Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 30 agosto 2014

XXII Domenica del Tempo Ordinario. Anno A

COMMENTO AL VANGELO DELLA XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO. ANNO A

http://vangelodelgiorno.blogspot.jp/2014/08/xxii-domenica-del-tempo-ordinario-anno-a.html

XXII Domenica del Tempo Ordinario. Anno A





L'ANNUNCIO

Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. 
Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». 
Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». 
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 
Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. 
Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? 
Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni. 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 16, 21-27)




Il Signore ci ha “sedotto” con il suo amore, e ci ha fatto una santa “violenza” pur di salvarci. Ma come, non eravamo liberi? Certo, ma cosa ne abbiamo fatto della libertà? Una porta spalancata alla menzogna del demonio.

E che violenza le sue bordate, ogni giorno. Batte sempre sullo stesso punto, quello dove la ferita è ancora fresca, nonostante siano passati venti, trenta, cinquant’anni. La morte di tuo padre, l’ingiustizia a scuola, tu ed io sappiamo che cosa ci brucia sino ad incendiarci al solo sfiorarlo.
Ecco, è proprio lì che il demonio viene ad attaccarci, ad innescare l’ira, l’insoddisfazione, l’angoscia: sotto la croce dove il Signore ci ha sedotto e abbracciato, al bordo di quei fatti che ci umiliano nei quali, come su un letto nuziale, Egli si è donato, e si dona per sposarci e unirci a Lui.
E infuria la battaglia, cruenta; e, come Geremia, non la sopportiamo. Vorremmo fuggire, dimenticare, sdraiarci e non pensarci più. Invece anche questa domenica il Signore viene a destarci annunciandoci “apertamente” la buona notizia della sua morte e risurrezione.
Ma satana è accovacciato accanto a noi come a Pietro, per graffiarci dove più ci fa male, e indurci all’incredulità e alla mormorazione. La Chiesa ci predica il Vangelo, e noi “prendiamo in disparte” Gesù per spiegargli come deve fare per compiere la sua missione.
Di sicuro non è andando a Gerusalemme. Se lì sono preparati il rifiuto, la persecuzione e la morte, beh allora non è proprio quello il posto dove potrà salvarci.
Capiamoci bene: io sto male, quasi muoio, e tu Signore che fai, vai a subire la mia stessa fine? Ti ringrazio per il nobile gesto di condivisione, ma non so che farmene.
Come Pietro, come gli apostoli, come tutti gli ebrei, io ho bisogno di un liberatore, di uno che combatta per me contro i Romani, contro le ingiustizie, che cambi le sorti della mia vita. Questo è per noi il cristianesimo.
Ma Gesù anche oggi “si volta” abbassandosi verso di  noi per dirci: “Lungi da me satana”.  E così ci insegna le parole con cui un cristiano lotta per difendere la “fede” donata dal  Padre che è nei Cieli, che la carne e il sangue non possono fabbricare.
“Lungi da me satana”, che vuoi rubarmi la primogenitura, la chiamata, la missione; mi sussurri che non dovrà accadere mai che mio marito si metta contro di me, che mia figlia disonori la famiglia, che perda il lavoro, che mi venga un cancro, che resti solo. Va dietro a me uomo vecchio, “tu mi sei di scandalo” sul cammino che conduce alla Gerusalemme della fede adulta e all’uomo nuovo.
Per questo Gesù è “violento” con noi come Dio con Geremia; ci insegna a non temere di tagliare e rinnegare, perché violento è stato ed è il demonio che vuole farci inciampare impedendoci di diventare figli di Dio.
“Il regno dei Cieli, infatti, è dei violenti”, di chi rinnega l’uomo della carne e si consegna a Cristo lasciando che arda il “fuoco” incontenibile dello zelo per il Vangelo, la cui scintilla è stata accesa con la chiamata.
Ma per diventare un discepolo autentico di Gesù, occorre abbandonare “la mentalità di questo secolo”, e “trasformarsi rinnovando la mente” e i suoi pensieri, “per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Un cristiano, infatti, ha discernimento, perché non “pensa più secondo gli uomini ma secondo Dio”.
Per questo lotta ogni giorno, offrendo se stesso in un “culto spirituale” che forse nessuno vedrà, ma “vivo, santo e gradito a Dio”. Il Signore ci chiama dunque a cambiare radicalmente mentalità, rinunciando in ogni circostanza a satana e ai “pensieri mondani”.
Un “pensiero secondo gli uomini”, infatti, è quello di chi non ha compreso il senso profondo della Croce, perché non l’ha vista gloriosa nella propria vita.
Ma è stolto, non vede oltre e dentro i fatti, la storia, le persone. Si ferma all’apparenza, e teme. Il demonio, infatti, ci nasconde la verità, presentandocene una sola parte, enfatizzata negativamente. Al punto che Pietro non si accorge di dire a Cristo che non gli deve non solo di essere perseguitato e ucciso, ma anche di risorgere!
Il demonio trucca sempre la bilancia, e fa pendere tutta l’esistenza dalla parte di tre giorni, così che esigiamo da Dio e dagli altri il risarcimento per l’immensa ingiustizia che subiamo.  Ma non è irragionevole pensare che tre giorni pesino più dell’eternità? E’ come se tre piume pesassero più di una tonnellata di ferro…
Eppure è quello che fa il demonio con noi. Perché il suo obiettivo è non farci andare a Gerusalemme e risorgere, essere salvati. Lo stesso che voleva fare con Gesù per vanificare il piano di Dio. Per questo non vogliamo e non possiamo entrare nei momenti decisivi in cui rinnegare se stessi per amore della moglie, del marito, del fratello, del nemico.
Anche per noi la Parola della Croce “resta oscura”, perché satana ha spento la luce della Pasqua, senza la quale tutto perde senso. E lo fa per bocca di Pietro... Spesso ci inganna attraverso le persone più care, le più religiose, forse un prete, ma nessuno di questi ha l’esperienza della Gloria che illumina la Croce.
E’ necessario allora un cammino di conversione serio come quello di Pietro. Deve portarci alla Passione, cioè allo scandalo della Croce e alla verità su noi stessi; ad essere in un certo qual senso spettatori come Pietro, che si addormenta, vorrebbe far guerra ma poi tradisce, che segue da lontano, che piange…
Dobbiamo vedere il Mistero Pasquale sottratti alle alienazioni, contemplarlo cioè dalla nostra debolezza conosciuta e accettata sino alle lacrime di pentimento, che anticipano e preparano le acque del battesimo.
Sperimentare che abbiamo tradito la chiamata, e scendere con Cristo nel sepolcro: Lui in quello concreto di Gerusalemme, noi nell’angoscia, nella paura: ciò significa concretamente restare nel Cenacolo, nella comunità dove abbiamo ricevuto il Testamento di Cristo, la Santa Eucarestia, senza averne compreso il valore, il senso, il potere.
Restare lì, con i fratelli, tremando, dubitando, ma uniti nelle viscere della Chiesa, dove potremo, finalmente, fare l’esperienza che Cristo è risorto e viene a cercarci; che ci mostra le sue piaghe d’amore, gloriose, luminose. Ecco, dobbiamo arrivare a mettere le  mani nelle ferite di Cristo, toccare la Gloria che lo aspettava e lo ha accolto dopo la Croce, la morte e il sepolcro.
Sperimentare che mentre dormivamo, peccatori e incapaci di tutto, Gesù ci amava, ci salvava; che dentro la Croce è nascosto il tesoro più grande, per noi e per il mondo. Con Pietro dobbiamo arrivare a sperimentare e toccare la resurrezione che getta un bagliore su ogni evento difficile della vita, per riconoscere in essi le piaghe di Cristo.
“Prendere la Croce” significa aver sperimentato che Gesù crocifisso è il Signore della Gloria; che la Croce non è uno strumento di tortura e di morte, ma di liberazione e di vita. Scoprire che quello che per il pensiero degli uomini non deve accadere è proprio ciò che mi salva e guai se non accade!
Questa è la differenza tra un cristiano e un pagano, tra chi ha lo Spirito di Cristo disceso sul cenacolo, e chi non ce l’ha. Questa è la differenza tra un “discepolo” che segue Cristo, e un orgoglioso, che lo vuole anticipare.
La differenza tra chi ha il pensiero del mondo e chi quello di Dio. Lui sa che siamo peccatori, incagliati nella menzogna del demonio. Per liberarci deve portarci a Gerusalemme con Cristo. “Deve” crocifiggerci con Lui… Non c’è alternativa.
Allora comprendiamo quale sia la parola più importante del Vangelo di questa domenica, quella che lega la Buona Notizia alla nostra vita, la vittoria di Cristo al nostro cuore: “se”.
Vuoi essere discepolo di Gesù? Lui ti ha scelto, ti vuole con sé; ti ha chiamato e accompagnato nella Chiesa. Hai camminato immerso nella sua fede, e, con Pietro, hai riconosciuto che è il figlio del Dio vivente.
Ora, “apertamente” Gesù ti dice che cosa significa per te essere un figlio di Dio. Perché a questo sei chiamato, ad essere cristiano, cioè di Cristo, una sua immagine conforme…
Lo vuoi davvero? Vuoi stringere con Cristo questa alleanza che ti fa una cosa con Lui, figlio nel Figlio che guadagna la sua vita perdendola e che non perde la sua anima perché abbandona ogni desiderio mondano.
Figlio che sperimenta la vita che non muore mentre tutto muore; figlio che “rinnega” se stesso
e per questo sa stare “tre giorni” nel sepolcro, con pazienza, senza toccare nulla della storia, senza ribellarsi, muto e mite, docile e mansueto come un agnello davanti ai suoi tosatori. 
Figlio che ogni giorno si alza per “andare a Gerusalemme” dove offrirsi per amore, e compiere così la missione di rendere testimonianza alla verità. L’ufficio come il sinedrio, il marito come Pilato, la moglie come Caifa, i figli come la folla che voleva Cristo crocifisso…
E non lo dimenticare mai, ogni pensiero del mondo è nemico della Croce, e, se si attacca a tuo figlio, lo uccide… Poi "non potrà dare nulla in cambio della sua anima". Vai allora, e muori per lui, perché in lui sia affermata la Verità: annunciagli senza posa "qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima?". 
Così fece S.Ignazio di Loyola con Francesco Saverio, e questa parola erose il suo orgoglio trasformandolo nel più grande apostolo dopo San Paolo. Era diventato, semplicemente un figlio di Dio, un cristiano, un discepolo di Cristo ormai capace di seguirlo ovunque. 
Anche dove il demonio con le sue menzogne impedisce al mondo di andare; per smentirlo con i fatti e, con l’annuncio del Vangelo, mostrare che è falso quello che dice: si può andare a Gerusalemme eccome, e perderci la vita per ritrovarla piena e bellissima.
Pastori, Vescovi, preti, suore, padri, madri, catechisti, siamo stati chiamati alla Chiesa per essere formati e ricevere in dono la fede adulta, non per rimirarci allo specchio, ma per annunciare “apertamente” al mondo, ovvero con “parresia”, che la Croce è l’unico cammino alla felicità, alla “salvezza della propria anima”, alla vita vera ed eterna.
Perché su di essa Gesù ha rinnegato se stesso per affermare te e me, peccatori senza alcun diritto. Ha perduto la sua vita per ritrovare la nostra, e così risorgere con noi
Coraggio, perché questo è il tempo nel quale dare a Cristo tutta la nostra vita. Non l'hai mai fatto davvero, sino in fondo. Guarda bene e vedrai che stai difendendo qualcosa. Sino ad oggi ci sono state delle intercapedini tra te e Lui. Invisibili a occhio nudo, ma reali. In esse hai continuato a fare la tua volontà, a gestire perfino la conversione, il ministero, la maternità e la paternità, per saziare il tuo uomo vecchio.



