Santa Maria,

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venerdì 8 agosto 2014

Edith Stein - S. Teresa Benedetta della Croce, patrona d'Europa... un pozzo di sorprese infinite

Agosto BLOG sempre aperto

Edith Stein, un pozzo di sorprese infinite <<< Kairòs



di P. Ricci Sindoni
Cosa è che fa “grande” un filosofo? Se lo chiedeva Karl Jaspers nella sua monumentale ricerca dedicata appunto ai “Grandi Filosofi”, dove senza timore inseriva accanto a Platone, Agostino e Kant, anche Buddha, Confucio e Gesù. Certo un pensatore non è grande per la mole delle indagini che ha compiuto e neppure per le altezze speculative che ha elaborato, quanto piuttosto per la sua capacità di essere insieme legato al proprio tempo e di superarlo, mostrando il carattere sovrastorico del suo pensare, che ce lo rende nostro contemporaneo. 
È grande, insomma, il filosofo che è in grado di tradurre le sue esperienze di pensiero in forze vive per il presente, che è capace di arrecare al mondo un contenuto comunicabile prima inesistente, che esprime non tanto l’originalità delle sue intuizioni teoretiche, quanto la sua tensione a toccare la fonte dell’origine perenne del vivere e del pensare. 
Singolare e tragica appare, in tal senso, l’inequivocabile grandezza di Edith Stein, irrigidita nel tempo in icone stereotipate che l’hanno vista ora pensatrice pedissequamente allineata al maestro Husserl, ora fenomenologa "tomista", ora teorica della mistica, ed ancora filosofa del pensiero femminile ed anche espressione di una nuova filosofia cristiana. Morta da ebrea ad Auschwitz nel pieno delle sua maturazione intellettuale, è celebrata oggi da santa nel mondo cattolico che la riconosce, grazie a Giovanni Paolo II, con il titolo di Dottore della Chiesa. 
Quanti volti per un’unica persona! È forse l’impossibilità di vederla irripetibile e presente in tante vie, apparentemente inconciliabili, che la rende inafferrabile e lontana, se è vero che la sua grandezza stenta ad imporsi nel panorama, peraltro misero, della filosofia contemporanea. A tale questione cerca di rispondere "Ripartire da Edith Stein. La scoperta di alcuni manoscritti inediti", bellissimo volume a cura di Patrizia Manganaro e Francesca Nodari (Morcelliana, pp. 492, euro 35), dove un nutrito drappello di studiosi di varie nazioni si incontrano per rileggerne la grandezza, partendo da prospettive assai diversificate, eppure tenute insieme dalla tenacia di valorizzarne la imponente statura intellettuale.
Né si pensi che i molti contributi, che appaiono in questa opera, siano il risultato di ricerche episodiche ed indipendenti fra di loro: l’originalità della "scuola fenomenologica" è proprio quella di aver creato, sin dai primi decenni del Novecento, una comunità di studiosi che insieme condividono riflessioni e scoperte, che amano incontrarsi intorno alle questioni essenziali, che creano perciò una autentica comunità spirituale, in grado di riaccendere – sempre e di nuovo, come diceva Husserl – l’autentica passione del pensare, mettendo in moto energie antiche e nuove, sorte dall’incontro delle diverse generazioni di studiosi.
Concepito inizialmente come pubblicazione degli Atti del convegno, tenuto a Bari nell’aprile del 2013 e curato ottimamente dalla due studiose, il volume si è arricchito di un notevole repertorio di studi critici, inaugurato l’anno precedente dall’imponente lavoro di Francesco Alfieri (Die Rezeption Edith Steins. Internationale Edith Stein Bibliographie. 1942-2012), che ha senza dubbio segnato una ripresa entusiasta degli studi steiniani. Raccogliendo in cinquecento pagine i quasi tremila titoli, relativi alle ricerche sull’illustre fenomenologa, l’instancabile ricercatore italiano non ha certo inteso presentare una neutra raccolta di studi sul tema, quanto riaccendere l’entusiasmo sulle nuove piste di lavoro, che qui si intravedono e che richiedono nuovi sforzi per rileggere le pagine dense e ricche delle opere della Stein. 
Un esempio su tutti: il lavoro sull’empatia, scritto dall’ allora giovanissima fenomenologa nel 1917, contiene alcune profonde intuizioni su questo vissuto soggettivo, che solo in questi ultimi anni ha avuto riscontro anche in alcuni importanti risultati delle scienze neurologiche. Il carattere innovativo di questa dissertazione è ancora tutta da valorizzare nella sua pienezza e certo la scoperta di alcuni inediti sul tema fanno pensare a quanto di prezioso contiene questa opera, tradotta in Italia negli anni 80 del secolo scorso e valorizzata in prevalenza all’interno della eccellente scuola fenomenologica italiana, diretta da Angela Ales Bello. 
Ma le sorprese non finiscono qui, perché è dalla scoperta di numerosi carteggi inediti, che sembra riproporsi con forza, quasi come un fiume sotterraneo sempre colmo di acque che riemergono improvvisamente, la grandezza di questa protagonista del pensiero novecentesco. Vale la pena raccontare un episodio significativo: si deve ancora al giovane Alfieri il ritrovamento di un prezioso carteggio intercorso tra Edith Stein e il fenomenologo polacco Roman Ingarden, un plico di 164 lettere per un totale di 354 pagine stenografate, di proprietà della filosofa americana Anna-Theresa Tymieniecka, recentemente scomparsa. 
Il progetto filosofico di quest’ultima, purtroppo rimasto incompiuto, mirava a ricostruire le origini del movimento fenomenologico che si andava costituendo intorno al maestro Husserl, così che attraverso la lettura di questo e di altri documenti ancora inediti se ne può tracciare «una immagine vivente, la vita filosofica vista dall’interno», secondo le parole della stessa Tymieniecka. Compito affascinante ed unico che rimane in preziosa eredità a quanti oggi potranno rivedere e reimpostare le loro ricerche su Edith Stein e sul suo insostituibile contributo all’interno della allora giovane comunità fenomenologica.

