Lunedì della XI settimana del Tempo Ordinario
L'ANNUNCIO |
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. (Dal Vangelo secondo Matteo 5, 38-42)
Il Cielo, un anticipo di Cielo è questa Parola. Rivela il cuore di Dio, ferito d’amore, la lancia del malvagio sin dentro il recesso più intimo, e sangue, e acqua, e vita e misericordia sgorganti senza posa. L’amore che ci ha creati liberi si è esposto alla morte, il suo corpo dinanzi al nostro male. E guance, e dorso, e tunica, tutto offerto, senza condizioni; e miglia straziate sotto una croce. E l’amore implorato, esigito, strappato. Il suo dono intrecciato alla nostra concupiscenza. Volevamo amore, vita, rispetto, vendetta, giustizia. Abbiamo trovato il suo volto impregnato di sangue, le sue braccia distese sul mondo, le sue mani e i suoi piedi trapassati dal ferro. Il suo cuore squarciato d’amore. Vomitavamo peccato, ci ha donato il perdono. Non ha volto le spalle al nostro dolore violento, ci ha dato se stesso. Ed è in questo amore che siamo stati eletti e chiamati. Per comprendere il brano del Vangelo di oggi, che con quello di domani costituisce il cuore del discorso della montagna, dobbiamo andare a un passo della Prima Lettera di San Pietro: "E` una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente; che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio. A questo infatti siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme: egli non commise peccato e non si trovò inganno sulla sua bocca, oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia. Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime" . (1 Pt. 2, 19-25). Non si possono comprendere le parole del Vangelo di oggi senza aver conosciuto Cristo, senza avere l'esperienza profonda del suo amore che ha preso e perdonato i nostri peccati; senza aver toccato, concretamente, le sue piaghe, ed esserne stati guariti. Il Discorso della montagna è una follia per chi continua ad errare come pecora senza pastore. Ma se davvero abbiamo gustato quanto è buono il Signore, scopriamo nella chiamata che ci ha raggiunti l'essenza del Vangelo. In greco il termine Kaleo - chiamare, esprime innanzi tutto il significato di nominare, di dare un nome; spesso nella Scrittura nominare significa dare una nuova esistenza a chi è stato scelto da Dio: Giacobbe si chiamerà Israele, perchè ha conosciuto la propria debolezza e si appoggerà in Dio. Le profezie dell'Antico Testamento riferiscono del Nome nuovo che il Signore darà al suo Popolo, a Gerusalemme. Anche oggi, negli ordini religiosi, si suole scegliere un nome diverso da quello ricevuto alla nascita, a significare la nuova vita abbracciata. Ma è al rito del Battesimo che occorre risalire per comprendere quanto la chiamata sia legata all'imposizione del nome. Nella rinascita battesimale un cristiano riceve dignità ed esistenza. La natura che conferisce il battesimo lega indissolubilmente quel nome ricevuto nel rito al nome di Cristo. Per questo, nella chiamata originaria, quella battesimale, si radicano le chiamate particolari, al presbiterato, alla vita consacrata, al matrimonio. Ma qualunque sia la vocazione attraverso la quale Dio ha pensato per ciascuno la vita su questo mondo, vi è una chiamata comune, un' origine e una fonte dalla quale tutte prendono vita. E' la chiamata ad essere cristiani, cioè di Cristo. La chiamata che ci unisce a Lui, che ci fa alter Christus in ogni istante della nostra vita: la chiamata ad essere santi. E' al battesimo dunque che occorre riandare, alla grazia che da esso scaturisce. Lo spiegava Benedetto XVI parlando di San Francesco al clero di Assisi: "Se oggi parliamo della conversione di Francesco, pensando alla radicale scelta di vita che egli fece da giovane, non possiamo tuttavia dimenticare che la sua prima "conversione" avvenne nel dono del Battesimo. La piena risposta che darà da adulto non sarà che la maturazione del germe di santità allora ricevuto. È importante che nella nostra vita e nella proposta pastorale prendiamo più viva coscienza della dimensione battesimale della santità. Essa è dono e compito per tutti i battezzati. A questa dimensione fece riferimento il mio venerato Predecessore, nella Lettera Apostolica Novo millennio ineunte, scrivendo: "Chiedere a un catecumeno: «Vuoi ricevere il battesimo?» significa al tempo stesso chiedergli: «Vuoi diventare santo?»" (n. 