Santa Maria,

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...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 18 agosto 2014

«MAESTRO, CHE COSA DEVO FARE DI BUONO PER OTTENERE LA VITA ETERNA?»...Se vuoi essere perfetto, vendi quello che possiedi e avrai un tesoro nel cielo.

Agosto BLOG sempre aperto

Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario





L'ANNUNCIO

Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 

Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 

Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 
Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 
Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 
Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 19,16-22)




La vita ci è data per diventare "perfetti", e la "tristezza" è non esserlo. Tutto ciò che è meno della perfezione non ci appaga, non ci realizza, non dà compimento ai nostri giorni; ci frustra e ci getta nel cinismo e nell'accidia, madri sempre incinta della tristezza. 

Non a caso il "tale" che si avvicina a Gesù è un "giovane". Come gli altri, egli cerca che cosa vi sia di "buono" da fare per vivere senza che la vita sfugga dalle mani. Perché, come ogni giovane, non sa cosa fare: se studiare o lavorare; che facoltà scegliere o dove presentare domanda di lavoro; se fidanzarsi o no con quel ragazzo; se sposarsi o aspettare; se dare ascolto a quella voce che sembra ti stia chiamando ad essere prete o suora, oppure non farci caso e metterla a tacere. 

In fondo, mentre tira su e arrotola la persiana dei pochi anni vissuti, il giovane chiede a Gesù se esiste qualcosa di buono per cui valga davvero la pena spendere la vita; una buona causa, un buon ideale, un buon motivo per fare e raggiungere l'eternità. 

