Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 30 novembre 2015

Conferenza stampa sull'aereo rientrando dall'Africa...

Conferenza stampa sull'aereo rientrando dall'Africa (Trascizione di Andrea Tornielli)




(NdR - Servizio basato sulla trascrizione di Andrea Tornielli, Coordinatore del portale Vatican Insider)
Il mondo è sull'orlo del suicidio e rischia di precipitarvi se non cambia decisamente strada nell'affrontare i problemi legati al cambiamento climatico e frutto dell'attuale modello di sviluppo.
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E' stato un errore la nomina di Vallejo Balda e della Chaouqui nella commissione Cosea.
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In Kenya ha incontrato le famiglie povere di Kangemi e ha ascoltato le loro storie di esclusione dai diritti umani fondamentali come la mancanza di accesso all'acqua potabile.
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Non ricordo bene le statistiche ma mi sembra di aver letto che l'80 per cento della ricchezza del mondo è nelle mani del 17 per cento della popolazione, non so se è vero. È un sistema economico che ha al centro il denaro, il dio denaro. 

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Cosa ho provato a Kangemi? Ho sentito dolore, un grande dolore! Ieri sono andato all'ospedale pediatrico, l'unico di Bangui e del Paese. In terapia intensiva non hanno l'ossigeno, c'erano tanti bambini malnutriti. La dottoressa mi ha detto: la maggioranza di loro moriranno perché hanno malaria forte e sono malnutriti.
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L'idolatria è quando un uomo o una donna perde la sua carta d'identità, cioè l'essere figlio di Dio e preferisce cercarsi un Dio a sua misura. Questo è il principio: se  l'umanità non cambia continueranno le miserie, le tragedie, le guerre, i bambini che muoiono di fame, l'ingiustizia. Cosa pensa questa percentuale che ha nelle mani l'ottanta per cento della ricchezza del mondo? Questo non è comunismo, è verità. E la verità non è facile vederla».
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Se le cose vanno bene credo che il prossimo viaggio sarà in Messico, le date non sono ancora precise. Tornerò in Africa? Non lo so. Io sono anziano, i viaggi sono pesanti! Il momento più memorabile: quella folla, quella gioia, quella capacità di festeggiare, far festa pur avendo lo stomaco vuoto. Per me l'Africa è stata una sorpresa. 
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Dio sempre ci sorprende, ma anche l'Africa ci sorprende. Ricordo tanti momenti, ma soprattutto la folla...
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Si sono sentiti "visitati", hanno un senso dell'accoglienza molto grande, e io l'ho visto nelle tre nazioni. Poi ogni Paese ha la sua identità: il Kenya è un po' più moderno e sviluppato.
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Oggi sono andato in moschea, ho pregato in moschea, l'Imam è salito sulla papamobile per fare un piccolo giro tra i profughi. C'è un piccolo gruppetto molto violento, credo cristiano o che si dice cristiano, ma non è l'Isis, è un'altra cosa (gli anti-Balaka, ndr).
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Stampa libera, laica e anche confessionale, ma professionale. La professionalità della stampa può essere laica o confessionale: l'importante è che siano professionisti e che le notizie non vengano manipolate. Per me è importante perché la denuncia delle ingiustizie e delle corruzioni è un bel lavoro.
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La stampa professionale deve dire tutto, ma senza cadere nei tre peccati più comuni: la disinformazione, cioè dire solo metà della verità e non l'altra; la calunnia, quando la stampa non professionale sporca le persone; la diffamazione che è dire cose che tolgono la reputazione a una persona. Questi sono i tre difetti che attentano alla professionalità della stampa. Abbiamo bisogno di professionalità.
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Se intervenire in campo politico vuol dire fare politica, no. Facciano il prete, il pastore, l'imam, il rabbino. Ma si fa politica indirettamente predicando i valori, i valori veri, e uno dei valori più grande è la fratellanza tra noi. Siamo tutti figli di Dio, abbiamo lo stesso Padre. Non mi piace la parola tolleranza, dobbiamo fare convivenza, amicizia.
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Il fondamentalismo è una malattia che c'è in tutte le religioni. Noi cattolici ne abbiamo alcuni, - tanti - che credono di avere la verità assoluta e vanno avanti sporcando gli altri con la calunnia, la diffamazione, e fanno male. Questo lo dico perché è la mia Chiesa. Il fondamentalismo religioso si deve combattere. Non è religioso, manca Dio, è idolatrico. Convincere questa gente che ha questa tendenza, questo devono fare i leader religiosi. Il fondamentalismo che finisce in tragedia o commette reati è una cosa cattiva, ma avviene in tutte le religioni».
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(Sulla nomina di Vallejo e Chaouqui), il Papa risponde: È stato fatto un errore. Vallejo è entrato per la carica che aveva e che ha avuto fino ad ora: era il segretario della Prefettura degli Affari economici. Come è entrata lei: non sono sicuro, ma credo di non sbagliare se dico è stato lui a presentarla come una donna che conosceva il mondo dei rapporti commerciali. Hanno lavorato e quando è finito il lavoro, i membri della Cosea sono rimasti in alcuni posti in Vaticano. 
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La signora Chaouqui non è rimasta in Vaticano: alcuni dicono che si è arrabbiata per questo. I giudici ci diranno la verità sulle intenzioni, come l'hanno fatto. Per me non è stata una sorpresa, non mi ha tolto il sonno, perché hanno fatto vedere il lavoro che si è cominciato con la commissione dei nove cardinali, quello di cercare la corruzione e le cose che non vanno.
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Voglio dire una cosa, non su Vallejo e Chaouqui. Tredici giorni prima della morte di san Giovanni Paolo II, durante la Via Crucis, l'allora cardinale Ratzinger ha parlato della sporcizia della Chiesa. Lui ha denunciato per primo. Poi muore Giovanni Paolo II, e Ratzinger, che era decano, nella messa "pro eligendo Pontifice", ha parlato della stessa cosa. Noi lo abbiamo eletto per questa sua libertà di dire le cose. È da quel tempo che è nell'aria che in Vaticano c'è corruzione. Sul processo: non ho letto le accuse concrete. Avrei voluto che finisse prima del Giubileo, ma credo che non si potrà fare perché io vorrei che tutti gli avvocati della difesa abbiano il tempo di svogere il loro lavoro e che ci sia libertà di difesa».
