Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

venerdì 31 gennaio 2014

01 / 02/ 2014 - Aula Paolo VI, ore 11.45 Udienza ai rappresentanti del Cammino Neocatecumenale ...

UDIENZA DEL PAPA COL CAMMINO NEOCATECUMENALE.

 I COMMENTI 

ilnestrosesansespine >>>  *in questo post i video)


Comunità Neocatecumenali:

 50 anni di buoni frutti


Riflessione del giornalista teologo Gennari dopo l’incontro

 tra il Papa e l'assemblea del Cammino.


Sabato Francesco ha tenuto una sua “catechesi” papale a una festosissima assemblea delle Comunità Neocatecumenali ricevute in occasione del “mandato” missionario a decine di famiglie in partenza appunto per una “missione” in tanti paesi del mondo. L’incontro, ampiamente ripreso in diretta Tv dal Centro Televisivo Vaticano e trasmesso anche da “Tele2000”, si svolgeva nell’Aula delle Udienze strapiena e ha avuto una prima parte con l’intervento del “fondatore” delle Comunità, Kiko Arguello, che come sempre e da sempre ha parlato a lungo, appassionato e vibrante. 

Vedendolo e ascoltandolo è tornata alla mente anche la lunga serata in Brasile, ai margini della Giornata della Gioventù, nella quale avvenne anche allora l’incontro delle Comunità con Francesco: lunghissima introduzione di parole, canti, esortazioni e preghiere del Fondatore e dei suoi più vicini collaboratori e, dopo, un pensiero sostanziale, breve, ma ricco di contenuti, da parte di Francesco che richiama all’essenziale per tutti.

Anche sabato è andata così: il Papa è arrivato mentre già da molto tempo si festeggiava, si ascoltavano parole e anche canti da parte del Fondatore, ha ascoltato la parte che rimaneva e poi sorridente e vicino, fraterno e insieme sincero e… “papale” ha tenuto il suo discorso, breve, ma dai contenuti di grande rilievo, per chi conosce la storia della Chiesa degli ultimi 50 anni e in particolare delle Comunità neocatecumenali.

Questo discorso nella sua paterna chiarezza ha un valore di grande importanza.
In sostanza, sorridendo e guardando dritto ai suoi interlocutori, un insieme bellissimo di adulti e bambini, di giovani e anziani, di preti e laici, uomini e donne che hanno alle spalle lunghi anni di preparazione e davanti altri lunghi anni di “missione” nelle più diverse parti del mondo, Francesco ha ricordato tre cose essenziali. 

Eccole con le sue stesse parole.
La prima: “avere la massima cura per costruire e conservare la comunione all’interno delle Chiese particolari nelle quali andate ad operare (…) mettersi in ascolto della vita delle Chiese nelle quali i vostri responsabili vi inviano, …valorizzarne le ricchezze… soffrire per le debolezze se necessario, e camminare insieme… sotto la guida dei Pastori delle Chiese locali. La comunione è essenziale: a volte può essere meglio rinunciare a vivere in tutti i dettagli ciò che il vostro itinerario esigerebbe, pur di garantire l’unità (dell’) unica comunità ecclesiale, della quale dovete sempre sentirvi parte”.  

La seconda: “…vi farà bene pensare che lo Spirito di Dio arriva sempre prima di noi (…) Lo Spirito sempre ci precede…Anche nei posti più lontani, anche nelle culture più diverse…Da qui scaturisce la necessità di una speciale attenzione al contesto culturale nel quale voi famiglie andrete ad operare (…) Tanto più importante sarà il vostro impegno ad ‘imparare’ le culture che incontrerete…”.

La terza, infine: “…vi esorto ad avere cura gli uni degli altri, in particolare modo dei più deboli. Il Cammino Neocatecumenale…è una strada esigente, lungo la quale un fratello o una sorella può trovare delle difficoltà impreviste…La libertà di ciascuno non deve essere forzata, e si deve rispettare anche la eventuale scelta di chi decidesse di cercare, fuori dal Cammino, altre forme di vita cristiana che lo aiutino a crescere nella risposta alla chiamata del Signore”.

Parrebbero, e in fondo lo sono, parole da rivolgere a tutti i fratelli di ogni comunità cattolica, ma dette alle Comunità Neocatecumenali con la loro storia, ricca e complessa, la loro dinamica di presenza e azione in tante parti del mondo, cattolico o no, hanno un preciso significato certo fraterno, ma anche autorevolmente paterno e decisivo.

Primo: il rischio di sentirsi “Chiesa” con la “C” maiuscola e con una esclusiva forte, in autonomia dalla vita delle Chiese locali è da sempre presente in ogni nuova iniziativa ecclesiale. “Noi siamo Chiesa”, dove quel “noi” diventa più importante di “Chiesa”, non è solo qualcosa che riguarda movimenti detti di dissenso, ma è presente ovunque ci sia una esperienza ampia e profonda che inizia e vuole diffondersi, al punto da far credere che solo chi prende sul serio l’idea nuova, la parola e la regola del “fondatore”, chiunque esso sia, è davvero “la” Chiesa che serve in questo momento della storia… Di qui – storia che ha da sempre accompagnato il “neo catecumenale” – la tensione all’interno delle diocesi, della parrocchie, e talora l’assorbimento di tutta la realtà parrocchiale nell’unico sentiero della neocatecumenalità, con allontanamento di tante persone ed energie che dovrebbero poter convivere appunto nella “comunione” di tutti, in cammino con i Pastori.

Secondo, e conseguente al primo: il rischio di credere di aver diritto di cancellare tutto il passato di Chiesa altrui, quello che non ha il timbro di fabbrica del proprio “fondatore” e del regolamento della propria comunità è vissuto ovunque si arriva pensando di avere soltanto cose da insegnare, e nulla da “imparare”, perché si pensa di arrivare per primi con il “buon seme” della Parola eterna, senza pensare che ovunque andiamo il Signore ci ha già preceduto, in un modo magari misterioso, ma reale.

