitando di perseguitarli, non può essere pace vera, non potendo esistere vera concordia là dove i cuori sono divisi. Come infatti si chiama consorte chi a te unisce la sua sorte, così si può chiamare concorde solo chi a te unisce il cuore. E noi, o carissimi, ai quali Cristo ha lasciato la pace e dà la sua pace, non come la dà il mondo, ma come la dà lui per mezzo del quale il mondo è stato fatto, se vogliamo essere concordi, uniamo insieme i cuori e, formando un cuor solo, eleviamolo in alto affinché non si corrompa sulla terra.

lunedì 29 aprile 2013

KIKO: A SUA IMMAGINE - 28 APRILE 2013 & incontro di Catanzaro:comunità neocatecumenali di Calabria, Campania e Sicilia.



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KIKO: A SUA IMMAGINE - 28 APRILE 2013 1/3





KIKO: A SUA IMMAGINE - 28 APRILE 2013 PARTE 3/3




 "La "Notizia" che cambia la vita"


TGR Calabria – Servizio sull’incontro di Kiko a Catanzaro

 

Scopri di più: TGR Calabria – Servizio sull’incontro di Kiko a Catanzaro | Cammino.info 

KIKO ARGUELLO A CATANZARO "COMPLETO"





15.000 persone da Calabria, Campania e Sicilia ieri a Catanzaro per l’incontro del Cammino Neocatecumenale voluto dal vescovo Bertolone e presieduto dal cardinale di Palermo, Paolo Romeo


Sole cocente, rimandi di orari, una leggera disorganizzazione nella disposizione dei posti. L’incontro di Kiko Argüello con le comunità neocatecumenali di Calabria, Campania e Sicilia, svoltosi ieri pomeriggio a Catanzaro Lido – voluto fortemente dall’Arcivescovo Vincenzo Bertolone, e presieduto dal cardinale di Palermo Paolo Romeo – presentava diverse e impreviste difficoltà (tra cui il ritardo dell’aereo di Kiko) che hanno messo a dura prova il programma e il lavoro di organizzazione delle comunità locali.

Eppure c’è sempre qualcosa in più in questi incontri, uno spirito che aleggia e che dona serenità, che soffia quando all’ombra ci sono 30° gradi, che fa stare comodi anche se si è sdraiati sul terriccio, e che nonostante si grondi di sudore, dona la forza di ballare, cantare e suonare la chitarra per dodici ore di fila.

Questo Spirito non viene dal “fomento” tipico di qualsiasi incontro giovanile, né dalla “kikolatria” denunciata dai detrattori del Cammino Neocatecumenale. Ma dalla Parola, dall’Annuncio, dalla notizia che “Cristo è morto e risorto, si è preso sulle spalle tutti i nostri peccati, siede ora alla destra del Padre e vuole donarci una vita nuova”.