Prima di entrare nel Carmelo
Edith Stein, Vergine e Martire, Patrona  <<< BIOGRAFIA


La Chiesa ricorda Santa Teresa Benedetta della Croce, Patrona d'Europa  <<< RadioVaticana

La Chiesa celebra il 9 agosto Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, religiosa carmelitana, ebrea convertita al cattolicesimo e uccisa in quanto ebrea ad Auschwitz nel 1942. Canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998 è stata proclamata l’anno dopo Patrona d'Europa insieme a Santa Caterina da Siena e Santa Brigida di Svezia. Qual è il cardine della spiritualità di Edith Stein? Monia Parente lo ha chiesto alla prof.ssa Lodovica Maria Zanet, docente di filosofia presso l'Università Cattolica:
R. - Edith Stein come filosofa e fenomenologa si è sempre lasciata guidare da un’unica ma determinante domanda: chi sono io? Chi è la persona umana? Tutte le sue pubblicazioni - tra queste si può ricordare almeno l’ultima scritta, quando era già carmelitana, dal titolo “Essere finito ed essere eterno” -, ruotano intorno al desiderio, ma direi di più, al bisogno vitale di poter dare una risposta a tale interrogativo per sé e per gli altri. Edith, ormai cattolica e consacrata, scopre però che una piena risposta a questa domanda non può venire solo o tanto dall’intelligenza umana - che pure ha un valore straordinario -, ma mettendosi in ascolto di Colui che ha creato l’uomo e lo chiama alla comunione con sé: Dio. Edith Stein credo che, anche ripercorrendo in retrospettiva la sua vita, abbia sperimentato l’amore fedele di Dio che, con pazienza, l’ha accompagnata e l’ha aspettata anche quando le sue scelte apparentemente si allontanavano da ciò a cui era chiamata. Impara, con il tempo, a rispondere lei stessa in prima persona alla fedeltà di questo amore.D. – Qual è il cardine della spiritualità di Edith Stein?R. - Come ha ricordato Papa Giovanni Paolo II in un’intensissima omelia pronunciata in occasione della sua canonizzazione nel 1998, “ … è questo il punto cardine della spiritualità di Edith, che si può riassumere attraverso la parola “croce”. La croce è, per chi crede, quel luogo in cui sofferenza e amore si intrecciano. Parlando di Edith, il Papa diceva: “Chi ama davvero - ed è una citazione - non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza; accetta la comunione nel dolore con la persona amata”. Credo che questo sia centrale in Edith Stein e che sia anche un grande messaggio che lei vuole dare a noi. Edith non ha mai rimosso la sofferenza, ma l’ha accolta e l’ha attraversata con coloro che l’amavano e che lei amava: il Signore, la comunità cristiana, la Germania e l’Europa del suo tempo e il popolo ebraico con cui riscopre una profondissima sintonia.D. – Edith ha vissuto profondamente, fino al martirio, la storia del suo tempo …R. - Edith è stata una carmelitana, e l’ordine carmelitano si ispira al profeta Elia, quindi ha questa attenzione profetica verso la storia. Mi pare che la vita di Edith sia estremamente significativa, perché tutte le scelte di questa donna si sono sempre mosse al passo con la storia in cui era immersa. Lei oggi, come del resto tutti i veri santi, non ci propone un messaggio magari valido in sé, ma decontestualizzato; al contrario, è capace di leggere i segni dei tempi e aiuta i contemporanei, ma l’uomo di ogni periodo storico, a decifrarli, a comprenderli, non perché Edith dica cose future, ma perché alla luce della preghiera, della Croce di Cristo, riesce a penetrare nel presente svelando qualcosa del suo senso ultimo. Penso che questo sia un grande messaggio. Credo che Edith Stein forse si commuova molto nell’essere oggi ricordata come compatrona d’Europa, perché in tal modo affianca quel San Benedetto che, appena convertita, è stato suo maestro nella vita di preghiera e liturgica quando decideva di passare ogni Settimana Santa presso una grande abbazia del tempo che era quella di Beuron. 
(Tratto dall'archivio della Radio Vaticana)


Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)
La conversione segnò tra Edith e la madre ebrea una profonda lacerazione, che doveva ulteriormente e misteriosamente superarsi quando Edith scelse l'ingresso al monastero carmelitano... donboscoland.it

SANTA TERESA BENEDETTA DELLA CROCE 

Edith Stein nacque nel 1891 a Wroclaw – Breslau in Germania. Nata e formata nella religione giudaica, insegnò egregiamente per diversi anni filosofia, tra grandi difficoltà. Accolse la vita nuova in Cristo attraverso il sacramento del Battesimo e, preso il nome di Teresa Benedetta della Croce, fece il suo ingresso tra le Carmelitane scalze di Colonia, dove si ritirò nella clausura. Durante la persecuzione nazista, esule in Olanda, venne catturata e nel 1942 deportata nel campo di concentramento di Oswiecim – Auschwitz presso Cracovia in Polonia, dove venne uccisa nella camera a gas. 




Teresa Benedetta della Croce Edith Stein (1891-1942)
Teresa Benedetta della Croce Edith Stein (1891-1942) 
monaca, Carmelitana Scalza, martire  





LA SETTIMA STANZA (LE SETTE DIMORE)

Le Sette dimore


(Tratto dal film "La settima stanza", questo video traccia uno scorcio 

dell'esperienza maturata da Edith grazie agli Scritti di s.Teresa d'Avila)
Scena tratta da "La settima stanza" di Marta Meszaros (1995): Edith Stain parla delle "sette dimore" di Santa Teresa D'Avila, il cammino per entrare al centro di noi stessi.


(Conferenza tenuta da P. Armando Rosso OCD ad Albareto (PC)
presso il Centro “La Vite e i tralci”

Domenica 28 Marzo 1999)





L'ANNUNCIO
Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che, prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo.Cinque di esse erano stolte e cinque sagge;le stolte presero le lampade, ma non presero con sé olio;
le sagge invece, insieme alle lampade, presero anche dell'olio in piccoli vasi.
Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e dormirono.
A mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro!
Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade.
E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono.
Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene.
Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa.
Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: Signore, signore, aprici!
Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora.
 (Dal Vangelo secondo Matteo 25, 1-13) 