Basta, lasciati sedurre sino alla fine; abbandona la tua volontà e obbedisci nelle piccole cose, triturando la tua volontà infettata dal pensiero del mondo; e sperimenterai la gioia che nessuno potrà mai toglierti, la libertà che solo donandosi per amore sulla Croce si sperimenta. 


APPROFONDIMENTI






 αποφθεγμα Apoftegma




Dio ci ha fatto una grazia assai grande e particolare nel portarci in questi luoghi di pagani 
affinchè non ci dimenticassimo di noi stessi, 
dato che è una terra tutta di idolatrie e di nemici di Cristo. 
Noi non abbiamo in chi poter confidare e sperare se non in Dio, 
dato che non abbiamo qua parenti, 
né amici né conoscenti e non vi è alcuna pietà cristiana, 
perché tutti sono nemici di Colui che fece il ciclo e la terra. 
E per questa ragione siamo costretti 
a riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia in Cristo nostro Signore 
e non in alcuna creatura vivente
In altri luoghi, dove il nostro Creatore, Redentore e Signore è conosciuto, 
le creature sogliono essere causa e impedimento per farci dimenticare Dio, 
come è l'amore del padre, della madre, dei parenti, amici e conoscenti, 
oppure l'amore per la propria patria e l'avere il necessario, 
tanto essendo sani come nelle malattie, 
possedendo beni temporali o amici spirituali che ci aiutano nelle necessità corporali. 
Ma soprattutto ciò che più obbliga a sperare in Dio 
è la mancanza di persone che ci aiutino nello spirito: 
di modo che qui, in terre straniere dove Dio non è conosciuto, 
Egli ci concede tanta grazia che le creature ci costringono e ci aiutano 
a non dimenticare di riporre tutta la nostra fede, speranza e fiducia nella Sua divina bontà, 
mancando esse di ogni amore di Dio e di pietà cristiana.

San Francesco Saverio



LaChiesa.it

 XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO A)
“Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Pietro scopre così la vera identità di Gesù. Egli fa l’incredibile scoperta che questo carpentiere di Nazaret non è altro che il Cristo, l’unto di Israele, la realizzazione dell’attesa, lunga duemila anni, del suo popolo. Ma Pietro interpreta la missione di Gesù in termini politici. Gesù ben se ne rende conto e spiega che tipo di Messia sarà: andrà a Gerusalemme per soffrire, essere messo a morte e risorgere il terzo giorno. Ciò è troppo per Pietro: nel suo spirito, l’idea di sofferenza e l’idea di Messia sono semplicemente incompatibili fra loro.
“Non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Se Pietro potesse solo rendersene conto, sarebbe pervaso dalla gioia! Il Messia, che si sarebbe immerso nella sofferenza, che avrebbe incontrato l’ostilità degli uomini e che avrebbe subito tutte le conseguenze dell’ingratitudine secolare di Israele verso il Dio dell’Alleanza, era proprio lì! Davanti a lui c’era finalmente colui che avrebbe sconfitto Satana in uno scontro decisivo e che avrebbe, in questo modo, portato a compimento il piano divino di salvezza per l’umanità.
Poiché Pietro “cominciò a protestare dicendo: Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai”, Gesù gli disse: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!”. Voltaire scrisse argutamente: “Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza e l’uomo gliela rese proprio bene!”.
Nella nostra tendenza innata a resistere a Dio, noi deformiamo la sua immagine, ci rifiutiamo di lasciare che Dio sia come vuole essere. Il nostro Dio è troppo piccolo, troppo fragile e troppo limitato, mentre il Dio di Gesù Cristo è letteralmente troppo bello per essere vero. Gesù si affretta a percorrere la via che porta a Gerusalemme per svelarcelo sulla croce.
Sulla croce, infatti, Gesù rivelerà l’ultimo ritratto di Dio nel dramma della misericordia che vince il peccato, dell’amore che supera la morte e della fedeltà divina che cancella il tradimento.
Chi avrebbe mai immaginato, sia pure in sogno, che Dio sarebbe intervenuto nella nostra storia in questo modo?
Sfortunatamente, per molti, Gesù è davvero troppo bello per essere vero. “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!” (Gv 4,10).
 

