Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 5 aprile 2013

«Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. »

Domenica in albis

Sabato in albis




Noi li conosciamo, sono tanti, e sono molto preziosi,
perché questo voler toccare, voler vedere,
tutto questo dice la serietà con cui si tratta la realtà,
la conoscenza della realtà.
E questi sono pronti,
se un giorno Gesù viene e si presenta loro,
se mostra le sue ferite, le sue mani, il suo costato,
allora sono pronti a dire: Mio Signore e mio Dio!


Giovanni Paolo II, 24 marzo 1994






Gv 20,19-31


La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.


IL COMMENTO


Una fede sperimentabile nella carne, ma che va oltre la carne, come quella imparata da San Paolo. E' questa la parola del vangelo di oggi: Gesù oltrepassa la porta sprangata delle paure e dei dubbi, il velo ostinato che copre occhi, mente e cuore, e impedisce di riconoscere, oltre le apparenze, nelle pieghe della carne e della storia, la sua presenza certa e amorevole. Dio è. Dio è oltre la morte, oltre il peccato, oltre la contingenza che ci atterrisce. Ma, per riconoscerlo, occorre un supplemento d'anima, uno sguardo diverso, una testimonianza piantata nel cuore. Occorre una rivelazione celeste, il soffio dello Spirito Santo a sigillare nel cuore ciò che appartiene ad una dimensione che va oltre la semplice umanità. Ecco quello che è mancato a Tommaso, ciò di cui, la sua povera carne piena di esigenza, aveva bisogno, come la nostra oggi. Abbiamo bisogno della fede adulta, che va al di là del sentimento, retta e incorruttibile.




Ma la fede si impara. Per questo Gesù non rimprovera Tommaso, ma lo invita a porsi in cammino, a diventare un "credente", ad imparare la fede adulta e autentica, su cui radicare la propria vita. I segni che Gesù ha mostrato agli altri apostoli una settimana prima, i sacramenti della sua risurrezione, sono ora davanti a Tommaso. Ma, soli, non bastano. E' necessario ricevere lo Spirito Santo, come lo era stato per i suoi fratelli, la Rivelazione del Padre che ha fatto beato Pietro, quel supplemento d'anima che libera lo sguardo oltre le ferite nella carne e induce ad oltrepassare le porte della sola ragione, spesso esigente di prove e conferme. E' l'amore di Dio, l'amore di Cristo sigillato dallo Spirito Santo, lo stesso che ha fatto conoscere Cristo a San Paolo non più secondo la carne, e lo ha colmato della speranza che non delude. E' lo Spirito Santo che, nel cammino della storia, condurrà san Tommaso, e ciascuno di noi, a riconoscere il nostro Signore e il nostro Dio, nelle nostre stesse piaghe, nelle ferite della nostra vita. La Croce gloriosa, la vita oltre la morte. E' questo il senso più profondo del Vangelo di oggi, della stessa figura di Tommaso, un gemello nel cui cuore risuona sempre l'eco della presenza del proprio fratello. Il suo nome infatti deriva dalla radice ebraica ta'am, che significa "appaiato, gemello": Tommaso appare come il gemello di Gesù, immagine di una relazione particolare, intima, esclusiva, quella di ogni uomo "creato in Cristo per camminare nelle opere buone che Dio ha predisposto per lui" (cfr. Ef. 2,10). Secondo la scienza quella tra gemelli è una comunicazione stretta, totale, che inizia a livello fetale, con reciproche sollecitazioni e risposte che proseguiranno per tutta la vita. Tommaso era legato a Gesù da un unico destino, un'affinità e un sentire comune che solo i gemelli possono sperimentare. La scomparsa di Gesù per lui era stata devastante, una parte di sé era scesa nel sepolcro con il suo Gemello. In questa prospettiva si comprende l'esigenza carnale di Tommaso, quella condizione posta per poter credere. Doveva toccare le ferite, non solo per incredulità, ma anche e soprattutto per affinità, doveva avere la certezza che colui che gli altri apostoli avevano visto fosse proprio il suo Gemello. Tommaso non aveva altra via che toccare la prova inequivocabile dell'identità di Gesù, le ferite del suo amore. I due infatti erano gemelli in quell'amore infinito, unico, irripetibile, inconfondibile. In quelle ferite erano l'uno immagine dell'altro, il dolore dell'uno era stato il dolore dell'altro; Tommaso non poteva riposare, era alla ricerca del suo Gemello, e la notizia che non fosse più nella tomba lo aveva sconvolto. Il rapporto unico che li legava gli faceva risuonare dentro il mistero di quanto accaduto, ma aveva la necessità di riannodare la sua esistenza a quella del suo Gemello. Quella condizione posta sulla soglia della fede costituiva il grido estremo dell'amore che, attraverso la carne, giungeva al cuore; Tommaso non aveva paura di essere attratto nel mistero della Vita nuova che aveva coinvolto Gesù, voleva solo riunirsi a quella carne nella quale era stato creato, riunire quello che la morte aveva separato.