Terzo: l’idea che un fratello che ha iniziato il “cammino” con noi, nel momento in cui trova difficoltà ed esprime dubbi o perplessità va ammonito, spinto, forzato a rimanere adeguandosi a tutto oppure espulso con disonore, come traditore della fede e della Chiesa, identificata arbitrariamente con i confini della propria neo-comunità… Un difetto, questo, che siamo soliti verificare per esempio nella vita dei Testimoni di Geova, ma che a ben vedere è presente anche nelle comunità cattoliche, e non solo nei Neocatecumenali: l’idea che chi non è con noi non è cattolico, o che chi non vuole più essere con noi non solo non è più cattolico, ma è anche un traditore è una tremenda minaccia alla “carità” che poi è l’unica regola che nessuna rifondazione può smentire.

Sia chiaro: nessuno può negare che le comunità neocatecumenali hanno dato e danno tanti frutti positivi nella vita della Chiesa cattolica e della società moderna, e il “li riconoscerete dai frutti” è la regola di giudizio suggerita dal Signore stesso. Una storia di ormai quasi 50 anni parla per la bontà dei frutti, tanti, e le eventuali difficoltà non possono cancellare la sostanza bella e provvidenziale.

Un’appendice opportuna: personalmente conosco i Neocatecumenali dall’inizio della loro esperienza a Roma. Ero presente alle prime riunioni presso la chiesa dei Martiri Canadesi a viale XXI Aprile, ho incontrato in luoghi e circostanze diversi tanti neocatecumenali e tantissimi ottimi preti che guidavano “il Cammino” con frutti di conversione e di grazia diffusa… Credo di conoscere e stimare alcune coppie tra le prime a essere partite per la missione, provenienti dalla comunità parrocchiale della Natività di N. S. G. C. a Roma. Uno dei miei amici più antichi e cari, pur nella diversità di carattere e di impostazione di vita e anche di visione teologica, è da tanti anni Rettore del Seminario dei Neocatecumenali a Roma, “Redemptoris Mater”: ci vogliamo bene anche se ci vediamo raramente.

Evviva le Comunità neocatecumenali, dunque, che ora oltre l’approvazione degli Statuti hanno avuto anche questo speciale incoraggiamento di Francesco!

*

INTERVISTA AD UNA DELLE FAMIGLIE INVIATE

Diversi i cardinali e quasi un centinaio i vescovi presenti all’incontro del Cammino Neocatecumenale con Papa Francesco. Tra le oltre 400 famiglie del Cammino benedette dal Santo Padre, ben 174 prenderanno parte alle nuove 40 “missio ad gentes”. Sono mamme e papà che, con i propri figli, andranno in una terra lontana per portare l’amore di Cristo risorto. La testimonianza di alcuni di loro nell’Aula Paolo VI: 


R. - Sono sposata con Roberto da 25 anni e andremo in Asia, in missione con sette figli. Ci siamo resi disponibili a vivere questa esperienza di evangelizzazione perché siamo molto grati al Signore per tutto quello che ha fatto in tutti questi anni. Abbiamo visto veramente che vale la pena lasciare tutto per Lui.

R. - Gesù Cristo lo sento dentro e mi spinge ad andare in Bulgaria a portare il suo amore...

R. - Ho undici anni e sono arrivata in missione da quando ne avevo tre. All’inizio ero un po’ triste ma adesso sono felice, anche se non è il mio Paese di nascita.

D. - Papa Francesco ha invitato tante volte ad evangelizzare le periferie esistenziali ...

R. - Certo. In questo senso vediamo come la Francia sia una periferia: ci sono molte persone che hanno rinnegato il loro Battesimo o le loro radici cristiane. Quindi, ci rende onorati ricevere la croce della missione da Papa Francesco!

R. - Siamo contentissimi di cominciare questa nuova "missio ad gentes" in Finlandia, dove fa molto freddo ... ma abbiamo visto che le persone hanno un grande bisogno di vedere queste nuove famiglie con tanti figli. L'amore che si crea tra le famiglie vale molto più di tante catechesi o discorsi.

R. - È molto bello, anche perché vedono la nostra famiglia unita ... Le loro famiglie non sono sempre unite, spesso i genitori sono separati. Vederci uniti li colpisce.

R. - Certo, abbiamo paura per i nostri figli, però siamo contenti! Non ci aspettiamo di convertire nessuno ma ci aspettiamo di trovare - noi per primi - Gesù Cristo, perché Lui dice: “Chi lascia tutto riceve il centuplo”. E lo speriamo anche per noi!
 Radio Vaticana 

Papa Francesco alle Comunità del Cammino Neocatecumenale


Neocatecumenali: video >>> INVIO DELLE FAMIGLIE IN MISSIONE 

UDIENZA DEL PAPA - Aula Paolo VI° 01.02.2014


Papa Francesco alle Comunità del Cammino Neocatecumenale: “Avere la massima cura per costruire e conservare la comunione all’interno delle Chiese particolari nelle quali andrete ad operare e una speciale attenzione al contesto culturale nel quale voi famiglie andrete ad operare” 