Egli pone la domanda che preme nel petto ogni ragazzo,; e sembra che gli si dischiuda dinanzi l'intera esistenza, come qualcosa di grande da acciuffare e mangiare, senza perderne una briciola. 
Vivere intensamente, scoprendo il senso di ogni cosa, la ragione e la pienezza di ogni incontro: è questo che desidera il "giovane", chiedendo "cosa fare di buono per avere la vita eterna". Vivere "perfettamente", al massimo come direbbe Vasco Rossi. 
Il professor Keating, protagonista del film L'attimo fuggente e modello per intere generazioni, avrebbe risposto al giovane: "Cogli l'attimo, cogli la rosa quand'è il momento". Perché il poeta usa questi versi? [...] Perché siamo cibo per i vermi, ragazzi. Perché, strano a dirsi, ognuno di noi in questa stanza un giorno smetterà di respirare: diventerà freddo e morirà. Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? Stesso taglio di capelli... pieni di ormoni come voi... e invincibili, come vi sentite voi... Il mondo è la loro ostrica, pensano di esser destinati a grandi cose come molti di voi. I loro occhi sono pieni di speranza: proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora sono concime per i fiori. Ma se ascoltate con attenzione li sentirete bisbigliare il loro monito. Coraggio, accostatevi! Ascoltate! Sentite? "Carpe", "Carpe diem", "Cogliete l'attimo, ragazzi", "Rendete straordinaria la vostra vita"!" (guarda il video e leggi alcuni commenti negli approfondimenti)
Proprio quello che il giovane non è stato capace di fare. Come la maggior parte. E sapete perché? "Perché aveva molte ricchezze". Attenzione, che qui stiamo scoprendo il filone di un giacimento d'oro, un tesoro capace di rivoltarti la vita come un calzino. E farla bella, così bella e straordinaria da lottare strenuamente per viverla istante dopo istante, cogliendone ogni attimo.
Il giovane ricco era già pieno; non aveva posto per quello che gli stava offrendo Gesù. Avrebbe dovuto disfarsene, ma non ce l'ha fatta. Esattamente come i giovani del professor Keating, da lui gonfiati di sogni per soddisfare se stessi; per saziarsi offrendo a se stessi ogni attimo, e quindi ogni pensiero, attività, persona. 
L'esatto contrario di quanto suggerito da Gesù. Lui invita il giovane ad andare per la strada opposta, quella, ad esempio, percorsa da San Francesco, che ha colto l'attimo in cui il Signore gli offriva una vita davvero straordinaria. Unica e irripetibile, da gustare in ogni secondo, perché ogni "attimo" ci è dato per farne risuonare in cielo la fragranza dell'amore.
Ogni attimo è un'occasione da non farsi sfuggire per amare, donarsi, senza riserve. Allora l'eco di quel momento si inerpica in Cielo, e vi si aggancia per l'eternità. Cioè quella parola, quel gesto, quella partita di calcio, quell'ora di studio, quel fare l'amore con la tua sposa, quel giorno in ufficio, quelle ore date a tuo figlio per ascoltarne le difficoltà, per litigarci chissà, tutto l'amore che colma gli attimi che si susseguono nella vita diventano immortali, scritti in oro nel Cielo. Saranno per sempre oparte della vita eterna per la quale siamo nati.
E' questo il destino e non diventare "cibo per i vermi". I cristiani sanno meglio di chiunque altro che polvere siamo e polvere torneremo. Ma c'è il Vangelo in mezzo, da ascoltare e accogliere, per convertirci, cambiare cioè strada, e seguire Cristo, via, verità e vita. 
E' Lui l'occasione, la carne data a ogni attimo, carne che ha vinto la morte e ogni barriera, e ha unito tutti gli attimi all'unico destino plausibile e per il quale vale la pena vivere: il Paradiso: "dal momento in cui è diventato usuale affermare che noi siamo gli unici artefici della nostra esistenza, una tale follia ha coinciso coll’uccidere la parola destino con cui la parola Dio si identifica. E soltanto se c’è un destino l’istante ha corposità, è valore, e “funzione” di qualcosa. In caso contrario, come dice Oriana Fallaci, “…la vita diviene una serie di occasioni perdute, un rimpianto di ciò che non è stato e che avrebbe potuto essere (...) Ed è così che si spreca il presente rendendolo un’altra occasione perduta di cui poi rammaricarsi” (Luigi Giussani)
Gesù è la Vita eterna che quel giovane voleva; senza di Lui,  invece, tutto, ma proprio tutto sfugge inesorabilmente. Perché chi ama la sua vita la perde, ma chi la perde per amore la ritroverà centuplicata, insieme a persecuzioni...
Cristo è anche oggi di fronte a te e a me, come ad ogni giovane raggiunto da un cristiano, dalla predicazione della Chiesa. E' in questo attimo irripetibile, dove entrare con Lui, per renderlo un frammento eterno dell'eterno amore. 