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Io ringrazio Dio che non ci sia più Lucrezia Borgia! Ma dobbiamo continuare con i cardinali e le commissioni l'opera di pulizia.
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(NdR - sull'uso del preservativo per prevenire l'Aids) La domanda mi sembra parziale. Sì è uno dei metodi, la morale della Chiesa si trova in questo punto davanti a una perplessità. O il quinto o il sesto comandamento: difendere la vita o il rapporto sessuale aperto alla vita. Ma questo non è il problema. Il problema è più grande: questa domanda mi fa pensare a quella  che fecero una volta a Gesù: dimmi Maestro, è lecito guarire di sabato? È obbligatorio guarire! La malnutrizione, lo sfruttamento, il lavoro schiavo, la mancanza di acqua potabile, questi sono i problemi. Non parliamo se si può usare tale cerotto per una tale ferita. 
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La grande ingiustizia è una ingiustizia sociale, la grande ingiustizia è la malnutrizione. Non mi piace scendere a riflessioni casistiche quando la gente muore per mancanza di acqua e per fame. Pensiamo al traffico delle armi. Quando non ci saranno più questi problemi credo che si potrà fare la domanda: è lecito guarire di sabato? Perché si continuano a fabbricare armi? Le guerre sono il motivo di mortalità più grande. Non pensare se è lecito o non è lecito guarire di sabato. Fate giustizia, e quando tutti saranno guariti, quando non ci sarà l'ingiustizia in questo mondo possiamo parlare del sabato».
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(NdR - Andare in Armenia per i 101 anni del massacro degli armeni) L'anno scorso ho promesso ai tre patriarchi di andare. La promessa c'è. Poi le guerre: vengono per ambizione. Non parlo di quelle fatte per difendersi giustamente da un'ingiusta aggressione. Le guerre sono una industria, nella storia abbiamo visto tante volte che un Paese con il bilancio che non va bene decide di fare una guerra e si mette a posto il bilancio.
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La guerra è un affare. I terroristi, loro fabbricano le armi? Chi dà loro le armi? C'è tutta una rete di interessi, dove dietro ci sono i soldi, o il potere. Noi da anni siamo in una guerra mondiale a pezzi e ogni volta i pezzi sono meno pezzi e sono sempre più grandi. Il Vaticano non so che cosa pensa. 
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Che cosa penso io? Che le guerre sono un peccato, distruggono l'umanità, sono la causa di sfruttamento, traffico di persone. Si devono fermare. Alle Nazioni Unite per due volte ho detto questa parola, sia a New York, sia in Kenya: che il vostro lavoro non sia un nominalismo declamatorio. Qui in Africa ho visto come lavorano i Caschi Blu ma questo non è sufficiente.
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Le guerre non sono di Dio, Dio è il Dio della pace, ha creato il mondo tutto bello. Poi leggiamo nella Bibbia che il fratello ammazza un altro fratello: la prima guerra mondiale. E lo dico con molto dolore»
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(NdR - Conferenza sul cambio climatico) Io non sono sicuro, ma posso dirle che o adesso o mai più. La prima conferenza credo che si sia tenuta a Tokyo... si è fatto poco. Ogni anno i problemi sono più gravi. Parlando in una riunione di universitari su quale mondo noi vogliamo lasciare ai nostri figli, uno ha detto: ma lei è sicuro che ci saranno figli di questa generazione? Siamo al limite di un suicidio per dire una parola forte e io sono sicuro che quasi la totalità di quelli che sono a Parigi hanno questa coscienza e vogliono fare qualcosa.
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(NdR - SullIslam e i musulmani) Si può dialogare, loro hanno tanti valori, e questi valori sono costruttivi. Anche io ho l'esperienza di amicizia con un islamico, un dirigente mondiale. Possiamo parlare. Lui ha i suoi valori e io i miei, lui prega e io prego. Tanti valori: la preghiera, il digiuno. Non si può cancellare una religione perché ci sono alcuni o molti gruppi di fondamentalisti in un certo momento della storia.
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Oggi sono stato in moschea, l'Imam ha voluto venire con me, sulla papamobile c'erano il Papa e l'Imam. Quante guerre abbiamo fatto noi cristiani? Il sacco di Roma non l'hanno fatto i musulmani».
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I viaggi alla mia età non fanno bene, lasciano traccia. Vado in Messico e per prima cosa vado a visitare la Signora, la Madre dell'America (la Madonna di Guadalupe, ndr), se non era per Lei non sarei andato a Città del Messico per il criterio del viaggio: visitare tre o quattro città che non siano mai state visitate dai Papi. Poi andrò in Chiapas, poi a Morelia e quasi sicuramente sulla via del rientro a Roma ci sarà una giornata a Ciudad Juarez. Su altri Paesi latinoamericani: nel 2017 sono stato invitato ad andare ad Aparecida, l'altra Patrona d'America di lingua portoghese, e di là si potrà visitare qualche altro Paese, ma non so, non ci sono piani».
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L'Africa è vittima, l'Africa è sempre stata sfruttata da altre potenze, gli schiavi dall'Africa venivano venduti in America. Ci sono potenze che cercano solo di prendere le grandi ricchezze dell'Africa, forse il continente più ricco, ma non pensano di aiutare a crescere i Paesi, che tutti possano lavorare. 
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L'Africa è martire dello sfruttamento. Quelli che dicono che dall'Africa vengono tutte le calamità e tutte le guerre non conoscono bene il danno che fanno all'umanità certe forme di sviluppo. E per questo io amo l'Africa, perché è stata una vittima di altre potenze».
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(NdR - Il Papa conclude) Rispondo quello che so e quello che non so non lo dico, non invento.

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Il Papa: «Clima: o si cambia ora o mai più. Siamo al limite di un suicidio». Francesco dialoga con i giornalisti sul volo di ritorno dall’Africa 
 Vatican Insider 

(Andrea Tornielli) Francesco dialoga con i giornalisti sul volo di ritorno dall’Africa. «Se l'umanità non cambia continueranno le miserie, le tragedie, le guerre, i bambini che muoiono di fame, l'ingiustizia». Caso Vatileaks: «E' stato un errore la nomina di Vallejo e della Chaouqui». «I giornalisti fanno bene a denunciare la corruzione. Ringrazio Dio che non ci sia più Lucrezia Borgia! Dobbiamo continuare con i cardinali l'opera di pulizia». Il riconoscimento all'opera di Ratzinger. Il fondamentalismo? «C'è in tutte le religioni, ma non è religioso, è idolatrico» (...) 
Kairos

Il Papa:

 «Clima: si cambi ora o mai più. Siamo al limite del suicidio»

Il pensiero di Benedetto XVI su facebook ed i social...

