Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 30 giugno 2014

Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario






L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.
 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 8, 18-22)



COMMENTO COMPLETO


Il sogno di Giacobbe



Quando la mattina apriamo gli occhi, si dipana dinanzi ai nostri occhi un futuro incerto. Passarvi dentro senza lasciarci la vita e giungere indenni alla fine della giornata, è il desiderio che, prepotente, ci brucia dentro. Non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce. Il Vangelo di oggi risponde al desiderio insaziabile di libertà e di felicità che ci accompagna ogni giorno. Gesù "ordina" perentoriamente di "passare all’altra riva", per entrare nella Pasqua (passaggio), il seno da cui è stato tratto Israele. Gesù ci "spinge" oggi a lasciarci attirare nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Quello che abbiamo dentro, dunque, è molto più di un desiderio, è un "ordine" del Signore, l'eco della "chiamata" che ci ha tratto all'esistenza, l'annuncio nel quale viviamo, esistiamo, siamo. Il "senso" profondo della nostra vita, ovvero la "direzione" che dà consistenza e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa "passare all’altra riva", ogni giorno. Una vita incastrata nella concupiscenza e incapace di "passare" attraverso il fuoco delle passioni, un’esistenza atrofizzata e installata nelle sicurezze schierate come reggimenti a difesa di una pace che neanche possediamo, una vita seduta con le noccioline in mano e il telecomando puntato sullo schermo sperando di poter cambiare insieme ai canali anche i programmi "in diretta" dalle nostre giornate, una vita che non segue il cammino pasquale del Signore, è già preda dei vermi: la corruzione delle menzogne, invidie, gelosie, rancori, egoismi, ha preso il sopravvento, tutto marcisce tra le mani, e ormai nulla soddisfa e nulla rallegra. Passare all’altra riva è l’unico modo di "seguire" il Signore. Lui non ci offre un cuscino dove riposare, alienazioni come ce ne propone il mondo. Con Lui non si scappa dalla realtà per nascondersi nelle "tane" delle "volpi", supponendo stoltamente che la nostra astuzia ci possa preservare dal fallimento e dalle delusioni; si cammina nella storia, i piedi ben piantati in terra, non si vola come "gli uccelli" verso "nidi" di fantasie sognate nel mondo virtuale di internet, degli astrologi, degli acquisti a rate e con carta di credito. Cristo ha pagato cash, per tutti: infatti, "non ha dove reclinare il capo", e lo farà solo sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere e salvare ogni uomo, rivelandoci che, se crocifisso, ogni istante della vita è operoso e fecondo. Il Signore chiama per condurci al vero riposo, quello del seme che, caduto in terra, muore per non restare solo e dare molto frutto. Il riposo che inizia qui sulla terra nell'amore che dimentica se stesso, prende la Croce d’ogni giorno e "segue" il Signore ovunque, perché in ogni luogo c'è qualcuno che aspetta la sua salvezza. Per questo, sulla terra non troveremo mai il riposo autentico, quello carnale e mondano che scorre negli spot pubblicitari: le Maldive e nessuna spiaggia ci daranno mai il riposo che desideriamo, perché il demonio con le sue trame perverse non va mai in vacanza. Pensiamo che una buona vacanza possa essere come un pit-stop dell'anima? Un punto e a capo nella vita che ci affanna e fagocita? Illusi siamo, il demonio ci segue sempre, non sciopera mai, non si prende neanche un momento di riposo. Ma è anche vero che neanche il Signore va mai in vacanza; e se il cuore non smette mai di battere significa che abbiamo la possibilità di amare sempre, ed è il cammino al vero riposo, sia che resti in città durante l'estate, sia che vada in montagna o al mare, sia che la malattia ti obblighi a letto. Ovunque e sempre, come per Gesù, anche per noi la Croce non è il riposo ma la via, non è la meta ma il passaggio ad essa. Il riposo di chi "segue" il Signore è l'amore che dimentica se stesso, prendendo la Croce d’ogni giorno che introduce nel Cielo del suo compimento, per gustare su questa terra il perdono e la presenza di Gesù, anticipi e caparre della Vita eterna che ci attende. Quando Gesù passa e chiama, il tempo si ferma, ed è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lasciamo raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l'esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione, ogni situazione che sembrava spacciata, non potrà "seguire il Maestro ovunque vada"; non ha i parametri per ascoltare e obbedire, la carne ha altri criteri e cerca sempre e solo il proprio interesse e la propria soddisfazione. Negli "ovunque" di Gesù, spazi e momenti di puro amore, vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore si scioglieranno come neve al sole. Può "seguire" Gesù solo chi, come i catecumeni della Chiesa primitiva, è disceso nelle acque del battesimo dopo una seria iniziazione cristiana che faccia verità sulla propria vita; chi ha camminato nel deserto e ha conosciuto il proprio cuore, e sa per certo che, sulle proprie forze non potrà seguire il Maestro. Chi ha compreso quello che diceva il padre del deserto Abbà Antonio ad un altro padre, Abbà Poemen, "questo è il grande lavoro dell'uomo sulla terra: gettare sopra di sé il proprio peccato davanti a Dio e attendersi la tentazione fino all'ultimo respiro". Chi ha fatto l'esperienza cruda e autentica di essere un apostata, come Pietro: dopo aver toccato con mano la propria debolezza e la friabilità delle proprie promesse e proprio lì aver incontrato lo sguardo misericordioso del Signore e l'abbraccio liberante della sua Croce, può "seguire" Colui che lo ha amato senza condizioni. Solo chi è libero dalla superbia che lo fa presumere d se stesso, può "tendere le mani" offrendosi negli eventi più incomprensibili per "andare dove non vuole"; solo chi vive del suo amore può "seguire" Gesù "ovunque", "lasciando che i morti seppelliscano i propri morti", che significa consegnare fiducioso a Lui le situazioni irrisolte della propria storia: i fidanzamenti interrotti tra passioni, gelosie e capricci infantili, le amicizie finite senza un perché, l'incomunicabilità con il collega; a volte anche la relazione impossibile con il coniuge e i figli. Sì, non ti scandalizzare, a volte neanche i rapporti più santi, come