Capite? Non c'è nulla di incolore, di sciapo, di routinario, di noioso. Nulla, perché in tutto possiamo seminare l'amore, cioè noi stessi con Cristo. Il punto è se davvero desideriamo la Vita eterna. Per questo Gesù risponde con un'altra domanda: "Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono". 
E scopriamo che, nel porre la domanda, il giovane ha sbagliato qualcosa di decisivo! Non si tratta di sapere "che cosa sia buono da fare", ma di conoscere "il solo buono"!
Ecco il perché della "tristezza" che affiorerà sul suo volto, mentre "se ne andrà" lontano da Gesù; tanti giovani, come molti meno giovani, sono tristi e angosciati "perché interrogano Gesù" - nella preghiera personale o consultando genitori, preti o catechisti per un parere - per sapere che "cosa fare"; tutti pensiamo di essere angosciati perché non abbiamo interessi speciali e così definiti da imporci una scelta; crediamo che le crisi ci vengano dall'essere incoerenti e indecisi. 
Niente di più sbagliato ci dice il SignoreLa "tristezza" di nostro figlio non è causata dal non sapere "che cosa fare", ma dal non conoscere "il solo buono". La felicità, infatti, nasce da un incontro, mai da un fare; la gioia scaturisce dalla gratuità e mai dallo sforzo. 
Il giovane del vangelo, pur essendosi sforzato nel rispettare le regole, non aveva conosciuto l'autore della Legge. E così si era condannato ad essere schiavo delle regole, credendo di poter raggiungere la "perfezione" della "vita eterna" attraverso una regola ancor più "buona" di quelle rispettate sino ad allora.
Come ciascuno di noi, che anche nel rapporto con Gesù, cerchiamo quel qualcosa in più che ci faccia raggiungere ciò che desideriamo: una formula, una regola da seguire, un talismano che ci sleghi dall'indecisione, ci liberi dalla precarietà e ci dia quello che pensiamo sia pace e felicità. 
E invece il Signore ci annuncia che quello che vorremmo sapere da Lui è solo un misero desiderio della carne, il meschino criterio con cui l'uomo vecchio vorrebbe tenersi a galla, magari in un contesto religiosamente corretto, così che nessuno lo possa smascherare. Eh no, Gesù ci annuncia che vi è Qualcuno che è davvero "buono", ed è "unico". Non sono possibili compromessi. 
Non esistono manuali di felicità, perché essa è conoscere Dio come un Padre buono. Sino ad ora abbiamo conosciuto Dio come un legislatore, a volte invadente e incomprensibile, e abbiamo spensieratamente fatto la cresta su alcuni codicilli, a nostro parere marginali e non decisivi: qualche rapporto prematrimoniale, qualche tassa ingiusta non pagata, un giudizio che, accidenti! è solo una constatazione, una mormorazione e un gossip (diffamazione, ma fa' niente...) su quella cugina che, mamma mia, quante ne ha fatte.... E poi, lo abbiamo pregato e consultato per darci delle dritte su come "fare" nelle diverse situazioni. 
Ma niente, pur "facendo" siamo rimasti insoddisfatti: vita si che ne abbiamo, ma di quella eterna e che ti sazia neanche a parlarne... Nel matrimonio amiamo certamente coniuge e figli, ma..... manca qualcosa che ci faccia guardare allo specchio e ci faccia dire: "ti benedico Signore, perché davvero nulla mi manca".... Ecco, ci manca Colui che non ci fa mancare nulla
Ai giovani che non sanno cosa fare manca l'esperienza che con Dio, che è un Padre buono, non manca nulla. Manca la "perfezione", che non si riferisce alla condotta morale, ma alla pienezza di vita dei cristiani. Nella Chiesa primitiva essi erano definiti "perfetti", perché in loro non mancava nulla della "pienezza" di Gesù Cristo, perché, battezzati, vivevano ormai la sua vita. 
"Perfezione" significa infatti "pienezza", "compiutezza"; l'opera "perfetta di Dio" è la vita di Gesù offerta sino alla finesino alla perfezione secondo l'originale greco: quando, spirando sulla Croce, il Signore dice: "Tutto è compiuto, tutto è perfetto". 
Al giovane "per essere perfetto" - per non mancare di nulla - "manca una cosa": conoscere Dio come un Padre buono, l'unico; il solo che perdona infinite volte, che non giudica, non disprezza, che non chiede nulla in cambio del suo amore, che, per amarci, non esige il nostro "fare". 
Manca conoscere il Padre "buono" che ci ha creati nella sua "bontà" come la sua creatura più "buona": "E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza... Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò... Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Cfr. Gen. 1,26ss). 