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Nei social network e nella ricerca di un sempre maggior numero di “amici”, bisogna sempre essere “fedeli a se stessi” e mai cedere a trucchi o “illusioni” come la creazione di una falsa identità attraverso il proprio “profilo”. E’ il primo monito dell’era Facebook mai lanciato da un Papa, quello lanciato da Benedetto XVI, in particolare ai giovani, nel suo messaggio per la 45esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali che si celebrava il 5 giugno 2011.
No a profili falsi“Nella ricerca di condivisione, di ‘amicizie’ – afferma il Papa – ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all’illusione di costruire artificialmente il proprio ‘profilo’ pubblico”.
L’era del webMa Benedetto XVI non ha limitato la sua riflessione a Facebook allargando la riflessione a “un fenomeno caratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazione attraverso la rete internet”. Il messaggio s’intitola infatti “Verita’, annuncio e autenticità di vita nell’era digitale”. “E’ sempre più comune – aggiunge il Pontefice – la convinzione che, come la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamento nella società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nella vita dei lavoratori, cosi’ oggi la profonda trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti culturali e
sociali”.
La comunicazione cambia la nostra vita“Le nuove tecnologie – rileva ancora il Papa – non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si puo’ affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione”.
Chi siamo in Rete“Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network – scrive Benedetto XVI – conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche
dell’autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l’altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l’eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di ‘amicizie’, ci si trova di fronte alla sfida dell’essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere
all’illusione di costruire artificialmente il proprio “profilo” pubblico”.
La risposta a Facebook
“Cristo è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai
vari social network”, scrive il Papa. E i credenti devono contribuire “affinche’ il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare
le opinioni altrui”. Benedetto XVI non si esime da qualche consiglio pratico per “uno stile cristiano di presenza” nella Rete, a partire da “una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell’altro”.
Non annacquare il VangeloIl Papa chiede anche sul web di “testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo”. Esso “non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale” e “non trae il suo valore dalla sua ‘popolarita” o dalla quantita’ di attenzione che riceve”.
Questa verità va fatta “conoscere nella sua integrita’ piuttosto che cercare di renderla accettabile magari ‘annacquandola’”.


Qui il messaggio integrale, dal sito del Vaticano
Kairos: 

«La Fede è questo amore»

Originally posted on Giuliano Guzzo:

Rita
 dottoressa Rita Fossaceca  www.ansa.it/

 «La Fede è questo amore»
Il suo nome e il suo volto sono apparsi per qualche minuto sui telegiornali solamente ieri, quando è stata diffusa la notizia della sua tragica Continua a leggere

Il banchetto che vi devo raccontare...

 

Ite, Missa est di Emanuele Fant

Il banchetto che vi devo raccontare


banchetto
Illustrazione di Emanuele Fucecchi
Credere

di Emanuele Fant

Settimana scorsa stavo in un posto niente male: al convegno ecclesiale. Per il mio soggiorno fiorentino avevo alcuni obiettivi secondari, come fotografare la casa di Dante, mangiare la ribollita e mettere nel beauty almeno due saponi liquidi dell’albergo. Il primo giorno, una tv locale, mi ha obbligato a rilasciare una dichiarazione, spiegandomi che volevano intervistare un giovane e io, con la dovuta illuminazione, lo potevo sembrare. La domanda era “Perché sei qui?”. Banale per nulla: certe pianure sono complesse da scalare. Ho balbettato che il mio obiettivo era insieme “prendere” e “dare”, senza alcun riferimento esplicito ai flaconcini.

Partiamo col “dare”. La mia parola è valsa una gocciolina, e per fortuna: cosa potrei imparare da una Chiesa riflettente, a somiglianza di Emanuele? Immaginate un sovradimensionato banchetto matrimoniale, con 200 tavoli rotondi da dieci commensali con il solo compito di dialogare. La Sposa è una presenza diffusa sotto il velo delle opinioni di 2300 persone. Il marito è il Signore: vuole sapere come abbiamo intenzione di ravvivare le promesse matrimoniali, dopo quasi duemila anni che ci frequentiamo.

Passiamo al “prendere”, dove ho fatto gli affari migliori (ma ho righe solo per due ricordi): le parole del papa e lo squarcio verticale che hanno saputo aprire mettendo tutti in contatto immediato con le cose vere, senza l’impiego di nemmeno un parolone. E poi il divertimento di prendere bus-navetta stipati di cardinali, scambiare una parola con celebri intellettuali per scoprire, semplicemente, che sono gentili (la Chiesa altezzosa che ci raccontano deve essersi spostata a piedi).

Dunque, verificando le prime intenzioni: la casa di Dante era una ricostruzione, non valeva la pena; niente ribollita e niente tempo per le cene fuori; i saponi li ho usati sul posto. Allora cos’è questo enorme souvenir immateriale che mi ha sformato la valigia? Datemi tempo e vi dico, mi ci vorrà qualche mese per finirlo di scartare.

fonte:
Credere

"Dio cammina a piedi"

Il viaggio della veglia in Friuli e Veneto
"la nuova Veglia di Romena, prossimamente farà tappa a TRIESTE il 30 novembre, a UDINE il 1 dicembre, a TREVISO il 2, a PORDENONE  
e il  a PADOVA il 4 dicembre. 
Il libretto e tutte le tappe sono nella pagina Veglie

Parrocchia S. Bartolmeo Apostolo Via Montà 208
PADOVA 4 dicembre  ORE 21
"Dio cammina a piedi"
         
Copertina Libretto Veglia 2015 16
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Il viaggio della veglia in Friuli e Veneto
la nuova Veglia di Romena,
       farà tappa a PADOVA il 4 dicembre
              Parrocchia San Bartolomeo,
                           via Montà 208 PADOVA ore 21,00
 
"Dio cammina a piedi"




- parole musiche poesie -
Appuntamento di grazia e bellezza con
don Luigi Verdi della Fraternità di Romena


Di cosa si tratta?

Tra le iniziative organizzate dalla Fraternità di Romena, un classico è "La Veglia", ossia una serata di musiche sensazioni e parole che si fanno preghiera, ossia un incontro profondo con sè, con gli altri, con la vita..

Si tratta di una serata che Don Luigi e le persone che insieme a lui danno vita a Romena portano in giro per tutta Italia con un calendario fittissimo.
Ogni anno un nuovo tema, una nuova scenografia, nuove musiche, la stessa grazia.

Quest'anno il tema scelto sarà: Dio cammina a piedi..