quelli familiari o di una comunità religiosa, possono offrire un "luogo dove reclinare il capo". E non c'è nulla da fare, anzi; più si tenta di "seppellire i morti", ovvero più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese, e più queste si moltiplicano. In questi casi, e sono la quasi totalità, occorre solo rientrare in se stessi, ricordare di non essere migliori di nessuno, accettare che la carne esiste ed è forte, quando soggiogata dal demonio; e "seguire il Signore", per "reclinare il capo", ovvero i pensieri e le angustie, gli tsunami della carne, i desideri e le speranze, sul legno della Croce. E, crocifissi con Lui per amore dell'altro, sino a lasciargli intatta tutta la sua libertà, "passare" al Cielo, perché solo da lassù si vedono con chiarezza le cose di quaggiù. Amare, senza se e senza ma, perché solo nell'amore vi è il riposo, che abbraccia l'altro così com'è, senza esigenza, anche se non cambierà mai. Solo in questo amore si può trovare pace, proprio lì, nella realtà. E non si tratta di superficialità, di rassegnazione e di cinismo; è amore, amore purissimo che si dona senza riserve e senza sperare nulla per sé, sia pure umanamente legittimo; che si offre in silenzio, muto come Gesù nella Passione, per non sporcare la purezza dell'amore di Dio, solo perché l'altro possa percepirne, nella libertà di rifiutarlo, almeno un frammento. "Seguire" il Signore è tenere fisso lo sguardo nel suo sguardo, senza fughe all’indietro a cercare di seppellire il passato, le cose lasciate in sospeso, che sembra sempre di non aver risolto, sistemato, spiegato, compreso. Seguirlo è lasciare che il passato seppellisca il passato, per non diventare come la moglie di Lot, una statua di sale immobile in uno sguardo di rimpianto. Seguirlo è prendere gli attrezzi che sino ad ora ci hanno dato sicurezza e, come Eliseo, farne un falò per accogliere il "mantello" di Elia, lo Spirito Santo che ci conduce a compiere miracoli di vita eterna nella vita della carne. La nostra vita è chiamata a superare anche gli obblighi religiosi, la Legge di Mosè che prescriveva la giusta attenzione per i defunti; ed è ovvio che Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari e accompagnarli sino alla morte, anzi. Ma di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. A volte, un prete o una famiglia partiti in missione, per le distanze, non hanno la possibilità di essere presenti al funerale dei propri cari. Come a volte, per il Vangelo, i cristiani sperimentano un taglio così profondo nella carne da lasciare tramortiti: quando una famiglia vive aperta alla vita e i genitori non accettano l'ennesima gravidanza della figlia, o un fratello di carne non capisce l'attitudine inerme di fronte all'ingiustizia e rompe i rapporti; quando, insomma, per amore a Cristo e al Vangelo - e quindi per amore vero e celeste alla carne della propria carne - il coltello affonda la lama per circoncidere il cuore: anche questo è il momento dell'amore più puro, che si fa crocifiggere per non barattare la propria salvezza e quella dell'altro con un po' d'affetto e consolazioni umane. Si comprende allora come seguire Gesù sia molto più di un'opera pia, qualcosa di radicalmente diverso di un andare al cimitero per seppellire i morti; è invece un camminare nella morte per giungere alla vita e tirar fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo. Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia prendendo su di noi l'incomprensione, il rifiuto e i peccati degli altri, dando così compimento a ogni relazione; l'amore, infatti, non si limita alle pur dovute e desiderate attenzioni; esso va ben oltre il "minimo sindacale" del "religiosamente corretto". La vita cristiana è "seguire" l'Amato nelle ore infinite di "straordinario" spese per ascoltare e correggere un figlio, per accollarsi silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, per amare la suocera o la nuora così come sono, per compiere cioè il Discorso della Montagna; e per annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Questi sono gli straordinari di un amore straordinario, che non ha altro stipendio in terra che la gioia del Cielo che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all'amore di Dio. Come Giacobbe, siamo chiamati a "posare il capo" su di una pietra, nel luogo di Dio: istante dopo istante, famiglia, lavoro, scuola, i luoghi che ci attendono "seguendo" il Signore, divengono le "porte del Cielo" che ha visto Giacobbe: “Rabbì Berekhiah dice in nome di Rabbì Levi: Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, nella quale freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, delle difficoltà con i figli e i genitori, dei sacrifici per non restare invischiati nell'egoismo; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono si "trasformano in un letto e un cuscino" dove riposare dalle sterili fatiche della carne; e ogni orma del Signore è colmata dalla nostra "benedizione", perché ci parlano del Cielo, ci mostrano la meta agognata. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Come non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, così non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento, un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, non accompagna all'eutanasia e non abortisce persone, relazioni ed eventi; non è un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo segue ovunque, perché, risvegliatosi con Lui dal sonno della morte, sa che ogni "luogo" è "la casa di Dio, una porta sul Cielo". Dio farà di lui e della sua storia una benedizione "per tutte le famiglie della terra", perché "sarà con lui e lo guarderà ovunque andrà e non lo abbandonerà prima di aver compiuto ogni sua promessa" (Cfr. Gen 28,10-19). E proprio questo era il desiderio dello scriba, simile al nostro celato in tutto quello che pensiamo e facciamo: stare con Gesù per sempre. Ma esso è il frutto dell’esser passati all’altra riva, sorge dall'esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo. Seguire il Signore ci rende come il vento, che non sai di dove venga o dove vada, del quale solo se ne apprezza la presenza. Nessuna sicurezza se non Lui, vivendo sereni nella precarietà che denuda e svuota d’ogni appoggio e schiavitù. Sul mare passa il cammino del Signore e le orme ne restano invisibili recita il salmo, ma Lui è comunque presente, nel potere rigenerante del suo Spirito.