Al giovane, come ai nostri figli, e spesso anche a noi, manca la conoscenza intima del Padre, al punto che la sua "bontà" si rifletta in ciascuno, creato a sua immagine e somiglianza. Ai giovani, per avere la vita eterna, per essere felici, per essere perfetti manca proprio il "tesoro nel Cielo", manca il Padre! Il giovane se va triste perché ha preferito restare orfano. Come tante volte accade anche a noi, e ai nostri figli. 
"Abbiamo molti beni", denari, affetti, cose, sogni, che abbiamo trasformato in idoli che hanno usurpato il posto di Dio nostro Padre. Il giovane è triste perché ha scelto di continuare a servire il patrigno: "seguendo Gesù" sul cammino della conversione e della libertà, dove "vendere ogni bene per darlo ai poveri", avrebbe sperimentato di avere un tesoro in Cielo, di non essere orfano ma figlio nel Figlio dell'unico Padre buono. 
Seguire Gesù, infatti, non significa dover abbandonare stoicamente i propri beni, ma aver incontrato il Figlio che è immagine e somiglianza "perfetta" del Padre, l'unico "buono" che dà la Vita eterna, il "bene" assoluto. Ovvio che per seguirlo è necessario prima tagliare le catene che legano agli idoli: ma non si tratta di un moralismo o dell'eroismo di chi si illude di aver optato per Gesù. 
E' invece opera del potere infinito della sua Parola che chiama a seguirlo. Ecco dunque "che cosa fare": ascoltare anche oggi Gesù, accogliere nel cuore la sua chiamata d'amore, e lasciare che Lui operi in noi la volontà "buona" del Padre "buono". 
E questo siamo chiamati a trasmettere ai "giovani": ad abbandonarsi all'amore di Dio, a mettere la propria vita completamente nelle sue mani, come un foglio in bianco sul quale Egli possa scrivere la sua volontà d'amore, attraverso la Chiesa, in un serio cammino di conversione. E questa e nessun'altra è la vita eterna, "che conoscano te Padre, e il Figlio che tu hai inviato". 
Spesso, nelle indecisioni, si cela l'idolatria della propria volontà e dei propri criteri. I giovani non sanno cosa fare perché difendono ciò che vorrebbero fare e che non riescono a fare. Per questo Gesù e la sua Chiesa, i pastori con i catechisti e i genitori, annunciano alle nuove generazioni che c'è un solo cammino alla vita eterna, quello dell'autentica libertà: essa si sperimenta solo "seguendo" Gesù, "vendendo" ogni giorno "quello che si possiede", le persone e le cose, i progetti e i criteri, soprattutto la propria volontà, per "darlo ai poveri"; ciò significa convertirsi, ovvero non vivere più per se stessi "possedendo", ma per gli altri "offrendosi". 
Solo la libertà di chi segue il Signore infonde la forza invincibile di fare scelte coraggiose e controcorrente, nella certezza che in nulla resta confuso chi ha Dio per Padre. Sperimentando istante dopo istante di avere "un tesoro in cielo" e, di conseguenza, la vita eterna dentro, i giovani potranno entrare nella volontà di Dio, anche quando non si comprende e la carne la rifiuta. 
Faranno allora la stessa esperienza di Pietro, adulti nella fede e nella loro umanità: come lui, infatti, quando erano "giovani" andavano dove volevano, facendo quello che la carne desiderava; ma ora, anziani perché adulti nell'esperienza dell'amore di Dio, possono tendere le loro mani, a scuola, nel lavoro, nelle relazioni, e andare dove non vorrebbero, offrendo la propria vita gratuitamente. 
Non saranno allora più in crisi per non sapere che cosa fare, perché stretti nel dover fare solo quello che la libido e la concupiscenza desidera, senza essere mai soddisfatti; al contrario, saranno felici perché liberi di studiare quando non vorrebbero, sposarsi anche se la paura li schianta, accettare un lavoro noioso e senza soddisfazione. 
Ovunque e con chiunque, infatti, i giovani e tutti noi siamo chiamati alla "perfezione" che è amare come si è amati dal Padre buono e dal suo Figlio; e annunciarlo a tutti attraverso il Vangelo, perché il mondo veda e creda nella bontà di Dio: "Non solo nelle chiese e nelle parrocchie, dunque, ma in ogni ambiente portiamo il profumo dell’amore di Cristo. Nelle scuole, nelle università, nei luoghi di lavoro, negli ospedali, nelle carceri; ma anche nelle piazze, sulle strade, nei centri sportivi e nei locali dove la gente si ritrova. Non siamo avari nel donare ciò che noi stessi abbiamo ricevuto senza alcun merito! Non dobbiamo avere paura di annunciare Cristo nelle occasioni opportune come in quelle inopportune, con rispetto e con franchezza" (Papa Francesco). 
Cogliamo dunque ogni attimo per amare e annunciare il vangelo, l'unico modo per moltiplicare la gioia e la pace nella nostra vita, e gustare in essa l'antipasto di quella eterna.