È il kerygma, la buona notizia che Kiko Argüello non smette di rimarcare ogni qualvolta apre bocca, anche quando è ospite, come ieri mattina, al programma Rai A Sua Immagine e il giornalista gli chiede vagamente come siano strutturate le Missioni nelle 100 piazze.
Perché “questa notizia ti cambia la vita” e “quando si annunzia si compie” ha sottolineato con vigore l’iniziatore dell’itinerario neocatecumenale. Questo spiega perché quasi 15.000 persone – tra cui numerosi anziani e bambini – siano rimaste immobili dalle 7.30 del mattino fino alle 20 sotto il palco montato di fronte al mare. Perché quasi 100 maschi e una cinquantina di donne si siano “alzati”, pronunciando nel cuore il sì per entrare in seminario o abbracciare la vita consacrata. E perché circa 150 ragazzi abbiano voluto ricevere il rosario per pregare ogni giorno davanti al Santissimo in sostegno delle missio ad gentes di Manchester e Stoccolma.
“L’urgenza di annunciare l’amore di Cristo” – come recitava la II Lettera di Paolo ai Corinzi letta ieri – è al centro poi delle Missioni nelle piazze cittadine che le comunità di tutto il mondo hanno intrapreso da domenica 7 aprile. Un’iniziativa per l’Anno della Fede che finora “ha portato grandi frutti” ha riferito Kiko. Come a Manila, dove – ha raccontato – durante una missione passava un feretro e tutti i fratelli si sono acquetati. Poco dopo una donna esce dalla Chiesa e chiede di dire qualcosa al microfono: “Sono la moglie del defunto – dice – mio marito domenica scorsa era presente alla vostra missione. Non parlava con me e i suoi figli da due anni, ma dopo le vostre parole, ci ha chiesto perdono. Tre giorni fa, poi, è morto”. O come la ragazza di Brasilia intenzionata ad uccidere sé stessa e il bambino che portava in grembo per vendicarsi del fidanzato che l’aveva abbandonata. “Questa donna – ha detto Kiko – è scoppiata a piangere nel sentire l’annuncio ed è stata aiutata dai giovani delle comunità”.
“Non c’è cosa più immensa nel mondo di annunziare il Vangelo a tutti gli uomini, a tutte le nazioni” ha ribadito più volte Argüello impugnando la croce astile. E se già Benedetto XVI aveva approvato questa iniziativa che sta coinvolgendo 10.000 piazze di 120 nazioni, papa Francesco ha dato una conferma con la costante esortazione ad una Chiesa “che deve uscire e andare nelle periferie dell’esistenza”. Non a caso, il Santo Padre – ha raccontato Kiko – “incontrando una sorella del Cammino a Santa Marta, chiedendole come andassero le Missioni, ha esclamato ‘bravi, continuate ad andare nelle piazze!’”.
“E’ il fuoco dello Spirito Santo” a mettere in moto questo lío (in spagnolo: macello) come lo ha simpaticamente definito il Pontefice. Un fuoco, ha detto Kiko, che “come quello apparso a Mosè, è in mezzo ai rovi, alle difficoltà”, ma che continua a brillare acceso.
A fare “gli onori di casa”, Salvatore Morfino, catechista itinerante responsabile di Calabria e Sicilia. Insieme a lui sul palco mons. Luigi Cantafora, vescovo di Reggio Calabria; le altre equipe itineranti; il rettore del Redemptoris Mater di Cosenza, don Alessandro Giglio; sacerdoti e autorità politiche regionali. Nel pubblico anche rappresentanti dei Focolari e del Rinnovamento nello Spirito che Morfino ha ringraziato per “la comunione e la partecipazione”. Assenti invece padre Mario Pezzi e Carmen Hernandez per problemi di salute.
Il pomeriggio è stato scandito dai momenti tradizionali: i canti, la processione dei presbiteri che accompagnavano l’immagine della Madonna sul palco (in questo caso la Vergine delle Grazie, patrona della diocesi catanzarese), la proclamazione del Vangelo, l’annuncio delkerygma e le chiamate vocazionali.
Lungo e sentito l’intervento del cardinale Romeo. Commentando il Vangelo di Giovanni, il porporato si è soffermato sul “comandamento dell’amore” di cui Cristo è “la misura alta” e che trova compimento nella la liturgia eucaristica, sacramento in cui il Figlio di Dio “ci dona la vita”. In virtù di questo amore, Dio ci ha eletti come suoi figli. Ciò si evidenzia negli itinerari, dove – al contrario delle parrocchie in cui “ci si trova” – “si riconosce di essere scelti da Cristo”,ha chiosato l’Arcivescovo di Palermo.
“La vita di tutti è una risposta ad una vocazione, perché Dio ha un disegnao su ciascuno di noi è attende che mettiamo a frutto i doni che ci ha donato” ha poi aggiunto il cardinale, quasi ad incoraggiare le successive chiamate vocazionali.
Il discorso introduttivo di mons. Bertolone è stato invece un personale elogio delle comunità neocatecumenali. “Siete una concreta novità della Chiesa post Concilio – ha detto l’Arcivescovo – un’espressione della fantasia dello Spirito Santo per recuperare chi si è autoescluso dall’amore di Cristo, e che ricorda che tutti sono invitati alle nozze dell’Agnello”.
Incontrato da ZENIT al termine dell’incontro, il presule alla domanda su come fosse andato questo appuntamento da lui tanto desiderato ha risposto sorridendo: “È stato un momento ricchissimo: un popolo che manifesta amore e fraternità proprio nel giorno in cui, nel Vangelo della Liturgia odierna, San Giovanni ci ricorda che il distintivo del cristiano è l’amore, l’amore sull’esempio di Cristo, ai fratelli, ma anche ai nemici”. “Mi auguro – ha soggiunto – che la manifestazione di fede di oggi possa essere contagiosa per tutti i fratelli che ora si trovano ai margini”.
D’accordo anche mons. Cantafora che ha affermato: “Certamente è stato un incontro dove è passato il Signore”. Soprattutto nelle alzate dei giovani, ha osservato, perché “in un mondo superficiale dove si pensa che il giovane non abbia nessuna tempra, nessun senso dell’impegno, della consegna di sé, vedere invece questa apertura, è un segnale della potenza del Vangelo”. (S. Cernuzio)

