Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 30 settembre 2014

amore & acqua


L'amore è come l'acqua

Dal sito del monastero di Bose
Anche se una roccia di granito non ha interstizi,
l'acqua vi penetrerà, vi passerà attraverso.
Poiché non ha forma, l'acqua è così umile,
che le puoi dare qualunque forma, ed è sempre pronta a prenderla.
La metti in un bicchiere e diventa il bicchiere,
la metti in un secchio e diventa il secchio.
Non resiste mai, non piange mai, non si lamenta mai, non protesta mai.
L'acqua si arrende semplicemente.
E così l'Amore, l'Amore si arrende sempre.
Si fida talmente che può prendere qualsiasi forma; non ha mai paura.
Gli elementi più duri hanno paura.
Dal momento che hanno meno sicurezza nella parte più interna del loro essere,
sono più attaccati alla forma.
La roccia ha paura perché se la forma esteriore viene distrutta,
dove andrà a finire?
L’acqua non ha paura. La forma non è il suo essere.
In ogni forma resterà la stessa.
L’Amore non ha paura. Può prendere qualsiasi forma.
L'odio ha paura, l'odio è una cosa dura.
L'egoismo ha paura, l'egoismo è una cosa dura.
L'acqua cerca luoghi cavi; anche l'Amore cerca luoghi vuoti.
Se sei un egoista, l’Amore non ti può raggiungere,
perché sei così pieno di te stesso che l'Amore non ti può scorrere.
L'Amore ha bisogno che tu sia totalmente aperto, disponibile, umile,'
uno spazio senza ostacoli.
L'acqua cerca spazi vuoti; e così scende e viaggia, scorre finché raggiunge l'oceano.
L'oceano è il luogo più basso, più vuoto del mondo,
per questo l'acqua arriva a lui.
Un fiume non può andare verso la collina, non può salire le vette.
Avviene esattamente il contrario.
Un fiume scende sempre più in basso e scende
fino a quando raggiunge il luogo più vuoto del mondo, l'oceano.
L'oceano diventa la sua casa.
Anche l’Amore va verso il vuoto, ecco perché gli egoisti,
gli orgogliosi non possono amare, non possono essere amati.
Perché l’Amore è come l'acqua, cerca un luogo cavo, umile,
recettivo dove poter riposare. Se passi accanto ad un albero e sei così,
improvvisamente l'Amore dell'albero comincerà a scorrere verso di te.
E' naturale. Non ha niente del miracolo, proprio simile all'acqua;
la versi e troverà i posti più bassi, più umili dove fermarsi.
L'Amore è l'acqua dell'essere interiore.
Anonimo

LEGGO LA BIBBIA...


 Enzo Bianchi: La Bibbia nella mia vita


L'iniziativa #leggolaBibbia, nata da un'idea del Gruppo Editoriale San Paolo, trova il suo fondamento nelle sollecitazioni di papa Francesco di riaccostarsi alla Parola di Dio attraverso eventi culturali in grado di illustrare al grande pubblico la ricchezza e la bellezza delle Sacre Scritture. Il sito metterà in evidenza tutti gli appuntamenti di lettura comunitaria o di confronto sulla Bibbia, sia promossi da realtà paoline, sia organizzati da altri soggetti attivi all'interno del mondo della Chiesa.

Marco 10,23-27


La lectio quotidiana
Giovanni Nicolini 
23 Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». 24 I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25 È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26 Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27 Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». 

Commento Giovanni

Sono importanti quegli “sguardi” di Gesù, al ver.23 e al ver.27. Non è semplice rendere in italiano la loro  proprietà e le differenze tra loro. Però il nostro testo rende con sufficiente efficacia l’orizzonte più generale del primo e la sottolineatura di un’elezione del secondo, per dire che quello che sembra essere la sorte di tutti viene mutato dal dono della fede. La fede è potente a dare un volto nuovo ad ogni realtà e condizione.
Diversamente dalle versioni di Matteo 19 e Luca 18, Marco sembra voler estendere a tutti la difficoltà dei ricchi come il nostro triste amico, ad entrare nel regno di Dio. Infatti il ver.24 dice, e non solo per i ricchi, “quanto è difficile entrare nel regno di Dio!”. Il paragone del cammello e della cruna d’ago è ben noto e non mi sembra chieda spiegazioni!
Di fronte a ciò, la duplice reazione dei discepoli: al ver.24 “erano sconcertati delle sue parole”; al ver.27 “ancora più stupiti dicevano tra loro: <Chi può  essere salvato?>”. Ma tutta la grande tradizione della fede ebraico-cristiana è intimamente legata a questo. La fede, infatti, è sempre la fede dei poveri, perché è fede della salvezza. La fede non è una dottrina ma è l’evento divino che salva e libera i piccoli e i poveri. Chiunque entri nel dono della fede, vi entra come piccolo e povero, perché altrimenti non ha bisogno di essere salvato! Molti sono i volti della “povertà”, che in ogni modo è sempre una condizione di bisogno, che solo il dono di Dio può visitare e sanare. Ognuno di noi che rifletta sul profondo dato della sua fede, verifica che appunto essa è stata ed è per lui evento di salvezza da una povertà che sarà economica, o morale, o fisica, o intellettuale, o psicologica … in ogni modo una povertà dalla quale il Signore lo ha liberata e lo libera. Anche del nostro amico troppo ricco e triste non sappiamo di quale ricchezza sia ricco, ma certamente sappiamo che la sua ricchezza è per lui una prigione invalicabile, come per i nostri padri ebrei era invalicabile la prigionia egiziana.
Ma Gesù, quasi allusivamente “guardandoli in faccia”, disse: “impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (v. 27).
Dio ti benedica e tu benedicimi. Tuo. Giovanni

lunedì 29 settembre 2014

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri.