Tommaso è una Parola meravigliosa per tutti noi; il suo cammino approda alla più bella professione di fede - Mio Signore e mio Dio! -Riconoscendo il suo Gemello, Tommaso apre gli occhi sulla identità divina di Gesù; in essa scoprirà anche la sua propria identità, gemello di Dio, figlio nel Figlio! La carne ha spalancato a Tommaso la via del Cielo; per questo Gesù gli dice: “E non diventare incredulo, ma diventa credente”: "Quando Gesù sottopone le sue ferite alla “prova empirica” richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: “E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente”. Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredulo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI, come molte altre, traduce invece: “E non essere incredulo, ma credente”. Ora, nel testo originale, il verbo “diventare” suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare “credente”. Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. E’ un totale rovesciamento. Tommaso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Se al diventare si sostituisce l’essere, sembra quasi che a Tommaso sia richiesta una fede preliminare, che sola gli permetterebbe di “vedere” Gesù e accostarsi alle sue piaghe. Come vuole l’idealismo per cui è la fede a creare la realtà da credere" (Ignace de La Potterie).


I segni delle ferite sono quelli offerti da Gesù anche ai discepoli una settimana prima; senza i segni del suo amore non si può credere, sarebbe un salto nel vuoto che non ha nulla a che vedere con la fede cristiana. La Chiesa, infatti, esiste proprio per essere segno e sacramento universale di salvezza. Tommaso, nell'impulso tutto carnale del gemello cui è stato sottratto il fratello, e che ha sperimentato l'amputazione di una parte fondamentale di se stesso, ha esigito di vedere e toccare quei segni che la memoria del cuore teneva vivi come unica prova per credere. La beatitudine che annuncia Gesù si riferisce a coloro i quali credono pur non avendo la possibilità di vedere il Cristo storico della carne, ma si appoggiano e si abbandonano fiduciosi ai segni del suo amore disseminati nella storia, annunciati e mostrati dalla Chiesa.


Tommaso era legato alla carne, la sua relazione con Gesù era ancora al di qua della soglia della vita immortale, era esclusiva, e per questo incapace di vivere la comunione di fede della comunità; la settimana prima infatti non era nella sala con i suoi fratelli; l'amore carnale, come tante volte accade tra fidanzati e amici, ma anche nelle nostre comunità, tende ad escludere chi non fa parte del "cerchio magico" degli affetti più appassionati; questa chiusura della carne sui sentimenti passionali ed esclusivi, anche su interessi che divengono assoluti e idolatrati, o sui propri criteri e ideali, chiude gli occhi alla fede, e rende incapaci di aprirsi alla novità di Cristo, all'amore che unisce nella stessa carne redenta i discepoli del Risorto. Ma Gesù si piega alle esigenze della carne, con un amore che sconvolge; Gesù risorto continua ogni giorno, come quella sera nel Cenacolo, ad aspettare le settimane delle nostre passioni, con la pazienza misericordiosa di chi sa aspettare che le delusioni scavino in noi e ci rendano urgentemente bisognosi di riposo e certezze che superino la carne. Gesù scende ancora laddove la carne ci schiaccia, e ci cerca, come ha cercato Tommaso, proprio laddove, esausto, aveva esaurito ogni sua ricerca; Gesù scende per incontrarci laddove la carne fallisce e, solo, può aprirsi alla novità assoluta della trascendenza: Gesù scende per portarci il Cielo sulla terra dove siamo caduti, gemelli inconsolabili e affamati d'amore, chiusi nell'egoismo di ogni rapporto che cerca la realizzazione e l'appagamento di se stesso in tutto e in tutti, per liberarci dalle catene della carne e fare di essa il veicolo per amare e aprirsi agli altri, gratuitamente e senza preferenze. Come gli altri apostoli, Tommaso doveva ricevere il dono celeste dello Spirito Santo che lo introducesse in quella dinamica nuova della comunione, della fede ecclesiale che unisce indissolubilmente tutti i gemelli celesti del Signore risorto. Nel Vangelo è rivelata la grande notizia di una fede più grande dei nostri peccati, dei limiti affettivi e razionali della carne: "non guardare ai nostri peccati ma alla fede della tua Chiesa". Tommaso, amato e attirato nelle pieghe del suo gemello, ha visto e toccato in esse le sue stesse piaghe luminose, gloriose, trasfigurate. In Gesù risorto ha visto la sua vita risuscitata, e ha potuto entrare nella comunione della Chiesa, la sua ricerca aveva incontrato il suo gemello. Ora aveva intrapreso il cammino del credente, quello nella notte oscura dei santi, senza consolazioni, senza prove carnali, con la sola certezza sigillata istante dopo istante, quella della fede, di un amore che mai ci abbandona, mai.