Fonte: Zenit





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da Arealocale.com
Arrivati in 20 mila da tutte le Regioni del Sud Italia e dalla Repubblica di Malta per ascoltare la Parola di Dio, indegnamente annunciata da Kiko Argüello fondatore del Cammino Neocatecumenale.
Un evento celebrativo presieduto da S. Em.za il Cardinale di Palermo Mons. Paolo Romeo che, insieme ai Vescovi della Calabria, Mons. Bertolone, Mons. Cantafora e Mons. Bonanno, ha condotto i lavori dell’assemblea conclusa con una chiamata a vocazione per 100 giovani ragazzi e 50 ragazze che abbracceranno la vita consacrata nei Seminari “Redentoris Mater” e nei Conventi di Clausura sparsi in tutto il mondo.
Ventimila persone non si muovono a caso e senza senso ma perché hanno creduto nella Parola, hanno formato piccole Comunità per l’ascolto vivendo un itinerario di fede e riscoprendo il proprio Battesimo.
Arrivati al Parco Giovino di Catanzaro Lido in Calabria, fin dal mattino presto con chitarre, striscioni, passeggini e tanti bambini, i fratelli del Cammino Neocatecumenale si sono ordinatamente piazzati nelle zone dedicate e, fino al pomeriggio, hanno atteso in preghiera meditando il Santo Rosario. Kiko Argüello arrivato sul palco, addobbato con i segni ecclesiali e liturgici, ha subito iniziato la catechesi leggendo una Epistola di S. Paolo evidenziando che “Dio ha salvato il mondo attraverso la stoltezza della predicazione”.
Forte dall’abbraccio della moltitudine dei fedeli presenti e dalle autorità istituzionali venuti per ascoltarlo, Kiko ha cantato l’invocazione allo Spirito Santo, quasi come se fosse una sola voce, testimoniando la sua pochezza di uomo debole e peccatore. Ha testimoniato tanti fatti accaduti durante l’esperienza meravigliosa che si sta vivendo in queste domeniche dopo la Pasqua di Risurrezione. Infatti, il Cammino Neocatecumenale, in occasione dell’Anno della Fede, ha pensato e vissuto, uscendo fuori dai luoghi di preghiera, portando il Vangelo all’uomo di oggi in tutte le Piazze delle Città nel mondo.
Molto importante è stato il pensiero di Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo metropolita di Catanzaro – Squillace, che ha voluto comunicare ai fedeli presenti lo straordinario momento di fede quale regalo originale dello Spirito Santo, richiamando la speranza e l’amore quale fondamento della comunità cristiana. L’Arcivescovo ha ringraziato Kiko per aver accettato l’invito a presenziare una celebrazione importante per la vita dei cittadini di Catanzaro e dell’intera Calabria ed ha benedetto questo popolo in cammino quale espressione della fantasia dello Spirito. Dopo un forte respiro, Kiko ha preso la croce a stilo, dicendo che non si può testimoniare senza avere Cristo nella propria vita, nella sofferenza e nella povertà. Proprio di ciò scriverà Paolo ai Corinzi, ha detto Kiko: «Mentre i Giudei chiedono i segni e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.
Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (Cor. 1,22-25). Abbiamo pensato, con l’aiuto della Madonna, ha testimoniato Kiko, che uscire nelle piazze ha significato e significa per noi credenti dare una grande testimonianza di tanti giovani che con la propria esperienza attirano la gente che passa, magari solo per curiosità, colpita soprattutto dai canti, ad ascoltare la Buona Notizia di Cristo Risorto. Stiamo viviamo un tempo forte di tribolazione – ha continuato Kiko – e, il Cammino Neocatecumenale con le “missio ad gentes”, sta vedendo tante conversioni di gente atea o lontana dalla Chiesa. Tanta gente, ha detto Kiko, stupita, attratta dai canti, dalla cordialità tra i fratelli, dalle esperienze e dall’ascolto del “Kerigma”, che tocca profondamente lo spirito dell’uomo, dal momento che, dice San Paolo, “è lo spirito di Cristo che dà testimonianza al nostro spirito”. Perché i lontani ci guardano? Da questa affermazione Kiko ha richiamato i fratelli del Cammino Neocatecumenale ad essere coerenti con la fede: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. E’ il comandamento nuovo di Gesù per la sua comunità, che trova la sua identità proprio per questa qualità nuova di amare: “Da questo sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.
La Chiesa primitiva “era un cuore solo e un’anima sola.. e tutti godevano di grande favore”. “Guarda come si vogliono bene!”, dicevano i pagani meravigliati di tanta solidarietà, fino alla comunione dei beni. “La via più sublime” di santità è quella carità che sta al di sopra di ogni pur prodigioso carisma: parlare in lingue, la profezia, una fede che trasporta le montagne e ogni forma di dedizione non disinteressata. Paolo ne elenca le caratteristiche, tra le altre, la benignità, il rispetto, il perdono e la gioia per la verità.
Infine, verso l’imbrunire, dopo una giornata bellissima piena di sole e di gioia, Kiko Argüello ha annunciato il Kerigma: “Gesù di Nazaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete – , dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere”….., proprio come Pietro (Atti 2,22) nel discorso alla folla il giorno di Pentecoste subito dopo la discesa dello Spirito Santo.
Aiutati a comprendere la “chiamata vocazionale” con l’annuncio  del Kerigma, Kiko ha ringraziato e benedetto il Signore che ci guida e ci sprona a testimoniare Cristo morto e Risorto, nonostante le dure prove e le sofferenze quotidiane che non ci fermano. 100 ragazzi e 50 ragazze si sono alzati per intraprendere un tempo di verifica e comprendere la volontà di Dio per abbracciare il Ministero della consacrazione al sacerdozio.
L’ultimo atto di questa celebrazione è stata la consegna del Rosario, fatto a mano in corda dalle Suore di Clausura, a tanti giovani e coppie che pregheranno tutti i giorni per le famiglie delle tante missioni che hanno formato migliaia di Comunità nelle Parrocchie in tutte le parti del mondo.
[Salvatore Barresi]

SANTA CATERINA DA SIENA




SANTA CATERINA DA SIENA

Santa Caterina da Siena dal 1939 patrona d'Italia
PATRONA D'ITALIA E DOTTORE DELLA CHIESA

