Il discorso biblico è sempre un discorso a monte e i discorsi a monte hanno una loro importanza; per il credente, poi, la Bibbia è anche un punto di riferimento, in un certo senso l'ultimo punto di riferimento.
Il discorso biblico è sempre un discorso a monte e i discorsi a monte hanno una loro importanza; per il credente, poi, la Bibbia è anche un punto di riferimento, in un certo senso l'ultimo punto di riferimento.
Bruno Maggioni
La pace e la libertà nei testi biblici
Il discorso biblico è sempre un discorso a monte e i discorsi a monte hanno una loro importanza; per il credente, poi, la Bibbia è anche un punto di riferimento, in un certo senso l'ultimo punto di riferimento. Mi pare di poter dire che il discorso biblico sulla pace e sulla libertà, anche dopo 2000 anni di cristianesimo, non è un discorso scontato, non è diventato il discorso di senso comune; ma comunque, quando si fa il discorso biblico sulla pace e sulla libertà, generalmente si è tutti d'accordo; il disaccordo nasce quando dall'ideale biblico si passa al concreto. Allora immediatamente anche fra cristiani scoppia il disaccordo, quando si scende al concreto. A me pare che, a proposito della pace e della libertà, ma si potrebbe dire la stessa cosa anche di altre cose, sia ancora tutto di attualità il dialogo tra Gesù e Pietro, che troviamo al cap. 8 del Vangelo di Marco 8-33, nel quale il Cristo parla della sua prassi messianica, che è la prassi della Croce; noi potremmo anche dire che parla della sua Pace, del suo modo di realizzarla, del suo modo di impostare la esistenza ed ecco che Pietro fa resistenza e Gesù gli dice: «Va' via da me Satana perché ragioni non secondo Dio ma secondo gli uomini».
Per noi questo è un episodio attuale, applicabilissimo al nostro discorso sulla pace e sulla libertà. E osservate, portavoce di Satana è il discepolo, non chi non è discepolo! E diventa portavoce di Satana non perché il suo discorso sia particolarmente satanico, tutt'altro! E portavoce di Satana perché ragiona secondo il buon senso degli uomini. Mi sembra una cosa, questa, molto chiara e applicabilissima al nostro discorso biblico sulla pace e sulla libertà. Ma ve diamo di elencare gli elementi principali della concezione biblica della pace e della libertà. Che le due concezioni siano in rapporto direi è ovvio, sarà facilissimo capirlo; il mio compito si limita a chiarire quale pace e quale libertà.
La pace nella Bibbia
Incominciamo col dire che il termine biblico «shalom», che viene comunemente tradotto con pace ha un significato molto ampio, anzi pare che nella sua radice significhi «completezza, integrità», cioè è la condizione di un uomo, di una comunità, che è in armonia con la natura, con se stesso, con Dio, con gli altri uomini. Questa è la pace, secondo la Bibbia, un concetto globale, una realtà che o c'è tutta o non c'è. Per vedere la globalità di questo concetto, basterebbe anche osservare i termini che generalmente accompagnano la parola pace. La parola pace raduna attorno a sé diversi altri termini; per esempio i profeti quando parlano di pace elencano sempre accanto alla pace la pratica della giustizia, l'osservanza del diritto anche per i poveri, l'accoglienza dei poveri, l'ordine, il benessere e la fedeltà religiosa. I profeti hanno polemizzato a proposito della pace, hanno sempre polemizzato con i falsi profeti, i profeti di corte e ci son sempre i profeti di corte. I profeti di corte, secondo i veri profeti, parlavano troppo facilmente di pace, promettevano troppo facilmente la pace, cioè promettevano pace senza nel contempo dichiarare che per avere la pace occorreva un profondo, radicale cambiamento della situazione. Parlavano di pace e basta; secondo i veri profeti questo è ridicolo: è sciocco parlare di pace se non parli nel contempo di una radicale conversione; bisogna cambiare alla radice il modo di vivere, solo così è impossibile la pace, altrimenti è come imbiancare, il paragone è di Ezechiele, un casa che sta crollando, che è tutta screpolata, è un palliativo che non risolve niente.