Quella Messa è stata il culmine e la fonte di tutto...

Qualcosa è successo

DI PERFECTIOCONVERSATIONIS

rendez-vous1

Bisogna partire dalla fine.
Memoria liturgica di santa Monica, la madre di sant’Agostino: 29 donne, quattro neonati e due bambini assistono alla Santa Messa in uno splendido giardino. C’è raccoglimento, ci sono bei canti, tutte sono in silenzio. L’unica voce che si sente di tanto in tanto proviene dai piccolissimi. C’è un profondo raccoglimento. Il sacerdote esordisce dicendo che proprio quel sacrificio eucaristico è il legante che ci tiene insieme. Qualcuna poi confesserà di aver provato il desiderio di fare tre tende, non far finire mai quel momento. Tutte riconosceranno di aver provato lo stesso sentimento. Quella Messa è stata il culmine e la fonte di tutto.
Il 27 agosto 2014 è davvero successo “qualcosa”.
Ma torniamo indietro di qualche tempo.

Gli italiani e la Bibbia...

Bibbia, questa sconosciuta
Bibbia, questa sconosciuta... di Giacomo Gambassi in Avvenire 
  
Più di millecinquecento interviste realizzate per scandagliare il rapporto fra il Paese e un testo che «non è soltanto il distintivo cristiano, per citare una formula cara al filosofo Romano Guardini, ma rappresenta anche un distintivo nazionale», sottolinea il direttore scientifico di "Demos & Pi" e curatore dello studio, Ilvo Diamanti. Gli esiti della ricerca, curata da Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani, sono il fulcro del libro Gli italiani e la Bibbia (Edb, pagine 136, euro 10,00) che esce lunedì.
Il priore della comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi, parla nella postfazione di «povertà della cultura biblica in Italia» che «rinvia a quella che è stata recentemente chiamata la condizione più generale di analfabetismo religioso». Del resto, ricorda Bianchi, «è piuttosto recente lo sdoganamento della Bibbia» che avviene con il Concilio Vaticano II.


Ibrida e flessibile, ecco la Bibbia secondo gli italiani di Ilvo Diamanti
 
in  la Repubblica  
È un rapporto "singolare" quello fra gli italiani e la Bibbia. Intenso e distaccato, ma anche frequente e intermittente, competente e lacunoso, identificato e lontano, diviso e condiviso: al tempo stesso. Perché la Bibbia costituisce un elemento di comunione e, ancora, distinzione. Dal punto di vista religioso, ma al tempo stesso culturale e sociale...

Commenti & Omelie 31 agosto 2014 XXII Tempo O.



Omelie 31 agosto 2014 XXII T.O.




Commenti Vangelo 31 agosto 2014 XXII Tempo O.
  1. Claudio Doglio
  1. Domenicane di Pratovecchio
  1. Fabio Rosini
  1. Fernando Armellini
  1. Monastero Dumenza
  1. Qumran2.net

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Davanti alla Croce...

e da leggoerifletto.blogspot.it/
Noi siamo membra del Cristo totale - Dall’Inno XV di Simeone il Nuovo Teologo (949-1022)

Noi siamo membra di Cristo.
Non accusarmi, ma accogli questa verità 
e accogli Cristo che ti rende tale,
poiché, se lo vuoi, diventerai membro di Cristo
e, al tempo stesso, tutte le membra di ciascuno di noi
diventeranno membra di Cristo, 
e Cristo nostre membra,
e tutto ciò che in noi è privo di onore lo renderà onorevole
rivestendolo della sua bellezza 
e della sua gloria divina,
poiché vivendo con Dio, diventeremo dèi,
senza vedere più la vergogna del nostro corpo,
ma resi pienamente simili a Cristo in tutto il nostro corpo,
ogni membro del nostro corpo sarà il Cristo intero:
infatti, pur diventando molte membra, 
Egli rimane unico e indivisibile,
e ogni parte è lui, il Cristo totale.

Dall’Inno XV di Simeone il Nuovo Teologo (949-1022)







O Dio, tu solo puoi esortarci a lasciare tutto per seguirti. Concedi a tutti coloro che intraprendono il cammino della perfezione di non voltarsi indietro e di non esitare: avanzino con gioia verso di te, affinché possano trovare la vita eterna alla quale noi tutti siamo chiamati per il battesimo.







Abbiate fiducia nella potenza della croce di Cristo! Accogliete la sua grazia riconciliatrice nei vostri cuori e condividetela con gli altri! Vi chiedo di portare una testimonianza convincente del messaggio di riconciliazione di Cristo nelle vostre case, nelle vostre comunità e in ogni ambito della vita nazionale. (...)Dio ci chiama a ritornare a Lui e ad ascoltare la sua voce e promette di stabilirci sulla terra in una pace e prosperità maggiori di quanto i nostri antenati abbiano mai conosciuto. Possano i seguaci di Cristo preparare l’alba di quel nuovo giorno! 