Ecco la tappe più importanti della vita e del culto di santa Caterina: nacque a Siena nel 1347, è morta a Roma all’età di 33 anni. Fu canonizzata il 29 giugno del 1461 da Pio II. Fu dichiarata patrona delle Donne di Azione Cattolica da Pio X, e nel 1939 Patrona d’Italia da Pio XII. Infine Paolo VI nel 1970 la insignì del titolo di “Dottoressa della Chiesa”. Caterina è stata la prima donna onorata con il titolo di “Maestra della Chiesa”.
Di famiglia numerosa, Caterina fin da piccola mostrò segni non comuni di una intensa vita spirituale. “Precocissima viene descritta la sua vocazione religiosa, segno dell’eccezionalità di tutta una vita: esemplare devozione, carità verso i poveri, penitenze individuali e collettive con le coetanee, fuga nell’eremo, fuori le mura della città, assistenza divina nei lavori domestici, prime esperienze mistiche; e soprattutto voto di verginità” (S. Boesch Gajano). Questo suo progetto fu fortemente ostacolato dalla famiglia (la madre specialmente) che sognava di maritarla bene e presto, fin dall’età di 12 anni. Caterina si oppose. Decise perfino di tagliarsi i capelli. Arrivarono le rappresaglie. Ma resistette e vinse. Chiese per sé solamente una stanzetta, dove creare un proprio spazio spirituale: questo diventerà per lei (diventata nel frattempo religiosa domenicana o mantellata), la sua “cella della mente”, il luogo dell’ascesi e del dialogo con Dio, del raccoglimento e delle esperienze mistiche.

Questo “spazio vitale” diventerà l’anticamera del paradiso dove poteva pregare e meditare, ed un cenacolo. Qui infatti Caterina attirerà donne e uomini, religiosi e laici, artisti e dotti “sociae et socii”, anzi “figli e figlie”, persone spesso più istruite di lei. Una piccola comunità insomma. Tutti affascinati dalla sua personalità e amabilmente guidati nel loro cammino spirituale, legati da affetto, devozione e ammirazione per lei che chiamavano “mamma”. Verranno chiamati i “Caterinati”.
 Caterina impara faticosamente a leggere e scrivere. Tuttavia ella detterà le sue lettere e i suoi messaggi: a papi e a re, a semplici fedeli sprovveduti culturalmente e a dotti cardinali, a cittadini e a generali, a casalinghe e a regine. Fino ai carcerati di Siena, che da lei sentono solo parole di gioia e di incoraggiamento materno.

Caterina è espressione viva e creativa di quella società urbana del Trecento, che diventò protagonista del rinnovamento religioso della chiesa del tempo, attuato attorno a valori come la povertà, la penitenza, la carità e le opere di assistenza. Tutto vivificato dallo sforzo di conformarsi al Vangelo. Caterina fu anche esponente di quella religiosità femminile caratterizzata da carità impegnata, e da esperienze mistiche.
“Darò il mondo a donne non dotte e fragili, ma dotate da Me di forza e sapienza”
Una di queste sembra essere stata fondamentale per il futuro impegno “sociale” della santa senese e per il coraggio dimostrato nella sua vita “pubblica”. È un curioso dialogo tra Cristo e Caterina, narrato dal suo biografo e confessore Raimondo da Capua. Caterina: “Il sesso, o Signore, vi ripugna per molte ragioni. Alle donne non spetta di ammaestrare gli altri, sia perché il loro sesso è spregevole, sia perché non conviene a un tal sesso conversare con l’altro”.
E Cristo le risponde: “Non sono io che ho creato il genere umano e ho formato l’uno e l’altro sesso? Non c’è presso di me uomo o donna, popolano o nobile, ma tutte le cose davanti a me sono uguali. Darò dunque il mondo a donne non dotte e fragili, ma dotate da me di forza e di sapienza divina, per confusione della temerarietà degli uomini maschi”. Sono interessanti le parole di Cristo che correggono “cristianizzandola” la mentalità anti femminile del tempo e quindi anche della santa, figlia del suo tempo.
Caterina è stata una di queste donne, forte della forza divina, sapiente della sapienza di Dio. Questa forza la dimostrò nella sua “vita pubblica”: nell’adoperarsi per portare la pace nelle contrade di Siena, nel suo impegno a curare gli ammalati di peste, nell’impegnarsi a sollecitare la crociata presso re e principi. Nel 1376 diventò ambasciatrice della città di Firenze presso il papa Gregorio XI ad Avignone. Missione in cui ella doveva perorare la causa della crociata e la ribellione della città, il ritorno del pontefice a Roma, la pacificazione dell’Italia.
Ma anche ai santi non va tutto bene. A Caterina non riuscì la mediazione per Firenze. Anzi lei stessa fu sottoposta da alcuni teologi a vari “test” per “verificare” le sue convinzioni teologiche e le presunte esperienze mistiche. Forza che dimostrò durante il tumulto dei Ciompi a Firenze, nel 1378. Qualcuno cercò perfino di ucciderla. Era in compagnia di amici, e davanti al killer, che la cercava, lei gridò con forza: “Caterina sono io! Uccidi me e lascia in pace loro”. E gli porse il collo. Il “poveretto” fuggì via sconfitto ed umiliato.