APPROFONDIMENTI






Lunedì della XX settimana del Tempo Ordinario. Approfondimenti: Ratzinger, commenti sul film L'attimo fuggente




San Francesco si spoglia dinanzi al padre





                                    
 Carpe Diem 


Il professor Keating e la differenza tra sogno e memoria
Don Giussani

Proponiamo le parole di don Luigi Giussani, tratte da "Realtà e giovinezza, la sfida" a proposito del professor
Keating, il personaggio interpretato da Robin Williams ne "L'attimo fuggente" di Peter Weir (1989).
"L'insegnante nel film comunicava per pressione osmotica. Ma non c'era un'esperienza che comunicava, tanto è
vero che non ne dava le ragioni. È la ragione infatti che fonda la dignità dell'esperienza e ne dà l'ossatura. Il cuore
dell'esperienza è affettivo ma la struttura dell'esperienza è data dalla ragione. Quell'insegnante non ha dato una
sola ragione, tutti erano commossi e tutti erano furibondi contro i genitori che avevano provocato indirettamente
il suicidio del giovane mentre l'assassino era stato l'insegnante. I genitori sbagliavano ma erano molto più
scusabili perché difendevano un dato, una memoria mentre quell'individuo propalava un sogno. Dico questo
perché da qualche tempo continua a ritornarmi in mente la differenza fra sogno e memoria. Il sogno è come un
impeto di energia che in modo affascinante si pone e velocemente si riassorbe e si dissolve. Invece la memoria è
tutta costituita di fatti del passato che come tasselli si uniscono in un organismo che crea il presente. Il presente è
costituito di tutti i fatti del passato?"
© Il Sussidiario


Ucciso da un "vuoto" cattivo che imita lo sguardo dell'amore
Mauro Leonardi

È morto Mork. Se non eri ragazzino negli anni 70 quando la tv dei ragazzi era solo il pomeriggio, non mi capisci.
È morto Mork di "Mork § Mindy". È morto Robin Williams. Wikipedia è già aggiornata con i verbi al passato e
dice suicidio molto probabile. La riga sopra capisci quali sarebbero i motivi, perché negli ultimi anni il suo
successo era molto diminuito e andava in televisione per soldi: come pagare Messi per farlo palleggiare a Porta a
Porta. Il mio cuore però è più duro di Wikipedia e fa un po' più di fatica ad aggiornarsi. Tempo fa Robin aveva
detto che da morto voleva essere ricordato per le risate che ci aveva fatto fare. Ma perché quelle risate non le hai
ricordate anche tu Mork? Perché l'affetto della gente di tutto il mondo, non ti ha fatto sorridere e non ti ha
fermato?
All'ora del cappuccino Francesca, la barista, ha detto: "Sembra che hanno tutto e poi finiscono così. Perché avere
tutto non è tutto". E io, oggi, con quelle parole ho cercato di aggiornarmi il cuore e di stare vicino a Robin
Williams perché se n'era andato e non potevo richiamarlo con un tiro di dadi come in Jumanji. Mi sembrava
impossibile averlo sentito di famiglia per tutta la vita e adesso che moriva in quel modo, che non mi dicesse
niente. Cos'hai da dirmi "capitano, mio capitano"? Perché Robin Williams era vicino, non era l'attore sogno,