Oggi si è adempiuta questa scrittura 
che voi avete udita con i vostri orecchi
το κήρυγμα Il Kèrygma

Martedì della XXVI settimana del Tempo Ordinario





L'ANNUNCIO
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
 (Dal Vangelo secondo Luca 9,51-56)





La vera libertà implica l'accettare di non essere accettati. Il rimprovero di Gesù è oggi diretto a ciascuno di noi. Siamo così presi dalle nostre cose, dai progetti e dai programmi da non tollerare inciampi, fastidi e trappole. Il rifiuto poi è il boccone più indigeribile. Il Vangelo di oggi ci aiuta, attraverso le dure parole del Signore, a guardare bene alla nostra vita e alla nostra vocazione. Da essa dipendono il cammino e la meta. Chiamati a seguire il Signore non possiamo non condividerne le sorti. La vita di Gesù era orientata decisamente a Gerusalemme. L'urgenza dell'amore lo spingeva al compimento della missione. Non aveva tempo per guardarsi indietro, per compiangersi, per ripensare e dubitare.

Gerusalemme è la Città santa, ma è anche quella che uccide i profeti. La Città della Pace è anche quella del rifiuto. Tre volte all'anno ogni israelita doveva presentarsi davanti a Yahwè facendo di Gerusalemme la Città del pellegrinaggio. Città del culto segnata spesso da ministri del culto corrotti, nella sua storia si è assistito tante volte alla profanazione delle cose sante da parte di quanti erano stati scelti, in campo religioso e politico, ad esserne guardiani e amministratori. La Santa diviene la Prostituta. Gerusalemme è immagine della contraddizione inestricabile che, a causa del peccato originale, caratterizza ogni uomo: "Da una parte ogni uomo sa che deve fare il bene e intimamente lo vuole anche fare. Ma, nello stesso tempo, sente anche l'altro impulso di fare il contrario, di seguire la strada dell'egoismo, della violenza, di fare solo quanto gli piace anche sapendo di agire così contro il bene, contro Dio e contro il prossimo: "C'è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rom. 7, 18-19). Come conseguenza di questo potere del male nelle nostre anime, si è sviluppato nella storia un fiume sporco, che avvelena la geografia della storia umana. Il grande pensatore francese Blaise Pascal ha parlato di una "seconda natura" che si sovrappone alla nostra natura originaria, buona. Questa seconda natura fa apparire il male come normale per l'uomo.Questa contraddizione dell'essere umano, della nostra storia deve provocare, e provoca anche oggi, il desiderio di redenzione. Come si spiega questo male? La fede ci dice: esistono due misteri di luce e un mistero di notte, che è però avvolto dai misteri di luce. Il primo mistero di luce è questo: la fede ci dice che non ci sono due principi, uno buono e uno cattivo, ma c'è un solo principio, il Dio creatore, e questo principio è buono, solo buono, senza ombra di male. E perciò anche l'essere non è un misto di bene e male; l'essere come tale è buono e perciò è bene essere, è bene vivereQuesto è il lieto annuncio della fede: c'è solo una fonte buona, il Creatore. E perciò vivere è un bene, è buona cosa essere un uomo, una donna, è buona la vita. Poi segue un mistero di buio, di notte. Il male non viene dalla fonte dell'essere stesso, non è ugualmente originario. Il male viene da una libertà creata, da una libertà abusata. Il male non è logico. Solo Dio e il bene sono logici, sono luce. Il male rimane misterioso... neppure possiamo raccontarlo come un fatto accanto all'altro, perché è una realtà più profonda. Rimane un mistero di buio, di notte. Ma si aggiunge subito un mistero di luce. Il male viene da una fonte subordinata. Dio con la sua luce è più forte. E perciò il male può essere superato. Perciò la creatura, l'uomo, è sanabile. Se il male viene solo da una fonte subordinata, rimane vero che l'uomo è sanabile. E il libro della Sapienza dice: “Hai creato sanabili le nazioni” (1, 14 nella Vulgata). E finalmente, ultimo punto, l’uomo non è solo sanabile, è sanato di fattoDio ha introdotto la guarigione. È entrato in persona nella storia. Alla permanente fonte del male ha opposto una fonte di puro bene. Cristo crocifisso e risorto, nuovo Adamo, oppone al fiume sporco del male un fiume di luce. E questo fiume è presente nelle storia: vediamo i santi, i grandi santi ma anche gli umili santi, i semplici fedeli. Vediamo che il fiume di luce che viene da Cristo è presente, è forte" (Benedetto XVI). 
Gerusalemme riassume in sé questo mistero di luce e tenebre. Il profeta Ezechiele ebbe questa visione: "Vidi che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente... che scendeva sotto il lato destro del tempio, dalla parte meridionale dell'altare... Ne misurò altri mille: era un torrente che non potevo attraversare, perché le acque erano cresciute; erano acque navigabili, un torrente che non si poteva passare a guado. Allora egli mi disse: «Hai visto, figlio dell'uomo?». Poi mi fece ritornare sulla sponda del torrente; voltandomi, vidi che sulla sponda del torrente vi era una grandissima quantità di alberi da una parte e dall'altra. Mi disse: «Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell'Araba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina" (Ez. 47, 1-12). Dal Tempio, da Gerusalemme Dio ha fatto scaturire la guarigione; da quella Gerusalemme che aveva tradito, che aveva pervertito e adulterato, dall'abbondanza del peccato Dio ha fatto realmente sovrabbondare la Grazia. Nella contraddizione ha fatto scaturire la sorgente di puro bene che risolve ogni contraddizione; purificando il cuore dall'idolatria lo ha sanato conferendogli quell'unità, quel principio capace di orientare la vita secondo giustizia e verità. 