Nel 1378 Caterina si trasferì a Roma. Fu ricevuta volentieri da Urbano VI. Su di lui ebbe un certo influsso per avviare la riforma della chiesa. I biografi e critici dicono che in complesso la sua attività “politica” non ebbe grande successo.
 Caterina parla ancora oggi a noi attraverso gli scritti. Il principale è il Dialogo della Divina Provvidenza, chiamato da lei il Libro. È strutturata come un lungo colloquio tra lei e Dio, nella quale figurano quattro principali “petizioni”: per se stessa, per la riforma della chiesa, per il mondo, per l’intervento della Divina Provvidenza.

L’interesse teologico di Caterina ruota attorno alla ricerca dell’Unione con Dio da conseguire con la carità apostolica. Il suo è un linguaggio semplice, ricco di immagini. Eccone alcune: Dio è l’albero, che affonda le radici nella terra, ma guarda e tende verso il cielo. Cristo è integrazione dell’albero: la sua Incarnazione è come l’innesto di Dio sull’albero di morte dell’uomo. Cristo è il ponte, che traghetta l’uomo oltre il fiume del peccato. La Chiesa infine è la “bottega” costruita sul ponte per dare ristoro al viandante affaticato. Caterina aveva anche una grande devozione alla Madonna. La chiamava “Maria dolce”. Parlando di Lei usava le immagini: Maria è il “campo”, è “il libro”, è la “farina” di cui è impastato Gesù, il Pane Vivo disceso dal cielo.

Profondo fu il suo rapporto con Cristo (le “nozze mistiche”) che la confortò con frequenti visioni. Morì a soli 33 anni consumata da questo amore a Cristo (lo chiamava “dolce Gesù”) e dalla penitenza.
 Una grande donna e una grande santa con un messaggio valido ancora oggi.
                                                                                       MARIO SCUDU sdb 


 
 
Preghiera a Santa Caterina da Siena per l'Italia
O sposa del Cristo, fiore della patria nostra.
Angelo della Chiesa sii benedetta.
Tu amasti le anime redente dal Divino tuo Sposo: come Lui spargesti lacrime
sulla Patria diletta; per la Chiesa e per il Papa consumasti la fiamma di tua vita.
Quando la peste mieteva vittime ed infuriava la discordia, 
passavi Angelo buono di Carità e di pace.
Contro il disordine morale, che ovunque regnava, chiamasti virilmente a raccolta la buona volontà di tutti i fedeli.
Morente tu invocasti sopra le anime, sopra l'Italia e l'Europa, sopra la Chiesa
il Sangue prezioso dell'Agnello.
O Caterina Santa, dolce sorella patrona Nostra, vinci l'errore, custodisci la fede, infiamma, raduna le anime intorno al Pastore.
La Patria nostra, benedetta da Dio, eletta da Cristo, sia per la tua intercessione vera immagine della Celeste nella carità nella prosperità, nella pace.
Per te la Chiesa si estenda quanto il Salvatore ha desiderato, per te il Pontefice sia amato e cercato come il Padre il consigliere di tutti.
E le anime nostre siano per te illuminate, fedeli al dovere verso L'Italia, l'Europa e verso la Chiesa, tese sempre verso il cielo, ne Regno di Dio dove il Padre, il Verbo il Divino amore irradiano sopra ogni spirito eterna luce, perfetta letizia.

Così sia




Decorazione dell'abside dell'oratorio di Germigny-des-Prés, 
Arca della Alleanza protetta dai due cherubini


Non si può esporre lo Spirito di Dio come una merce.
Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere.
Vedere e venire, vedere e dimorare 
vanno di pari passo e sono inscindibili.
Lo Spirito dimora nella parola di Gesù
e non si ottiene la parola mediante discorsi,
bensì mediante la costanza, mediante la vita.


Card. Joseph Ratzinger, Dio e il mondo




Dal Vangelo secondo Giovanni 14,21-26


Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


IL COMMENTO


Abbiamo bisogno di un Consolatore. Qualcuno che, dinanzi alle difficoltà, ai dubbi, alle angosce, ci sussurri che Dio ci ama, che non si è dimenticato di noi. Non possiamo fare a meno di Qualcuno che ci ricordi le parole del Signore, che le sigilli e le custodisca in noi. Qualcuno che ci dia forza e audacia, per osservare, custodire, compiere. Qualcuno che ci unisca al Signore. "Lo Spirito Santo è proprio “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono" (Benedetto XVI, Il Dio di Gesù Cristo). E' Lui il Consolatore che ci pone nell'intimità di Dio. Per questo il compimento del Mistero Pasquale del Signore è l'effusione dello Spirito Santo, il dono che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina, ci fa familiari di Dio.


Queste non sono solo affermazioni di un libro di teologia, sono la nostra vita. Il dimorare in Dio, il rimanere nell'amore di Gesù non sono esperienze relegate a momenti particolari, a certi stati d'animo; non sono solo prerogative della preghiera o dei ritiri spirituali. La comunione con Dio non è questione di sentimenti. E' osservare la Sua Parola, un modo per dire che l'intimità che ci fa uno con Gesù nel Padre si realizza molto concretamente nel compiere la Sua Parola nella vita di ogni giorno. Vivere come Lui, rimanere in Lui perchè sia Lui ad operare in noi, è il segno visibile della nostra appartenenza, dell'essere trasformati in Lui.