quello coi pettorali impossibili, il fisico da urlo e lo sguardo assassino che o ci nasci o non lo diventerai mai. Per le
mie coetanee Robin Williams non era da poster in camera ma aveva conquistato il cuore di molte, anche il mio.
Aveva scelto di cimentarsi in film molto diversi, da Popeye a L'attimo fuggente come solo un vero attore sa fare. I
suoi occhi, il suo viso, era espressivo pure sotto le maschere da donna indossate in Mrs Doubtfire. "Avere tutto
non è tutto" dice la barista, ma non so cosa c'è di vero perché tu, Robin, avevi tutto ma non sei morto per quello.
Se "tutto" c'entra col conto in banca, la barca o le belle donne, non sei stato un tipo così. Da rotocalco e da gossip.
Se "tutto" sono tutti i soldi che servono per godersi la vita, secondo me non c'entra con la tua morte.
Se invece "tutto" è il successo dell'attore di successo, allora sì, ci siamo: ma il problema non è il successo. È il
vuoto di successo. È quando il successo manca, è il vuoto dopo il successo, che ci ammazza. Io non so Robin cos'è
accaduto, non voglio parlare del tuo suicidio che manco è sicuro. Nessuno, se non parente o medico, potrebbe dire
qualcosa. E forse neanche loro. Forse neanche tu, perché i suicidi sono dei potenti e distruttivi punti di domanda
senza risposta. Il mio problema è come, in questa cosa della tua morte, riesci a starmi vicino.
Tu che mi sei stato vicino sempre, perché proprio ora mi lasci? Ma se è così, Robin, se è vero che ti ha ucciso il
vuoto dopo che è passato il successo, allora il mio cuore riparte perché ti ritrovo. Ti scopro ancora che sei come
me, perché abbiamo tutti la nostra asticella da saltare, la nostra tacca al muro da superare, e quando ci manca,
ecco lì il vuoto. È il lavoro, il successo professionale, il giro di parco in più di corsa la mattina. È mio figlio, che ha
15 anni e già da due l'ho mandato in America a farsi le ossa, e il prossimo ce lo mando ad 11, e un altro ce lo
spedisco dalla sala parto. Perché "stare sotto i riflettori" non è una metafora, è proprio "luce" e lo capiamo tutti
perché ognuno di noi ha il suo quarto d'ora di gloria nella vita, e non è una metafora. Anch'io Robin sono capace
di raccontare e raccontarmi mille volte il mio momento di gloria. Cosa deve essere, rispetto alla mia, una vita da
Oscar, da attore amato? Una vita da uomo di successo?
Mi è difficile capirlo, ma capisco che dipendiamo dagli altri, dallo sguardo degli altri e che siamo tutti da
riabilitare come te che eri appena uscito da una clinica. Diciamo che vogliamo il cuore di qualcuno ma poi forse ci
accontentiamo solo dello sguardo di questo qualcuno, e non è la stessa cosa. Ma è facile sbagliarsi, è capitato a te,
Robin, capita a tutti, a me tantissimo. Perché la fama, il successo, imitano lo sguardo dell'amore, ma non sono
l'amore. Sono solo lo sguardo. Nel successo non c'è il cuore, ma solo lo sguardo della fama. E se si spegne questa,
se si chiude lo sguardo, può sembrare che manchi anche il cuore, l'amore. E se manca l'amore, manca la vita.
© Il Sussidiario