Il cristianesimo è una cosa seria, non è sentimentalismo e amore sdolcinato. E' una missione, e chi è chiamato ad essere cristiano, deve sapere che diventarlo significa essere trasformati in sale, luce e lievito del mondo, offrendo se stesso per salvezza di ogni uomo. Le "dieci vergini" erano delle damigelle di onore allo sposo che, secondo la tradizione ebraica, dovevano accompagnare alla casa della sposa e da qui alla sala del banchetto. Loro compito era tenere accese le lampade e per questo avevano anche un "piccolo vaso" che conteneva l'olio di riserva. Esse rappresentano i chiamati ad essere cristiani ai quali è stata donata la primogenitura: i cristiani sono chiamati a fare da corona allo Sposo quando tornerà, a sedere sui troni accanto a Lui e a giudicare le Nazioni. Essi sono promessi a un unico sposo, per essere presentati quali vergini caste a Cristo (cfr. 2 Cor. 11,2). Ma non tutti i chiamati saranno eletti (Mt. 22,14). Per questo, il brano di oggi descrive l'ultima tappa dell'iniziazione cristiana, così come avveniva nella Chiesa primitiva attraverso il catecumenato, quando il nome del catecumeno era iscritto nel libro della vita e poteva passare al battesimo. Nel cuore della notte di Pasqua, infatti, un grido li destava: "ecco lo sposo!" E' risorto, "andategli incontro". Allora i catecumeni si alzavano dal sonno, dalle acque della morte di cui sono immagine quelle del battesimo; ormai "vergini", cioè rinnovati e senza peccato originale, con le lampade risplendenti delle opere che lo Spirito Santo aveva compiuto in loro durante l'iniziazione cristiana, andavano ad accogliere il Signore che li conduceva con Lui al banchetto dell'Eucarestia, culmine e fonte della liturgia e del catecumenato. Anche per noi, la chiamata che abbiamo accolto nelle diverse circostanze, ha inaugurato un cammino attraverso la storia reale e concreta di ciascuno per giungere alla maturità della fede. Creati a sua immagine dobbiamo crescere in esso perché, al giungere dello Sposo, al termine del catecumenato come poi alla fine del mondo, Egli possa "riconoscerci" quali suoi fratelli, chiamarci, destarci e farci nascere alla vita che non muore. Per questo, le nozze eterne si preparano durante tutta la vita. Un fidanzamento, un matrimonio, il ministero presbiterale, la consacrazione religiosa, la maternità e la paternità, anche un'amicizia, non sono cose di un momento, non sono avventure e passioni, roba da grandi quanto effimeri entusiasmi. Tutto si costruisce passo dopo passo, attraverso la fedeltà nelle piccole cose: "afferro le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario" (Card. Van Thuan). La saggezza è questa fedeltà paziente e semplice; la stoltezza è la superficialità che disprezza il sacrificio quotidiano aspettando il grande slancio, le emozioni forti. la "sapienza" è l'umiltà fondata nella verità. La "stoltezza" è la superbia radicata nella menzogna. La vita è molto seria, e quella eterna ce la giochiamo qui, come ogni uomo; per questo il cristianesimo è quanto di più serio vi sia. Solo percorrendo un serio cammino di conversione potremo ascoltare il grido che annuncerà l'arrivo dello Sposo e trovarci pronti per entrare con Lui nelle nozze. I "piccoli vasi" indicano le orme che precedono i nostri passi: essi sono immagine delle piccole occasioni che Dio ci offre nella nostra storia; è in esse che occorre essere fedeli, pronti, colmi di olio. Per questo la vera saggezza è procurarsi l'olio dello Spirito Santo, rinnovare ad ogni evento della vita l'Alleanza che ci fa primogeniti. Ci si può addormentare, siamo deboli, ma è proprio nella debolezza che si manifesta la potenza di Dio. Anche Adamo si è addormentato, e fu vita tratta dalla sua stessa carne. Anche Abramo fu preso da un torpore, e fu l'Alleanza incorruttibile. Anche i discepoli cedettero agli occhi appesantiti, e fu il compimento definitivo della Volontà di Dio. In comune tutti hanno la propria debolezza e il potere di Dio: è Lui che fa tutto, perché Dio dona il pane ai suoi amici nel sonno: mentre dormiamo pulsa la vita autentica, ed è il mistero a cui siamo chiamati, la vita nella morte. La primogenitura è, essenzialmente, vivere senza timore nel sonno della morte che ogni giorno prende le nostre vite, tenendo desto il cuore colmo di Spirito Santo. E ciò accade se camminiamo nella Chiesa, se alimentiamo i piccoli vasi con l'ascolto della Parola di Dio, con i sacramenti, con la frequenza alle liturgie; nel seno della Chiesa, infatti, impariamo a nutrire l'uomo nuovo che vi è gestato: e ogni gravidanza inizia con un "ritardo"... Per questo il ritardo del Signore è fecondo, perché in esso si cela il suo mistero di Pasqua, di vita che distrugge la morte. Gli stessi verbi utilizzati da Matteo rimandano a questo significato: le vergini si "destano" come il Signore si "desta" dalla morte! Il ritardo è l'occasione per crescere nell'amore, per prepararsi all'incontro con lo Sposo, per assomigliare a Lui in tutto. Così ogni ritardo nella nostra vita, quello della moglie nello stirare la camicia e del marito nel comprendere le esigenze della sposa, quello dei figli nell'obbedire e dei genitori nell'ascoltare i figli, quello del corpo che non ce la fa a guarire, quello del datore di lavoro nel promuoverci o nel darci le ferie o lo stipendio; tutto ciò che ritarda il compimento dei nostri desideri e delle nostre speranze costituisce l'occasione per vivere come primogeniti che hanno i nomi iscritti nei cieli, pronti al sacrificio, a crocifiggere la propria carne con le sue passioni, e a vivere la vita nuova secondo lo SpiritoEssere "vigilanti" è, secondo il grande esegeta H. Schlier, essere sobrii, che "significa vedere e prendere le cose così come esse sono». Prenderle anche quando richiedono un sacrificio, che è l'unico polo capace di attrarre l'attesa e tenerla desta orientandola verso la bellezzaSan Paolo, dopo aver ricordato ai Galati che “il tempo è breve”, conclude dicendo: “Dunque, fino a quando abbiamo tempo, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede!”