Osservare i comandamenti, secondo l'originale greco, è un custodire dinamico, lo stesso di Maria che custodisce e mette insieme tutti gli eventi della sua storia straordinaria, meditandoli nel suo cuore. E' un custodire per far crescere, nella fecondità che suppone un processo di maturazione. E' la custodia del catecumeno, di chi ascolta i comandamenti e li riceve come i talenti della parabola, e li traffica, perchè fruttifichino. Ogni comandamento illumina e dà pienezza a ciascun aspetto della vita, per cui in ogni momento possiamo rimanere in Cristo, custodendo la sua opera in noi. Come fu in quel pomeriggio per Giovanni e Andrea che andarono e videro dove Gesù abitava rimanendo presso di Lui, è possibile anche per noi andare da Lui negli eventi concreti, alle quattro del pomeriggio, come alle sette della mattina o alle nove della sera, per vedere la sua dimora nella nostra storia e rimanere presso di Lui. Uscendo con la fidanzata, con il testo di algebra o di anatomia dinanzi agli occhi, cambiando pannolini o passando l'aspirapolvere, al mercato o sulla metropolitana, in una riunione di marketing o imbottigliati nel traffico dell'ora di punta, ogni luogo è quello giusto per dimorare in Cristo. Ascoltare e custodire in ogni istante, per vedere crescere in noi il frutto squisito dell'intimità con Lui, il dono totale del suo amore che suscita il dono di noi stessi, la gioia piena che nessuno potrà mai toglierci.


E' pur vero che noi sperimentiamo giorno per giorno l'impossibilità di compiere la Parola, di permanere nella volontà di Dio. Conosciamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore, uno che che ci ripeta "Coraggio, non temere, tu sei Figlio, Dio ti ama e compirà in te la Sua opera". Abbiamo bisogno della vita di Dio, del Suo respiro di vita in noi, del soffio che ci ricrei istante per istante, che compia in noi la Parola che ci fa veri, autentici, vivi. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo, più dell'aria che respiriamo. E' Lui l'amore di Dio che plana nei nostri cuori, ed è lo stesso amore con il quale possiamo amare Dio e il Suo Figlio e così dimorare in Loro ed Essi in noi.


Nell'Antico Testamento “Dimora” (in ebraico “mishkan”) è il termine con cui è indicato il “santuario”. Il nome sottolinea la decisione di Dio di “abitare” in mezzo al suo popolo. Dimora è stato tradotto nella versione latina della “Vulgata” di S. Girolamo con il termine “tabernaculum” (= “tenda”), da cui deriva il termine italiano più corrente di “tabernacolo”. Esso si presenta come una struttura mobile in legno, tutta rivestita d'oro, ricoperta di teli di lino pregiato: il bisso o “lino fine” che nell’Apocalisse è il tessuto con cui è rivestita la Chiesa, sposa dell’Agnello (19,8) e di “porpora”, che nell’antichità era il colore dei vestiti indossati dai principi e dagli alti personaggi, la stessa che rivestirà Cristo durante il processo che lo condurrà alla Croce. Si tratta della tenda che ospiterà l’arca nel deserto, abbozzo al Tempio che Salomone erigerà a Gerusalemme: l'origine dell'architettura come quella del culto risale all'incontro decisivo del Sinai, laddove il Popolo ha visto Dio e non è morto, e ha ricevuto come un dono, il più grande, l'Alleanza eterna con Lui. Dopo un lungo cammino iniziato con Abramo, Dio scende sul Sinai a consegnare le Tavole dell'Alleanza, la Berit, che diviene come il sigillo nuziale di un'appartenenza e un'intimità esclusive. E' l'iniziativa di Dio a far sorgere nel Popolo il desiderio e la volontà di osservare ciascuna delle Dieci Parole che costituiscono il cuore dell'Alleanza; all'origine dell'ascolto obbediente vi è l'amore gratuito di Dio. L'agire morale dell'uomo scaturisce dall'Alleanza come da una sorgente inesauribile di libertà: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es. 20,2; Deut. 5,6). 