domenica 29 giugno 2014

Domenica 29 giugno 2014 - Festa dei Santi Pietro e Paolo

Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la liturgia ci propone il Vangelo in cui Gesù dice a Pietro:«Tu sei Pietro, a te darò le chiavi del Regno dei Cieli».Su questo brano evangelico una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti, prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma.“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, risponde con entusiasmo Pietro al Signore che chiede: “Voi, chi dite che io sia?”. E su questa fede, che il Padre ha donato all’apostolo, il Signore fonda la sua Chiesa. E gli dà un nome nuovo. “Il nome del primo dei discepoli è Šim´ôn, in ebraico ‘Docile (all’ascolto)’ della Parola. Ma il Signore gli muta il nome, come ‘presa di possesso’ definitivo, nell’aramaico Kêfâ’ [Pietro], la rupe salda nella fede, sopra la quale il Signore può costruire la ‘sua Chiesa’” (Federici). Alla professione di fede di Pietro, la Chiesa – per un disegno stesso di Dio – ha unito da sempre la confessione di Paolo, come canta il prefazio della Messa di oggi: “Tu hai voluto unire in gioiosa fraternità i due santi apostoli: Pietro, che per primo confessò la fede nel Cristo, Paolo, che illuminò le profondità del mistero; il pescatore di Galilea, che costituì la prima comunità con i giusti di Israele, il maestro e dottore, che annunziò la salvezza a tutte le genti”. Pieni di gratitudine a Dio per il dono di questi due apostoli, “dai quali abbiamo ricevuto il primo annunzio della fede” (Colletta), rinnoviamo oggi con tutta la Chiesa, con gli apostoli Pietro e Paolo, la nostra professione di fede e il nostro amore a Pietro, al Papa, e fatti nuovi nella Chiesa, per il perdono dei peccati, il Signore ci renda pietre vive per fondare in tutte le nazioni la sua Chiesa, perché tutti i popoli abbiano un “luogo” dove i loro peccati siano perdonati: “tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”.

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MESSA DEL GIORNO


Nella loro storia possiamo leggere la nostra vita

Commento al Vangelo di domenica 29 giugno 2014 - Festa dei Santi Pietro e Paolo


Takamatsu,  (Zenit.orgDon Antonello Iapicca | 293 hits

«Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa; dove c'è la Chiesa, lì non c'è affatto morte ma vita eterna» (S. Ambrogio). Pietro e la Chiesa. E, in essa, la vita, e la fine della morte. E' questo il desiderio d'ogni uomo, il nostro desiderio d'oggi, il più profondo, il più intenso, l'anelito che freme insopprimibile in ogni parola, pensiero, azione. 
La vita e mai più nessuna morte. I peccati stessi gridano il nostro desiderio di felicità eterna, che si tramuta purtroppo in fuga da ogni sofferenza confondendo il piacere con l'eterno esistere a cui aspiriamo: “Io preferisco pensare che l’istinto sessuale sia un surrogato della religione e che il giovanotto che suona il campanello per cercare un postribolo, stia cercando Dio senza saperlo” (Bruce Marshall).
Anche le guerre, i divorzi, anche gli aborti, l’eutanasia e gli abomini genetici, la droga e il sesso sfrenato, e le nostre ore intrise di rabbia, malinconia, ribellioni e mormorazioni, le giornate rifugiate nel display di un tablet. 
Anche il gusto per il calcio e i mondiali, evaporato nel senso di frustrazione e vuoto percepito all’eliminazione dell’Italia, grida in noi il desiderio dell’eterno. Lo affermava il Card. Ratzinger quando spiegò il senso del gioco riferendosi alla Roma Antica: “la richiesta di pane e gioco era in realtà l’espressione del desiderio di una vita paradisiaca, di una vita di sazietà senza affanni e di una libertà appagata”.
Ed era “come se dicesse: guardate che, senza rendervene conto, perfino divertendovi a una partita della Nazionale in realtà con la bandiera della patria cercate la Patria perduta, cercate il Paradiso, cercate Dio” (Antonio Socci).
Non ci arrendiamo all'ineluttabile scorrere, v'è dentro un grido più forte di tutto, l'accorato appello lanciato ad una vita che sembra sorda ad ogni richiamo, che sfugge malvagia senza risposta. Tutti drogati di qualcosa o di qualcuno, sperando il cristallizzarsi, seppur effimero, d'un secondo almeno, un istante di tregua e di pace dove cullare le speranze deluse vissute solo in un sogno. 
Nella poesia “A Silvia”, Leopardi descriveva magistralmente i sentimenti che s’affastellano in noi:
"Questo è quel mondo? Questi
i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
onde cotanto ragionammo insieme?
questa la sorte dell'umane genti?
All'apparir del vero
tu, misera, cadesti: e con la mano
la fredda morte ed una tomba ignuda
mostravi di lontano”.
Il "vero" che ci travolge anche oggi, in famiglia, con quell’atteggiamento di tua moglie, con la porta che ti sbatte in faccia tuo figlio, spalancandoti così "ignude tombe", e dolori, e lacrime, e delusioni.
La vita, dunque, è come il cammino dei due discepoli di Emmaus, che avevano sperato in Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere; avevano riposto fiducia in Lui perché li liberasse dal giogo romano, immagine di ogni muro sul quale si infrangono le aspirazioni del cuore, e invece, anche Lui in una tomba da tre giorni. 
E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, nel terrore di fare la stessa fine atroce. Come noi, come ogni uomo, in Asia come in Europa, povero o ricco, uomo o donna, giovane o vecchio. Tutto infranto e i desideri ingoiati in una tomba, come quelle che si spalancano dietro ogni angolo delle nostre ore. 
Ma quella sera, all'imbrunire d'un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, nella stanza d’una pasqua appena volata via, ecco d’improvviso apparire un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La sua voce, il suo volto, le sue piaghe. E' proprio Lui, lo dicono i segni del suo amore inchiodato su un legno. E la gioia esplode, incontenibile: in quel cenacolo, in mezzo a quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito, l'amore era deflagrato come una bomba, l’amore sperato nascosto in una vita più forte del peccato.
E Pietro era lì; la roccia, primo tra gli apostoli, il primo ad essere perdonato, il primato del perdono. La beatitudine di Pietro è un perdono che né carne e né sangue possono rivelare, perché viene dal sepolcro, ha attraversato l'inferno, e si è fatto dono gratuito e immeritato. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa, capace di “legare” a Cristo i peccatori e “scioglierli” dal peccato, eternamente.
Con Pietro nella Chiesa si apprende l'amore perché il Buon Pastore ne guida il cammino. E’ Cristo, il Pastore incarnato nel pastore terreno che ci è donato. Pietro, e ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente a ogni uomo l'amore di Dio. 
Sulla soglia del mondo Pietro è garante e custode della fede incarnata qui ed ora; apre le porte della sua casa, la Chiesa dov'è vivo Cristo, e accoglie ogni uomo nelle viscere di misericordia di Dio, perché sia curato e rigenerato, e divenga cittadino del Cielo. 
Per questo, Pietro presiede nella carità un pugno di poveri uomini strappati all’inganno, il segno dell'unica speranza che Dio offre all’umanità. Conferma ogni giorno la nostra fede, quando siamo chiamati a darne ragione tra i sofismi e le menzogne del pensiero mondano.
Pietro saio tu ed io per le persone che ci sono affidate. Hanno bisogno d’essere presieduti nell’amore che abbraccia anche il nemico; ci chiedono, forse male, d’essere confermati nei passi malfermi sul cammino della conversione.
I tuoi cari, tuo marito, tuo figlio, tua suocera, i parrocchiani, gli amici, gli indifferenti, tutti sono in attesa della Chiesa che gli annunci e gli testimoni che il grido con cui reclamano una vita senza più la morte ha trovato risposta in Cristo crocifisso e risorto. E non hanno che te e me, in quell’istante, in quel luogo.
Dialogo, tolleranza, rispetto, tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro, però, - la nostra casa progettata e costruita a forma di croce - annuncia l'amore eterno, l’unica Pietra sul quale si infrange la potenza di ogni male. La Chiesa, infatti, è il luogo dell’impossibile che si fa possibile, come accadde a Nazaret nel seno della Vergine Maria.
Come accadde a San Paolo. Nella sua storia possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio; per Lui era disposto ad incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. 
Abbiamo la Parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l'errore. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, tra una lezione e l'altra, a cena la sera con consorte e figli. 
Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi. Anche in Chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non v'è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava San Paolo.
Ma è accaduto l’imprevisto, e riaccade oggi. Qualcosa a cui Saulo non era preparato, come nessuno di noi. Qualcuno è apparso sul suo cammino e ha smontato le sue certezze. Un fatto, un avvenimento, un incontro. E inizia la conversione, la Teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. 
San Paolo ha incontra Cristo, più forte d'ogni sua ignoranza, d'ogni suo passato. Una scintilla d'amore ed è nata una creatura nuova; accompagnato dalla Chiesa piena di misericordia, quella che aveva sin lì perseguitato, comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell'istante. 
Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell'ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore. 
Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d'una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino, lo ha amato e ricreato con un’elezione che lo generava in una missione che era l’opposto di quella a cui si era votato.
Nessun rimprovero, solo una luce ad illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione. La vita fantastica dell'apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla. Sulla via di Damasco Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un determinato accusatore uno zelante annunciatore. 
I segni che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per San Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno che lo ha lanciato, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell'annuncio infaticabile del Vangelo.
Oggi appare anche a noi Cristo. Attraverso la predicazione della Chiesa, la liturgia di questa solennità, gli ammonimenti dei fratelli, il “perché” che ha fermato Saulo ci viene incontro nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perché perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera?
Perché abbiamo dimenticato Lui e il suo amore, seppellendo nella tomba degli inganni mondani la sua chiamata. Ma Lui ci viene incontro, ha avuto pazienza, la tenerezza che abbiamo sperimentato nella Chiesa, che non ci ha mai respinto, ma sempre risollevato, senza moralismi, senza esigenza. 
E fa di noi i suoi apostoli, lanciandoci in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia; e forse sino agli estremi confini della terra, come presbitero chissà, o tra le mura di un convento a pregare per ogni uomo, o formando famiglie sante che siano luce per i pagani, come San Paolo. 
Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l'arroganza e la superbia. 
Ci invia come Pietro e Paolo, la nostra vita come un segno della sua misericordia, del Cielo che attende ogni uomo, perché tutti possano vedere, credere, e conoscere il Signore.