. Operare il bene che lo Spirito Santo ispira e compie attraverso di noi, nei fatti e con le persone di ogni giorno: il lavoro con le sue difficoltà, le occasioni per prendere su di sé le pratiche dei colleghi e, per amore, rinunciare al proprio prestigio; il fidanzamento ancorato alla speranza di veder compiuto il desiderio di amare, attraverso il combattimento per la castità, per il rispetto, per la libertà dell'altro, imparando nei piccoli frammenti di vita a rinunciare a se stessi; il matrimonio aperto alla vita, alla volontà di Dio, nelle occasioni di fedeltà che si presentano ogni giorno, nella pazienza e nel dono del proprio tempo, dei propri gusti, accompagnando il coniuge, in tutto, verso l'obbedienza a Cristo; i genitori a cui obbedire anche nelle cose più banali, come lavare i piatti, rifare il letto e lavarsi i denti; la scuola nella quale approfittare per imparare a fare anche ciò che non piace, rinunciando alle più allettanti e gratificanti per compiere la volontà di Dio; la vita religiosa nella quale cogliere l'occasione per obbedire ai superiori, che ci appaiono così spesso meno perspicaci e illuminati di noi, per imparare ad ancorare la vita in Cristo e non negli uomini attraverso i quali Egli ci parla. Tutto quello che ci è dato di vivere è un'occasione per crescere e prepararsi all'ultima opportunità, quella che ci attende sulla soglia del banchetto escatologico. Solo gli stolti si lasciano scappare i kairos pieni di amore, i fatti e le persone che Dio ci invia ogni giorno perché siano vissuti cristianamente, intrisi cioè nell'unzione del Crisma profetico, sacerdotale e regale. In tutto come profeti del Cielo, re della carne e dei suoi desideri, sacerdoti che intercedono per ogni uomo. Le vergini stolte sono, infatti, immagine di chi non persevera nelle opere di Cristo, preferendo, per sciatteria e superficialità, le proprie. Dormono ma il loro cuore non veglia. Ogni relazione, ogni esperienza è per loro come quella di un corpo addormentato dopo un'ubriacatura, preda di sogni e passioni, ma incapace di cogliere la realtà nella sua essenza. Vivono tutto addormentate nel sonno drogato della carne, con il cuore assente e vuoto, come i loro piccoli vasi. Non possono colmare d'amore le occasioni che Dio dona loro. Fanno, disfano e non resta nulla: opere morte, opere addormentate. Così è di tanti matrimoni, di tanti fidanzamenti, di tante amicizie: "Invece che spalancare le braccia ad abbracciare il mondo, si vuole ridurre l'abbraccio all'oggetto che piace, che ci è davanti, e così uno lancia le braccia - secondo il paragone dell'Eneide - e stringe il nulla, abbraccia e stringe il niente" (Mons. Luigi Giussani). Sono stolte perché nemmeno si rendono conto di essere state chiamate ad accompagnare lo Sposo, ad esserne le damigelle d'onore; hanno dimenticato l'abito nuziale, l'olio per le lampade, la primogenitura: sono stolte perché senza memoria. Hanno, come tanti di noi, partecipato al memoriale della Pasqua del Signore, sorgente e compimento della vocazione, ma non hanno mai rinnovato nulla, non hanno mai accolto davvero la Grazia offerta dalla Chiesa: sacramenti, preghiere, riunioni, forse anche buone opere, ma tutto come vasi forati, incapaci di trattenere lo Spirito Santo. Stolte come chi pensa di poterla comunque sfangare alla fine, anche se nella vita ha sempre schivato il sacrificio, le piccole occasioni, dissipando l'olio ricevuto senza provvederne dell'altro. La stoltezza è negare la Croce, ed è sempre opera dell'anticristo che nega l'incarnazione, le piccole occasioni dove incontrare il Signore. Ma, alla resa dei conti, la stoltezza si rivela per quello che è: zizzania cresciuta accanto al grano, buona solo per essere gettata fuori. Si muore come si è vissuti: benedicendo per chi ha benedetto; amando per chi ha amato. Per questo, come alla fine della vita, anche ogni giorno occorre pensare seriamente e saggiamente a se stessi. Vi sono cose che nessuno potrà mai fare per noi. Non è possibile distribuire l'olio destinato a ciascuno, perché non ne venga a mancare a tutti. Si può amare, pregare, offrire la propria vita, ma l'olio dello Spirito Santo capace di far compiere le opere per le quali siamo predestinati, quello è dono esclusivo di Dio. A Lui bisogna chiederlo al tempo opportuno. Non c'è sentimentalismo o pietismo che tenga: nulla possiamo anteporre a Cristo. Nulla all'obbedienza e all'intimità con Lui. Vi è sempre un ordine fondamentale, perduto il quale si inciampa e ci si perde: una madre non può trascurare il proprio rapporto con il Signore per tentare di aiutare suo figlio. Sarebbe assorbita dalle stesse sabbie mobili. Così per ogni relazione: quanti ragazzi distruggono la propria vita per tentare di salvare l'amico o la fidanzata drogata, perdendo il proprio olio e non offrendo nulla se non la propria indifesa debolezza. E' Cristo e solo Lui che scende nella morte, che perdona e risuscita: noi possiamo e siamo chiamati ad annunciarLo, a condurre al suo trono di misericordia chi amiamo, non a sostituirci a Lui. Per questo l'amore autentico agli altri sorge da un'intimità profonda con il Signore: spesso è meglio parlare a Dio delle persone che alle persone di DioLa libertà è la firma di Dio nella vita di ciascuno e spesso ci procura dolore; la stoltezza di un figlio, di un amico, di una persona cara ci spezza il cuore, ma non possiamo sostituirci a lui. L'unico che è morto al posto di ciascuno di noi è Cristo! Amare autenticamente, saggiamente, è dunque curare il nostro cuore, tenerlo desto, ricevere e custodire lo Spirito Santo perché in noi ogni stolto possa incontrare Lui, e, se ancora in tempo, accogliere il suo amore.