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Cari fratelli e sorelle,
ringrazio il Signore per la gioia della vostra fede e per l’ardore della vostra testimonianza cristiana. (...) Vi saluto tutti cordialmente, ad iniziare dall’Équipe responsabile internazionale del Cammino Neocatecumenale, insieme ai sacerdoti, ai seminaristi e ai catechisti. Un saluto pieno di affetto rivolgo ai bambini, presenti qui in gran numero. (...) Il mio pensiero va in modo speciale alle famiglie, che si recheranno in diverse parti del mondo per annunciare e testimoniare il Vangelo. La Chiesa vi è grata per la vostra generosità! Vi ringrazio per tutto quello che fate nella Chiesa e nel mondo.
E proprio a nome della Chiesa, nostra Madre, (...) vorrei proporvi alcune semplici raccomandazioni. La prima è quella di avere la massima cura per costruire e conservare la comunione all’interno delle Chiese particolari nelle quali andrete ad operare. Il Cammino ha un proprio carisma, una propria dinamica, un dono che come tutti i doni dello Spirito ha una profonda dimensione ecclesiale; questo significa mettersi in ascolto della vita delle Chiese nelle quali i vostri responsabili vi inviano, a valorizzarne le ricchezze, a soffrire per le debolezze se necessario, e a camminare insieme, come unico gregge, sotto la guida dei Pastori delle Chiese locali. La comunione è essenziale: a volte (...) può essere meglio rinunciare a vivere in tutti i dettagli ciò che il vostro itinerario esigerebbe, pur di garantire l’unità tra i fratelli che formano l’unica comunità ecclesiale, della quale dovete sempre sentirvi parte.
Un’altra indicazione: dovunque andiate, vi farà bene pensare che lo Spirito di Dio arriva sempre prima di noi. Il Signore sempre ci precede! (...) Anche nei posti più lontani, anche nelle culture più diverse, Dio sparge dovunque i semi del suo Verbo. Da qui scaturisce la necessità di una speciale attenzione al contesto culturale nel quale voi famiglie andrete ad operare: si tratta di un ambiente spesso molto differente da quello da cui provenite. Molti di voi faranno la fatica di imparare la lingua locale, a volte difficile, e questo sforzo è apprezzabile. Tanto più importante sarà il vostro impegno ad “imparare” (...) le culture che incontrerete, sapendo riconoscere il bisogno di Vangelo che è presente ovunque, ma anche quell’azione che lo Spirito Santo ha compiuto nella vita e nella storia di ogni popolo.
E infine, vi esorto ad avere cura con amore gli uni degli altri, in particolar modo dei più deboli. Il Cammino Neocatecumenale, in quanto itinerario di scoperta del proprio Battesimo, è una strada esigente, lungo la quale un fratello o una sorella possono trovare delle difficoltà impreviste. In questi casi l’esercizio della pazienza e della misericordia da parte della comunità è segno di maturità nella fede. La libertà di ciascuno non deve essere forzata, e si deve rispettare anche la eventuale scelta di chi decidesse di cercare, fuori dal Cammino, altre forme di vita cristiana che lo aiutino a crescere nella risposta alla chiamata del Signore.
Care famiglie, cari fratelli e sorelle, vi incoraggio a portare dovunque, anche negli ambienti più scristianizzati, specialmente nelle periferie esistenziali, il Vangelo di Gesù Cristo. Evangelizzate con amore, portate a tutti l’amore di Dio. Dite a quanti incontrerete sulle strade della vostra missione che Dio ama l’uomo così com’è, anche con i suoi limiti, con i suoi sbagli, anche con i suoi peccati. (...) Siate messaggeri e testimoni dell’infinita bontà e dell’inesauribile misericordia del Padre.


Vi affido alla nostra Madre Maria, affinché ispiri e sostenga sempre il vostro apostolato. Alla scuola di questa tenera Madre siate missionari zelanti e gioiosi. (...)

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Korazym
(Angela Ambrogetti) Aula Paolo VI stracolma per l’incontro del Papa con il Cammino Neocatecumenale questa mattina. Francesco ha benedetto le 40 nuove missioni ad gentes composta da un centinaio di famiglie. Questa è la prima volta, che il Papa riceve  in udienza migliaia di persone (...)

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Radio Vaticana
Pope Francis met with about 8,000 members of the Neocatechumenal Way on Saturday in the Paul VI Hall. During the audience, with a solemn prayer and blessing, the Pope sent off members of the community on mission to countries throughout the world. Prior to the (...)

Domani l’incontro di Papa Francesco col Cammino Neocatecumenale.