Cuore di Maria Vergine ...

Dell'Amor la forma /3

Le porte della Terra di Mezzo
Il Cuore di Maria Vergine è quello che più assomiglia al Cuore Sacratissimo di Gesù. Ella lo ha cullato per nove mesi nel suo purissimo seno verginale, consapevole che quel Figlio era stato intessuto, ricamato fin dall'eternità, nell'Aurora dei Tempi eterni per Lei, prima Aurora della redenzione, novella Eva della famiglia del mondo. Nel desiderio di penetrare il grande mistero che la sua storia di donna e di prescelta sta vivendo, Maria conserva e medita nel suo Cuore ogni particolare, ogni parola, ogni avvenimento che la volontà di Dio amorevolmente le porge. Ella nella preghiera, nella meditazione, nel silenzio e nel nascondimento, di giorno in giorno, si alimenta del pane vivo della Parola, in continua comunione con il suo Signore, che, preservandola da ogni macchia di peccato, l'ha resa feconda e madre dell'Unigenito, coinvolgendola nel grande e misericordioso progetto della riconciliazione dell'intero genere umano. Maria è consapevole della preziosità della carne che abita il suo grembo; ne avverte tutta la vitalità, il candore, lo splendore, la Divinità  e, accesa d'amorosa ansia d'attesa, in adorante silenzio ascolta quel piccolo Cuore che pulsa d'amore e ne conforma ai battiti il suo. La trasformazione è consumata! Il Cuore di Maria è quello di Gesù, il Cuore di Gesù è quello di Maria. Ora pulsano all'unisono e sono pronti per affrontare insieme ogni prova della loro vita: dalla culla al Calvario. 
O Dio di bontà, che avete riempito il Cuore santo e immacolato di Maria dei sentimenti di misericordia e di tenerezza, di cui il Cuor di Gesù fu sempre penetrato, concedete a quelli che onorano questo Cuore Verginale, di conservare fino alla morte una perfetta conformità col S. Cuore di Gesù che vive e regna nei secoli. Così sia. 


Le grandi donne della Chiesa

Le grandi donne della Chiesa
Catechesi di Papa Benedetto XVI

venerdì 27 giugno 2014

Domani comincia il Ramadan


Omelie islamiche

Domani comincia il 

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 il mese sacro di preghiera,
 digiuno, carità e perdono


I musulmani commemorano il momento in cui Allah rivela a Maometto i primi versetti del Corano. E' soprattutto un periodo per compiere buone azioni evitando tutto ciò che dispiace ad Allah. Ogni persona che ha superato l'età della pubertà ed è mentalmente e fisicamente sana è obbligata a digiunare. Ma nel mondo consumistico di oggi il mese del digiuno e il suo approssimarsi sono accompagnati dalla accumulazione di scorte. 