Immerso in questa ed altre profezie simili, Israele viveva Gerusalemme come il luogo della Presenza di Dio, della sua fedeltà più forte di ogni peccato. In Gerusalemme si scontravano l'altissima vocazione dell'uomo e la sua reale capacità di distruggersi nel modo più abietto; l'esilio, la lontananza e la nostalgia struggente di Gerusalemme sono immagine di ogni cuore esiliato dalla Verità. Dimenticare Gerusalemme, la presenza di Dio, era peggiore che vedersi seccare la mano, paralizzarsi la lingua: "Se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia!" (Sal. 137). La comunione con Dio nella contraddizione dell'esistenza, la speranza di un amore che varchi i confini della carne, tutto questo era, in fondo Gerusalemme. I pellegrinaggi annuali per le grandi feste non erano altro che un rientrare, attraverso la memoria liturgica, in questo fiume di guarigione che scaturiva dalla Città santa. Per questo Gerusalemme era, soprattutto, profezia dell'incarnazione, l'evento più imprevedibile, lo sgorgare improvviso e stupefacente, del fiume di salvezza che avrebbe risolto, per sempre, le contraddizioni: Dio stesso entrava, con una carne simile a quella di ogni uomo, nella storia, sino al fondo delle sue contraddizioni. 
Così in Gerusalemme emerge lo stesso contrasto che provoca la persona di Gesù: vero uomo e vero Dio. L'Altissimo, che nessuno spazio - neanche il Cielo - può contenere, fattosi tanto piccolo da abitare in una Città concreta, nello spazio angusto di un Tempio, e, in esso, in un'Arca di dimensioni ridottissime. Gesù, Tempio nuovo e definitivo, presenza di Dio tra gli uomini, che non cessa d'essere un uomo, capace di segni prodigiosi, ma pur sempre, agli occhi carnali, un semplice uomo, di cui si conoscono le origini e la storia. 
In questa luce si comprende il Vangelo di oggi: il pellegrinaggio di Gesù è già il compimento del disegno di Dio; Gesù ne aveva conversato con Mosè ed Elia nella trasfigurazione, erano i giorni della sua elevazione. Non si tratta solo della Croce e della risurrezione: l'elevazione-esodo di Gesù inizia a compiersi proprio nel viaggio a Gerusalemme, il viaggio del profeta che doveva morire a Gerusalemme. L'elevazione di Gesù, il cuore della sua missione è una profezia, l'ultima, la decisiva e definitiva. Le sue parole e gli avvenimenti che lo attendono sono tutti parte della profezia di Dio sulla storia e sull'uomo, una profezia di misericordia e di amore. Per questo Gesù rende saldo il volto, con lo sguardo puntato irrevocabilmente al compimento dell'opera del Padre, come il profeta ed il servo incamminati sul sentiero dell'obbedienza. Uno sguardo di pietra pronto a ricevere insulti e rifiuti, sputi e bestemmie; uno sguardo colmo di una misericordia illimitata, decisa a salvare ogni uomo.  