Chi è Romena? Un breve racconto..
...l'estate di due o tre anni fa abbiamo avuto la fortuna di incontrare e conoscere la Fraternità di Romena (Luigi, Luca, Massimo, Luciana..), di ritorno in scooter dalla Puglia, dopo splendidi giorni di terra e sole.

Risalendo la splendida e pacifica Vallombrosa negli appenini Toscani, dopo una delle innumerevoli svolte ecco una Pieve dell'anno mille, in pietra, meravigliosa, solidamente posta a guardiana di un passo tra la Verna di San Francesco e le secolari Arezzo e Firenze..

La pieve giaceva negli anni come meraviglia abbandonata e venne rivitalizzata da Don Luigi a partire dagli anni 90 di ritorno dagli anni che Luigi, ci sembra di ricordare.., spese in sudamerica interrogandosi sulla natura e l'autenticità della sua missione cristiana.

Il prefisso "Don" potrebbe facilitare alcuni e trarre in inganno altri rispetto all'umanità vasta di un uomo in ricerca e ben abbracciato all'assoluto.

Nel tempo, a suon di visione e sudore, la Pieve è diventata luogo, esteticamente magnifico, di accoglienza e di grazia, di semplicità e d'umanità per tutti.

Vi si svolgono oggi incontri e ritiri, si scambiano parole, musica, abbracci, si organizzano corsi e condividono riflessioni. E molti importanti pensatori si soffermano a Romena, che ormai richiama ogni anno centinaia di persone in cammino.

Si legge all'ingresso di Romena:
«Vieni, vieni, chiunque tu sia, vieni.
Vagabondo, adoratore... anche se non credi in nulla, vieni!
La nostra non è una carovana di disperazione.
Vieni, seppure avessi rotto i tuoi giuramenti migliaia di volte, vieni! - Rumi, Mistico Sufi -


 
 Il libretto e tutte le tappe sono nella pagina Veglie
 
 
 
 

Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo.


La capitale spirituale del mondo

Oggi Bangui diviene la capitale spirituale del mondo. L’Anno Santo della Misericordia viene in anticipo in questa Terra. Una terra che soffre da diversi anni la guerra e l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. Ma in questa terra sofferente ci sono anche tutti i Paesi che stanno passando attraverso la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale della preghiera per la misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centrafricana, per tutto il mondo, per i Paesi che soffrono la guerra chiediamo la pace!
«Bangui capitale spirituale del mondo»
http://combonianum.org/2015/11/30/bangui-capitale-spirituale-del-mondo/
Sono le parole con cui papa Francesco ha anticipato in Centrafrica l'inizio del giubileo, in un luogo che per i più non conta niente, come se neppure esistesse. E' la prospettiva cristiana, la prospettiva del Dio del Magnificat che va controcorrente, che vede altrimenti, che privilegia gli ultimi. Il gesto di Francesco è insieme religioso e politico, perché denuncia le ipocrisia dei potenti del mondo e indica delle priorità alla comunità internazionale.
Apertura della Porta Santa per l’inizio dell’Anno Giubilare della Misericordia.

Sant'Andrea Apostolo "Liberati dalla rete per gettare la vita come una rete"

Il Vangelo del giorno

30 Novembre. Sant'Andrea Apostolo




αποφθεγμα Apoftegma



Salve, o Croce, inaugurata per mezzo del corpo di Cristo 
e divenuta adorna delle sue membra, 
come fossero perle preziose. 
Prima che il Signore salisse su di te, 
tu incutevi un timore terreno. 
Ora invece, dotata di un amore celeste, 
sei ricevuta come un dono. 
I credenti sanno, a tuo riguardo, quanta gioia tu possiedi, 
quanti regali tu tieni preparati. 
Sicuro dunque e pieno di gioia io vengo a te, 
perché anche tu mi riceva esultante 
come discepolo di colui che fu sospeso a te 
O Croce beata, che ricevesti la maestà 
e la bellezza delle membra del Signore! 
Prendimi e portami lontano dagli uomini 
e rendimi al mio Maestro, affinché per mezzo tuo 
mi riceva chi per te mi ha redento. 
Salve, o Croce; sì, salve davvero!

Passione di Sant'Andrea






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Mt 4,18-22 

In quel tempo, mentre camminava lungo il mare di Galilea, Gesù vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori. E disse loro: “Seguitemi, vi farò pescatori di uomini”. Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono.
Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedeo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.



Liberati dalla rete per gettare la vita come una rete


Sono tante le "reti" con le quali ogni giorno cerchiamo di guadagnarci da vivere. Le gettiamo sperando di pescare un branco di amici, di quelli che ci potrebbero saziare d'affetto, stima e comprensione. Ma troppo spesso ne restiamo impigliati. La rete, non si chiama così quel pozzo senza fondo che, attraverso lo schermo di un computer, ci afferra nell'illusione d'essere in contatto col mondo intero e di farci un mondo di amici che ci seguano? Internet, la rete, una piroetta virtuale che sfiora la realtà senza viverla, anche se dicono che ci fanno le rivoluzioni. Social networks, chat, video e notizie, sono le maglie di una rete che rapisce il cuore, sottrae il tempo, evapora i profili, scolora le relazioni in una menzogna travestita di vuota pienezza. Giovani e meno giovani come pesci indifesi, pescati e sottratti all'acqua autentica della volontà divina. Sempre connessi, è il mantra ripetuto ovunque, perché la rete ci insegue con il wifi che si insinua nei computer di casa, nei portatili, nei tablet e negli smartphone, sempre più piccoli, sempre più veloci, sempre con noi. Sempre connessi per dimenticare d'essere disconnessi dal vero, dal bello e dal buono, l'essenziale che ci fa vivi, felici e realizzati. Sempre connessi eppure profondamente soli, con il cuore che naviga lontano da Cristo, scappando dalla Croce, l'unico Link autentico che connette alla vita piena che non si corrompe, come tralci staccati dalla vite. Viviamo, soprattutto i più giovani, definiti ormai come i "nativi digitali", nell'illusione che basti un click per parlare, relazionarsi, amare; un secondo e i desideri sembrano realizzarsi, e tutto il mondo, cose e persone, giungono a portata di mano; immagini e parole prese nella rete, spesso con la violenza della curiosità e della concupiscenza, senza renderci conto d'essere stati "pescati" noi per primi per consumare sempre di più, sempre peggio, accendendo nella carne una compulsione insaziabile che confonde la realtà con il sogno, ed esige da essa l'impossibile. Tutto in un click, dimenticando la fatica e il sudore dell'amore autentico, il sacrificio del donarsi, i chiodi che trafiggono il link eterno, l'amore che non può essere che crocifisso. Il mondo di internet  è, come il mare di Galilea con le sue barche e le sue reti, la metafora della nostra vita affondata nella spirale che ci irretisce mentre ci sforziamo di irretire, come quando buttiamo ore ed energie a sporcare occhi, cuore e mente davanti a un tablet, uno smartphone o un PC. Non a caso i siti in assoluto più visitati sono quelli pornografici... 