Beirut (AsiaNews) - Al tramonti di domani, all'apparire della prima falce della Luna nuova, o rukyah, per gran parte del mondo musulmano inizierà il Ramadan, il mese sacro nel quale si digiuna, si prega, si compiono opere di carità, si perdona. Il giorno di inizio non è lo stesso in tutto il mondo, proprio in quanto è legato a quando si vede la Luna crescente del primo giorno del nono mese del calendario islamico. Terminerà con la Luna nuova del 27 luglio. Il mese sacro di quest'anno sarà anche il più duro da 30 anni, con un periodo medio di astinenza da cibo e acqua di quasi 16 ore.
Con il Ramadan i musulmani commemorano il momento in cui Allah rivela a Maometto i primi versetti del Corano, inviando sulla terra l'arcangelo Gabriele. Ogni persona che ha superato l'età della pubertà ed è mentalmente e fisicamente sana è obbligata a digiunare. Però chi cucina può assaggiare i cibi per sentire se sono salati o speziati al punto giusto.
La tradizione vuole che il digiuno quotidiano cominci nel momento in cui si riesce a distinguere un filo bianco da un filo nero. Nei villaggi e nelle città esso è annunciato dal muezzin che chiama tutti alla preghiera dell' Al Fajr (preghiera del mattino). Il digiuno termina al tramonto con l'Al - Magrib (preghiera del tramonto) che da' il via all'iftar la cena da condividere insieme a tutta la famiglia. Di fatto la vita delle persone cambia: di giorno vie e negozi, oltre ai ristoranti, sono quasi vuoti, ma al tramonto si riempiono.
Ma nel mondo consumistico di oggi il mese del digiuno e il suo approssimarsi sono accompagnati dalla accumulazione di scorte. Sul Kuwait Times uno studioso islamico lamenta che il mese di digiuno, carità e solidarietà con i poveri "purtroppo è diventato un pretesto per un consumo eccessivo". "Quasi tutti i supermercati e le cooperative hanno lanciato promozioni per  il Ramadan" ed "è uno spettacolo comune vedere acquirenti spingere carrelli che gemono sotto il peso di prodotti alimentari che non potranno mai essere consumati".
A confermare le sue parole, in Arabia Saudita una catena di supermercati, la Lulu Hypermarkets, ha lanciato una mega-promozione che ha in palio anche cinque automobili, oltre a televisori, tablet e telefoni cellulari. E nei giorni scorsi è apparsa la notizia che I residenti di Jeddah stanno facendo scorta di datteri, in previsione degli aumenti di prezzi che accompagnano il mese sacro.
Ma per la grande maggioranza dei musulmani, il digiuno è uno degli aspetti cruciali del Ramadan ed è uno dei cinque pilastri (doveri) dell'islam. La sua istituzione risale al secondo anno dall'"egira" (622 d.C.). Il periodo corrisponde alla fuga di Maometto dalla Mecca all'oasi di Yathrib poi rinominata Medina (Madinat al Nabi, città del profeta), per sfuggire dall'ostilità delle tribù che vedevano nel leader e nei suoi seguaci un minaccia per i loro interessi. Egli istituì il digiuno per far crescere i propri adepti nello spirito e nella morale, ricordando in questo modo coloro che non hanno nulla da mangiare. Per questa ragione durante il Ramadan, oltre al digiuno e alla preghiera la gente compie atti di carità verso i poveri e i malati.
Sono esentati dal digiunare: le persone con problemi psicologici, i bambini sotto l'età della pubertà, gli anziani, i malati, i viaggiatori e le donne incinte, che allattano, o appena entrate nel ciclo mestruale. Come esercizio, molti genitori fanno osservare ai bambini un digiuno veloce (mezza giornata).
Nella logica del perdono si pone invece l'iniziativa degli Emirati di liberare 147 carcerati, imprigionati per vari reati.
Ma il mese sacro è soprattutto un periodo per compiere buone azioni evitando tutto ciò che dispiace ad Allah. E' il momento per purificare l'anima e chiedere perdono a coloro che si sono offesi. In questi giorni, infatti le porte dello Jannah (il Paradiso) sono aperte e quelle dello Jahannum (il fuoco infernale) sono chiuse. E' anche momento per ringraziare Allah per tutte le benedizioni che ci ha dato e per fare la carità a coloro che non sono così fortunati.
Anche per questo, durante questo mese, sono molti i musulmani che si recano a la Mecca per la Umrah, il pellegrinaggio. Quest'anno, nella Grance moschea della Mecca sono al termine i lavori per l'ampliamento della  "mataf" l'area intorno alla "Casa di Dio" che potrà accogliere 130mila pellegrini l'ora, invece dei 50mila attuali. Ed è stato quasi completato un sistema per il quale alla Grande Moschea della Mecca  ogni utente di smartphone può scaricare il Corano in 72 diverse lingue.
Il Ramadan, infine, ha anche effetto sui social media. Uno studio ha mostrato come durante questo mese l'uso di Facebook e Twitter aumenti di un terzo. Molti dei messaggi hanno contenuto spirituale.

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Ospiti musulmani che prendono la parola al posto dell'omelia

Gesù è solo un profeta o in Lui si sono adempiute tutte le profezie?
Nella sua consueta rubrica di liturgia, padre McNamara risponde oggi ad una domanda posta da un lettore negli USA.

Nella messa celebrata la scorsa domenica di Pentecoste, al posto dell'omelia due esponenti della moschea locale sono stati invitati ad “unirsi a noi nella preghiera, alla luce dell'esempio dato dal nostro Santo Padre”. Il primo leader musulmano ha condiviso le sue idee su Dio, su come siamo tutti alla ricerca della pace e come essa possa essere trovata solo in Dio. Ha spiegato che i seguaci dell’Islam credono nello stesso Dio dei cristiani e che anche i musulmani credono che “Gesù era un profeta, come il grande Maometto". Il secondo esponente musulmano ha proseguito leggendo alcuni brani del Corano in inglese e poi ha cantato questi stessi brani in arabo. Ha letto anche alcuni versetti su Maria. Alla fine della loro "preghiere per la pace", la donna che li ha introdotti ha affermato testualmente che “i nostri fratelli musulmani stavano per lasciare la Liturgia della Parola, mentre ci prepariamo a recitare il Credo, il quale ci isola ulteriormente da loro". Non mi turba che musulmani vengano invitati come osservatori alla nostra Messa, ma mi chiedo: non è un grave errore permettere a loro di parlare al posto dell’omelia, leggere il Corano e affermare varie volte che anche loro "credono che Gesù era un grande profeta"? Personalmente mi sono sentito imprigionato in casa propria e mi sono vergognato di non aver avuto il coraggio dei primi martiri di testimoniare: “Gesù non era SOLO un profeta, ma il Figlio di DIO". Inoltre sono rimasto sbigottito quando ho sentito definire il nostro Credo un elemento di “isolamento”. Per me è la verità della quale non dobbiamo vergognarci, neppure quando abbiamo visitatori di un'altra fede. Esagero? -- H.C., Orlando, Florida (USA)