Per questo nel cuore della Dimora vi era l'Arca dell'Alleanza nella quale erano collocate le due tavole dove vi erano incisi comandamenti; esse erano chiamate “la Testimonianza” (‘edut), che indicava, secondo la cultura orientale, le clausole di un trattato imposto da un sovrano al suo vassallo. L’arca – chiamata “aron” = “cassa”, o anche “aron ‘edut” = “arca della testimonianza” - era una piccola cassa rettangolare di circa 1,25 metri di lunghezza e 75 cm. di altezza e larghezza. Essa era separata dal resto della Dimora da un “velo”, “paroket”, di porpora e di bisso. Il luogo dove si trovava l'Arca col suo “propiziatorio” (kapporet), la lastra d’oro sulla quale incombevano i cherubini, era chiamato il Santo dei Santi e vi poteva accedere soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno, in occasione della festa dell’Espiazione di Yom Kippur. Al di qua del velo erano posti la “tavola della presentazione” coi pani e il candelabro. Questi elementi ci aiutano a comprendere le parole di Gesù. E' Lui il nuovo Mosè che ci trasmette con autorità le Parole del Padre. E' Lui che ha inaugurato per noi una nuova via all'intimità con Dio; è Lui che ha posto la Dimora di Dio tra gli uomini, annunciando e compiendo le Parole dell'Alleanza sino all'ultimo yota. Con la sua morte ha squarciato il velo che impediva l'accesso alla santità di Dio, e il suo sangue asperso una volta per tutte sul propiziatorio della Croce ci ha ottenuto il perdono, la riconciliazione e la libertà di dimorare in Dio. E' il suo Sangue che ha sancito la nuova ed eterna Alleanza, nella quale possiamo attingere forza e vigore per ogni alleanza della nostra vita: tra gli sposi, con i colleghi e gli amici, con i fidanzati e i parenti. Sino ai nemici. La sua carne offerta in riscatto per ciascuno di noi è la chiave che apre le porte della Dimora, uniti a Lui possiamo vivere ogni istante nell'intimità divina.


"Poi Mosé prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò" (Lv. 8,10). Il Signore parlò a Mosé: "Procurati balsami pregiati, mirra vergine … e un hin di olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, la tavola e tutti i suoi accessori, il candelabro con i suoi accessori; l’altare del profumo, l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori… Consacrerai queste cose, le quali diventeranno santissime: quando le toccherà sarà santo" (Es. 30,22-29). L'olio dello Spirito Santo che un tempo ha consacrato la Dimora e l'Arca dell'Alleanza ha poi unto Gesù per accompagnarlo nel compimento della sua missione. Lo stesso Spirito Santo unge oggi ciascuno di noi, pervade come un profumo soave ogni aspetto della nostra vita come lo fu per ogni angolo della Dimora, consacrandoci a Dio, nell'appartenenza incorruttibile sigillata nella sua Alleanza. Come Davide quando ha introdotto la dimora a Gerusalemme, possiamo anche noi danzare ad ogni passo, nella consapevolezza di essere testimoni di un amore infinito, custodi dell'Arca e del suo prezioso contenuto. La Dimora di Dio è la nostra dimora, perchè la sua Vita è ormai la nostra vita.Nulla ci può più turbare, lo Spirito Santo ci ha fatti figli, e, come Israele, ovunque ed in ogni circostanza l'Arca dell'Alleanza ci farà più che vincitori nelle tentazioni e nei combattimenti di ogni giorno. Portiamo infatti ovunque in noi il morire di Cristo, nella sessualità, nelle parole, nei pensieri, nel lavoro, nell'amicizia, nella relazione con i genitori e nell'educazione dei figli, nella malattia e nella precarietà, in ogni nostro atto, perchè appaia in noi anche lo splendore della sua Resurrezione, la bellezza del Santo dei Santi. 


Per questo il Signore si manifesta ai discepoli e non al mondo, come già fu con Israele, eletto per testimoniare ad ogni generazione l'esistenza e la presenza di Dio con gli uomini. In Cristo, Dimora incarnata di Dio, i cristiani, unti (cristi) dello dello stesso Spirito, testimoniano nella propria vita, portando in sé l'Arca dell'Alleanza, l'amore infinito di Dio per tutti gli uomini, speranza e segno tangibile della sua dimora tra di loro. Sulla nostra vita vigilano i cherubini, come dinanzi alla tomba vuota del Signore, a segnare il cammino di ritorno al Paradiso già da loro sbarrato, la dimora eterna preparata da Dio in Cristo suo Figlio. E' lo Spirito Santo che rende attuale in ogni nostro giorno l'esperienza unica del Sinai, nel dono rinnovato dell'Alleanza e nel potere di ascoltare e compiere ogni comandamento.


Lo Spirito Santo è Colui che ci fa uno con Dio, che ci trasporta, per così dire, nella profondità divina per colmarci della Sua natura. Non si tratta così di sforzarci, di impegnarci, di buona volontà. Non basta. L'agape è dono che viene dal Cielo. Amare Gesù è soprattutto quella rettitudine di intenzione che si coniuga nel desiderio di Lui, nel custodire trepidanti le sue Parole di vita, come si custodisce gelosamente la cosa più cara. Amarlo perchè prenda dimora insieme con il Padre è gemere attraverso lo Spirito Santo implorando di compiere in noi quanto non siamo capaci, perchè senza di Lui non possiamo fare nulla, non siamo casti, sinceri, generosi, pazienti, mansueti, rispettosi. Senza di Lui non sappiamo amare, e così amarlo è soprattutto un desiderio ardente di poter finalmente amare. Questo dono oggi è pronto per noi, come ogni giorno. In esso è custodita la memoria della vita di Cristo e delle sue Parole, come nell'Arca era custodita l'Alleanza che faceva dimorare Dio in mezzo al Popolo; per lo Spirito Santo che ha unto la Dimora e il Signore Gesù, possiamo ricordare, credere, sperare, amare. E' il Consolatore che il Padre ci dona perchè ci ama e ci ha legati a sé, eternamente. Perchè "solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere" (Benedetto XVI, idem).