Ma, nel fondo di tutto questo "gettare reti e riassettarle", si cela un unico desiderio, il grido strozzato in gola al termine di giornate avare di pesce e di gioia. Non può nulla neanche nostro "padre"; come quello di Andrea, è sempre lì, accanto a noi, a ricordarci la nostra storia, il passato che, spesso, è un peso che ci distrugge. Ma Gesù "cammina" anche oggi sulle rive del "mare" nel quale cerchiamo vita e felicità: sul corridoio di casa, in ascensore mentre giungiamo in ufficio, sulla metropolitana e in ambulatorio, al supermercato e in classe. Gesù passa e la sua voce mette a tacere ogni altra voce, il suo sguardo fulmina lo schermo del computer, e il suo amore ci attira irresistibilmente a seguirlo, strappandoci dalle maglie della rete. Come accadde ad Andrea, spinto da quelle parole che erano calamite, a "lasciare barca, reti e padre" per "seguire" senza indugio il Signore. Lasciare e seguire, perché è Lui che il cuore di ogni uomo desidera ardentemente, magari cercandolo maldestramente su Google; solo nelle sue parole, infatti, c'è una forza così dirompente da cambiare la vita nello spazio di un istante. Proprio ora, che stiamo rincorrendo sogni e utopie, piaceri virtuali che vorremmo esigere da chi ci è accanto. Passa Gesù a sgonfiare la menzogna che sovrappone illusione alla realtà e ci fa vivere sempre lontano dalla storia, dai pensieri e criteri del coniuge, dalla debolezza dei figli, dai peccati dei colleghi. Da noi stessi. Gesù passa e ci chiama e la sua voce percuote e perfora la pietra del nostro cuore, impegnato in giudizi e mormorazioni, incapace di aprirsi alla verità che ci attende nella realtà. Gesù "vede" Andrea, Giacomo, Simone, Giovanni, tu ed io, e li riconosce: sono i suoi "fratelli", "chiamati" ad essere "pescatori di uomini" come Lui, che avrebbe gettato  la propria vita come una "rete" nel mare della morte. L'incontro con il Signore e la sua sequela, infatti, portano a compimento la vita di ciascuno. Andrea e gli altri "erano pescatori" e per questo "gettavano le reti in mare"; chiamandoli a seguirlo, Gesù li ha riportati alla vocazione originaria, trasfigurando ogni aspetto della loro esistenza: hanno continuato ad essere pescatori ma nella libertà di chi, pescando, "getta" non più una rete per saziare i propri appetiti, seguendo sogni e chimere servendosi degli altri, ma la sua stessa vita per la salvezza degli "uomini". Il Signore "chiama" anche noi oggi per trasfigurarci, e volgere all'amore la nostra vita; non dovremo lasciare d'essere quello che siamo, solo accogliere la Parola di Gesù che trasforma quello che siamo in un dono per chiunque. Avvocati, operai, medici e infermieri, professori e studenti, casalinghe e pensionati, mamme e papà, tutti siamo chiamati a vivere quello che facciamo perché siamo amati, istante dopo istante. Chiamati a a seguirlo per imparare ad amare in tutto; a offrire tutto quello che abbiamo messo al servizio della carne, nell'amore che cerca la felicità dell'altro, "lasciando" le reti sulla barca, come un computer abbandonato e disconnesso.


QUI IL COMMENTO COMPLETO
QUI GLI APPROFONDIMENTI

COME UNA GOCCIA DI MIELE
Breve meditazione sul Vangelo del giorno 





Ma si vede che, stando là ore e ore ad ascoltare quell’uomo, 
vedendolo, guardandolo parlare – chi è che parlava così? 
Chi aveva mai parlato così? Chi aveva detto quelle cose? 
Mai sentite! Mai visto uno così! 
–, lentamente dentro il loro animo si faceva strada l’espressione: 
«Se non credo a quest’uomo non credo più a nessuno, 
neanche ai miei occhi».
Ma era stato così ovvio nella eccezionalità dell’annuncio, 
che loro hanno portato via quella affermazione 
come se fosse una cosa semplice 
– era una cosa semplice! –, 
come se fosse una cosa facile da capire. 

Mons. Luigi Giussani

Apertura della Porta Santa per l’inizio dell’Anno Giubilare della Misericordia.

Santa Messa nella Cattedrale di Bangui e Apertura della Porta Santa per l’inizio dell’Anno Giubilare della Misericordia. Omelia del Papa.




Nuovo tweet del Papa: "Il Giubileo della Misericordia ci ricorda che Dio ci aspetta a braccia aperte, come fa il padre con il figlio prodigo." (29 novembre 2015)

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Santa Messa nella Cattedrale di Bangui e Apertura della Porta Santa per l’inizio dell’Anno Giubilare della Misericordia. Papa Francesco: "Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore!"
Sala stampa della Santa Sede
[Text: Italiano, Français, English, Español, Português]
In questa Prima Domenica di Avvento, tempo liturgico dell’attesa del Salvatore e simbolo della speranza cristiana, Dio ha guidato i miei passi fino a voi, su questa terra, mentre la Chiesa universale si appresta ad inaugurare l’Anno Giubilare della Misericordia. E sono particolarmente lieto che la mia visita pastorale coincida con l’apertura nel vostro Paese di questo Anno Giubilare. A partire da questa Cattedrale, con il cuore ed il pensiero vorrei raggiungere con affetto tutti i sacerdoti, i consacrati, gli operatori pastorali di questo Paese, spiritualmente uniti a noi in questo momento. Attraverso di voi, vorrei salutare anche tutti i Centrafricani, i malati, le persone anziane, i feriti dalla vita. Alcuni di loro sono forse disperati e non hanno più nemmeno la forza di agire, e aspettano solo un’elemosina, l’elemosina del pane, l’elemosina della giustizia, l’elemosina di un gesto di attenzione e di bontà.