31). Il Battesimo, si dice in teologia, esprime un carattere indelebile. Questo carattere è Cristo: attraverso il catecumenato Egli è gestato, nel battesimo nasce e comincia a vivere nel cristiano. Non si può pensare che un uomo possa compiere le parole del Discorso della Montagna senza offrirgli una Iniziazione Cristiana nella quale il cuore ferito dal peccato sia trasformato in un cuore capace di amare. Ma oggi, nella Chiesa, e poi nelle nostre famiglie, crediamo davvero che le parole del Vangelo di oggi siano il segreto della felicità piena? Che solo vivendo così trovino realizzazione tuo figlio, i tuoi parrocchiani, i fedeli della tua Diocesi, tu stesso? Forse no... Ed è per questo che nelle parrocchie si stenta ancora ad aprire una seria Iniziazione Cristiana per giovani e adulti: si dà per scontata la fede, mentre si pensa che i problemi sono altri, tutti esterni al cuore dell'uomo. Ma il Vangelo parla al cuore dell'uomo rivelando il cuore di Cristo; nella Chiesa, attraverso un approfondito e lungo cammino di fede, questa rivelazione giunge alla concretezza della nostra vita; in esso, infatti - guidati dai pastori e dai catechisti, ascoltando e meditando la Parola di Dio, nutrendoci dei sacramenti, sperimentando con fratelli concreti la comunione celeste e l'amore - possiamo essere rigenerati e ricevere la natura di figli di Dio che ci fa vivere secondo il Discorso della Montagna. Per questo le parole del Vangelo di oggi sono un annuncio destinato a risvegliare il battesimo in ciascuno di noi. Esse esprimono la nostra natura più intima, quella divina. Non sono assolutamente una nuova legge da compiere. Tanto meno un moralismo esigito ai cristiani. Sono la Parola compiuta in coloro che sono di Cristo, che vivono in Lui: l'amore che descrivono è l'amore di Cristo che vive nei cristiani, secondo le parole di San Paolo: "Sono stato crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me" (Gal. 2,20). Possiamo allora chiederci se Cristo è davvero vivo in noi. O se, per il peccato, lo abbiamo imprigionato tra le parentesi della nostra volontà, dei nostri desideri, delle nostre concupiscenze. Davanti a questa Parola, ci scopriamo peccatori, bisognosi di conversione. Il battesimo ricevuto da piccoli è più simile a un bonsai che a un albero pieno di frutti. Dobbiamo convenire di avere bisogno di procedere ancora, e molto, nel cammino di fede che ci riporta alle acque del battesimo, al perdono e alla rigenerazione, perché cresca il seme ricevuto da neonati e diventiamo adulti nella fede. Per questo oggi, prima di tutto, è il Signore che ci visita con il suo amore: Lui, oggi, non resiste a ciascuno di noi, alla nostra violenza, al male montante nei nostri cuori. E' Lui che porge l'altra guancia alla nostra sfida. Siamo noi che, con i pensieri, con le invidie, con i giudizi, schiaffeggiamo ancora il Signore sulla guancia destra, a significare la sfida a duello cui lo sottoponiamo. Infatti, a pensarci bene, per dare uno schiaffo sulla guancia destra occorre darlo di manrovescio, con il dorso della mano: con esso si lancia la sfida a duello, come abbiamo visto in tanti film il gesto di gettare il guanto, esprimendo con questo il disprezzo di chi neanche vuol sporcarsi toccando l'altro. Gesù oggi non resiste a chi, come ciascuno di noi, lo vuole trascinare in un duello per ottenere giustizia, per lavare nel sangue il tradimento che crediamo ci abbia fatto non compiendo le nostre volontà. Non resiste, si lascia uccidere e lava nel sangue, ancora una volta, i nostri peccati. E' ancora Gesù che oggi si lascia citare in giudizio e si lascia spogliare di tutto, della sua stessa vita, rappresentata dal mantello e dalla tunica, unici beni inalienabili dei poveri, secondo la legge dell'Antico Testamento: "Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché é la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle, come potrebbe coprirsi dormendo?" (Es 22,25). Sì, Gesù ha superato la Legge, e ci ha lasciato la sua stessa vita preferendo dormire nudo nella tomba piuttosto che richiederci l'immagine e la somiglianza che il Padre ci aveva dato in pegno perché potessimo amarci e donarci; tutti noi gliela abbiamo rubata per farci dio della nostra vita, come fece il figlio prodigo che si impossessò dell'eredità con avidità. Solo così, offrendo se stesso al posto nostro, sul Golgota "prima del tramonto" ha restituito al Padre il pegno, ovvero la natura divina che avevamo disprezzato, compiuta nell'amore che lo rivelava immagine e somiglianza perfette di Dio. Così ci ha lasciati liberi di precipitare e rientrare in noi stessi, per convertirci e tornare alla casa del Padre come figli, attraverso il cammino che aveva tracciato per noi. Morirà anche oggi nudo sulla Croce, consegnato ai nostri delitti che lo spogliano del suo amore. Per la sua nudità saremo anche oggi rivestiti della sua misericordia. Gesù non si appella alla stessa Legge di Dio, che già era un lampo di pietà in mezzo a un mondo che esigiva pene terribili per lavare i delitti: "occhio per occhio per occhio e dente per dente" era già un limite alla furia vendicativa, un principio di giustizia che proporzionava la pena in base al danno del delitto, per evitare eccessi a abusi. Così come per ogni legge che appare nell' "avete udito che vi fu detto", embrioni di giustizia che superavano quella che la carne vorrebbe - lo sappiamo bene, non è vero? non ci si arriccia la pelle quando subiamo un torto e vorremmo riempire di botte chi ci ha guardato male? Ma Gesù viene dal Cielo, e ci presenta l'unica Legge che vige in esso, compimento della giustizia adombrata nella Torah, accettendo l'ingiustizia di percorrere un miglio in più, qualcosa di impensabile secondo la Legge che stabiliva in meno di un miglio il limite massimo del lavoro permesso; oltrepassarlo avrebbe comportato uno sforzo sovrumano, destinato alla morte. E Lui accetta l'ingiustizia, l'ultimo posto, il lavoro che spetterebbe a noi, il sacrificio e il dono d'amore che noi non possiamo compiere. Anche oggi si carica dei nostri pesi, perché noi si possa sperimentare il giogo leggero del suo amore. E così ci insegna a "portare gli uni i pesi degli altri". E' possibile, perché Gesù ci dona tutto quel che chiediamo, senza sperarne nulla, sapendo di aver gettato la sua vita in mano a degli increduli, ingrati e traditori, come Giuda e Pietro. Anche oggi il Signore viene a ciascuno di noi con la sua misericordia, l'ennesima possibilità di sperimentare la Grazia del battesimo, il perdono e la rinascita ad una vita nuova. Il Vangelo di oggi allora ci mostra innanzi tutto l'opera di Dio per ciascuno di noi: nelle parole di Gesù possiamo vedere l'acqua del battesimo che fluisce ancora per noi, il suo amore infinito capace di purificare ogni nostra malvagità, e di ricrearci in Lui. Sperimentare oggi questo Vangelo significa essere trasformati in esso, immersi in ciascuna di queste Parole che ci chiamano ancora, che ci donano il nome nuovo che risplende nell'amore che ne è descritto. Esso è il Cielo che risplende in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque. Un amore che va oltre ogni limite della carne e non si oppone al malvagio, ma lascia che si avventi su di noi per annientare il male nell'abbraccio di misericordia. Altro che diritti, un cristiano vive immerso nella gratuità che lo ha salvato, nella quale accoglie, come un argine, ogni persona; anche quando schiuma violenza e tradimento, odio e calunnia, offre se stesso crocifisso con Cristo, come una barriera dove si infrange e si polverizza ogni ingiustizia. Dove tutti reclamano quello che la carne ferita di Caino non può che esigere, ovvero giustizia, e vendetta, i figli di Dio rinati dall'alto nel seno della Chiesa, rispondono con gesti e parole che sgorgano dal cuore di Cristo, certi della vita eterna e del perdono: per questo, pur derubati e offesi nell'onore, non fanno causa a nessuno, perché così hanno imparato da Cristo che non li ha condotti al tribunale, ma ha pagato per loro il debito contratto con i peccati. Il cristiano apre un cammino di speranza attraverso l'ineluttabilità del male; anche a costo di non essere capito e rimanere emarginato, egli offre uno spicchio di Cielo limpido di misericordia dove il mondo non può che divorziare, separarsi, citarsi in giudizio, muovere guerra, scioperare per recar danno ai padroni e ottenere giustizia. Se qualcuno ci chiederà qualcosa, del denaro in prestito, un oggetto, per esempio la macchina nuova che non faremmo guidare a nessuno, sarà l'occasione per sperimentare e annunciare concretamente che il nostro tesoro è in Cielo, che i beni della terra non sono che un riflesso del Bene assoluto che è Cristo; che lo abbiamo trovato, che