Ecco la risposta formulata da padre McNamara:
Papa Francesco ha fatto tantissimo per promuovere la reciproca comprensione e accettazione tra persone di fedi diverse. Allo stesso tempo, il Pontefice, come i suoi predecessori, ha fatto di tutto per evitare ogni sincretismo religioso e personalmente io non mi ricordo casi in cui preghiere non cristiane siano state introdotte in un atto liturgico cristiano, tanto meno in una Messa.
Pertanto, prima di tutto penso che voler richiamarsi all’esempio di papa Francesco per questo atto sia semplicemente fuori luogo.
In secondo luogo, non penso che i leader musulmani coinvolti in questo episodio abbiano mai pensato di invitare un ministro cristiano alla preghiera del venerdì per dire ai fratelli di fede musulmana che i cristiani credono che Gesù sia il Figlio di Dio e la rivelazione definitiva di Dio all'umanità. Dico questo non per criticare i musulmani per la mancanza di reciprocità, ma voglio semplicemente segnalare che questo sarebbe perfettamente coerente da un punto di vista musulmano, poiché consentire ad un cristiano di affermare questo, sarebbe come negare il principio centrale dell'Islam stesso.
Credo che dovrebbe essere altrettanto ovvio per un ministro cattolico che non possa esserci posto per una spiegazione di una religione non cristiana nel contesto di una celebrazione cristiana.
Ci sono certamente momenti e luoghi in cui si può spiegare una religione non cristiana con reciproco beneficio ma mai all’interno di un atto liturgico cristiano. Ogni liturgia cristiana è infatti una proclamazione di fede e spiegare al suo interno un'altra religione significa negare il motivo stesso per cui si partecipa all’atto di culto. In questo senso noi non siamo "isolati" dai musulmani soltanto dal Credo, ma già dal momento in cui facciamo il segno della croce e proclamiamo la Trinità all'inizio stesso della Messa.
Per dirla chiaramente, anche se può e deve esserci il rispetto reciproco e la pace tra di loro, dal punto di vista delle credenze religiose, l'islam e il cristianesimo sono religioni incompatibili. Ci sono infatti alcuni valori condivisi ed elementi comuni di pratica religiosa, ma allo stesso tempo entrambe le religioni proclamano concetti dottrinali assoluti che si escludono a vicenda. Cioè possiamo essere d'accordo nell’essere in disaccordo in modo amichevole, ma dobbiamo accettare che non ci può essere un terreno comune per quanto riguarda i contenuti dottrinali centrali. Solo allora si potrà avere un dialogo fecondo.
In questo senso possiamo ora affrontare le affermazioni fatte dai leader musulmani durante la Messa. Nella misura in cui entrambe le fedi credono che ci sia un solo Dio, allora è certo che adoriamo lo stesso Dio. Da un punto di vista più speculativo, tuttavia, alcuni studiosi sostengono che i concetti sottostanti riguarda la natura e gli attributi della divinità non sono sempre compatibili in entrambe le religioni.
Allo stesso modo, l'affermazione che i musulmani considerano Gesù un grande profeta come Maometto è sostanzialmente priva di significato per i cristiani.
Per capire, faccio un altro esempio. Un cristiano potrebbe dire ad un ebreo che i cristiani considerano Isaia un grande profeta, il che sarebbe una dichiarazione veritiera. Tuttavia, questo non significa che un ebreo possa accettare l’esegesi cristiana secondo la quale alcuni testi di Isaia profetizzano la vita e la morte di Gesù. Se lo facesse, negherebbe la propria fede ebraica.
Per i cristiani, Cristo è il Figlio di Dio e la rivelazione definitiva di Dio all'umanità. Un cristiano non può accettare che Maometto sia un profeta in senso cristiano, dal momento che tutte le profezie si sono adempiute in Cristo. Né può il cristianesimo dare alcun credito al Corano come Rivelazione divina, perché non ci può essere Rivelazione pubblica dopo gli apostoli. Affermare diversamente equivale negare la dottrina centrale della nostra fede.
Infine, anche se può sembrare un argomento legalistico, l'omelia non può essere omessa nelle domeniche e nelle feste di precetto. Inoltre, solo un ministro ordinato può tenere l’omelia, la quale deve incentrarsi strettamente sul mistero salvifico della fede.
Infatti, l'istruzione Redemptionis Sacramentum, emessa il 25 marzo 2004 dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dice nei n° 64-67:
“[64.] L’omelia, che si tiene nel corso della celebrazione della santa Messa ed è parte della stessa Liturgia, «di solito è tenuta dallo stesso Sacerdote celebrante o da lui affidata a un Sacerdote concelebrante, o talvolta, secondo l’opportunità, anche al Diacono, mai però a un laico. In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche da un Vescovo o da un Presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare».
“[65.] Va ricordato che, in base a quanto prescritto dal canone 767, § 1, si ritiene abrogata ogni precedente norma che abbia consentito a fedeli non ordinati di tenere l’omelia durante la celebrazione eucaristica. Tale prassi è, di fatto, riprovata e non può, pertanto, essere accordata in virtù di alcuna consuetudine.
“[66.] Il divieto di ammissione dei laici alla predicazione durante la celebrazione della Messa vale anche per i seminaristi, per gli studenti di discipline teologiche, per quanti abbiano ricevuto l’incarico di «assistenti pastorali», e per qualsiasi altro genere, gruppo, comunità o associazione di laici.
“[67.] Soprattutto, si deve prestare piena attenzione affinché l’omelia si incentri strettamente sul mistero della salvezza, esponendo nel corso dell’anno liturgico sulla base delle letture bibliche e dei testi liturgici i misteri della fede e le regole della vita cristiana e offrendo un commento ai testi dell’Ordinario o del Proprio della Messa o di qualche altro rito della Chiesa. Va da sé che tutte le interpretazioni della sacra Scrittura debbano essere ricondotte a Cristo come supremo cardine dell’economia della salvezza, ma ciò avvenga tenendo anche conto dello specifico contesto della celebrazione liturgica. Nel tenere l’omelia si abbia cura di irradiare la luce di Cristo sugli eventi della vita. Ciò però avvenga in modo da non svuotare il senso autentico e genuino della parola di Dio, trattando, per esempio, solo di politica o di argomenti profani o attingendo come da fonte a nozioni provenienti da movimenti pseudo-religiosi diffusi nella nostra epoca.”
 [Traduzione dall'inglese a cura di Paul De Maeyer]