Ma come gli apostoli Pietro e Giovanni che salivano al tempio, e che non avevano né oro né argento da dare al paralitico bisognoso, vengo ad offrire loro la forza e la potenza di Dio che guariscono l’uomo, lo fanno rialzare e lo rendono capace di cominciare una nuova vita, “passando all’altra riva” (cfr Lc 8,22).
Gesù non ci manda soli all’altra riva, ma ci invita piuttosto a compiere la traversata insieme a Lui, rispondendo, ciascuno, a una vocazione specifica. Dobbiamo perciò essere consapevoli che questo passaggio all’altra riva non si può fare se non con Lui, liberandoci dalle concezioni della famiglia e del sangue che dividono, per costruire una Chiesa-Famiglia di Dio, aperta a tutti, che si prende cura di coloro che hanno più bisogno. Ciò suppone la prossimità ai nostri fratelli e sorelle, ciò implica uno spirito di comunione. Non è prima di tutto una questione di mezzi finanziari; basta in realtà condividere la vita del popolo di Dio, rendendo ragione della speranza che è in noi (cfr 1 Pt 3,15), essendo testimoni dell’infinita misericordia di Dio che, come sottolinea il Salmo responsoriale di questa domenica, «è buono [e] indica ai peccatori la via giusta» (Sal 24,8). Gesù ci insegna che il Padre celeste «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni» (Mt 5,45). Dopo aver fatto noi stessi l’esperienza del perdono, dobbiamo perdonare. Ecco la nostra vocazione fondamentale: «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5,48). Una delle esigenze essenziali di questa vocazione alla perfezione è l’amore per i nemici, che premunisce contro la tentazione della vendetta e contro la spirale delle rappresaglie senza fine. Gesù ha tenuto ad insistere su questo aspetto particolare della testimonianza cristiana (cfr Mt 5,46-47). Gli operatori di evangelizzazione devono dunque essere prima di tutto artigiani del perdono, specialisti della riconciliazione, esperti della misericordia. E’ così che possiamo aiutare i nostri fratelli e sorelle a “passare all’altra riva”, rivelando loro il segreto della nostra forza, della nostra speranza, della nostra gioia che hanno la loro sorgente in Dio, perché sono fondate sulla certezza che Egli sta nella barca con noi. Come ha fatto con gli apostoli al momento della moltiplicazione dei pani, è a noi che il Signore affida i suoi doni affinché andiamo a distribuirli dappertutto, proclamando la sua parola che assicura: «Ecco verranno giorni nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa d’Israele e alla casa di Giuda» (Ger 33,14).
Nei testi liturgici di questa domenica, possiamo scoprire alcune caratteristiche di questa salvezza di Dio annunciata, che si presentano come altrettanti punti di riferimento per guidarci nella nostra missione. Anzitutto, la felicità promessa da Dio è annunciata in termini di giustizia. L’Avvento è il tempo per preparare i nostri cuori al fine di poter accogliere il Salvatore, cioè il solo Giusto e il solo Giudice capace di riservare a ciascuno la sorte che merita. Qui come altrove, tanti
uomini e donne hanno sete di rispetto, di giustizia, di equità, senza vedere all’orizzonte dei segni positivi. A costoro, Egli viene a fare dono della sua giustizia (cfr Ger 33,15). Viene a fecondare le nostre storie personali e collettive, le nostre speranze deluse e i nostri sterili auspici. E ci manda ad annunciare, soprattutto a coloro che sono oppressi dai potenti di questo mondo, come pure a quanti sono piegati sotto il peso dei loro peccati: «Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla, e sarà chiamata: Signore-nostra -giustizia» (Ger 33,16). Sì, Dio è Giustizia! Ecco perché noi, cristiani, siamo chiamati ad essere nel mondo gli artigiani di una pace fondata sulla giustizia.
La salvezza di Dio attesa ha ugualmente il sapore dell’amore. Infatti, preparandoci al mistero del Natale, noi facciamo nuovamente nostro il cammino del popolo di Dio per accogliere il Figlio venuto a rivelarci che Dio non è soltanto Giustizia ma è anche e innanzitutto Amore (cfr 1 Gv 4,8). Dovunque, anche e soprattutto là dove regnano la violenza, l’odio, l’ingiustizia e la persecuzione, i cristiani sono chiamati a dare testimonianza di questo Dio che è Amore. Incoraggiando i sacerdoti, le persone consacrate e i laici che, in questo Paese, vivono talvolta fino all’eroismo le virtù cristiane, io riconosco che la distanza che ci separa dall’ideale così esigente della testimonianza cristiana è a volte grande. Ecco perché faccio mie sotto forma di preghiera quelle parole di san Paolo: «Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (1 Ts 3,12). A questo riguardo, la testimonianza dei pagani sui cristiani della Chiesa primitiva deve rimanere presente al nostro orizzonte come un faro: «Vedete come si amano, si amano veramente» (Tertulliano, Apologetico, 39, 7).
Infine, la salvezza di Dio annunciata riveste il carattere di una potenza invincibile che avrà la meglio su tutto. Infatti, dopo aver annunciato ai suoi discepoli i segni terribili che precederanno la sua venuta, Gesù conclude: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). E se san Paolo parla di un amore “che cresce e sovrabbonda”, è perché la testimonianza cristiana deve riflettere questa forza irresistibile di cui si tratta nel Vangelo. E’ dunque anche in mezzo a sconvolgimenti inauditi che Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile (cfr Lc 21,27) e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore!
A tutti quelli che usano ingiustamente le armi di questo mondo, io lancio un appello: deponete questi strumenti di morte; armatevi piuttosto della giustizia, dell’amore e della misericordia, autentiche garanzie di pace. Discepoli di Cristo, sacerdoti, religiosi, religiose o laici impegnati in questo Paese dal nome così suggestivo, situato nel cuore dell’Africa e che è chiamato a scoprire il Signore come vero Centro di tutto ciò che è buono, la vostra vocazione è di incarnare il cuore di Dio in mezzo ai vostri concittadini. Voglia il Signore renderci tutti «saldi … e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi» (1 Ts 3,13). Così sia!