APPROFONDIRE

Seconda Domenica di Pasqua. Sotto lo sguardo della Divina Misericordia
Domenica della Divina Misericordia. Diario di suor Faustina Kowalska e altro materiale on-line



CONCORDANZE

Concordanze di Gv. 20, 19-31

CATECHISMO

Catechismo della Chiesa Cattolica sulla Resurrezione di Cristo


COMMENTI



RATZINGER - BENEDETTO XVI. San Tommaso
TOMMASO FEDERICI COMMENTO AL VANGELO DELLA II DOMENICA DI PASQUA ANNO C
S. Fausti. Commento esegetico al Vangelo della II domenica di Pasqua, Anno C
RATZINGER - BENEDETTO XVI. Domenica in Albis: Gesù è un Dio ferito dall’amore verso di noi

RATZINGER - BENEDETTO XVI. Domenica in Albis: la pace del Cielo

Il Papa al Regina Caeli: Cristo risorto ci dona la pace, frutto del suo amore
Omelie di Giovanni Paolo II, nelle Domeniche in Albis

Ravasi. Tommaso: l'incredulo che diventò credente
Madre Teresa di Calcutta. EDUCARCI ALLA FEDE
Card. Caffarra. Omelia su San Tommaso
Carlo Maria Martini, Partenza da Emmaus
Ignace de la Potterie. “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”


ESEGESI E SCRUTATIO DEL VANGELO

S. Fausti. Commento esegetico al Vangelo della II domenica di Pasqua, Anno C
IGNACE DE LA POTTERIE Gesù e Tommaso
Ignace de la Potterie. Gesù disse a Tommaso: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto hanno creduto”.
Vangelo della II domenica di Pasqua anno A. Piste esegetiche
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)



COMMENTI PATRISTICI
Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo
Dai Discorsi di san Pietro Crisologo
Basilio di Seleucia. Sii credente, e sii mio apostolo
Dal trattato "Sulla Trinità" di sant'Ilario di Poitiers
Da "La vita in Cristo" di Nicola Cabàsilas
II Domenica di Pasqua (o in Albis). Dai «Discorsi» di sant'Agostino




ARTE E LITURGIA
La risurrezione secondo Caravaggio
Leggere un quadro stupendo: l' INCREDULITA' DI TOMMASO DI CARAVAGGIO
Stupende immagini del dubbio di San Tommaso nell'arte



DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA

Seconda Domenica di Pasqua. Sotto lo sguardo della Divina Misericordia
Domenica della Divina Misericordia. Diario di suor Faustina Kowalska e altro materiale on-line