              Gerusalemme  
       

Gerusalemme è il luogo dove la profezia troverà il suo compimento. Per questo la Presenza di Dio consiste nella sua stessa opera, le meraviglie compiute nella storia, frammenti divini spalmati sullo scorrere dei giorni; eventi inafferrabili, sempre sfuggenti e profetici, parole vive che chiamano e mettono in cammino verso un altro luogo, misterioso ma reale, come è stato per Abramo, per Mosè, per Elia, per Gesù. La presenza di Dio è deposta nell'esperienza, l'autentico luogo dell'incontro. Gerusalemme è dunque essenzialmente un'esperienza, un avvenimento che si ripete, identico nella sostanza ma diverso nella forma, che muta a seconda delle vicende della storia. Gerusalemme è una porta dischiusa sul Cielo, sulla Gerusalemme celeste patria definitiva di ogni uomo. Secondo la tradizione ebraica erano legati a Gerusalemme la creazione di Adamo e il sacrificio di Isacco al Monte Moria: profezie che si sarebbero compiute nel nuovo Adamo tentato in un giardino e, come Isacco, legato ad un legno. A Gerusalemme la stessa tradizione fissava il luogo del sogno di Giacobbe,  quando, "addormentato sulle pietre riconciliate e riunite" (Gen R 68), aveva visto "la scala dalla terra fino al cielo" (Gen. 28,10-22), la croce che avrebbe dischiuso il Regno al Figlio di Dio.  
La scala che conduce al Cielo affonda le sue radici anche nel villaggio di Samaritani del Vangelo di oggi, ebrei eretici che guardavano Gerusalemme e il suo tempio come lo scandalo più grande. Mistero Pasquale di Cristo non è avvenimento di un istante circoscritto, è un pellegrinaggio, una salita-elevazione verso e attraverso Gerusalemme, ha una storia, passa per villaggi e incontri, relazioni; la Pasqua, come prescritto nella tradizione ebraica, esige dei preparativi, profetizzati anch'essi nella lunga storia di Salvezza inaugurata, non a caso, da un pellegrino, Abramo partito in obbedienza alla parola di Dio. 
Ma la Pasqua di Cristo, affinchè sia un'opera che raggiunga concretamente ogni uomo, esige anche uomini scelti per annunciarla e realizzarne la preparazione. Angeli inviati davanti al volto di Gesù, come recita l'originale greco. "Nell’antica Chiesa – già nell’Apocalisse – i Vescovi venivano qualificati "angeli" della loro Chiesa... Da una parte, l’Angelo è una creatura che sta davanti a Dio, orientata con l’intero suo essere verso Dio. Tutti e tre i nomi degli Arcangeli finiscono con la parola "El", che significa "Dio". Dio è iscritto nei loro nomi, nella loro natura. La loro vera natura è l’esistenza in vista di Lui e per Lui. Proprio così si spiega anche il secondo aspetto che caratterizza gli Angeli: essi sono messaggeri di Dio. Portano Dio agli uomini, aprono il cielo e così aprono la terraProprio perché sono presso Dio, possono essere anche molto vicini all’uomo. Dio, infatti, è più intimo a ciascuno di noi di quanto non lo siamo noi stessi. Gli Angeli parlano all’uomo di ciò che costituisce il suo vero essere, di ciò che nella sua vita tanto spesso è coperto e sepolto. Essi lo chiamano a rientrare in se stesso, toccandolo da parte di Dio. In questo senso anche noi esseri umani dovremmo sempre di nuovo diventare angeli gli uni per gli altri – angeli che ci distolgono da vie sbagliate e ci orientano sempre di nuovo verso Dio... L'amore di Cristo, salito per noi sulla croce, è la forza risanatrice che, in tutte le confusioni, dona la capacità della riconciliazione, purifica l’atmosfera e guarisce le ferite. Come all'Arcangelo Raffaele, al sacerdote è affidato il compito di condurre gli uomini sempre di nuovo incontro alla forza riconciliatrice dell’amore di Cristo. Deve essere "l’angelo" risanatore" (Benedetto XVI).
Non solo i Vescovi e i presbiteri è riservata questa missione. In virtù del battesimo ciascun cristiano è un angelo chiamato a vivere nell'intimità con Dio per annunciarla ad ogni uomo. Come Santo Stefano, il cui volto appariva ai suoi assassini trasfigurato come quello di un angelo, anche il nostro volto è modellato perché in esso sia impresso lo stesso volto di Cristo, rivolto decisamente verso Gerusalemme. Ciascuno di noi è un messaggero inviato dinanzi al Signore a fare i preparativi per lui. La nostra vita è un po' come quella di chi appartiene allo staff di un Presidente. Inviati prima di una sua visita ufficiale, i membri dello staff hanno il compito di "bonificare" l'area - setacciare ogni angolo alla ricerca di eventuali pericoli -; organizzare la visita preoccupandosi della logistica, degli orari, di ogni particolare. Per realizzare il compito è necessaria una profonda conoscenza del Presidente, delle sue abitudini, del suo modo di fare, dei suoi obiettivi. Così anche la vita dei messaggeri del Signore presuppone una sua profonda conoscenza, unita ad una totale condivisione della sua missione. Occorre immergersi nella realtà alla quale si è inviati, bonificando l'area annunciando la Verità senza ipocrisie e compromessi; soprattutto, non si possono nascondere identità e missione del Signore. Lui va a Gerusalemme.
La missione di Gesù consiste essenzialmente nell'essere rifiutato e nel prendere su di sé il rigetto. Per salvare ciò che è perduto deve perdere se stesso. E' esattamente ciò che appare nel Vangelo di oggi. Chi è diretto a Gerusalemme, al Tempio ma anche alla Croce, è rifiutato. Questo il destino di Cristo e di chi ne prepara la Pasqua, come è stato per Giovanni Battista. La Croce è lo scandalo e l'idiozia indigeribile al mondo e alla nostra povera carne. Spesso ci ribelliamo come i discepoli, e mostriamo di non aver compreso a cosa siamo stati chiamati. Vorremmo bruciare ogni ostacolo, ogni eretico, ogni male; mistifichiamo, come gli apostoli, la profezia di Elia che distrusse l'idolatria per mostrarne la menzogna, mentre noi vorremmo solo la scomparsa del male e dei malfattori, dimenticando le ferite originali che porta ogni uomo. "Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. Tutte le ideologie del potere si giustificano così, giustificano la distruzione di ciò che si opporrebbe al progresso e alla liberazione dell’umanità. Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza... Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall’impazienza degli uomini" (Benedetto XVI). 