Papa Francesco


Omelia, 18 agosto 2014





Davanti alla Croce

O Croce, indicibile amore di Dio,
Croce, gloria del cielo,
Croce, salvezza eterna.
Croce, terrore dei malvagi, sostegno dei giusti, luce dei cristiani.
O Croce, per te sulla terra Dio nella carne si è fatto schiavo.
Per te nel cielo l’uomo in Dio è stato fatto re.
Per te è sorta la luce vera, la notte maledetta fu vinta.
Tu hai rovesciato per i credenti i templi delle nazioni;
e sei tu il legame della pace, che unisce gli uomini in Cristo mediatore.
Se diventata la scala su cui l’uomo sale al cielo.
Se sempre per noi, tuoi fedeli, la salvezza e l’àncora:
sostieni la nostra dimora, conduci la nostra barca.
Nella Croce sia salda la nostra fede,
in essa si prepari la nostra corona. Amen.

Paolino di Nola (V secolo)

Buona giornata a tutti :-) 

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.


Sabato della XXI settimana del Tempo Ordinario






L'ANNUNCIO
Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. 

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. 
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque. 
Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. 
Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. 
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro. 
Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 
Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 
Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. 
Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone. 
Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; 
per paura andai a nascondere il tuo talento sotterra; ecco qui il tuo. 
Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; 
avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. 
Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. 
Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. 
E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30)