Famiglie missionarie

(Giuseppe Gennarini*) Oltre mille figli al seguito per le centossessanta famiglie, appartenenti al Cammino neocatecumenale, che Papa Francesco invierà sabato prossimo, 1° febbraio, in quaranta missiones ad gentes. Diciassette missio andranno in Asia e le altre in Europa, in America e in Australia. Ciascuna è formata da quattro o cinque famiglie, da un sacerdote e un seminarista, e tre sorelle in missione. In totale saranno quindi oltre 1.500 persone che riceveranno dal Santo Padre la croce missionaria. L’invio avverrà nel corso dell’incontro nell’Aula Paolo VI.
Papa Francesco aveva già ricevuto Kiko Argüello e Carmen Hernández, iniziatori del Cammino neocatecumenale, accompagnati da padre Mario Pezzi. Quella di sabato però sarà la prima udienza a un gruppo del Cammino. Sono attese circa diecimila persone da tutto il mondo.
Le nuove missiones si vanno ad aggiungere alle cinquantotto già inviate da Benedetto XVI nel 2012 e a quelle inviate negli anni precedenti. Particolare attenzione è data all’Asia, dove miliardi di persone non hanno mai ascoltato l’annuncio di Gesù Cristo, perché «la evangelizzazione del terzo millennio passa per l’Asia» come ha detto Papa Francesco esprimendo il desiderio di recarsi in quel continente.
Il Cammino neocatecumenale intende attuare il concilio Vaticano II, attraverso un itinerario che porta a riscoprire le ricchezze del battesimo. Frutto di tale itinerario sono queste centinaia di famiglie disposte ad andare in tutto il mondo. Raggiungeranno nazioni diverse per testimoniare la vita nuova che hanno ricevuto gratuitamente. Non a caso il Cammino è un ripercorrere l’iniziazione cristiana, rivivendo le tappe del battesimo, in un percorso graduale e progressivo vissuto comunitariamente. Ed è grazie a ciò che queste famiglie rivivono il proprio battesimo fino al punto di sentire dentro la disponibilità a rispondere alla chiamata di Dio per partecipare con lui a quella “buona opera” che è l’amore totale per la salvezza dell’umanità.
Sono già più di dieci anni che le prime missiones ad gentes sono state inviate in Europa e già si possono vedere i loro frutti in Francia, Germania, Olanda , Ungheria, Ucraina.
In Ungheria un filosofo ateo è tornato alla Chiesa e ha ringraziato la missio di Budapest perché senza di loro non sarebbe mai andato in chiesa e non avrebbe conosciuto Gesù Cristo. In Ucraina una ragazza che faceva da babysitter a una famiglia della missio è rimasta impressionata dalla sua testimonianza e ha detto: «Io voglio essere come voi», chiedendo di iniziare un itinerario d’iniziazione cristiana per essere battezzata.
Papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, ha parlato della necessità di un profondo cambiamento di rotta per la Chiesa: «Non possiamo più rimanere tranquilli, in attesa passiva, dentro le nostre chiese. È necessario passare da una pastorale di semplice conservazione a una pastorale decisamente missionaria».
L’Asia presenta un campo immenso di azione, dove miliardi di persone ancora attendono di ascoltare l’annuncio della buona novella evangelica. Ma anche le zone dove la Chiesa è presente da tempo — e dove in media ormai solo il dieci per cento dei battezzati sono praticanti — hanno bisogno di riscoprire, secondo le parole di Papa Francesco, «la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto».
Negli ultimi decenni, secondo il Pontefice, «si è prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico. È innegabile che molti si sentono delusi e cessano di identificarsi con la tradizione cattolica, che aumentano i  genitori che non battezzano i figli e non insegnano loro a pregare». Da qui il suo invito: «Usciamo, usciamo a offrire a tutti la vita di Gesù Cristo. Ripeto qui per tutta la Chiesa ciò che molte volte ho detto ai sacerdoti e laici di Buenos Aires: preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze».
L’invito incalzante di Papa Francesco è la risposta provvidenziale ai nostri tempi e l’invio delle missiones ad gentes di sabato prossimo vuole andare in questa direzione.
Il Cammino neocatecumenale attualmente è presente in 1.479 diocesi di 124 Paesi nei cinque continenti con oltre 20.432 comunità in 6.272 parrocchie; 901 famiglie, inviate dal Santo Padre, sono in missione per la nuova evangelizzazione in 93 Paesi. In questo ambito oltre 300 famiglie sono state inviate per formare 98 missiones ad gentes. E 2.300 seminaristi si stanno preparando a divenire presbiteri. Dal 1989 sono stati ordinati oltre 1.880 presbiteri formati nei seminari Redemptoris Mater.

Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa ...




Nuova evangelizzazione non può voler dire: attirare subito 
con nuovi metodi più raffinati le grandi masse allontanatesi dalla Chiesa. 
No - non è questa la promessa della nuova evangelizzazione. 
Nuova evangelizzazione vuol dire: 
Non accontentarsi del fatto che dal grano di senape 
è cresciuto il grande albero della Chiesa universale, 
non pensare che basti il fatto che nei suoi rami 
diversissimi uccelli possono trovare posto, 
ma osare di nuovo con l'umiltà del piccolo granello lasciando a Dio, 
quando e come crescerà
Le grandi cose cominciano sempre dal granello piccolo 
ed i movimenti di massa sono sempre effimeri.

Benedetto XVI

Venerdì della III settimana del Tempo Ordinario




Dal Vangelo secondo Marco 4,26-34.



Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra». Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa. 