E Gesù si volta anche oggi, ci fissa, e, con amore, orienta nuovamente il nostro cammino sulle sue stesse orme luminose di libertà. Essere angeli del Signore è infatti annunziare con libertà la libertà. Messaggeri della Buona Notizia presente nella loro vita. Angeli che incarnano Dio stesso, come quelli apparsi a Mambre annunciando ad Abramo la vittoria della vita sulla morte. Siamo gli angeli che cercano ogni hametz, ogni lievito vecchio nascosto nella vita degli uomini, perché si compia la Pasqua del risanamento di ogni contraddizione. Angeliche, con libertà, passano attraverso gli episodi di rifiuto di ogni giorno, bonificando, sanando e salvando ogni luogo e ogni uomo, nell'attesa che Cristo compia l'opera donando a tutti la sua stessa Vita. 






 αποφθεγμα Apoftegma







Cari amici, siate veramente "angeli custodi"! 
Aiutate il Popolo di Dio, 
che dovete precedere nel suo pellegrinaggio, 
a trovare la gioia nella fede 
e ad imparare il discernimento degli spiriti: 
ad accogliere il bene e rifiutare il male, 
a rimanere e diventare sempre di più, 
in virtù della speranza della fede, 
persone che amano in comunione col Dio-Amore.
Anche oggi Egli ha bisogno di persone che, 
per così dire, gli mettono a disposizione la propria carne, 
che gli donano la materia del mondo e della loro vita, 
servendo così all’unificazione tra Dio e il mondo, 
alla riconciliazione dell’universo. 
Cari amici, è vostro compito bussare in nome di Cristo ai cuori degli uomini. 
Entrando voi stessi in unione con Cristo, 
portare la chiamata di Cristo agli uomini.

Benedetto XVI

20 ANNI DI PELLEGRINAGGI SENZA LASCIARE TRACCIA NELLA VITA SOCIALE?

Qualcosa che non va....Kairòs



20 ANNI DI PELLEGRINAGGI SENZA LASCIARE TRACCIA NELLA VITA SOCIALE?

La società si trasforma sempre più rapidamente e, negli ultimi vent'anni, si sono viste tante cose nuove che prima non c'erano. Sono cambiati i gusti, le mode, la cultura, la politica e persino la religione... si direbbe in peggio, dicono alcuni. Andando per santuari - a Lourdes non c'è solo la grotta di Massabielle, ma c'è anche il santuario di Bétharram, famosissimo fin dai tempi di san Vincenzo de Paoli e più volte frequentato da Bernadette per venerarvi la Madonna del "bel ramo" e, oggi, conserva anche il corpo di san Michele Garicoits (1797-1863) - e vedendo quella moltitudine di fedeli che si alterna ogni tre o quattro giorni, facendo della cittadina ai piedi dei Pirenei il secondo centro della Francia per accoglienza turistica con i suoi 250 alberghi, ho fatto due conti per me impressionanti. Senza contare i santuari minori (tra questi includo anche La Salette, Banneux, Oropa, Loreto, Siracusa e tantissimi altri in Polonia, Austria, Baviera), in Europa esistono ben quattro centri di preghiera frequentati da sette-otto milioni di pellegrini ogni anno. Sono: Fatima, Lourdes, Medjugorje e San Giovanni Rotondo. Soltanto in questi santuari ogni anno, quindi, transitano dai 28 ai 32 milioni di pellegrini. Senza voler fare i conti in tasca a nessuno, mi è sorta spontanea questa domanda: possibile che i circa 600 milioni di pellegrini che negli ultimi vent'anni vi si sono recati con la massima devozione, si sono accostati ai sacramenti e sono ritornati alle loro case trasformati nello spirito, non siano stati poi in grado di lasciare una traccia, di incidere nei loro ambienti, di fare in modo che la nostra società invece di allontanarsi, si avvicinasse un po' di più a Dio? Perchè così tanti uomini religiosi non lasciano un segno, mentre basta un pugnetto di radicali per scristianizzare un paese? Giro la domanda ai nostri Pastori, mentre mi accingo a chiedere per me e per tutte le pecorelle del gregge la grazia della perseveranza.
(Padre Savino Tamanza)

Papa Francesco \ Messa a Santa Marta

Gli angeli lottano contro il diavolo

 e ci difendono....Papa Francesco

ilsismografo/Papa Francesco Messa a Santa Marta


Il Papa: Satana presenta le cose come buone, ma vuole distruggere umanità <<<RadioVaticana 


Satana presenta le cose come se fossero buone, ma la sua intenzione è distruggere l'uomo, magari con motivazioni "umanistiche". Gli angeli lottano contro il diavolo e ci difendono. Questo, in sintesi, quanto ha detto il Papa nell'omelia mattutina a Casa Santa Marta, nel giorno in cui la Chiesa celebra la Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele. 
Le letture del giorno ci presentano immagini molto forti: la visione della gloria di Dio raccontata dal profeta Daniele con il Figlio dell’Uomo, Gesù Cristo, davanti al Padre; la lotta dell’arcangelo Michele e i suoi angeli contro “il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo” e “seduce tutta la terra abitata” ma viene sconfitto, come afferma l’Apocalisse; e il Vangelo in cui Gesù  dice a Natanaèle: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Papa Francesco parla della “lotta fra il demonio e Dio”:

“Ma questa lotta avviene dopo che Satana cerca di distruggere la donna che sta per partorire il figlio. Satana sempre cerca di distruggere l’uomo: quell’uomo che Daniele vedeva lì, in gloria, e che Gesù diceva a Natanaèle che sarebbe venuto in gloria. Dall’inizio la Bibbia ci parla di questo: di questa seduzione per distruggere, di Satana. Magari per invidia. Noi leggiamo nel Salmo 8: ‘Tu hai fatto l’uomo superiore agli angeli’, e quell’intelligenza tanto grande dell’angelo non poteva portare sulle spalle questa umiliazione, che una creatura inferiore fosse fatta superiore; e cercava di distruggerlo”.
Satana, dunque, cerca di distruggere l’umanità, tutti noi:
“Tanti progetti, tranne i peccati propri, ma tanti, tanti progetti di disumanizzazione dell’uomo, sono opera di lui, semplicemente perché odia l’uomo. E’ astuto: lo dice la prima pagina della Genesi; è astuto. Presenta le cose come se fossero buone. Ma la sua intenzione è la distruzione. E gli angeli ci difendono. Difendono l’uomo e difendono l’Uomo-Dio, l’Uomo superiore, Gesù Cristo che è la perfezione dell’umanità, il più perfetto. Per questo la Chiesa onora gli angeli, perché sono quelli che saranno nella gloria di Dio – sono nella gloria di Dio – perché difendono il gran mistero nascosto di Dio, cioè che il Verbo è venuto in carne”.
“Il compito del popolo di Dio – ha affermato il Papa - è custodire in sé l’uomo: l’uomo Gesù” perché “è l’uomo che dà vita a tutti gli uomini”. Invece, nei suoi progetti di distruzione, Satana inventa “spiegazioni umanistiche che vanno propriamente contro l’uomo, contro l’umanità e contro Dio”:
“La lotta è una realtà quotidiana, nella vita cristiana: nel nostro cuore, nella nostra vita, nella nostra famiglia, nel nostro popolo, nelle nostre chiese … Se non si lotta, saremo sconfitti. Ma il Signore ha dato questo mestiere principalmente agli angeli: di lottare e vincere. E il canto finale dell’Apocalisse, dopo questa lotta, è tanto bello: ‘Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il Regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte’”.
Il Papa, infine, invita a pregare gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele e a “recitare quella preghiera antica ma tanto bella, all’arcangelo Michele, perché continui a lottare per difendere il mistero più grande dell’umanità: che il Verbo si è fatto Uomo, è morto e è risorto. Questo è il nostro tesoro. Che lui continui a lottare per custodirlo”.

“Remate, siate forti, anche col vento contrario! … Remiamo insieme!

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#PapaFrancesco ai #gesuiti: “Remate, siate forti, anche col vento contrario! … Remiamo insieme!