Francese
En ce premier dimanche de l’Avent, temps liturgique de l’attente du Sauveur et symbole de l’espérance chrétienne, Dieu a conduit mes pas, jusqu’à vous, sur cette terre, alors que l’Eglise universelle s’apprête à inaugurer l’Année Jubilaire de la Miséricorde. Et je suis particulièrement heureux que ma visite pastorale coïncide avec l’ouverture dans votre pays de cette Année Jubilaire. Depuis cette cathédrale, par le coeur et la pensée, je voudrais rejoindre avec affection tous les prêtres, les personnes consacrées, les agents pastoraux de ce pays, spirituellement unis à nous en ce
moment. A travers vous, j’aimerais saluer aussi tous les Centrafricains, les malades, les personnes âgées, les blessés de la vie. Certains d’entre eux sont peut-être désespérés et n’ont même plus la force d’agir, attendant simplement une aumône, l’aumône du pain, l’aumône de la justice, l’aumône d’un geste d’attention et de bonté. Mais comme les apôtres Pierre et Jean montant au temple, qui n’avaient ni or ni argent à donner au paralytique dans le besoin, je viens leur offrir la force et la puissance de Dieu qui guérissent l’homme, le remettent debout et le rendent capable de commencer une nouvelle vie, en passant sur l’autre rive (cf. Lc 8, 22).
Jésus ne nous envoie pas tout seuls sur l’autre rive, mais il nous invite plutôt à effectuer la traversée avec lui, en répondant, chacun, à une vocation spécifique. Il nous faut donc être conscients que ce passage sur l’autre rive ne peut se faire qu’avec lui, en nous libérant des conceptions de la famille et du sang qui divisent, pour construire une Eglise-Famille de Dieu, ouverte à tous, soucieuse de ceux qui sont le plus dans le besoin. Cela suppose la proximité avec nos frères et soeurs, cela implique un esprit de communion. Ce n’est pas d’abord une question de moyens financiers ; il suffit juste de partager la vie du peuple de Dieu, en rendant compte de l’espérance qui est en nous (cf. 1P 3, 15), en étant témoins de l’infinie miséricorde de Dieu qui, comme le souligne le psaume responsorial de ce dimanche, « est bon [et] montre aux pécheurs le chemin » (Ps 24, 8). Jésus nous enseigne que le Père céleste « fait lever son soleil sur les méchants et sur les bons » (Mt 5, 45). Après avoir fait nous-mêmes l’expérience du pardon, nous devons pardonner. Voici notre vocation fondamentale : « Vous donc, vous serez parfaits comme votre Père céleste est parfait » (Mt 5, 48) ! L’une des exigences fondamentales de cette vocation à la perfection, c’est l’amour des ennemis, qui prémunit contre la tentation de la vengeance et contre la spirale des représailles sans fin. Jésus a tenu à insister sur cet aspect particulier du témoignage chrétien (Mt 5, 46-47). Les agents d’évangélisation doivent donc être d’abord et avant tout des artisans du pardon, des spécialistes de la réconciliation, des experts de la miséricorde. C’est ainsi que nous pouvons aider nos frères et soeurs à passer sur l’autre rive, en leur révélant le secret de notre force, de notre espérance, de notre joie qui ont leur source en Dieu, parce qu’elles sont fondées sur la certitude qu’il est dans la barque avec nous. Comme il l’a fait avec les apôtres lors de la multiplication des pains, c’est donc à nous que le Seigneur confie ses dons afin que nous allions les distribuer partout, en proclamant sa parole qui rassure : « Voici venir des jours où j’accomplirai la promesse de bonheur que j’ai adressée à la maison d’Israël et à la maison de Juda » (Jr 33, 14).
Dans les textes liturgiques de ce dimanche, nous pouvons découvrir certaines caractéristiques de ce salut de Dieu annoncé, qui se présentent comme autant de points de repères pour nous guider dans notre mission. D’abord, le bonheur promis par Dieu est annoncé en terme de justice. L’Avent, c’est le temps pour préparer nos coeurs afin de pouvoir accueillir le Sauveur, c’est-à-dire le seul Juste et le seul Juge capable de réserver à chacun le sort qu’il mérite. Ici comme ailleurs, tant d’hommes et de femmes ont soif de respect, de justice, d’équité, sans trouver à l’horizon des signes positifs. À ceux-là, il vient faire don de sa justice (cf. Jr 33, 15). Il vient féconder nos histoires personnelles et collectives, nos espoirs déçus et nos souhaits stériles. Et il nous envoie annoncer surtout à ceux qui sont opprimés par les forts de ce monde comme à ceux qui ploient sous le poids de leurs propres péchés : « Juda sera délivré, Jérusalem habitera en sécurité, et voici le nom qu’on lui donnera : ‘‘Le Seigneur-est-notre-Justice’’ » (Jr 33, 16). Oui, Dieu est Justice ! Voilà pourquoi, nous, chrétiens, nous sommes appelés à être dans le monde les artisans d’une paix fondée sur la justice.
Le salut de Dieu attendu a également le goût de l’amour. En effet, en nous préparant pour célébrer le mystère de Noël, nous nous réapproprions le cheminement du peuple de Dieu pour accueillir le Fils venu nous révéler que Dieu n’est pas seulement Justice mais qu’il est aussi et par-dessus tout Amour (cf. 1Jn 4, 8). Partout, même et surtout là où règnent la violence, la haine, l’injustice et la persécution, les chrétiens sont appelés à témoigner de ce Dieu qui est Amour. En encourageant les prêtres, les personnes consacrées et les laïcs qui, dans ce pays, vivent parfois jusqu’à l’héroïsme les vertus chrétiennes, je reconnais que la distance qui nous sépare de l’idéal si
exigeant du témoignage chrétien, est parfois grande. Voilà pourquoi je fais miennes sous forme de prière ces paroles de saint Paul : « Frères, que le Seigneur vous donne, entre vous, et à l’égard de tous les hommes, un amour de plus en plus intense et débordant » (1Th 3, 12). A cet égard, le témoignage des païens sur les chrétiens de l’Eglise primitive doit rester présent à notre horizon comme un phare : « Voyez comme ils s’aiment, ils s’aiment vraiment » (Tertullien, Apologétique, 39, 7).
Enfin, le salut de Dieu annoncé revêt le caractère d’une puissance invincible qui l’emportera sur tout. En effet, après avoir annoncé à ses disciples les signes terribles qui précéderont sa venue, Jésus conclut : « Quand ces événements commenceront, redressez-vous et relevez la tête, car votre rédemption approche » (Lc 21, 18). Et si saint Paul parle d’un ‘‘amour de plus en plus intense et débordant’’, c’est que le témoignage chrétien doit refléter cette force irrésistible dont il est question dans l’Évangile. C’est donc aussi au sein de bouleversements inouïs que Jésus veut montrer sa grande puissance, son inégalable gloire (cf. Lc 21, 27) et la puissance de l’amour qui ne recule devant rien, ni devant les cieux ébranlés, ni devant la terre en feu, ni devant la mer en furie. Dieu est plus fort que tout. Cette conviction donne au croyant sérénité, courage et la force de persévérer dans le bien face aux pires adversités. Même lorsque les forces du mal se déchaînent, les chrétiens doivent répondre présents, la tête relevée, prêts à recevoir des coups dans cette bataille où Dieu aura le dernier mot. Et ce mot sera d’amour !