Ramadan nel mondo: Egitto


Un proverbio egiziano dice: 'Se non avete visto il Ramadan celebrato in Egitto, allora non avete visto le celebrazioni!’  e questo per sottolineare quanto siano speciali le tradizioni che accompagnano il mese sacro in questo paese.Pochi giorni prima l'inizio del Ramadan, e fino alla fine del mese, le strade si riempiono di persone indaffarate per i preparativi. Dolci, biscotti e torte, come konafah, basbousah, e katayef si preparano ovunque. Il qamar eldin (succo di albicocca) lo si trova su ogni tavola assieme al medamis (fave), allo zabadi (yogurt) e ai deliziosi e colorati vasetti di torshi baladi (sottaceti fatti in casa). In alcune parti del paese, soprattutto nelle grandi città come Il Cairo, la solidarietà sociale è espressa sotto forma di "banchetti di carità". Ricchi uomini d'affari pagano il loro zakat (elemosina annuale) acquistando cibo per i poveri che non possono permettersi i mezzi per rompere il digiuno. Quasi in ogni angolo di strada si trovano tavoli e sedie, dove viene distribuito il cibo gratuito per chi è nel bisogno. Prima dell'alba, per tutto il mese, il Musaharti (Al-Mesarahaty) inizia il suo lavoro. Il Musaharati è colui che sveglia la gente per avvertirla che è l’ora del Sahour (pasto pre-alba). Camminando per le strade batte su un piccolo tamburo, a volte cantando e gridando. In alcuni piccoli villaggi egli può anche stare di fronte a ogni casa e chiamare ogni abitante con il loro nome, per svegliarli. Una delle sue canzoni tradizionali è "Suhur, suhur / Es ha ya Nayem / Wahed el Dayem / Ramadan Kareem / Es ha ya Nayem, wahed el Razzaq", "Svegliatevi voi che dormite, pregate per l'eternità, felice Ramadan , Dio è Colui che vi manda il vostro sostentamento ". Il Mesarahaty non prende alcun compenso per questo lavoro notturno, ma è consuetudine alla fine del Ramadan dare del denaro o un regalo per i suoi sforzi. Lo sparo di un cannone , noto anche come 'Haja Fatemah', segna l'alba e il tramonto e segnala quindi il tempo per iniziare e terminare il digiuno. Si racconta che, quando il sultano mamelucco Al-Zaher Seif Al-Din Zenki Khashqodom ricevette in regalo un cannone da un conoscente tedesco, i suoi soldati lo testarono sparando un colpo al tramonto. Essendo nel mese di Ramadan  lo sparo coincise con il momento della rottura del digiuno e gli abitanti del Cairo pensarono che il Sultano li stesse avvertendo per l’ iftar. I dignitari di corte, rendendosi conto che una tale usanza avrebbe potuto aumentare la popolarità del Sultano, gli suggerirono  di continuare la pratica.Si racconta anche che fu la moglie del sultano, Haja Fatemah, a ricevere i tedeschi venuti a consegnare il dono,  dato che il Sultano non era in casa, ed è  per questo che il cannone porta il suo nome.Per tutto il mese, ogni moschea, edificio, strada e vicolo si illuminano decorati con le fanous (lanterne). Dopo 30 giorni di digiuno, i musulmani egiziani festeggiano l’ Eid al-Fitr in grande stile. E’ ancora un colpo di cannone sparato al crepuscolo a dare il via a tre giorni di festa in cui le persone indossano vestiti nuovi, visitano parenti e amici e si preparano grandi feste. Gite sul fiume Nilo con le feluca(barche a vela)  sono una caratteristica speciale di queste celebrazioni nei pressi del Cairo.

SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI

QUI il commento al Vangelo di domenica 29 giugno 2014 -

Festa dei Santi Patroni di Roma



La liturgia della Messa della Vigilia dei Santi Pietro e Paolo e' in questa pagina, sotto la Messa del Cuore Immacolato della Beata Vergine Maria.




Si dice che una cosa è immacolata quando è priva di qualsiasi macchia. Ciò che è immacolato non ha né difetti né imperfezioni. Quando uno dice: "Questa stanza è immacolata", intende dire che la stanza è molto pulita. Dire a qualcuno: "Appari immacolato" significa che i suoi abiti sono stirati con eleganza e non fanno una grinza, mentre si presenta in ordine anche nel resto: capelli, unghie, barba: tutto è perfettamente apposto. Il cuore è l’organo del corpo che pompa sangue attraverso il sistema circolatorio. Però, la parola "cuore" si riferisce spesso al centro emozionale di una persona. L’amore e l’odio, il coraggio e la paura, la fiducia e l’offesa sono ritenuti come aventi la loro sede nel cuore. Dire a uno: "Abbi cuore" comporta un riferimento alla compassione umana. Certe funzioni, che sono localizzate nel cervello, vengono alle volte considerate come se fossero nel cuore. Maria, la Madre di Gesù, "serbava tutte queste cose nel suo cuore". Dopo la nascita di Gesù e la visita dei pastori, Maria "serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). Fece cosi anche dopo che ebbe ritrovato Gesù dodicenne nel Tempio (Lc 2,5 1). Nel cuore puro della Madre di Dio, erano conservate le meraviglie della rivelazione di Dio al suo popolo. 
Dio continua a rivelarsi nel cuore degli uomini. Ciò avviene spesso come una meditazione: uno sta seduto con calma e, senza dire una parola, riflette sugli eventi della giornata; cerca la presenza di Dio nel quotidiano della vita, negli incontri sul lavoro, nelle conversazioni durante il pranzo, mentre nella sua auto torna a casa alla sera, a tavola in famiglia durante la cena, ecc. In questi eventi, si può scoprire che è Dio che guida e porta avanti ogni cosa; è lui che aiuta a crescere nella grazia, a comprendere le sue vie. Riflettendo su queste cose. uno le serba nel suo cuore. 
 SANTI PIETRO E PAOLO APOSTOLI (Messa del Giorno)

 

29 giugno. Solennità dei SS Pietro e Paolo



La Chiesa non è santa da se stessa; 
consiste infatti di peccatori, 
lo sappiamo e lo vediamo tutti. 
Piuttosto, essa viene sempre di nuovo santificata 
dall’amore purificatore di Cristo. 
Dio non solo ha parlato: 
ci ha amato molto realisticamente, 
amato fino alla morte del proprio Figlio. 
E’ proprio da qui che ci si mostra tutta 
la grandezza della rivelazione 
che ha come iscritto nel cuore di Dio stesso le ferite. 