Ecco perché Peter Pan e il prof. Keating non lo hanno salvato
Gianluca Zappa

Quando muore una star, specialmente poi se in modo tragico, come Robin Williams, si corre il rischio di fermarsi
al sentimento, reagendo in modo epidermico. Se poi è una star del cinema, il rischio è anche un altro: quello di
sovrapporre l’uomo col suo vissuto ai personaggi che ha interpretato. Sappiamo che non si può fare: per restare
in tema di attori comici (e spostarci in casa nostra) il nobiluomo Antonio De Curtis era molto diverso, nella vita
quotidiana, dal personaggio di Totò; era molto più chiuso e poco divertente. E Alberto Sordi non era certo quel
figlio di buona donna di molti suoi indimenticabili personaggi.
Con Robin Williams non si deve fare eccezione. Si potrà ricordarlo nei panni di Peter Pan, del prof. Keating, di
Mrs. Doubtfire, di Patch Adams, sempre però tenendo presente che lui, Robin, era un’altra cosa, un’altra persona.
Questo ci aiuta anche ad affrontare il contraccolpo del suo suicidio: era un uomo come tanti, non il personaggio di
una commedia costruito sulla base di una precisa sceneggiatura. Non possiamo scambiare la realtà con la
finzione.
Detto questo, va però aggiunto che nel caso specifico l’uomo e il personaggio si avvicinano molto, almeno nel
desiderio. Robin Williams viene descritto da tutti come un filantropo, un umanitario, e dobbiamo dire che molti
dei suoi personaggi dimostrano una particolare attenzione ai problemi e ai dolori degli altri. I suoi film (per la
maggior parte) toccano temi importanti e non sono mai banali. Ne L’attimo fuggente si affrontano i desideri
degli adolescenti, il loro difficile rapporto col mondo degli adulti, il bisogno di avere una guida, un maestro (come
bene rilevava Beppe Severgnini sul Corriere); Goodmorning Vietnam si cala nella tragedia della guerra; Mrs.
Doubtfire entra nel dramma delle coppie separate e dei loro figli; Patch Adams si prende carico dei dolori dei
bambini malati; lo stesso Hook è ricco di significati e di spunti che ne fanno qualcosa di più di una rivisitazione
di Peter Pan (non ultimo, ancora una volta, il rapporto genitori-figli). Un film come Al di là dei sogni si confronta
poi con le grandi domande dell’uomo di fronte al mistero della morte.
Difficile credere che l’attore si sia solo limitato a subire dei personaggi che gli venivano imposti. Leggo che
almeno in un caso (quello di Mrs. Doubtfire) si attivò per cambiare il finale del film (che i produttori avrebbero
voluto con una rassicurante restaurazione dell’unità familiare), in quanto secondo lui sarebbe stato irrealistico e
avrebbe ingenerato false speranze nei figli dei divorziati.
Insomma, Robin Williams c’entrava coi suoi personaggi, voleva dire qualcosa alla gente attraverso di essi. La sua
comicità è didattica, contiene un messaggio, una proposta. E allora vale la pena di chiedersi quale sia questa
proposta. Forse non tutti ricordano il nichilismo del prof. Keating, che ripete ai suoi ragazzi “siamo cibo per
vermi”, solo questo e nient’altro.
A partire da un tale nichilismo, la proposta è quella di spendersi per gli altri, di fare qualcosa per essi, per
alleviare la loro sofferenza e anche per cercare di dare un senso al desiderio di felicità che l’uomo si porta dentro.
E’ la religione dell’umanità, quella dei personaggi di Williams, che vivono in una dimensione orizzontale. Lo
stesso invito al carpe diem vuole essere un rimedio a vivere con intensità la vita finché si può farlo, coscienti che
presto questo sarà impossibile.
Quando c’è bisogno di una risposta metafisica, il personaggio di Williams può solo regalare un’illusione, un
sogno, senza ragioni, e il suo sorriso è mesto, se non triste, come se ci fosse dentro la coscienza di uno scacco.
Bisogna accontentarsi: di un padre-mammo che non può più essere padre; di una vita che non può essere piena
come si desidera; di credere nelle fate, anche se le fate non esistono.
Nel momento culminante di Hook, Capitan Uncino profetizza al ritrovato Peter Pan che il giorno dopo si
sveglierà, ritrovandosi alcolizzato e ossessionato dal successo (una frase che fa impressione, se si pensa alla fine di
Williams). Peter reagisce e vince perché ha intorno persone che dicono di credere in lui. Bello. Ma come si fa a
volare con i propri pensieri felici, quando si sta nella depressione?
E di fronte alla morte, qual è la risposta? Cosa c’è di là? L’oltretomba inquietante di Al di là dei sogni, figlio di
una metafisica molto new age? Può essere una risposta alla propria morte e a quella dei propri cari (compreso il
suicidio di una moglie)?
La ricetta dei personaggi di Robin Williams non salva dalla depressione e dalla disperazione. Si può riscoprire il
Peter Pan che c’è dentro di sé e in un momento di euforia gridare che la vita è un’avventura meravigliosa. Ma la
vita, quella vera, con le sue contraddizioni e la sua pesantezza, richiede una speranza molto grande e piena di
ragioni (e non esiste nessuna polverina magica da spargersi addosso). Si può fare il mammo sorprendente e
divertente, ma “divorziare è costoso - sono parole dell’attore – ti svuota il cuore attraverso il portafoglio”.
La religione dell’umanità fallisce, con un sorriso triste. Lo stesso indimenticabile sorriso di Robin e dei suoi
personaggi.
© Il Sussidiario.




>>> "Carpe Diem", dal film "L'attimo fuggente"



αποφθεγμα Apoftegma



Adorare il Signore vuol dire dare a Lui il posto che deve avere; 
affermare, credere, non però semplicemente a parole, 
che Lui solo guida veramente la nostra vita; 
vuol dire che siamo convinti davanti a Lui che è il solo Dio, 
il Dio della nostra vita, il Dio della nostra storia.
Questo ha una conseguenza nella nostra vita: 
spogliarci dei tanti idoli piccoli o grandi che abbiamo e nei quali ci rifugiamo, 
nei quali cerchiamo e molte volte riponiamo la nostra sicurezza. 
Sono idoli che spesso teniamo ben nascosti; 
possono essere l’ambizione, il carrierismo, il gusto del successo, 
il mettere al centro se stessi, 
la tendenza a prevalere sugli altri, 
la pretesa di essere gli unici padroni della nostra vita, 
qualche peccato a cui siamo legati, e molti altri. 

Papa Francesco

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