Un terzo concetto che la Bibbia è in grado di offrirci è il concetto diciamo del superamento della guerra. La Bibbia parla di guerre e il popolo biblico ha fatto tante guerre. Tuttavia si può osservare, anche all'interno di questa tematica che si direbbe l'opposto della pace, tutta una evoluzione che trova il suo completamento nella Croce di Gesù Cristo. E l'evoluzione la possiamo ridurre a due o tre passaggi: all'inizio il popolo ebraico crede nella guerra santa perché la guerra sembra essere l'unico modo, certo era il modo abituale, per difendere alcuni valori essenziali, per esempio la propria identità di popolo di Dio, persino la propria fedeltà religiosa. Ho detto che il popolo parla di guerra santa: «Dio combatte con noi». Queste guerre erano generalmente perse; ora non si può dire che Dio combatte con noi, quando perdiamo la guerra. In epoca di esilio, proprio questo popolo è sradicato, capisce che Dio non sostiene gli eserciti di Israele, neppure per le guerre sante, allora comincia a fare una trasposizione: Dio non combatte con il nostro esercito però verrà Lui nel tempo stabilito, verrà Dio, e Lui farà la sua guerra per imporre l'ordine, per imporre la legge di Dio per imporre la fedeltà e condannare i peccatori. Il terzo passaggio è con Gesù Cristo; arriva il Messia e non fa nessuna guerra, né combatte con gli eserciti del popolo, né combatte con i suoi angeli, ma muore sulla Croce. A questo punto il discorso è completo, non c'è possibilità per una guerra di Dio, né Dio combatte con noi, né Dio farà la sua guerra, la strada di Dio non è mai in nessun modo la guerra. Il Nuovo Testamento ha già completato il discorso come ho lasciato intendere, con la Croce di Cristo, però ha introdotto alcune cose che mancavano nell'Antico Testamento e una di queste cose, importantissima, è l'universalità della pace. Il testo, forse uno dei testi più chiari, più interessanti, anche se semplicissimo, è il testo del Natale «Gloria a Dio nell'alto dei Cieli e pace in Terra agli uomini che Dio ama».
C'è da osservare prima di tutto, secondo questo canto angelico che la trascrizione storica della gloria che Dio ha in Cielo è la pace fra gli uomini. Quindi se la Chiesa di Dio vuole dar gloria a Dio, realizzare intera la gloria di Dio, non deve fare altro che operare per la pace, perché il risvolto terrestre della gloria celeste è la pace. Gloria in Cielo, pace in Terra: è un parallelismo esemplare. Ma pace con ogni uomo! La vecchia traduzione diceva «pace in terra agli uomini di buona volontà», questo è un criterio discriminante; chi sono gli uomini di buona volontà coi quali devo fare la pace? Finirei col fare la pace con quelli che decido io o con quelli che la pensano come me. La nuova traduzione è più esatta, più fedele al testo originale: «Pace in terra agli uomini che Dio ama». Dio ama ogni uomo, dunque la pace con tutti, con il giusto e con il peccatore, con il vicino e con il lontano. Questo concetto è ripetuto poi nella lettera agli Efesini, da Paolo, cap. 2° versetto 11 e seguenti: «Gesù è la nostra pace, Colui che dei due ha fatto un solo popolo, abbattendo il muro che li separava: l'inimicizia». Paolo sta pensando ai due popoli, il popolo ebreo e i pagani; queste differenze sono crollate, la Croce di Cristo ha fatto crollare le differenze tra popolo e popolo, fra uomo e uomo, non esistono più i vicini, non esistono più i lontani, ma l'unica famiglia umana.
Per Paolo, questa pace, che ha fatto crollare le barriere, viene dalla Croce, cioè è fondata sul perdono, sulla gratuità, e mi sembra questa una cosa tutt'altro che secondaria. Dalla morte di Cristo in poi l'uomo dovrebbe ragionare in termini di famiglia umana, non più un popolo - il popolo eletto - sopra un altro popolo come invece era nell'Antico Testamento, ma semplicemente un popolo accanto agli altri popoli, una solidarietà universale come in famiglia. Un ultimo concetto, mi pare, ci offre il Nuovo Testamento ricuperando il discorso dei profeti, quello di aver sottolineato che la radice della violenza, alla fin fine, è nel cuore dell'uomo. San Giovanni al cap. 3 in un passo famoso dice che gli uomini amano più le tenebre che la luce, per questo rifiutano la luce, per questo hanno condannato la verità. Il ragionamento di Giovanni è questo: l'uomo vive una stortura esistenziale, cioè progetta la vita su falsi valori, o su valori di parte, ed ecco che quest'uomo che ha fatto di questi valori, valori assoluti, di fronte ai quali non vuole assolutamente rinunciare, ecco che quest'uomo quando la verità lo illumina, quando una luce lo contesta, ricorre alla menzogna, cerca di demolire quella verità, dice che la verità è falsità, dice che la luce è tenebre. Ma se quella luce è coraggiosa e continua a parlare e a inquietare, allora quest'uomo che sembrava un nonviolento diventa di colpo un violento e, seppur dice a malincuore, spegne quella luce, la mette a tacere e crocifigge il Cristo. Questa è l'analisi della violenza che ha fatto San Giovanni nel Vangelo e che nell'Apocalisse riprende, applicandola non tanto al singolo uomo, quanto alle formazioni, alle diverse idolatrie sociali politiche presenti in Babilonia.