Benedetto XVI





La vita è come il cammino dei due discepoli di Emmaus, che avevano sperato in Gesù di Nazaret, profeta potente in parole ed opere, che li avrebbe liberati e invece.... Anche Lui in una tomba da tre giorni. E le lacrime di Pietro, il tradimento e un amore strozzato nella paura di morire, di fare la stessa fine atroce. Come noi, come tutti. Tutto infranto e i desideri spezzati. Ma quella sera, all'imbrunire d'un giorno di paura, i chiavistelli della vita ben serrati, nella stanza d’una pasqua appena volata via, ecco d’improvviso apparire un volto incandescente di luce, una voce, un saluto di Pace che trapassa i muri e i cuori. La sua voce, il suo volto, le sue piaghe. E' proprio Lui, lo dicono i segni del suo amore inchiodato ad un legno. E la gioia esplode incontenibile: in quel cenacolo, in mezzo a quel manipolo terrorizzato, che è scappato, che ha tradito, l'amore era esploso in una vita più forte del peccato.
E Pietro era lì; la roccia, primo tra gli apostoli, il primo ad essere perdonato, il primato del perdono. La beatitudine di Pietro è un perdono che né carne e né sangue possono rivelare perché viene dal sepolcro, ha attraversato l'inferno, e si è fatto dono gratuito e immeritato. Pietro, perdonato e per questo roccia e fondamento della Chiesa, capace di “legare” a Cristo i peccatori e “scioglierli” dal peccato, eternamente.
Con Pietro nella Chiesa si apprende l'amore perché il Buon Pastore ne guida il cammino. Un Pastore incarnato nel pastore che ci è donato. Pietro, e ogni papa, schiude le porte del Cielo offrendo gratuitamente a ogni uomo l'amore di Dio. Sulla soglia del mondo Pietro è garante e custode della fede incarnata qui ed ora; dischiude le porte della sua casa, la Chiesa dov'è vivo Cristo, le viscere di misericordia di Dio. Dialogo, tolleranza, rispetto, tutto va bene per le umane, povere forze spese ad arginare il male. La casa di Pietro invece annuncia l'amore eterno, l’ unico scoglio che può infrangere ogni male. Nella Chiesa Pietro  presiede nella carità un pugno di poveri uomini strappati all'inganno segno dell'unica speranza.
Nella storia di San Paolo possiamo leggere la nostra vita. Era deciso, sicuro, religioso, zelante. Era tutto per Dio, per Lui era disposto ad incarcerare, e a uccidere. Come noi, al lavoro, in famiglia, con amici e vicini. Abbiamo la Parola di Dio dalla nostra, ne siamo certi, dobbiamo estirpare l'errore. Discussioni senza fine, polemiche, al bar, nella pausa pranzo, tra una lezione e l'altra, a cena la sera con consorte e figli. Indossata la corazza della nostra giustizia corriamo anche noi ogni giorno verso Damasco, recando lettere che ci autorizzano a gettare in prigione chi pretende di uscire dai nostri schemi. Anche in Chiesa, nelle comunità dove camminiamo per convertirci, nelle riunioni, nelle assemblee. Preti, laici, non v'è differenza, portiamo tutti la stessa armatura di certezze che abbigliava San Paolo.
Ma accade l'imprevisto. Qualcosa a cui Saulo non era preparato. Qualcuno appare sul suo cammino e smonta le sue certezze. Un fatto, un avvenimento, un incontro. E inizia la conversione, la Teshuvà, il ritorno al vero, al bello, al buono, al santo. San Paolo incontra Cristo, più forte d'ogni sua ignoranza, d'ogni suo passato. Una scintilla d'amore e nasce una cosa nuova, una creatura nuova e comprende che tutto nella sua vita era orientato a quell'istante. Dio lo aveva preparato, misteriosamente, senza moralismi, salvaguardando ogni millimetro della sua libertà, accompagnando i suoi passi, permettendo che si impantanassero nell'ingiustizia, che combinassero guai e si lasciassero dietro una linea di sangue e di dolore. Dio ha avuto pazienza, e lo ha atteso nel momento più virile della sua esistenza, laddove era lanciato verso il compimento d'una menzogna. E lì, sul selciato del suo cammino lo ha amato e ricreato con un’elezione che era l’opposto di quello che era stato.
Nessun rimprovero, solo una luce ad illuminare il proprio nulla e subito un invio, una missione. La vita fantastica dell'apostolo delle genti sorgeva da lì, dal suo nulla. Sulla via di Damasco Paolo ha conosciuto la risurrezione di Cristo, capace di risuscitare anche la sua vita, di fare di un persecutore un perseguitato, di un determinato accusatore uno zelante annunciatore. I segni che accompagnano gli apostoli nella missione universale, per San Paolo hanno cominciato a compiersi in quel mezzogiorno che lo ha lanciato, con lo stesso ardore, con più zelo, sulle strade che aveva detestato, quelle dell'annuncio infaticabile del Vangelo.
Oggi appare anche a noi Cristo. Il “perché” che ha fermato Saulo ci viene incontro oggi, nella situazione concreta che stiamo vivendo. Perché perseguitiamo il Signore, incarnato in nostra moglie, nei nostri figli, nei colleghi, nella suocera?. Perché abbiamo dimenticato Lui e il suo amore, abbiamo sepolto la sua chiamata. Ma Lui ci viene incontro, e fa di noi i suoi apostoli, e ci lancia in tutto il mondo, lavoro, scuola, casa, supermercato, parrocchia. Ci manda oggi laddove abbiamo combinato macelli con i nostri peccati, sui sentieri che abbiamo sporcato con le maldicenze, con i giudizi, con i compromessi, con le bugie, con le concupiscenze, con l'arroganza e la superbia. Ci invia come Pietro e Paolo, segni della sua misericordia che trasforma, istante dopo istante, la nostra vita, perchè anche gli altri possano vedere, credere, e conoscere il Signore.



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