Secondo l'interpretazione dei Padri della Chiesa, l'uomo che parte per un lungo viaggio è il Signore. Dopo aver compiuto il suo Esodo dalla morte alla Vita, Egli chiama gli apostoli "che si era scelti nello Spirito Santo" e impartisce loro le istruzioni sulla missione svelando i segreti del Regno. La Parabola inizia con un flash sui quaranta giorni che separano la risurrezione dall'Ascensione, ma che include anche l'incontro sul Monte delle Beatitudini e la discesa dello Spirito Santo.
Con poche parole Gesù sintetizza quale sarà il suo Testamento: donato alla Chiesa come segno sacramentale nell'eucarestia dell'Ultima Cena, sarà consegnato come "talenti" da impiegare nella missione affidata. Lo Spirito Santo sigillerà ogni insegnamento, evento e parola del Signore nella luce sfolgorante della Pasqua, riversando nei loro cuori l'amore con il quale vivere nella storia la stessa vita del Signore, coinvolti nella sua missione. Il corpo e il sangue di Cristo, uniti poi a tutti gli altri sacramenti, divengono così il Testamento nuovo ed eterno, l'alleanza nella quale la Chiesa dovrà vivere e percorrere il mondo sino ai confini della terra.
A Gesù che sta per partire, è stato dato ogni potere in cielo ed in terra: consegnando i talenti Egli dice agli apostoli: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo" (Mt. 28, 18-20). I "talenti" sono dunque colmi del potere stesso di Cristo. 
Essi non sono le qualità umane, sono le ricchezze dei beni messianici, i beni del Padre donati completamente al Figlio. E, da Lui, consegnati e affidati ai servi, ai discepoli, a ciascuno di noi. Il verbo consegnare è decisivo: il Padre ha consegnato il Figlio; il Figlio si è consegnato al Padre ed è stato consegnato dal traditore. L'economia della salvezza passa per queste consegne.
Per questo, l'inizio della parabola descrive un momento importante e decisivo, che riassume, in una profezia, il cuore della missione di Gesù e della sua Chiesa: "consegnando i suoi beni", l' "uomo", immagine di Gesù, "consegna" tutto se stesso. Ma quest' "uomo" è anche immagine di ogni uomo, creato da Dio a immagine del suo Figlio, perché si "consegni" senza riserve. E' Adamo per il quale è stata creata Eva, aiuto alla quale donarsi. 
Tutta la vita dello Sposo e della Sposa infatti si sviluppa in un crescendo di consegne, sino all'ultimo istante della storia, quando il Figlio consegnerà il Regno al Padre. La consegna è un sinonimo dell'amore. Si consegna davvero solo chi ama. Comprendiamo allora l'incipit della parabola, che è poi quello della nostra stessa vita, come lo è stato di quella del Signore: è l'amore smisurato che spinge il Padre a consegnare il Figlio al posto nostro, e quello del Figlio che si consegna sino alla fine.
Il frutto di questo amore intimo e perfetto, è la consegna dei beni di Dio alla Chiesa, a ciascuno di noi, perché siano consegnati ad ogni uomo. E il bene più grande di Dio è il Figlio stesso. E' Lui il talento prezioso che i servi ricevono.    
"Come il Padre ha mandato me anche io mando voi", perché "come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi". Come Lui si è consegnato a noi così anche noi siamo chiamati a consegnarlo al mondo attraverso la nostra stessa consegna. Il "come" è descritto nel diverso numero dei talenti che ricevono i servi. Non si tratta di qualità diversa, solo di forme diverse in funzione della missione specifica che ciascuno riceve.
Se il talento è Cristo, consegnato attraverso la sua Parola, i sacramenti e tutti i beni che la Chiesa ha sempre custodito e amato gelosamente, anche chi riceve un solo talento non ha affatto ricevuto meno. Al contrario, ha ricevuto tutto, e nulla gli manca per compiere la sua missione. Significa semplicemente che la storia di ciascuno è diversa e irripetibile, ma non per questo la vita di San Francesco Saverio è più importante agli occhi di Dio di quella di una sconosciuta monaca di clausura nascosta a Lisieux. Il Papa riceve i talenti necessari per adempiere la sua missione, così come la vedova ammalata che vive in uno sperduto paese di montagna.
Da quest'ultimo servo possiamo partire per comprendere la Buona Notizia che oggi il Signore vuole annunciarci. Certamente la "paura" di questi nasceva innanzi tutto dall'invidia. Come Caino non guardava di buon occhio suo fratello, anche lui guardava storto gli altri servi. Nella parabola questo non è scritto, ma si può dedurre da come guarda il Signore. 
Con occhi invidiosi; l’etimologia del termine invidia rivela la relazione con il “vedere”: in-videre significa avere un occhio cattivo, che non vede nè gli altri nè le cose. In Caino l'invidia giunge sino a desiderare la sparizione di Abele dalla sua vista. Il servo si comporta proprio così: ha un occhio in-capace di vedere, vede storto Colui che gli ha dato il talento e per questo lo nasconde alla sua vista, sotterrando quel talento che ne è immagine e presenza. Invidia ed è geloso degli altri servi. In ebraico, la gelosia si chiama con la stessa parola, qin'ah, che si usa per nominare l'invidia. Un morbo maligno abita il suo cuore, vede male e quindi non conosce il suo Signore e neppure il talento ricevuto e, di conseguenza ne ha paura. Seppellisce il suo ricordo perché l'invidia non lo sfinisca. 
Quell'unico talento tra le mani gli innesca i pensieri più terribili, - "so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso" - non può neanche sopportare la sua vista. Lo sotterra per timore, perché l'invidia genera sempre la paura. Il terrore di non essere, di perdere la propria identità, di non valere e non reggere; la paura di soccombere e non essere amato. Per questo il servo, con il talento, nasconde anche se stesso.