Il commento



Tutto il Vangelo è percorso da una linea rossa di follia, la stoltezza della Croce. La Scrittura ci trascina in un violento testacoda, e ci ritroviamo spaesati, stranieri in un mondo che non ci appartiene. E' il Regno di Dio descritto nelle parabole del Vangelo di oggi, che non sono zuccherini per consolare e invitare alla pazienza. Non sono solo questo. Occorre innanzi tutto orecchi e cuore aperti per lasciarsi trascinare fuori dalle proprie sicurezze e, attraverso fallimenti ed angosce, giungere ad assaporare qualcosa di completamente diverso, il vino nuovo del Regno. Occorre essere in cammino, in conversione. Chi è installato, seppur veda sbriciolarsi la vita tra le mani, non comprenderà nulla di queste parabole. Le prenderà come utopia o con sentimentalismo e moralismo, ma non sposteranno di un centimetro il suo sentire profondo. Si tratta delle confidenze di Gesù ai suoi amici, dei misteri del Regno riservate ai suoi eletti. Nel Vangelo, infatti, a proposito della mietitura, laddove leggiamo "porre mano alla falce", l'originale greco ha "apostellei" che significa inviare, da cui deriva la parola apostolo. Per comprendere il significato di questo termine occorre rifarsi all'ambiente ebraico nel quale è nato il Nuovo Testamento. Lo "schaliah", tradotto con "apostello", in ebraico rappresenta un procuratore nel quale è considerato presente colui che lo ha inviato. Il Talmud ripete più di venti volte che "lo schaliah di una persona è un altro se stesso". Così è, ad esempio, per Eleazaro, il servo-schaliah di Abramo, in occasione del matrimonio di Isacco, al punto che esso fu considerato definitivo allorchè Eleazaro scelse Rebecca ed ella acconsentì. Nel Nuovo Testamento la consapevolezza di uno schaliah di essere un altro se stesso di colui che lo inviava, dal piano della finzione giuridica passa a quello di una realtà mistica ed esistenziale. Per lo Spirito Santo, Cristo dimora negli Apostoli: essi non solo lo rappresentano giuridicamente, ma divengono essi stessi la sua presenza. L'Apostolo di Cristo è Cristo stesso, il suo potere si esprime attraverso di lui, quello che legherà in terra sarà legato in Cielo. Questa profonda intimità è la chiave delle Parabole del Vangelo di oggi. L'apostolo ha lo stesso sentire di Colui che lo ha inviato, ha il suo pensiero dirà San Paolo. Ma se c'è una perfetta identità tra l'apostolo e Gesù, vi è anche tra il Signore ed il Regno dei Cieli. E' Lui stesso il Regno della parabola, "l'uomo" che getta il seme che cade in terra, muore e risorge. Attraverso il Mistero Pasquale, il Regno di Dio è seminato irrevocabilmente nella storia, in ogni generazione. Esso segue il percorso di sviluppo proprio di un seme. E' la Grazia che lo feconda, che ne protegge gli inizi, che lo porta a maturazione. Per questo Gesù dice che la terra produce "spontaneamente", letteralmente "senza una causa spiegabile" - come è stato per Lui stesso nel grembo di Maria prima e nel sepolcro poi - "stelo, spiga e chicco pieno". Gli apostoli, gli altri se stessi del seminatore, che sono inviati a raccogliere, attraverso la predicazione, il grano ormai pronto. Nel Vangelo di Giovanni Gesù invita i discepoli a "guardare i campi che già biondeggiano per la mietitura", proprio nel momento in cui annuncia che "deve mangiare un pane" diverso, sconosciuto sino ad allora, l'opera di Colui che lo ha inviato, la volontà del Padre che si definisce nella Croce che lo consegna in riscatto per ogni uomo. Gesù vede profeticamente il suo mistero di Pasqua come un frutto maturo, ed invita i suoi discepoli ad alzare lo sguardo e ad avere il suo stesso pensiero, gli stessi occhi profetici sul mondo e sugli uomini. "Perchè si rallegri insieme chi semina e chi miete" (cfr. Gv. 4,14ss), nella completa identità tra Gesù e i suoi "inviati". Per questo Gesù nella sua predicazione dice che il Regno è vicino, mentre agli apostoli inviati in missione raccomanda di annunciare che il Regno di Dio viene con loro. Si tratta di Lui che è vicino, e di loro, che portano dentro il Signore, nella consapevolezza che ovunque vi sono chicchi pieni da mietere. 

"Il Regno è come un uomo che getta il seme...", e quell'uomo è Cristo. Il Regno di Dio è tutta la parabola, non soltanto l'albero cresciuto a raccogliere tra le sue fronde "gli uccelli del cielo", immagine biblica che descrive i popoli pagani. Il Regno è l'uomo, è il seme, è la terra, è il processo di crescita, e, finalmente, l'albero compiuto. Gli apostoli sono inviati a raccogliere, per Lui ed in Lui, la sua vittoria. L'annuncio del Vangelo è già la mietitura! E' questo il testacoda delle parabole odierne. E' un cambio radicale di prospettiva. Non vi sono misure e parametri umani per il successo dell'evangelizzazione, come per qualunque aspetto, opera o parola della nostra vita . Per questo il Signore utilizza la metafora del "granello di senapa", il più piccolo tra i semi della terra. Ma come, per l'opera più importante, per la salvezza di ogni uomo, si parla di senapa? Certo, e non può essere diversamente! Il pensiero di Dio non è il pensiero dell'uomo, perché per Lui il successo è già, anche se non ancora. E' già perchè Cristo ha vinto la morte, ed il seme invincibile della sua vittoria è già all'opera, misteriosamente, nel mondo. Non ancora perchè la carne impedisce la pienezza, riservata al Cielo. Su questa certezza la Chiesa ha lasciato il Monte delle Beatitudini e si è lanciata sui sentieri del mondo, sino agli estremi confini della terra. Alla Chiesa, come a ciascuno di noi, è necessario un solo atteggiamento interiore: accettare di non sapere "come" Dio opera nella storia. Il demonio, invece, ci inganna spesso con un cortocircuito velenoso: quello che non si sa, non si comprende e non si vede non esisteSe non capisco come Dio sta operando in mio figlio, non significa che Egli non lo stia conducendo alla salvezza. La via di Dio, infatti, passa sul mare della morte e le sue orme restano invisibili. Accettare di non capire e non sapere è la più grande professione di fede, l'unica che ci apra le porte dell'autentico riposo: "dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa". Ma per chi ha la certezza del compimento della salvezza, per chi vive in Cristo, per i suoi apostoli, il non sapere non costituisce problema. Certo le tentazioni di sconforto sono quotidiane. L'evangelizzazione non è una passeggiatina: perchè l'annuncio risuoni e faccia apparire il chicco maturo occorre che riproduca lo stesso suono, la nota capace di liberare nei cuori la musica nascosta: la Passione del Signore. Per questo la storia dell'evangelizzazione è stata e sarà sempre storia di martirio, di solitudine, di umano fallimento. La pazienza nelle sofferenze e la perseveranza nelle tentazioni , provano l'elezione dell'apostolo. Ma la fede è un cammino, la certezza non è frutto di alchimie. Occorre sperimentare, a poco a poco, nella propria vita, la presenza di Cristo, e così lasciare il mondo e i suoi criteri per approdare al pensiero, al sentire di Cristo. E vivere come dentro una profezia compiuta ma non ancora visibile: imparare a vedere, nel deserto, i fiumi di acqua viva promessi. E' come un rivolo d'acqua sotto le rocce, invisibile a chi pretende di vedere, ancor prima della fonte, un fiume nel suo fluire maestoso. Ma il rivolo c'è, e si fa fonte, e poi ruscello e poi fiume, e poi mare. Così per un apostolo è ragionevole quanto per il mondo è irragionevole, anche la sua stessa vita, gettata come un seme su terra arida, la follia più sapiente. La vita nascosta con Cristo in Dio, il pensiero fisso nel Cielo, per ricondurvi ogni figlio disperso nel buio della solitudine. Così vive ogni istante la Chiesa, seme invisibile, calpestato, ma con dentro la forza e l'onnipotenza di Dio. La Chiesa che mostra al mondo il riposo e la Vita proprio nei rami distesi della Croce, i suoi figli perseguitati nel martirio della storia. La Chiesa è già un rifugio per le Nazioni, i pagani avvolti dalle tenebre della menzogna; ma non ancora, perchè il Vangelo deve essere annunciato ad ogni creatura. Solo allora sarà la fine, quando le braccia crocifisse di Cristo potranno, attirare tutti a sè per l'eternità. 