nulla anteponiamo a Lui, che siamo liberi dall'avarizia e dalla cupidigia perché sazi dell'amore di Dio, sovrabbondante al punto di essere donato anche attraverso tutto quello che per il mondo è oggetto di possesso geloso. E' troppo importante e decisiva la missione della Chiesa: annunciare e testimoniare che la vita non finisce nella tomba, che esiste il perdono e la possibilità di camminare in una vita nuova; che tutti, anche il peggior assassino, il più corrotto e perverso uomo della terra, un mafioso e un terrorista, può ricominciare, se raggiunto e trasformato dall'amore di Dio. Così con nostro figlio scappato in chissà quale peccato, con quel parente incatenato nel rancore, quel collega falso e quel padrone ingiusto, nella consapevolezza che il male ferisce soprattutto chi lo compie. Anche oggi, nella storia concreta che ci attende, siamo chiamati a deporre un passo in più sul cammino verso la completa identificazione con Cristo, lasciando che sul lavoro avanzi nella carriera chi ha meno meriti di noi, che ci "rubino la tunica", ovvero quello che ci spetta ed è il nostro sostentamento. Anche lo stipendio, se necessario, nella certezza che Dio è nostro Padre, e provvede a noi; non solo, proprio attraverso il nostro lasciarci derubare vuol mostrare a tutti che l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola d'amore di Dio. Così, l'ingiustizia sofferta diviene un mantello di giustizia per gli ingiusti! E' questa la fede che i genitori sono chiamati a trasmettere ai figli! Dinanzi alle ingiustizie patite a scuola, con gli amici, quando la fidanzata decide di rompere con tuo figlio, o quando tua figlia viene a confidarti i tradimenti e i soprusi di suo marito. E' la Croce l'unica risposta vincente al male, quella dipinta dalle parole del Vangelo. Ed è innanzitutto l'amore che ci accoglie: lasciamoci amare allora, anche oggi, per essere trasformati, ancora un pochino in più, nello stesso amore che si dona a noi senza riserve; e così potremo dare tutto, denaro e reputazione, idee e progetti, schemi e criteri, e qualsiasi cosa ci spetti per diritto e giustizia, a chiunque ce lo chiederà. In noi le persone cercano il Cielo, come Giuda chiedeva a Gesù di rivelarsi e fare giustizia dei Romani. Dietro ogni ingiustizia perpetrata nei nostri confronti, infatti, vi è l'inganno del demonio e una ingiustizia subita e non risolta. Dietro ogni peccato che ci ferisce vi è un peccato che ha ferito. Esso abita il cuore di ogni uomo, che "fa il male che non vorrebbe", come abbiamo sperimentato anche noi, salvati dall'amore che, nella Chiesa, ha estirpato la radice velenosa del male piantata dal demonio per deporvi il seme divino che ci fa figli di Dio. Lo stesso amore che non conosce limiti, l'infinito e santo piacere per il quale sono stati creati cerca ed esige da noi chiunque ci si avvicina, anche se in modo sbagliato attraverso i peccati e le ingiustizie. Gesù sapeva che non potevamo fare altrimenti: per questo ha chiamato Giuda "amico", e nel suo bacio ha visto il segno che lo chiamava a donare se stesso alle mani attraverso le quali si sarebbe compiuta ogni giustizia. Gesù sapeva che il suo amore era un diritto di ogni uomo che il demonio aveva cancellato; non a caso proprio il bacio di chi lo tradiva, il saluto dell'intimità, ha aperto il suo cuore per amare anche chi si era fatto suo nemico. Anche noi siamo chiamati ad avere questo sguardo per discernere il bisogno d'amore in ogni bacio avvelenato e ipocrita, come in ogni mano che ci strappa il mantello e la vita; e non dimenticare che quello che ci "chiedono" nostra moglie, il marito, il figlio e ogni persona, è un loro diritto, è lo stesso amore di cui anche noi avevamo diritto. Come non offrirlo a tutti allora, così, senza condizioni, disarmati, nudi e crocifissi, se Cristo non ha risparmiato se stesso pur di salvarci e farci sperimentare il suo amore e donarci la fede, ovvero la certezza del Paradiso per il quale il Padre ci ha creati?
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αποφθεγμα Apoftegma
Cristo, che è il nuovo Adamo,
proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore
svela anche pienamente l’uomo all’uomo
e gli fa nota la sua altissima vocazione.
Gaudium et spes, n. 22
e gli fa nota la sua altissima vocazione.
Gaudium et spes, n. 22
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