Esattamente come Adamo dopo aver perduto l'innocenza che lo stringeva a Dio in un legame intimo e familiare. Sotterrare il talento significa sotterrare la propria dignità, il proprio essere, la primogenitura e il senso della propria vita; significa nascondersi e macerarsi in un misto di sentimenti di gelosia, mormorazioni, rancori, che avvelenano e ci imprigionano sempre più. Perché, in una parola, sotterrare il talento è occultare Cristo, ucciderlo, come Caino ha ucciso Abele. 
Quel Talento, questa volta con lettera maiuscola, definisce il servo, ne annuncia l'autentica identità; è l'occasione di conversione, di abbandonarsi alla fedeltà, al potere e all'amore di Dio per vivere secondo la sua volontà. Nascosto il Talento si spengono le luci e la vita diviene un brandello gettato "fuori nelle tenebre", dove "sarà pianto e stridore di denti". 
E' quello che facciamo molto spesso, in una sorta di "damnatio memoriae" delle persone e degli eventi che non abbiamo accettato. Sotterriamo, bruciamo, guardiamo con occhio malvagio, perché le ferite non continuino a farci male. L'atteggiamento di questo servo è, ad esempio, quello che sta all'origine di ogni divorzio. Per quanto si sotterri l'ex coniuge, questi resta comunque vivo come una ferita che sanguina, e non c'è verso che si rimargini...
Perché se si divorzia dal marito o dalla moglie, significa che prima si è tagliato il rapporto con Dio, come Adamo ed Eva. Non piaceva quel Talento, non rispondeva alle concupiscenze della carne, osava essere se stesso, così diverso e pieno di difetti. Obbligava ad uscire da se stessi. a dimenticare i propri criteri e a donarsi... No, non era il Talento che si desiderava, per saziarsi e realizzarsi... Era un mostro di talento, inaccettabile.... Ma, in quel Talento, nonostante tutto, era vivo Cristo. Ed era Lui che, giorno dopo girono, giudizio dopo giudizio, rancore dopo rancore, si è andato rifiutando... E, se si avvelenano i pozzi, con che acqua ci si potrà dissetare?  
Il "servo malvagio e infingardo" non ha trattato il talento con familiarità, amore, dedizione, fedeltà anche nei piccoli particolari, come fosse cosa propria, accogliendo in esso la presenza di Colui che glielo aveva affidato. Per lui, schiavo dell'invidia e della paura, nessuna intimità con Cristo; i beni di Cristo non erano oggetto delle sue attenzioni, perché la sua esistenza stava scivolando via da tempo senza alcuna relazione con Lui.
Chiamato a vivere la sua stessa vita, ad amare e a donarsi per annunciare al mondo il suo amore, si è chiuso in se stesso, nel timore figlio del pensar male di Dio. In fondo, dietro all'atteggiamento di questo servo, vi è quello comune a tanti di noi. Pensiamo che Dio voglia sottrarci qualcosa e sospettiamo di Lui, ingannati dalla menzogna primordiale nella quale sono caduti i progenitori: Dio non ti ama, vuole solo limitarti. Dietro alle sue parole si nasconde l'inganno, vuole incastrarti. Dio è esigente e la Chiesa, peggio di peggio.
Perché non avere rapporti pre-matrimoniali? Perché non ci si può divorziare? Perché non posso convivere per capire se l'altro è la persona giusta per me? Perché sposarmi se sono tanto giovane? Perché non posso vivere secondo i miei criteri e la libertà che mi spetta? Perché perdonare quello che non posso perdonare? A tutte queste domande il demonio ci presenta sempre la stessa risposta infiltrata dalla menzogna: Perché Dio mi vuole incastrare e la Chiesa interpreta a caso e subdolamente la sua Parola. 
Ascoltandola e accettandola, di fronte a eventi e persone, comincia a dominare in noi la paura che dietro alla Croce non vi sia la resurrezione, ma, nella migliore delle ipotesi, solo un gran punto interrogativo. La paura di chi ha smarrito la fede o si è lasciato raffreddare dagli insuccessi, dallo scandalo della Croce. 
E' lo stesso timore che spesso prende la Chiesa e le impedisce di annunciare il Vangelo sotterrando il Talento in discussioni, convegni, slogan e proclami, produzione di carta, impegni volontaristici con i quali ci si sotterra sempre di più invece di schiudere il Cielo. La Chiesa che non annuncia il Vangelo è sempre una Chiesa che ha sepolto Cristo di nuovo. E così lascia sepolti quelli a cui è mandata, al suo interno e nel mondo.
Il servo malvagio infatti non riporta nessun talento guadagnato: la sua vita è stata infeconda. Quando la Chiesa, mondanizzata, ha paura e non crede nel potere della predicazione, sta gravemente abdicando, si converte in una serva malvagia e infingarda, che lascia nell'inganno e nella morte i suoi figli e i pagani, e non li porta e riconsegna a Cristo, che per loro si è donato.
Si comprende ancora una volta che dietro a questi atteggiamenti del cuore vi sia un inganno profondo: facendo leva sulle disillusioni, sulle sofferenze, sulla croce che ha segnato la nostra vita, il demonio ci ha sedotti ritoccando l'immagine di Dio con un colpo ineffabile di "Photoshop": via la misericordia, la generosità, la fiducia, e l'amore e dentro durezza, esigenza, moralismo.
Ha preso qualche cosa della nostra storia e l'ha sovrapposta all'immagine di Dio, coprendo e occultando la realtà più profonda. Invece, proprio in quei momenti crocifissi ci veniva consegnato il talento! La Buona Notizia del Vangelo di oggi è nascosta qui: i talenti sono Cristo Crocifisso in noi, inviato ancora a vivere la storia per seminarvi la sua vita, il suo potere, il riscatto eterno per ogni uomo. Il talento consegnato ci consegna al mondo.