APPROFONDIMENTI





 αποφθεγμα Apoftegma


Io temo che il nemico renda inquieti alcuni di voialtri, 
proponendovi cose ardue e grandi per il servizio di Dio 
e che fareste se vi trovaste in altre parti da quelle dove ora state.
Pertanto ognuno di voi, nei luoghi ove si trova, 
s'impegni molto per trarre profitto prima per sé 
e poi per gli altri, 
avendo per sicuro che in nessun'altra parte può servire tanto Dio 
come laddove uno si trova per obbedienza, 
confidando in Dio nostro Signore
In questa maniera farete progressi nelle vostre anime 
vivendo confortati e utilizzando bene il tempo 
che è una cosa tanto preziosa, 
pur senza essere conosciuta da molti, 
dato che sapete quale stretto conto 
dovrete rendere di esso a Dio nostro Signore. 
Infatti, dato che non rendete alcun frutto 
poiché non state nei luoghi dove desiderereste trovarvi, 
cosi, allo stesso modo, nei luoghi dove ora state 
non trarrete alcun profitto né per voi né per gli altri, 
avendo i pensieri e i desideri occupati altrove.
Inoltre coloro che si ritengono qualcosa, 
facendo assegnamento su loro stessi più di quanto non valgano, 
disprezzando le cose umili 
senza essersi molto esercitati e avvantaggiati vincendosi in esse, 
sono più deboli durante i grandi pericoli e travagli perché, 
non portando a termine quello che avevano cominciato, 
perdono il coraggio per le piccole cose 

allo stesso modo con cui lo avevano perduto per le grandi.


San Francesco Saverio, Lettera 90

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