TEOLOGIA

J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia



MISTERO PASQUALE

Giovanni Paolo II:L’amore misericordioso di Dio si rivela pienamente e definitivamente nel Mistero pasquale.
Paolo VI. Il Mistero Pasquale
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
J. Ratzinger. La fede nella Risurrezione
J Jeremias La Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
La pasqua dei primi secoli
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"
Catechesi di Giovanni Paolo II sulla Resurrezione
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Ignace DE LA POTTERIE. Testi sulla Risurrezione di Gesù in Giovanni
La Pasqua dell''ebreo GesùI giorni della Pasqua
J Jeremias La Pasqua
Ratzinger - Benedetto XVI. Meditazione sulla La Pasqua
Tutti i passi della storia varcano il sepolcro vuoto
Meditazione di Don Divo Barsotti sulla Pasqua
Mons. Caffarra. Testi sulla Pasqua
J. Galot. Il sepolcro vuoto: Da piccoli indizi, lo stupore della fede
LA TOMBA VUOTA E LA SINDONE DI TORINO
Presenza di Maria nel mistero pasquale
tomba vuota e panni sepolcrali
Padre Raniero Cantalamessa. La storicità della risurrezione di Cristo
Sant''Agostino. "Fides christianorum resurrectio Christi est"Marc Chagall. Il mistero della Pasqua
A. Socci. Ipotesi su Gesù e la sua resurrezione.
Don Giussani: Cristo contro il nulla
Paul O’Callaghan. Resurrezione. Teologia
LE APPARIZIONI «UFFICIALI» DEL RISORTO AL GRUPPO APOSTOLICO (GV 20,19-31)















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Andiamo avanti con speranza!
Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa
come oceano vasto in cui avventurarsi,
contando sull'aiuto di Cristo.
Il Figlio di Dio,
che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell'uomo,
compie anche oggi la sua opera:
dobbiamo avere occhi penetranti per vederla,
e soprattutto un cuore grande 
per diventarne noi stessi strumenti.


Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte






Dal Vangelo secondo Marco 16,9-15.


Risuscitato al mattino nel primo giorno dopo il sabato, apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni. Questa andò ad annunziarlo ai suoi seguaci che erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo ed era stato visto da lei, non vollero credere. Dopo ciò, apparve a due di loro sotto altro aspetto, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch'essi ritornarono ad annunziarlo agli altri; ma neanche a loro vollero credere. Alla fine apparve agli undici, mentre stavano a mensa, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risuscitato. Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.


IL COMMENTO


L'alba di un nuovo giorno, l'aurora di una vita nuova. La nostra vita, come quella di Maria di Magdala, è, in fondo, una settimana di peccati, sette, e non ne manca nessuno. Sette demoni, la pienezza dei demoni, secondo il significato di questo numero nella Scrittura. Maria aveva sperimentato il tempo senza Cristo, la dura legge di schiavitù di chi è obbligato a servire un padrone che non lascia scampo, che si porta via la vita a brandelli. Sette demoni, sette vizi, peccati capitali. Aristotele li descriveva come "gli abiti del male": superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola, ira, accidia. Capo dei capi la superbia, l'idolatria dell'ego; la vita della Maddalena, come la vita di ciascuno di noi, era asservita al proprio ego, a soddisfare le proprie voglie. Dove anche l'amore non è altro che un sentimento catarifrangente, narcisistico. La sofferenza dell'uomo è tutta racchiusa in questa innaturale chiusura su se stessi, che macchia anche l'impulso più autentico di donarsi. Maria ha incontrato Cristo, e la sua vita è cambiata; Maria è stata liberata dalle catene dei demoni, era una creatura nuova, primizia e immagine di ogni uomo rinnovato dal potere del Signore.


Per questo è a lei che, per prima, Cristo appare risorto, come a sigillare quanto aveva compiuto in lei come una profezia. Aveva combattuto e aveva vinto; aveva distrutto il drago dalle sette teste, aveva inaugurato il cammino in una vita nuova, e Maria era la prima discepola ad incamminarsi in quella nuova settimana. Vi è infatti un giorno, il primo dopo il sabato, in cui tutto si fa nuovo, definitivamente nuovo, il giorno di Maria di Magdala, il giorno nel quale ha visto "surrexit Christus spes mea!, risorto Cristo mia speranza". La schiava aveva sperimentato la speranza che non delude, nel perdono e nella libertà. Ora era lei a correre e ad annunciare che la sua esperienza era ormai un dono accessibile a tutti, che la porta della libertà era spalancata per sempre: Cristo mia speranza è risorto, era tutto vero, era vero il perdono, era vero il suo amore, era vera questa vita liberata dai sette demoni. Era vera e autentica la speranza, ed era per tutti, per i suoi fratelli, per gli apostoli, per ogni uomo, per noi oggi: "Ecco perché la Maddalena chiama Gesù “mia speranza”: perché è stato Lui a farla rinascere, a donarle un futuro nuovo, un’esistenza buona, libera dal male. “Cristo mia speranza” significa che ogni mio desiderio di bene trova in Lui una possibilità reale: con Lui posso sperare che la mia vita sia buona e sia piena, eterna, perché è Dio stesso che si è fatto vicino fino ad entrare nella nostra umanità" (Benedetto XVI, Messaggio di Pasqua 2012).