Negli eventi che ci hanno fatto soffrire Dio era presente, ed è presente, e ci consegna il suo talento più prezioso. In quei momenti, lungi dall'essere duro ed esigente, Egli rivela il suo volto pieno di generosità e misericordia: è nella durezza della vita - che esiste a causa del peccato - che Dio elargisce gratuitamente il suo potere e la sua vittoria. Per questo, quando ci assalgono i pensieri tristi che tendono a gettarci nella paura e nell'invidia bisogna correre "dai banchieri", dagli esperti del denaro, per imparare da loro, perché ci aiutino a trafficare bene quanto ricevuto.
Così ha fatto la Chiesa durante i secoli quando, di fronte ai problemi nuovi che sorgevano, ha indetto i Concili, spesso sospinta dai servi fedeli che hanno ricevuto i talenti-carismi e li stavano trafficando.
Così anche noi, nei momenti di crisi, quando si insinuano pensieri malvagi e ci accorgiamo di perdere il gusto per la volontà di Dio, avviciniamoci ai presbiteri, ai catechisti, ai genitori, ai banchieri che Dio ha messo sul nostro cammino, e affidiamoci a loro.
Il Vangelo di oggi rovescia completamente la prospettiva del servo malvagio che ci fa guardare storto alla vita. E’ una catechesi decisiva nel cammino di fede, una parola che veniva data ai catecumeni perché non perdessero tempo e obbedissero alla Chiesa, che li invitava a donare il denaro ai poveri, a trafficare i beni ricevuti da Dio, la fede innanzitutto, nel crogiuolo della storia.
I talenti ci sono dati per essere trafficati, perché siano consegnati nelle trame della storia e attirino in essi ogni sofferenza; nel potere di Cristo, nel suo Mistero Pasquale ogni relazione, ogni evento. Per questo, "i servi fedeli nel poco" che ancora è questa vita - le occasioni piccole di ogni giorno che abbiamo visto a proposito dei piccoli vasi nella parabola delle dieci vergini - consegnano al Signore i talenti esattamente raddoppiati: a ciascun Talento corrisponde un evento redento, un uomo salvato.
A ciascun talento corrisponde lo Spirito Santo per entrare in quell’evento doloroso, in quella relazione difficile. Anche oggi l' "Uomo" vero, Cristo risorto, si consegna a noi perché possiamo "trafficare" il suo amore perdonando nostro marito, prendendo su di noi il peccato di nostra figlia, guardando con misericordia il collega.
Sono loro "i frutti" già maturi che attendono il nostro talento per tornare a Cristo. Ci abbiamo mai pensato? Quando entriamo in ufficio e salutiamo i colleghi, abbiamo mai pensato che sono venuti a lavorare perché aspettano da noi il talento che Dio ci ha dato? O che moglie e figli ci sono stati donati per trafficare con loro l'amore con il quale Dio ha colmato la nostra vita? Che ogni istante è un appuntamento unico e irripetibile, per "guadagnare" a Cristo la persona che incontriamo? 
E' tutto opera sua, nessuna esigenza, nessun moralismo anzi! Si tratta al contrario di "partecipare della gioia di Dio", che è sempre quella di aver ritrovato la pecora perduta, di un peccatore convertito, di essersi donati senza riserve. Come quando marito e moglie si uniscono, il piacere è massimo e sazia proprio quando ci si dona mutuamente e completamente, senza riserve e contraccettivi, siano essi sulla carne e o nel cuore: quando l'unione è totalmente aperta alla fecondità e alla vita raggiunge il massimo dell'intensità e del piacere, perché coinvolge i coniugi in ogni loro aspetto nel grande dono creatore di Dio.
Sì, nel talamo nuziale, come in ogni situazione dove si è chiamati, preti, suore e laici, è preparata per noi la gioia piena e autentica dell'amore. La stessa gioia di Cristo esplosa la sera di Pasqua nel rivedere i suoi discepoli: il suo talento aveva dato il frutto meraviglioso della salvezza di quel manipolo di traditori. La gioia del perdono! 
Per questo la missione della Chiesa, quella che ci coinvolge tutti ogni giorno, è un'avventura affascinante. Trafficare il talento nel fidanzamento, osando l'impossibile della castità pre-matrimoniale come un dono che si compie per il potere di Cristo risorto; trafficarlo nel lavoro, osando servire come l'ultimo degli impiegati; trafficarlo nella scuola, osando la dabbenaggine di sedersi e studiare davvero mentre fuori splende il sole e gli amici se ne vanno a divertirsi; e così in ogni aspetto della nostra vita, sino ai più piccoli. 
Osare con Dio perché Lui ha osato con noi, ci ha dato fiducia nonostante la brutta esperienza dell'Eden; perché ci ha consegnato se stesso, e con Lui tutto si può, anche l'impossibile. E quando si varca la frontiera dell'assurdo, si entra nella sala più intima, quella riservata ai familiari del re. Vivere trafficando il talento per oltrepassare ogni giorno la soglia dell'impossibile, oltre la quale c'è la gioia vera, la partecipazione completa e senza limiti di tutti i beni di Dio.
Altro che trappole, limiti, durezze ed esigenze. Altro che sospetti! Con Dio è tutto un dono, e i tagli che ci feriscono sono i varchi che Lui si apre per consegnarsi a noi. Attraverso la Croce, il Talento ci appartiene come noi apparteniamo a Lui. Sì, anche noi siamo i talenti di Dio! La nostra vita è frutto del talento ricevuto dai nostri genitori e dalla Chiesa.
Accogliere e trafficare il Talento che è Cristo stesso significa lasciare che tutta la nostra vita divenga sua, pensieri e azioni, ogni istante, nulla escluso. Trafficare il talento è vivere in Cristo, e allora tutto è toccato e colmato da Lui; anche il fisico, anche le cose più banali, tutto diviene bello nella sua bellezza. Come invidiare allora chi ha lo stesso identico talento? Impossibile! Anzi, nella missione sorge l'innocenza e la comunione.