San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa Omelie 30, 1-10



« Lo Spirito v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto »

Sarà lo Spirito ad insegnarvi ogni cosa. Infatti vana è la parola di coloro che insegnano, se il cuore di coloro che ascoltano non viene toccato dallo Spirito. Nessuno dunque attribuisca ad un maestro umano l'intelligenza che egli ha del suo insegnamento. Se il Maestro interiore non c'è, la lingua del maestro esteriore parla al muro. Tutti voi udite la mia voce nello stesso modo ; eppure non comprendete nello stesso modo quello che udite. La parola del predicatore è inutile se essa non è capace di accendere nei cuori il fuoco dell'amore. Avevano ricevuto quel Fuoco, per bocca della Verità, coloro che dicevano : « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture ? » (Lc 24, 32). Quando si ode una omelia, il cuore si scalda, e lo spirito comincia a desiderare i beni del Regno dei cieli. L'amore autentico che lo riempie gli strappa lacrime, ma questo ardore lo riempie pure di gioia. Quanto allora siamo felici di udire questo insegnamento che viene dall'alto e diviene in noi come una fiaccola che brucia, ispirandoci parole di fuoco ! Lo Spirito Santo è il grande artefice di queste trasformazioni in noi.





Cardinale Joseph Ratzinger [Papa Benedetto XVI]

Der Gott Jesu Christi (Il Dio di Gesù Cristo)




« Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»



A differenza delle parole “Padre” e “Figlio”, il nome dello Spirito Santo, la terza persona divina, non è l’espressione di una specificità; esso designa invece ciò che è comune a Dio. Ora proprio in questo consiste ciò che è “proprio” alla terza persona: Lei è “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono. Tali affermazioni non potranno mai essere altro che dei modi di avvicinarci; non possiamo riconoscere lo Spirito se non nei suoi effetti. Pertanto la Scrittura non descrive mai lo Spirito Santo in sé; parla soltanto del modo in cui egli viene verso l’uomo e in cui si distingue dagli altri spiriti...



Giuda Taddeo chiede: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi a non al mondo?” la risposta di Gesù sembra passare accanto alla richiesta: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” In verità, questa è proprio la risposta esatta alla domanda del discepolo e alla nostra domanda riguardo allo Spirito. Non si può esporre lo Spirito di Dio come una merce. Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere. Vedere e venire, vedere e dimorare vanno di pari passo e sono inscindibili. Lo Spirito dimora nella parola di Gesù e non si ottiene la parola mediante discorsi, bensì mediante la costanza, mediante la vita.

domenica 28 aprile 2013

V^ DOMENICA DI PASQUA


Il messaggio del giorno

Più si approfondisce la nostra esperienza di fede, meglio capiamo che sempre e solo Gesù conta, tutto il resto ha senso solo se vissuto in lui: le relazioni, la famiglia, il lavoro, la comunità, l’apostolato, la preghiera... Cristo è il “centro” imprescindibile. Lasciamoci cercare e incontrare da lui.

Ravasi - V Domenica di Pasqua 28 aprile 2013



28 aprile 2013 V Domenica di Pasqua




Quelli della via >>> youtube

anno C
V DOMENICA DI PASQUA

Prima lettura: At 14, 21-27


Dagli Atti degli Apostoli.

In quel tempo, Paolo e Barnaba ritornarono a Listra, Icònio e Antiochia, rianimando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio. 

Costituirono quindi per loro in ogni comunità alcuni anziani e dopo avere pregato e digiunato li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. 

Attraversata poi la Pisidia, raggiunsero la Panfilia e dopo avere predicato la parola di Dio a Perge, scesero ad Attalìa; di qui fecero vela per Antiochia là dove erano stati affidati alla grazia del Signore per l'impresa che avevano compiuto. 

Non appena furono arrivati, riunirono la comunità e riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro e come aveva aperto ai pagani la porta della fede.


Salmo Responsoriale: Dal salmo 144


Benedirò il tuo nome per sempre, Signore.



Paziente e misericordioso è il Signore,

lento all'ira e ricco di grazia. 

Buono è il Signore verso tutti,

la sua tenerezza si espande su tutte le creature. 


Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli. 
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza. 

Manifestino agli uomini i tuoi prodigi
e la splendida gloria del tuo regno. 
Il tuo regno è regno di tutti i secoli,
il tuo dominio si estende ad ogni generazione.


Seconda lettura: Ap 21, 1-5


Dal libro dell'Apocalisse di san Giovanni apostolo.

Io, Giovanni, vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. 

Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 

Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» . 

E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»


Vangelo: Gv 13, 31-33. 34-35


Dal Vangelo secondo Giovanni


Quando Giuda fu uscito dal cenacolo, Gesù disse: «Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 

Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» .


Da Ti racconto la parola di Paolo Curtaz

Glorificazioni

Gesù ha appena detto ai suoi che uno di loro sta per consegnarlo.
È turbato, il Maestro. Ora che l’ora sta per compiersi sente nel suo cuore tutta la fatica del gesto immenso che sta per fare. Gli apostoli si guardano l’un l’altro, pensano che il traditore sia di fronte a loro. In realtà il traditore è dentro ciascuno di loro. Dentro ciascuno di noi....continua

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