Ma nella società di duemila anni fa, una donna non aveva alcuna autorità, la sua testimonianza non possedeva valore. Ma, soprattutto, il cuore degli Undici, per il lutto ed il pianto, era indurito, non poteva ascoltare la voce dell'Amato nelle parole appassionate di Maria. Gli undici avevano smesso di sperare, erano ancora sopraffatti dalla superbia che, in un subdolo e malefico narcisismo negativo, gli ributtava in faccia la loro debolezza, il loro tradimento. E' la nostra esperienza, quel perverso gioco del demonio che ci inganna e seduce spingendoci a toccare e mangiare dell'albero, che accende la superbia per farci schiavi dei sette demoni; e poi ci lascia nudi, pieni di vergogna inducendoci a disprezzarci, facendo proprio del disprezzo di se stessi la carezza avvelenata dell'egoismo più feroce, la stoccata che ci uccide. Ci ritroviamo improvvisamente soli con le nostre debolezze, con i nostri peccati, e ci chiudiamo in una prigione dalla quale è sottratta la speranza. Non cambierò mai, sono debole e incapace, sono solo un uomo, non posso credere a qualcosa che mi faccia superare i miei limiti. E' la durezza di cuore, di un cuore che non ha conosciuto l'amore inginocchiato, umiliato, crocifisso; la durezza di chi ha perduto la speranza di fronte a tanto male, dentro e fuori di sé: la speranza infatti, "in questo mondo, non può non fare i conti con la durezza del male. Non è soltanto il muro della morte a ostacolarla, ma più ancora sono le punte acuminate dell’invidia e dell’orgoglio, della menzogna e della violenza. Gesù è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita. C’è stato un momento in cui Gesù appariva sconfitto: le tenebre avevano invaso la terra, il silenzio di Dio era totale, la speranza una parola che sembrava ormai vana" (Benedetto XVI, Messaggio di Pasqua 2012). La durezza del cuore dei discepoli è quella del dolore sedimentato, delle speranze infrante perchè troppo umane, quelle che reclamano la scomparsa del male, la palingenesi di ogni ideologia utopica; la durezza stratificata sul cuore di chi non ha ancora conosciuto la misericordia che non elimina il male ma lo assume sino a farsene divorare per redimere il malvagio. Un cuore così non può credere all'annuncio sconvolgente di Maria: ella rappresenta agli occhi della carne, un passato ancora irredento, una speranza infranta, la peccatrice perdonata ma non salvata, una ferita rimarginata ma il morbo maligno ancora vivo, proprio perchè Colui che l'aveva perdonata giaceva morto in una tomba e con Lui la salvezza e il riscatto definitivi; Maria era stata troppo peccatrice, aveva cambiato vita sì, me era pur sempre lei, come lo continuiamo ad essere noi, era necessario un "troppo" amore, ma era svanito ingoiato da un sepolcro. E' morto il Maestro, è morta con Lui anche la misericordia, e l'annuncio di Maria non è altro che un vaneggiamento di chi non sa rassegnarsi all'evidenza, la passione di una donna infatuata.