La libertà nella Bibbia
A me pare che già diversi spunti si aprono a questo punto sul concetto di libertà, ma volendo adesso illustrare brevissimamente l'idea di libertà che ha la Bibbia, direi che, secondo la Bibbia, due sono i punti di riferimento essenziali per schiarirei le idee sulla libertà.
Il primo è l'Esodo, l'esperienza dell'Esodo, esperienza fondamentale per tutto l'Antico Testamento e che è poi rimasta anche nel Nuovo; ebbene questa esperienza dell'Esodo deve essere vista come esperienza di liberazione, come il viaggio verso la libertà. È interessante sottolineare che è «un viaggio», ecco, la libertà non è qualcosa che c'è, è qualcosa a cui ci avviciniamo faticosamente. Questa esperienza di liberazione è un'esperienza talmente ricca, talmente complessa, che la stessa Bibbia è stata costretta a ricorrere almeno a tre schemi per esprimerla: il primo schema è «dalla schiavitù alla libertà» cioè da un popolo sottomesso a un padrone, a un popolo che diventa padrone di sé. Questo primo schema non è ancora sufficiente per esprimere in tutta la sua pienezza questa esperienza, ed ecco allora un secondo schema: «dalla dispersione alla solidarietà di popolo», da non-popolo a popolo, perché la Bibbia ha capito che la libertà tu la sperimenti nella solidarietà, nel diventare una comunità, nel diventare un popolo. Il terzo schema è «dal Faraone al vero Dio» cioè dagli idoli a Dio, perché la Bibbia ha capito che un'altra radice della schiavitù sono proprio i falsi valori. Quei falsi valori che l'uomo assolutizza e che poi dividono, perché solo il vero Dio è un padrone che non divide, ma che crea la libertà anziché toglierla.
Il secondo punto di riferimento è il Cristo, la vita di Cristo, il modo con cui il Cristo ha gestito la sua esistenza e a me pare che, questo Gesù, che vive un tipo di esistenza, è un Gesù che si presenta anzitutto come il sottomesso, sottomesso a Dio, sottomesso al Padre, sottomesso alla Verità; è solo dalla sottomissione nei confronti della verità che nasce la libertà; essa nasce dalla verità, dalla giustizia, dai veri valori. Solo così, solo nell'ubbidienza assoluta al Padre nasce la libertà, la libertà da te, la libertà dagli idoli, per essere a disposizione di quei valori, per essere a disposizione degli uomini. E questo il discorso della Croce in sostanza, che è il momento conclusivo di una prassi di libertà, di una libertà da sé, per essere a disposizione. La libertà del mondo, evidentemente il mondo nel senso della mondanità nel senso dispregiativo, è una libertà per sé che diventa immediatamente una libertà di parte, e non una libertà da sé, per entrare in un circolo universale, per sottometterti alla verità, alla giustizia, cioè a Dio.
Due punti per concludere
Concludo con due spunti questo discorso svelto ma essenziale. Come prima conclusione, vi leggo alcune righe del Vangelo di Giovanni; siamo al capitolo 8, un dibattito molto vivace tra Gesù e i Giudei; Gesù dice «se rimarrete fedeli alla mia parola sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Gli risposero: «Siamo discendenza di Abramo e non siamo schiavi di nessuno». Rispose: «Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato, so che siete discendenza di Abramo ma so anche che cercate di uccidermi». Osservate questo dialogo; il punto di partenza è la fedeltà alla parola, «se rimanete fedeli alla mia parola», è l'obbedienza alla parola, un essere discepolo, un'obbedienza alla verità, questo è il punto di partenza, da qui la libertà in questa obbedienza alla verità. Dove invece c'è schiavitù, cioè il peccato, c'è una cattiva impostazione dell'esistenza, o personale, o collettiva, c'è la menzogna! La prima menzogna è quella di fingere di essere libero; «siamo discendenza di Abramo e non siamo schiavi di nessuno», erano schiavi e credevano di non esserlo, credevano anche di non essere dei violenti e invece Gesù dice: avete in voi la radice della violenza, so già che state progettando di uccidermi.
La seconda conclusione è che tutto il discorso biblico, discorso evidentemente profetico, termina dicendo che se si vuole realizzare quella pace e questa libertà, bisogna fidarsi della parola di Dio; ma alla fin fine questo fidarsi della parola di Dio a me pare significhi avere coraggio che poi è fede. Occorre la fede di Gesù Cristo, il coraggio dei profeti, cioè il coraggio di chi supera il ragionamento degli uomini che finisce con l'essere satanico. Io ho sempre in mente il rimprovero di Gesù a Pietro: «Va' via da me Satana», perché Pietro ragionava benissimo, come me, ragionava come l'uomo e non come Dio, e cioè non era capace di superare le cose ovvie. «Alla forza giustamente bisogna resistere con la forza» questa è una cosa ovvia, ineccepibile da certe angolature, e tuttavia la Bibbia dice che così non si ottiene assolutamente né la pace né la libertà.
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