by occhetta.f
Papa Francesco, sabato 27 settembre, ha presieduto una celebrazione di ringraziamento nella Chiesa del Gesù di Roma, in occasione del bicentenario della Ricostituzione della Compagnia di Gesù avvenuta il 7 agosto 1814 con la bolla di Pio VII, Sollicitudo omnium ecclesiarum. Da quando è stato eletto Jorge Mario Bergoglio, primo gesuita a salire al soglio di Pietro, ha visitato il Gesù, chiesa madre dei gesuiti, il 31 luglio 2013 in occasione della festa di Sant'Ignazio e il 3 gennaio di quest'anno in occasione della canonizzazione di Pietro Favre, uno dei primi compagni di Ignazio. Inoltre durante la sua visita al Centro Astalli per i rifugiati, il 10 settembre 2013, il Papa sostò presso la tomba di Pedro Arrupe, sepolto nella stessa chiesa.
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La celebrazione, riservata ai gesuiti e a pochi stretti collaboratori laici, si è svolta nella più grande semplicità, in un'atmosfera di famiglia. Un momento altamente simbolico è stato quello in cui sono state portate sette lampade collocate davanti all'icona della Madonna della Strada, davanti alla quale pregò S. Ignazio e i primi compagni e alla cui intercessione si affidarono i nostri Padri e Fratelli, partendo per le missioni al servizio del Vangelo in ogni parte del mondo. Le sette lampade rappresentano le sei Conferenze mondiali: Africa e Madagascar, America Latina, Asia Meridionale, Asia-Pacifico, Europa e Stati uniti. La settima rappresenta la Curia Generalizia. Le lampade sono state portate da altrettanti gesuiti dei diversi continenti.
Cari fratelli e amici nel Signore,
La Compagnia insignita del nome di Gesù ha vissuto tempi difficili, di persecuzione. Durante il generalato del p. Lorenzo Ricci «i nemici della Chiesa giunsero ad ottenere la soppressione della Compagnia» (Giovanni Paolo II, Messaggio a p. Kolvenbach, 31 luglio 1990) da parte del mio predecessore Clemente XIV. Oggi, ricordando la sua ricostituzione, siamo chiamati a recuperare la nostra memoria, a fare memoria, richiamando alla mente i benefici ricevuti e i doni particolari (cfr Esercizi Spirituali, 234). E oggi voglio farlo qui con voi.
In tempi di tribolazione e di turbamento si solleva sempre un polverone di dubbi e di sofferenze, e non è facile andare avanti, proseguire il cammino. Soprattutto nei tempi difficili e di crisi vengono tante tentazioni: fermarsi a discutere di idee, lasciarsi trasportare dalla desolazione, concentrarsi sul fatto di essere perseguitati e non vedere altro. Leggendo le lettere del p. Ricci una cosa mi ha molto colpito: la sua capacità di non farsi imbrigliare da queste tentazioni e di proporre ai gesuiti, in tempo di tribolazione, una visione delle cose che li radicava ancora di più nella spiritualità della Compagnia.
Il p. Generale Ricci, che scriveva ai gesuiti di allora vedendo le nubi addensarsi all'orizzonte, li fortificava nella loro appartenenza al corpo della Compagnia e alla sua missione. Ecco: in un tempo di confusione e di turbamento ha fatto discernimento. Non ha perso tempo a discutere di idee e a lamentarsi, ma si è fatto carico della vocazione della Compagnia. Lui doveva custodirla, e si è fatto carico.
E questo atteggiamento ha portato i gesuiti a fare l'esperienza della morte e risurrezione del Signore. Davanti alla perdita di tutto, perfino della loro identità pubblica, non hanno fatto resistenza alla volontà di Dio, non hanno resistito al conflitto cercando di salvare sé stessi. La Compagnia - e questo è bello - ha vissuto il conflitto fino in fondo, senza ridurlo: ha vissuto l'umiliazione con Cristo umiliato, ha ubbidito. Non ci si salva mai dal conflitto con la furbizia e con gli stratagemmi per resistere. Nella confusione e davanti all'umiliazione la Compagnia ha preferito vivere il discernimento della volontà di Dio, senza cercare un modo per uscire dal conflitto in modo apparentemente tranquillo. O almeno elegante: non lo ha fatto.
Non è mai l'apparente tranquillità ad appagare il nostro cuore, ma la vera pace che è dono di Dio. Non si deve mai cercare il «compromesso» facile né si devono praticare facili «irenismi». Solo il discernimento ci salva dal vero sradicamento, dalla vera «soppressione» del cuore, che è l'egoismo, la mondanità, la perdita del nostro orizzonte, della nostra speranza, che è Gesù, che è solo Gesù. E così il p. Ricci e la Compagnia in fase di soppressione ha privilegiato la storia rispetto a una possibile «storiella» grigia, sapendo che è l'amore a giudicare la storia, e che la speranza - anche nel buio - è più grande delle nostre attese.
Il discernimento deve essere fatto con intenzione retta, con occhio semplice. Per questo il p. Ricci giunge, proprio in questa occasione di confusione e di smarrimento, a parlare dei peccati dei gesuiti. Sembra fare pubblicità al contrario! Non si difende sentendosi vittima della storia, ma si riconosce peccatore. Guardare a se stessi riconoscendosi peccatori evita di porsi nella condizione di considerarsi vittime davanti a un carnefice. Riconoscersi peccatori, riconoscersi davvero peccatori, significa mettersi nell'atteggiamento giusto per ricevere la consolazione.
Possiamo ripercorrere brevemente questo cammino di discernimento e di servizio che il padre Generale indicò alla Compagnia. Quando nel 1759 i decreti di Pombal distrussero le province portoghesi della Compagnia, il p. Ricci visse il conflitto non lamentandosi e lasciandosi andare alla desolazione, ma invitando alla preghiera per chiedere lo spirito buono, il vero spirito soprannaturale della vocazione, la perfetta docilità alla grazia di Dio. Quando nel 1761 la tempesta avanzava in Francia, il padre Generale chiese di porre tutta la fiducia in Dio. Voleva che si approfittasse delle prove subite per una maggiore purificazione interiore: esse ci conducono a Dio e possono servire per la sua maggior gloria; poi raccomanda la preghiera, la santità della vita, l'umiltà e lo spirito di obbedienza. Nel 1767, dopo l'espulsione dei gesuiti spagnoli, ancora continua a invitare alla preghiera. E infine, il 21 febbraio 1773, appena sei mesi prima della firma del Breve Dominus ac Redemptor, davanti alla totale mancanza di aiuti umani, vede la mano della misericordia di Dio che invita coloro che sottopone alla prova a non confidare in altri che non sia solamente Lui. La fiducia deve crescere proprio quando le circostanze ci buttano a terra. L'importante per il padre Ricci è che la Compagnia fino all'ultimo sia fedele allo spirito della sua vocazione, che è la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.