Quante volte ci ritroviamo in questa situazione, incapaci di credere a quanti ci annunciano che Cristo, unica nostra speranza, è risorto, che i peccati sono perdonati, che quella situazione che ci ha fatto piombare in un lutto pieno di lacrime, è redenta nel sangue di Cristo! Ostinati nel pensare che il matrimonio continuerà così, che quel figlio si perderà sempre più, che non saprò mai amare davvero, che continuerò ad offrire tutto a me stesso in un egoismo insaziabile. I sette demoni sono più forti, lo sono stati sino ad oggi... Ma oggi è un nuovo giorno, oggi il Signore appare a ciascuno di noi e illumina il nostro cuore indurito, e lo scioglie nel suo amore. Oggi per noi è il giorno del perdono, l'inizio di una nuova settimana, di una vita assolutamente nuova. Ed una vita immersa nella misericordia è un annuncio, come la vita di Maria. E, come lei, nche gli Undici sono inviati a proclamare la Buona Notizia ad ogni cuore indurito, in lutto e in pianto; la nostra vita, come la loro, come quella di Maria, trasformata nella fornace dell'amore di Cristo è un Vangelo vivente; è Cristo stesso che appare, vivo, ad ogni uomo. Lo è naturalmente, in forza del suo amore, dell'evidenza della sua risurrezione, speranza incarnata nelle nostre vite risorte, primizia del Cielo. Laddove appare l'amore, appare Cristo risorto; e dove appare Cristo risorto si fa visibile, e afferrabile, la speranza: "Ed ecco, all’alba del giorno dopo il sabato, il sepolcro viene trovato vuoto. Poi Gesù si mostra alla Maddalena, alle altre donne, ai discepoli. La fede rinasce più viva e più forte che mai, ormai invincibile, perché fondata su un’esperienza decisiva: «Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto, / ma ora, vivo, trionfa». I segni della risurrezione attestano la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della misericordia sulla vendetta: «La tomba del Cristo vivente, / la gloria del Cristo risorto, / e gli angeli suoi testimoni, / il sudario e le sue vesti». Se Gesù è risorto, allora – e solo allora – è avvenuto qualcosa di veramente nuovo, che cambia la condizione dell’uomo e del mondo. Allora Lui, Gesù, è qualcuno di cui ci possiamo fidare in modo assoluto, e non soltanto confidare nel suo messaggio, ma proprio in Lui, perché il Risorto non appartiene al passato, ma è presente oggi, vivo" (Benedetto XVI, Messaggio di Pasqua 2012). 




Giovanni Paolo II 
Novo millennio ineunte, 29

« Il Signore Gesù fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con loro » (Mc 16,19-20)




Ripartire da Cristo : « Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo » (Mt 28, 20). Questa certezza, carissimi Fratelli e Sorelle, ha accompagnato la Chiesa per due millenni, ed è stata ora ravvivata nei nostri cuori dalla celebrazione del Giubileo. Da essa dobbiamo attingere un rinnovato slancio nella vita cristiana, facendone anzi la forza ispiratrice del nostro cammino. È nella consapevolezza di questa presenza tra noi del Risorto che ci poniamo oggi la domanda rivolta a Pietro a Gerusalemme, subito dopo il suo discorso di Pentecoste: « Che cosa dobbiamo fare? » (At 2, 37).


Ci interroghiamo con fiducioso ottimismo, pur senza sottovalutare i problemi. Non ci seduce certo la prospettiva ingenua che, di fronte alle grandi sfide del nostro tempo, possa esserci una formula magica. No, non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde : « Io sono con voi ! »


Non si tratta, allora, di inventare un « nuovo programma ». Il programma c'è già : è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla viva Tradizione. Esso si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare, imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste... È necessario tuttavia che esso si traduca in orientamenti pastorali adatti alle condizioni di ciascuna comunità... È nelle Chiese locali che si possono stabilire quei tratti programmatici concreti ... che consentono all'annuncio di Cristo di raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei valori evangelici nella società e nella cultura... È dunque un'entusiasmante opera di ripresa pastorale che ci attende. Un'opera che ci coinvolge tutti.




Giovanni Paolo II, papa dal 1978 al 2005
Lettera apostolica « Novo millennio ineunte », § 58

«Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura»




Duc il altum! «Prendi il largo!» (Lc 5,4) Andiamo avanti con speranza! Un nuovo millennio si apre davanti alla Chiesa come oceano vasto in cui avventurarsi, contando sull'aiuto di Cristo. Il Figlio di Dio, che si è incarnato duemila anni or sono per amore dell'uomo, compie anche oggi la sua opera: dobbiamo avere occhi penetranti per vederla, e soprattutto un cuore grande per diventarne noi stessi strumenti... « Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo » (Mt 28,19). Il mandato missionario ci introduce nel terzo millennio invitandoci allo stesso entusiasmo che fu proprio dei cristiani della prima ora: possiamo contare sulla forza dello stesso Spirito, che fu effuso a Pentecoste e ci spinge oggi a ripartire sorretti dalla speranza « che non delude » (Rm 5,5).


