Gli allievi a Santa Fe ricordano il professor Bergoglio. Sconcertati dalla logica
Pubblichiamo stralci del libro di Jorge Milia Maestro Francesco. Gli allievi del Papa ricordano il loro professore (Milano, Mondadori, 2014, pagine 106, euro 14).
(Jorge Milia) Al Collegio dell’Immacolata, il programma ufficiale poteva diventare un problema per chi non prendeva la sufficienza in una materia e veniva rimandato a dicembre o a marzo. Non è che non si potesse consultare o che non venisse rispettato, ma i professori avevano un gran potere decisionale e potevano ampliare o approfondire certi argomenti o introdurne altri a proprio piacimento, oppure saltarli, magari perché già trattati in corsi precedenti. Jorge Bergoglio non fece eccezione, e in materia di Letteratura e Psicologia propose ai suoi allievi percorsi diversi, in genere più lunghi e impervi, ma sempre più ricchi di insegnamenti rispetto a quelli presentati dai programmi ufficiali. Tra gli allievi c’era chi avrebbe preferito che tutte le materie rispettassero i programmi ufficiali. Qualcuno ebbe persino l’ardire di manifestarlo al prefetto degli Studi o al rettore in persona. La risposta fu semplice e categorica: «Lei è un allievo dell’Immacolata, che è una scuola fuori dal comune; se desidera un’istruzione comune, cerchi una scuola comune, e noi saremo ben felici di aiutarla, perché vorrà dire che ci eravamo sbagliati riguardo al suo valore e alle sue capacità». Dopodiché, solitamente la discussione si chiudeva, perché l’Immacolata non era affatto una scuola comune.
Questo collegio era il più antico del Paese, aveva accompagnato la città sin dagli inizi e perfino quando l’avevano trasferita. Per quanto avesse ospitato sempre cognomi patrizi — quella sorta di aristocrazia di emigranti, conquistatori, colonizzatori, insomma «figli di nessuno» che si sentivano «figli di qualcuno» — aveva riservato sempre un posto alle persone meno abbienti, e in origine anche agli indio che arrivavano in questo nuovo insediamento che gli abitanti chiamavano Santa Fe de la Vera Cruz. Era questo lo scenario in cui il giovane Bergoglio doveva affrontare lo spirito di ribellione adolescenziale e dimostrarsi capace di far fruttare al meglio quelle anime allo stato brado.
L’ingresso in aula avvenne in un insolito silenzio. Gli alunni lo guardarono. Il giovane gesuita, né magro né grasso, aprì la porta, la fascia nera in vita che gli cadeva fino all’orlo della tonaca impeccabile. Fece un passo indietro e rispose con lievi cenni del capo al saluto timido di qualcuno. Quindi si fece il segno della croce, recitò la preghiera prima della lezione e cominciò: «Mi chiamo Jorge Bergoglio e quest’anno sarò il vostro professore di Letteratura spagnola e di Psicologia. Come libro di testo, ho scelto Arturo Berenguer Carisomo, perché mi è sembrato il più completo, ma è chiaro che la Letteratura non si può racchiudere tutta in un solo libro, per quanto massiccio» disse mostrando il grosso volume. «Letteratura è tutto ciò che si è scritto, e oserei dire anche tutto ciò che deve essere ancora scritto. Forse è qualcosa che scriverete voi stessi. Per Psicologia non ho ancora trovato il testo più adatto».
In molti si scambiarono un’occhiata, pensando che non c’è mai limite al peggio. All’improvviso il manuale dell’autore spagnolo si era esteso all’infinito, arrivando addirittura a comprendere qualsiasi cosa si potesse scrivere... «Adesso facciamo l’appello» annunciò. «Quando vi chiamo, alzatevi in piedi, così imparo il vostro nome». L’operazione avrebbe potuto rivelarsi estremamente noiosa, ma i commenti divertenti del professore fecero ridere tutta la classe.