APPROFONDIRE

giovedì 30 gennaio 2014

L'ANNUNCIO - E’ Cristo dunque la lucerna portata, "che viene sul lucerniere”

"Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi"

L'ANNUNCIO

Per amore Dio si è fatto carne, ha vinto la morte e il peccato, e ha scelto un manipolo di uomini per inviarli ad annunciare il Kerygma, la Notizia della loro liberazione. Ha chiamato gli Apostoli innanzi tutto perché stessero con Lui, gli amici intimi ai quali “confidare i misteri del regno di Dio”. Gli Apostoli sono la discendenza di Abramo, chiamati come lui a dare origine ad una storia di salvezza per tutte le genti. Ma ora Dio ha carne e ossa, un volto, due occhi, una voce, è accanto a loro a parlare del Cielo, del Padre, dell'amore infinito che si compirà sul Golgota. E' Gesù che, giorno dopo giorno, con parole e segni, educa e forma nella fede i suoi Apostoli, la sua Chiesa. Esattamente come continua a fare da secoli, scegliendo dal mondo quelli che Egli vuole, per plasmarli nell'incontro profondo ed esistenziale con Lui, per conoscere intimamente il “tutto ciò” di cui essi saranno testimoni (cfr Lc 24,48), la fiamma che arde nella “lampada”: "tutto ciò vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione; i discepoli hanno visto la crocifissione del Signore, vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione. Tutto ciò è il mistero di Cristo, attraverso il quale – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio". Ma "come possiamo noi essere testimoni di tutto ciò? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo, solo se lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna" (Benedetto XVI). E’ Cristo dunque la lucerna portata, "che viene sul lucerniere”, secondo l'originale greco. E' Cristo che viene nei suoi Apostoli, risorto e vivo nella sua Chiesa. Non siamo stati chiamati nella Chiesa per vedere risolti i problemi; Dio non ha moltiplicato segni e prodigi d'amore e misericordia perché li “nascondessimo sotto il moggio”. I talenti del suo Spirito, le opere che Lui ha compiuto e sta compiendo in noi e nella sua Chiesa, sono per essere poste sul candeliere, uno spettacolo per il mondo. “Nessun segreto sarà tenuto nascosto”, il nostro Dna è lo stesso di Cristo, ed una vita vissuta contro la sua natura diviene immediatamente uno scandalo: un cristiano che vive come un pagano è la caricatura più ridicola che il mondo abbia visto. Non possiamo continuare a fuggire perché sono le cellule che abbiamo ricevuto, la Grazia infinita di una vita salvata e riscattata, a testimoniare per noi. Certo, passiamo e passeremo per molte crisi, la paura e il richiamo del mondo sono forti. Così come "la stanchezza e il disincanto, la routine e il disinteresse, e, soprattutto, la mancanza di gioia e speranza" (Paolo VI), per sperimentare, sempre più profondamente, che la fuga, la tiepidezza e il compromesso spalancano sempre le fauci del fallimento e della solitudine. Per questo Gesù ci ammonisce a ben “guardare” la Parola che ascoltiamo, secondo l'originale greco tradotto con "fate bene attenzione". Ed è un verbo legato all’esperienza della risurrezione, usato nel Vangelo per definire l'esperienza visiva dei discepoli dinnanzi a Cristo risorto. Guardare Cristo, fissarlo, contemplarlo “senza misura”, per lasciarsi immergere nella sua luce vittoriosa. “Misurare” bene l'amore significa rendersi conto che non v'è misura per misurarlo, e sperimentare nella propria debolezza, come la luna, tra i crateri affettivi e le fasi dell'umore, la sorpresa di una Luce che non ha inizio né fine, e che aumenta e ci viene “data” sempre più. Siamo dunque chiamati ad “avere” questo amore, ad essere ricolmi della sua Luce. Chi non ha Cristo, non ha nulla, e vedrà evaporare nel nulla anche ciò che crede di possedere. Sarebbe stolto, infatti, avere un tesoro e nasconderlo, essere avvolti dal buio e, possedendo una “lampada”, metterla sotto il moggio o sotto il letto. Eppure è una stoltezza diffusa. Nella parabola dei talenti Gesù definisce malvagio il servo che, per paura, ha nascosto il talento. Si tratta della malvagità pensata nel cuore, che scaturisce dall'ignoranza di Lui, del suo amore, della sua missione. E' la condizione del mondo, affogato nell'oscurità del suo Principe: non può comprendere le parabole, i misteri del Regno che in esse vi sono celati perché sia svelato il cuore di chi le ascolta. Quando è semplice e umiliato nella propria debolezza che fa urgente il bisogno di salvezza e libertà, esso riesce a intercettare l’amore che le parabole annunciano, riconoscendo in esse la profezia del Messia. Coloro, invece, che, orgogliosi e schiavi della propria presunta giustizia, “misurano” con avarizia l’amore di Dio, non possono accettare la sua gratuità, “guardano, ma non vedono, ascoltano, ma non intendono”, perché significherebbe accettare i propri limiti: si mettono “fuori” dal raggio della Grazia, e si vedono “tolti” il “perdono e la conversione” che, gratuitamente, “hanno” già ricevuto da Gesù. Così tutti quelli che ascoltano senza “guardare” intensamente Cristo per accogliere la sua vittoria sul peccato, sono “misurati con la stessa misura con la quale misurano”, perché l'orgoglio fa sempre perdere la certezza dell'amore. Non si tratta di durezza e severità, ma dell’estremo atto d’amore con il quale Dio cerca di scuoterli perché riconoscano la propria stolta durezza di cuore e si aprano alla sua misericordia. Ma noi siamo chiamati anche oggi a fissare Cristo per rimanere “dentro” il suo amore, a essere crocifissi con Lui ogni giorno sul “candelabro” della storia che ci attende; spesso sembra che gli eventi e le persone che ci crocifiggono ci assorbano al punto di toglierci la vita: è vero, per essi perdiamo la vita della carne, ma, come il roveto ardente dal quale Mosè ha ascoltato la Parola, la Croce ci brucia senza consumarci, e ci chiama inviandoci nella missione più urgente. Così ogni evento, difficoltà, sofferenza, angoscia che incontriamo nel fluire dei giorni, costituiscono la Croce benedetta dove vivere l'intimità con Cristo, il candelabro prezioso sul quale risplende il suo amore; in esso viviamo la vita di un Altro, per non essere "evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi", bensì "ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore e che abbiano per primi ricevuto in loro stessi la gioia di Cristo" (Paolo VI): la gioia di “guardare” con gli occhi della fede e scoprire che tutto è santo, e “ascoltare” l’infinita misura del suo amore nei sussurri della storia.

Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere?

Giovedì della III settimana del Tempo Ordinario


Siate uomo, Pietro.
Siate degno della fiamma che vi consuma.
E se bisogna essere divorati,
sia ciò su un candelabro d'oro
come il Cero Pasquale in mezzo al coro
per la gloria di tutta la Chiesa

Paul Claudel, L'Annuncio a Maria





Dal Vangelo secondo Marco 4,21-25.

Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per intendere, intenda!». Diceva loro: «Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha». 
Il commento
Sarebbe stolto avere un tesoro e nasconderlo, essere avvolti dal buio e nascondere la luce. Eppure è una stoltezza diffusa. Nella parabola dei talenti Gesù definisce malvagio il servo che, per paura, ha nascosto il talento. E' la malvagità pensata nel cuore, quella nella quale tante volte Gesù si è imbattuto. E' la malvagità che scaturisce dall'ignoranza di Lui, del suo amore, della sua missione. E' il segno dell'impossibilità di conoscere e credere che imprigiona chi è schiavo del demonio e delle sue menzogne. E' la condizione del mondo, affogato nell'oscurità del suo Principe. Non può comprendere le parabole, i misteri del Regno, il cuore è indurito.

Per amore dei suoi fratelli sperduti e schiavi, Dio si è fatto carne, ha vinto la morte e il peccato, e ha scelto un manipolo di uomini per inviarli ad annunciare il Kerygma, la Notizia della loro liberazione. Per far questo ha chiamato gli Apostoli innanzi tutto perchè stessero con Lui, intimi dei suoi segreti, amici. Come Abramo. La Scrittura infatti profetizzava già questa amicizia tra Dio e i suoi eletti: "Ma tu, Israele mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramomio amico" (Isaia 41:8). Gli Apostoli sono la discendenza di Abramo, chiamati come lui a dare origine ad una storia di salvezza per tutte le genti. Ma ora è il Dio fatto carne, un volto, due occhi, una voce, accanto a loro, a parlar loro del Cielo, del Padre, dell'amore infinito che si compirà sul Golgota. E' Gesù che, giorno dopo giorno, con parole e segni, educa e forma nella fede i suoi Apostoli, la sua Chiesa. Esattamente come continua a fare da secoli, scegliendo dal mondo quelli che Egli vuole, formandoli nella sua amicizia, per costituirli testimoni della Verità.

L'incontro profondo ed esistenziale con il Signore, la conoscenza intima di Lui, plasma gli apostoli e la Chiesa per la missione. Diceva Papa Benedetto XVI: "Ai discepoli che si trovano "riuniti" insieme e che sono stati testimoni della sua missione, il Signore Risorto promette il dono dello Spirito Santo, affinché insieme lo testimonino a tutti i popoli". Poi il Papa si sofferma sull'imperativo – Di tutto ciò, di questo voi siete testimoni (cfr Lc 24,48) - contenuto nell'invio di Gesù. Questo tutto ciò è il nucleo fondante del contenuto dell'annuncio, sono i misteri del Regno confidati agli Apostoli, è il cuore, la fiamma che arde nella lampada di cui ci parla oggi il Signore. Prosegue Benedetto XVI: "tutto ciò vuole dire innanzitutto la Croce e la Risurrezione: i discepoli hannovisto la crocifissione del Signore,vedono il Risorto e così cominciano a capire tutte le Scritture che parlano del mistero della Passione e del dono della Risurrezione.Tutto ciò è il mistero di Cristo, del Figlio di Dio fattosi uomo, morto per noi e risorto, vivo per sempre e così garanzia della nostra vita eterna. Ma conoscendo Cristo – questo è il punto essenziale - conosciamo il volto di Dio. Cristo è soprattutto la rivelazione di Dio...Tutto ciò è quindi, soprattutto col mistero di Cristo, Dio che si è fatto vicino a noi. Ciò implica un’altra dimensione: Cristo non è mai solo; Egli è venuto in mezzo a noi, è morto solo, ma è risorto per attirare tutti sé. Cristo, come dice la Scrittura, si crea un corpo, riunisce tutta l’umanità nella sua realtà della vita immortale. E così, in Cristo che riunisce l’umanità, conosciamo il futuro dell’umanità: la vita eterna... Conosciamo Dio conoscendo Cristo, il suo corpo, il mistero della Chiesa e la promessa della vita eterna". Ma "Come possiamo noi essere testimoni di tutto ciò? Possiamo essere testimoni solo conoscendo Cristo e, conoscendo Cristo, anche conoscendo Dio.... è sempre molto più che un processo intellettuale: è un processo esistenziale, è un processo dell'apertura del mio io, della mia trasformazione dalla presenza e dalla forza di Cristo... è un processo che ci fa testimoni. In altre parole, possiamo essere testimoni solo se Cristo lo conosciamo di prima mano e non solo da altri, dalla nostra propria vita, dal nostro incontro personale con Cristo. Incontrandolo realmente nella nostra vita di fede diventiamo testimoni e possiamo così contribuire alla novità del mondo, alla vita eterna".