Il nostro passo, all'inizio di questo nuovo secolo, deve farsi più spedito nel ripercorrere le strade del mondo. Le vie sulle quali ciascuno di noi, e ciascuna delle nostre Chiese, cammina, sono tante, ma non v'è distanza tra coloro che sono stretti insieme dall'unica comunione, la comunione che ogni giorno si alimenta alla mensa del Pane eucaristico e della Parola di vita. Ogni domenica il Cristo risorto ci ridà come un appuntamento nel Cenacolo, dove la sera del «primo giorno dopo il sabato» (Gv 20,19) si presentò ai suoi per « alitare » su di loro il dono vivificante dello Spirito e iniziarli alla grande avventura dell'evangelizzazione.








Benedetto XVI. «Surrexit Christus, spes mea» – «Cristo, mia speranza, è risorto».
Messaggio di Pasqua, 8 aprile 2012


Giunga a tutti voi la voce esultante della Chiesa, con le parole che l’antico inno pone sulle labbra di Maria Maddalena, la prima ad incontrare Gesù risorto il mattino di Pasqua. Ella corse dagli altri discepoli e, col cuore in gola, annunciò loro: “Ho visto il Signore!” (Gv 20,18). Anche noi, che abbiamo attraversato il deserto della Quaresima e i giorni dolorosi della Passione, oggi diamo spazio al grido di vittoria: “E’ risorto! E’ veramente risorto!”.


Ogni cristiano rivive l’esperienza di Maria di Magdala. E’ un incontro che cambia la vita: l’incontro con un Uomo unico, che ci fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio, che ci libera dal male non in modo superficiale, momentaneo, ma ce ne libera radicalmente, ci guarisce del tutto e ci restituisce la nostra dignità. Ecco perché la Maddalena chiama Gesù “mia speranza”: perché è stato Lui a farla rinascere, a donarle un futuro nuovo, un’esistenza buona, libera dal male. “Cristo mia speranza” significa che ogni mio desiderio di bene trova in Lui una possibilità reale: con Lui posso sperare che la mia vita sia buona e sia piena, eterna, perché è Dio stesso che si è fatto vicino fino ad entrare nella nostra umanità.


Ma Maria di Magdala, come gli altri discepoli, ha dovuto vedere Gesù rifiutato dai capi del popolo, catturato, flagellato, condannato a morte e crocifisso. Dev’essere stato insopportabile vedere la Bontà in persona sottoposta alla cattiveria umana, la Verità derisa dalla menzogna, la Misericordia ingiuriata dalla vendetta. Con la morte di Gesù, sembrava fallire la speranza di quanti confidavano in Lui. Ma quella fede non venne mai meno del tutto: soprattutto nel cuore della Vergine Maria, la madre di Gesù, la fiammella è rimasta accesa in modo vivo anche nel buio della notte. La speranza, in questo mondo, non può non fare i conti con la durezza del male. Non è soltanto il muro della morte a ostacolarla, ma più ancora sono le punte acuminate dell’invidia e dell’orgoglio, della menzogna e della violenza. Gesù è passato attraverso questo intreccio mortale, per aprirci il passaggio verso il Regno della vita. C’è stato un momento in cui Gesù appariva sconfitto: le tenebre avevano invaso la terra, il silenzio di Dio era totale, la speranza una parola che sembrava ormai vana.


Ed ecco, all’alba del giorno dopo il sabato, il sepolcro viene trovato vuoto. Poi Gesù si mostra alla Maddalena, alle altre donne, ai discepoli. La fede rinasce più viva e più forte che mai, ormai invincibile, perché fondata su un’esperienza decisiva: «Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto, / ma ora, vivo, trionfa». I segni della risurrezione attestano la vittoria della vita sulla morte, dell’amore sull’odio, della misericordia sulla vendetta: «La tomba del Cristo vivente, / la gloria del Cristo risorto, / e gli angeli suoi testimoni, / il sudario e le sue vesti».


Cari fratelli e sorelle! Se Gesù è risorto, allora – e solo allora – è avvenuto qualcosa di veramente nuovo, che cambia la condizione dell’uomo e del mondo. Allora Lui, Gesù, è qualcuno di cui ci possiamo fidare in modo assoluto, e non soltanto confidare nel suo messaggio, ma proprio in Lui, perché il Risorto non appartiene al passato, ma è presente oggi, vivo.

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