La Compagnia, anche davanti alla sua stessa fine, è rimasta fedele al fine per il quale è stata fondata. Per questo Ricci conclude con una esortazione a mantenere vivo lo spirito di carità, di unione, di obbedienza, di pazienza, di semplicità evangelica, di vera amicizia con Dio. Tutto il resto è mondanità. La fiamma della maggior gloria di Dio anche oggi ci attraversi, bruciando ogni compiacimento e avvolgendoci in una fiamma che abbiamo dentro, che ci concentra e ci espande, c'ingrandisce e ci rimpicciolisce.
Così la Compagnia ha vissuto la prova suprema del sacrificio che ingiustamente le veniva chiesto facendo propria la preghiera di Tobi, che con l'animo affranto dal dolore sospira, piange e poi prega: «Tu sei giusto, Signore, e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità. Tu sei il giudice del mondo. Ora, Signore, ricordati di me e guardami. Non punirmi per i miei peccati e per gli errori miei e dei miei padri. Violando i tuoi comandi, abbiamo peccato davanti a te. Ci hai consegnato al saccheggio; ci hai abbandonato alla prigionia, alla morte e ad essere la favola, lo scherno, il disprezzo di tutte le genti, tra le quali ci hai dispersi». E conclude con la richiesta più importante: «Signore, non distogliere da me il tuo volto» (Tb 3,1-4.6d).
E il Signore rispose mandando Raffaele a togliere le macchie bianche dagli occhi di Tobi, perché tornasse a vedere la luce di Dio. Dio è misericordioso, Dio corona di misericordia. Dio ci vuol bene e ci salva. A volte il cammino che conduce alla vita è stretto e angusto, ma la tribolazione, se vissuta alla luce della misericordia, ci purifica come il fuoco, ci dà tanta consolazione e infiamma il nostro cuore affezionandolo alla preghiera. I nostri fratelli gesuiti nella soppressione furono ferventi nello spirito e nel servizio del Signore, lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera (cfr Rm 12,13). E questo ha dato onore alla Compagnia, non certamente gli encomi dei suoi meriti. Così sarà sempre.
Ricordiamoci la nostra storia: alla Compagnia «è stata data la grazia non solo di credere nel Signore, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Ci fa bene ricordare questo.
La nave della Compagnia è stata sballottata dalle onde e non c'è da meravigliarsi di questo. Anche la barca di Pietro lo può essere oggi. La notte e il potere delle tenebre sono sempre vicini. Costa fatica remare. I gesuiti devono essere «rematori esperti e valorosi» (Pio VII, Sollecitudo omnium ecclesiarum): remate dunque! Remate, siate forti, anche col vento contrario! Remiamo a servizio della Chiesa. Remiamo insieme! Ma mentre remiamo - tutti remiamo, anche il Papa rema nella barca di Pietro - dobbiamo pregare tanto: «Signore, salvaci!», «Signore salva il tuo popolo!». Il Signore, anche se siamo uomini di poca fede e peccatori ci salverà. Speriamo nel Signore! Speriamo sempre nel Signore!
La Compagnia ricostituita dal mio predecessore Pio VII era fatta di uomini coraggiosi e umili nella loro testimonianza di speranza, di amore e di creatività apostolica, quella dello Spirito. Pio VII scrisse di voler ricostituire la Compagnia per «sovvenire in maniera adeguata alle necessità spirituali del mondo cristiano senza differenza di popoli e di nazioni» (ibid). Per questo egli diede l'autorizzazione ai gesuiti che ancora qua e là esistevano grazie a un sovrano luterano e a una sovrana ortodossa, a «restare uniti in un solo corpo». Che la Compagnia resti unita in un solo corpo!
E la Compagnia è stata subito missionaria e si è messa a disposizione della Sede Apostolica, impegnandosi generosamente «sotto il vessillo della croce per il Signore e il suo vicario in terra» (Formula Instituti, 1). La Compagnia riprese la sua attività apostolica con la predicazione e l'insegnamento, i ministeri spirituali, la ricerca scientifica e l'azione sociale, le missioni e la cura dei poveri, dei sofferenti e degli emarginati.
Oggi la Compagnia affronta con intelligenza e operosità anche il tragico problema dei rifugiati e dei profughi; e si sforza con discernimento di integrare il servizio della fede e la promozione della giustizia, in conformità al Vangelo. Confermo oggi quanto ci disse Paolo VI alla nostra trentaduesima Congregazione generale e che io stesso ho ascoltato con le mie orecchie: «Ovunque nella Chiesa, anche nei campi più difficili e di punta, nei crocevia delle ideologie, nelle trincee sociali, vi è stato e vi è il confronto tra le esigenze brucianti dell'uomo e il perenne messaggio del Vangelo, là vi sono stati e vi sono i gesuiti» (Insegnamenti XII (1974), 1181). Sono parole profetiche del futuro beato Paolo VI.
Nel 1814, al momento della ricostituzione, i gesuiti erano un piccolo gregge, una «minima Compagnia», che però si sapeva investito, dopo la prova della croce, della grande missione di portare la luce del Vangelo fino ai confini della terra. Così dobbiamo sentirci noi oggi, dunque: in uscita, in missione. L'identità del gesuita è quella di un uomo che adora Dio solo e ama e serve i suoi fratelli, mostrando attraverso l'esempio non solo in che cosa crede, ma anche in che cosa spera e chi è Colui nel quale ha posto la sua fiducia (cfr 2 Tm 1,12). Il gesuita vuole essere un compagno di Gesù, uno che ha gli stessi sentimenti di Gesù.
La bolla di Pio VII che ricostituiva la Compagnia fu firmata il 7 agosto 1814 presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, dove il nostro santo padre Ignazio celebrò la sua prima Eucaristia nella notte di Natale del 1538. Maria, nostra Signora, Madre della Compagnia, sarà commossa dai nostri sforzi per essere al servizio del suo Figlio. Lei ci custodisca e ci protegga sempre.