Per questo, con Giovanni Paolo II, il Signore oggi ci ripete: "Non abbiate paura!". Spalancate le porte a Cristo, al suo amore, al Talento che fa della vostra vita un'opera d'arte, una meraviglia ai vostri stessi occhi, qualcosa di grande, autentico, santo, in ogni istante, ovunque, con tutti!".


APPROFONDIMENTI


"Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo! Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la liberta' alla fede. Si', egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell'arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di cio' che appartiene alla liberta' dell'uomo, alla sua dignita', all'edificazione di una societa' giusta. Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui, paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita cosi' bella? Non rischiamo di trovarci poi nell'angustia e privati della liberta'? Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no! chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla - assolutamente nulla di cio' che rende la vita libera, bella e grande. No! solo in quest'amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest'amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialita' della condizione umana. Solo in quest'amicizia noi sperimentiamo cio' che e' bello e cio' che libera. Cosi', oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall'esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Si', aprite, spalancate le porte a Cristo, e troverete la vera vita. Amen".

Benedetto XVI, Omelia per la messa di inizio pontificato, 24 aprile 2005

P. Raniero Cantalamessa. Scopritori di talenti, non per guadagno ma per altruismoBenedetto XVI: "Ciò che Cristo ci ha donato si moltiplica donandolo! E’ un tesoro fatto per essere speso, investito, condiviso con tutti..."Benedetto XVI. La Parabola dei talentiSan Serafino di Sarov. «Impiegatele fino al mio ritorno»Sull'invidia. Di Marco Belpoliti




 αποφθεγμα Apoftegma








Forse c’è qualcosa di Erode anche in noi? 
Forse anche noi, a volte, vediamo Dio come una sorta di rivale? 
Forse anche noi siamo ciechi davanti ai suoi segni, 
sordi alle sue parole, 
perché pensiamo che ponga limiti alla nostra vita 
e non ci permetta di disporre dell’esistenza a nostro piacimento? 
Quando vediamo Dio in questo modo 
finiamo per sentirci insoddisfatti e scontenti, 
perché non ci lasciamo guidare da Colui 
che sta a fondamento di tutte le cose. 
Dobbiamo togliere dalla nostra mente 
e dal nostro cuore l’idea della rivalità
l’idea che dare spazio a Dio sia un limite per noi stessi; 
dobbiamo aprirci alla certezza che Dio 
è l’amore onnipotente che non toglie nulla,
non minaccia, anzi, 
è l’Unico capace di offrirci la possibilità di vivere in pienezza, 
di provare la vera gioia.

Benedetto XVI, Omelia del 6 gennaio 2011