«L’hai visto in faccia?» disse uno con un filo di voce, quasi un sussurro. «Sì, che “faccia di bimbo”» disse Alberto Oseas Arrondo. Nessuno poteva immaginare che quel soprannome avrebbe avuto vita lunga in quel gruppo di adolescenti destinati a diventare uomini senza sapere quanto avrebbe influito sulle loro vite quell’esperienza. «Signor Arrondo, ha per caso qualche commento da aggiungere a quello che sto dicendo sulla Letteratura spagnola? Qualcosa che possa condividere con tutta la classe?» «Ecco...» rispose. «“Ecco” è una semplice interiezione, cerchi di essere più concreto». «Ecco...». «Seconda interiezione...» Qualcuno si mise a ridere. «Dicevo, padre, che il manuale è piuttosto spesso...» «Osservazione profonda, come poche altre direi... Continui così e ci colmerà della sua saggezza, vedrà...». La risata generale inaugurava una pratica che sarebbe divenuta abitudine, e il primo a ridere fu proprio l’allievo preso di mira. Il problema con Bergoglio non era venire puniti, bensì diventare oggetto della sua ironia. Ma l’importante era che il più delle volte la vittima rideva insieme a tutti gli altri.
Finito l’appello, quando anche l’ultimo allievo si fu presentato, il professore cominciò a parlare di Letteratura, o meglio di quel coraggio istintivo che molta gente ha avuto e continuerà ad avere di raccontare cose agli altri, e soprattutto di metterle per iscritto. Sapendo bene che nel collegio la redazione di testi era sempre stata imprescindibile nell’ambito linguistico, accennò a una serie di iniziative al riguardo e per ultimo parlò dell’Accademia di Letteratura Santa Teresa del Gesù, istituzione centenaria all’interno dello stesso collegio, i cui membri erano spesso divenuti illustri rappresentanti della Letteratura argentina. «Chi desidera entrare nell’Accademia di Letteratura dovrà presentare la domanda di ammissione e... possibilmente un testo da far valutare. Su questo punto bisognerà attendere la decisione del padre Peralta Ramos, che è il direttore».
Jorge Bergoglio pensò che il primo incontro con i suoi allievi si era dimostrato più promettente di quanto sperasse. In qualche modo, era come se rivedesse se stesso in quei ragazzini. Una dozzina di anni prima non era molto diverso da loro, a pensarci bene. La stessa ribellione, la stessa frenesia di vivere, cercando di trovare un senso alle cose, di scoprire la propria vocazione. Vedeva una sfida in questa opportunità e sapeva che avrebbe dovuto fare tutto il possibile perché l’incontro tra la sua vita e la loro si rivelasse positivo per tutti.
Il nuovo professore non aveva un’aria cattiva, ma c’era qualcosa nel suo carattere che metteva in allarme. «Faccia di bimbo» non era altro che una copertura, un banale soprannome, perché lui, in realtà, era uomo metodico, perseverante, che si era messo in testa di tirar fuori il meglio da quei ragazzini. Iniziare il Cantare del Cid era come costringerli ad affrontare lo stoccaggio con gli elevatori di grano nei sili nel porto vicino, neanche fossero i mulini a vento del Chisciotte. Ma niente fu come temevano. Abbracciare l’intera Letteratura spagnola in un anno di lezione, da Gonzalo de Berceo a García Lorca, per citare i due estremi, è un’impresa impossibile se non si propone un viaggio panoramico con scali di una certa suggestione. Il bello di Bergoglio è che non esistevano mai porte chiuse, e se si voleva esplorare questo monumento che è la lingua spagnola, si era liberi di farlo senza eufemismi né condizionamenti di sorta. Ricercare, curiosare, queste erano le parole d’ordine.
E così, quegli alunni ebbero accesso a edizioni sconosciute nella biblioteca che cominciava ad aprire le sue porte anche al pubblico. Avere il permesso di esplorare la Letteratura spagnola senza restrizioni era per certi versi un regalo.
L’aspettativa degli allievi nei confronti delle lezioni era duplice. Sapevano che erano interessanti, alle volte persino divertenti, ma i risultati non si rivelavano sempre quelli sperati. Non potevano fare affidamento sul semplice studio a memoria, per esempio. Bergoglio pretendeva immancabilmente che usassero la ragione. La logica era sempre al primo posto, ma si andava anche oltre, si cercava sempre di affrontare i problemi cambiando il punto di vista normale, prevedibile, comune a tutti. E questo per molti era sconcertante. Nel 1964 mancavano ancora tre anni prima che Edward De Bono coniasse il termine «pensiero laterale», ma un simile modo di affrontare i problemi non era poi molto diverso.
L'Osservatore Romano
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