In queste parole è racchiuso il senso delle parole di Gesù: è Lui la lucerna portata, "che viene" secondo l'originale greco. E' Cristo che viene nei suoi Apostoli, risorto e vivo nella sua Chiesa. Come afferma la Lumen Gentium: "Cristo è la luce delle genti, e questo sacro concilio, adunato nello Spirito Santo, ardentemente desidera che la luce di Cristo, riflessa sul volto della Chiesa, illumini tutti gli uomini... ". Quello espresso nelle parole del Vangelo odierno è il desiderio di Cristo per gli Apostoli di ogni tempo, per ciascuno di noi. Non siamo stati chiamati nella Chiesa per risolvere i nostri problemi, tantomeno quelli degli altri. Dio non ha moltiplicato segni e prodigi d'amore e misericordia perchè li nascondessimo sotto il moggio. Non ci ha eletti perchè fossimostolti. I talenti del suo Spirito, le opere che Lui ha compiuto e sta compiendo in noi e nella sua Chiesa sono per essere poste sul candeliere, spettacolo per il mondo. Nessun segreto sarà tenuto nascosto, il nostro Dna è il Dna di Cristo, ed una vita vissuta contro la sua natura mostra di per sè la verità. Un cristiano che vive come un pagano è la caricatura più ridicola che il mondo abbia visto. Come i preti che si infilano giacca e cravatta per compromettersi col mondo, mentre tutto di loro ne svela inesorabilmente l'identità.

Non possiamo continuare a fuggire come Giona, perchè sono le cellule che abbiamo ricevuto, la Grazia infinita di una vita salvata e riscattata a testimoniare per noi. Certo, passiamo e passeremo per molte crisi, la paura e il richiamo del mondo sono forti. Così come "la stanchezza e il disincanto, la routine e il disinteresse, e, soprattutto, la mancanza di gioia e speranza" (Paolo VI). Come Giona siamo perfino invidiosi dell'amore di Dio, esso contrasta con i nostri criteri carnali. Come Giona dovremo entrare per mille volte nel ventre della balena, e restarci in quel buio di angoscia, per sperimentare, sempre più profondamente che la fuga, la tiepidezza, il compromesso spalancano sempre le fauci del fallimento e della solitudine. Scenderemo ancora fin sull'orlo del baratro per sperimentarvi la Grazia della misericordia, la risurrezione delle nostre esistenze che ci catapulteranno, più maturi e consapevoli, nell'ineludibilità della missione a cui siamo stati destinati. Per giungere alla certezza d'essere chiamati davvero ad essere il riflesso splendente della Luce di Cristo.

Scriveva Sant'Ambrogio della Chiesa: “fulget Ecclesia non suo sed Christi lumine”, splende non di propria luce, ma di quella di Cristo. Per questo Gesù ci ammonisce a ben guardare la Parola che ascoltiamo. Guardare, secondo l'originale greco tradotto con "fate bene attenzione". Ed è il verbo della risurrezione, quello usato per definire l'esperienza visiva dei discepoli dinnanzi a Cristo risorto.Guardare Cristo, fissarlo, contemplarlosenza misura, lasciarsi immergere nella sua luce vittoriosa, nell'amore senza misura, per annunciare, testimoniare e vivere l'amore senza misura, senza difendersi, senza paura. Misurare bene l'amore significa rendersi conto che non v'è misura per misurarlo, e sperimentare nella propria debolezza, come la luna, tra i crateri affettivi e le fasi dell'umore, la sorpresa di una Luce che non ha inizio nè fine, che aumenta, che ci vien data sempre più.«La Chiesa rifulge non della propria luce, ma di quella di Cristo e prende il proprio splendore dal Sole di giustizia, così che può dire “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Davvero sei felice tu, o luna, che hai meritato un segno così grande!» (Sant'Ambrogio).

Siamo dunque chiamati ad avere questo amore, ad essere ricolmi della sua Luce. Chi non ha Cristo, non ha nulla, e vedrà evaporare nel nulla anche ciò che crede di possedere. Ma no, oggi ed ogni giorno siamo di nuovo amati, attirati per essere in Cristo, e lasciar vivere Lui in noi; essere crocifissi con Lui ogni giorno sul candelabro della storia, di quella nostra che ci attende, che spesso sembra assorbirci e invece ci brucia senza consumarci, come il roveto ardente dal quale Mosè ha ascoltato la Parola che, presentandosi, lo ha chiamato e inviato in una missione umanamente impossibile. Così ogni evento, ogni difficoltà, sofferenza, angoscia che incontriamo nel fluire dei giorni, costituiscono la Croce benedetta dove vivere l'intimità con Cristo, il candelabro prezioso dove, crocifissi con Lui, lasciar brillare il suo amore. Per non essere "evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti o ansiosi", bensì "ministri del Vangelo la cui vita irradii fervore e che abbiano per primi ricevuto in loro stessi la gioia di Cristo" (Paolo VI). La gioia di vedere che tutto è sacro, risplendente, e niente è insignificante in chi vive la vita di un Altro.