A tous ceux qui utilisent injustement les armes de ce monde, je lance un appel : déposez ces instruments de mort ; armez-vous plutôt de la justice, de l’amour et de la miséricorde, vrais gages de paix. Disciples du Christ, prêtres, religieux, religieuses ou laïcs engagés en ce pays au nom si suggestif, situé au coeur de l’Afrique et qui est appelé à découvrir le Seigneur comme le véritable Centre de tout ce qui est bon, votre vocation est d’incarner le coeur de Dieu parmi vos concitoyens. Daigne le Seigneur nous établir tous « fermement dans une sainteté sans reproche devant Dieu notre Père, pour le jour où notre Seigneur viendra avec tous les saints » (1Th 3, 13). Ainsi soit-il !
Inglese 
On this first Sunday of Advent, the liturgical season of joyful expectation of the Saviour and a symbol of Christian hope, God has brought me here among you, in this land, while the universal Church is preparing for the opening of the Jubilee Year of Mercy. I am especially pleased that my pastoral visit coincides with the opening of this Jubilee Year in your country. From this cathedral I reach out, in mind and heart, and with great affection, to all the priests, consecrated men and women, and pastoral workers of the nation, who are spiritually united with us at this moment. Through you, I would greet all the people of the Central African Republic: the sick, the elderly, those who have experienced life’s hurts. Some of them are perhaps despairing and listless, asking only for alms, the alms of bread, the alms of justice, the alms of attention and goodness.
But like the Apostles Peter and John on their way to the Temple, who had neither gold nor silver to give to the paralytic in need, I have come to offer God’s strength and power; for these bring us healing, set us on our feet and enable us to embark on a new life, to “go across to the other side” (cf. Lk 8:22).
Jesus does not make us cross to the other side alone; instead, he asks us to make the crossing with him, as each of us responds to his or her own specific vocation. We need to realize that making this crossing can only be done with him, by freeing ourselves of divisive notions of family and blood in order to build a Church which is God’s family, open to everyone, concerned for those most in need. This presupposes closeness to our brothers and sisters; it implies a spirit of communion. It is not primarily a question of financial means; it is enough just to share in the life of God’s people, in accounting for the hope which is in us (cf. 1 Pet 3:15), in testifying to the infinite
mercy of God who, as the Responsorial Psalm of this Sunday’s liturgy makes clear, is “good [and] instructs sinners in the way” (Ps 24:8). Jesus teaches us that our heavenly Father “makes the sun rise on the evil and on the good” (Mt 5:45). Having experienced forgiveness ourselves, we must forgive others in turn. This is our fundamental vocation: “You, therefore, must be perfect, as your heavenly Father is perfect” (Mt 5:48).
One of the essential characteristics of this vocation to perfection is the love of our enemies, which protects us from the temptation to seek revenge and from the spiral of endless retaliation. Jesus placed special emphasis on this aspect of the Christian testimony (cf. Mt 5:46-47). Those who evangelize must therefore be first and foremost practitioners of forgiveness, specialists in reconciliation, experts in mercy. This is how we can help our brothers and sisters to “cross to the other side” – by showing them the secret of our strength, our hope, and our joy, all of which have their source in God, for they are grounded in the certainty that he is in the boat with us. As he did with the apostles at the multiplication of the loaves, so too the Lord entrusts his gifts to us, so that we can go out and distribute them everywhere, proclaiming his reassuring words: “Behold, the days are coming when I will fulfil the promise I made to the house of Israel and the house of Judah” (Jer 33:14).
In the readings of this Sunday’s liturgy, we can see different aspects of this salvation proclaimed by God; they appear as signposts to guide us on our mission. First of all, the happiness promised by God is presented as justice. Advent is a time when we strive to open our hearts to receive the Saviour, who alone is just and the sole Judge able to give to each his or her due. Here as elsewhere, countless men and women thirst for respect, for justice, for equality, yet see no positive signs on the horizon. These are the ones to whom he comes to bring the gift of his justice (cf. Jer 33:15). He comes to enrich our personal and collective histories, our dashed hopes and our sterile yearnings. And he sends us to proclaim, especially to those oppressed by the powerful of this world or weighed down by the burden of their sins, that “Judah will be saved and Jerusalem will dwell securely. And this is the name by which it shall be called, ‘The Lord is our righteousness’” (Jer 33:16). Yes, God is righteousness; God is justice. This, then, is why we Christians are called in the world to work for a peace founded on justice.
The salvation of God which we await is also flavoured with love. In preparing for the mystery of Christmas, we relive the pilgrimage which prepared God’s people to receive the Son, who came to reveal that God is not only righteousness, but also and above all love (cf. 1 Jn 4:8). In every place, even and especially in those places where violence, hatred, injustice and persecution hold sway, Christians are called to give witness to this God who is love. In encouraging the priests, consecrated men and woman, and committed laity who, in this country live, at times heroically, the Christian virtues, I realize that the distance between this demanding ideal and our Christian witness is at times great. For this reason I echo the prayer of Saint Paul: “Brothers and sisters, may the Lord make you increase and abound in love to one another and to all men and women” (1 Th 3:12). Thus what the pagans said of the early Christians will always remain before us like a beacon: “See how they love one another, how they truly love one another” (Tertullian, Apology, 39, 7).
Finally, the salvation proclaimed by God has an invincible power which will make it ultimately prevail. After announcing to his disciples the terrible signs that will precede his coming, Jesus concludes: “When these things begin to take place, look up and raise your heads, because your redemption is drawing near” (Lk 21:28). If Saint Paul can speak of a love which “grows and overflows”, it is because Christian witness reflects that irresistible power spoken of in the Gospel. It is amid unprecedented devastation that Jesus wishes to show his great power, his incomparable glory (cf. Lk 21:27) and the power of that love which stops at nothing, even before the falling of the heavens, the conflagration of the world or the tumult of the seas. God is stronger than all else. This conviction gives to the believer serenity, courage and the strength to persevere in good amid the greatest hardships. Even when the powers of Hell are unleashed, Christians must rise to the
summons, their heads held high, and be ready to brave blows in this battle over which God will have the last word. And that word will be love!
To all those who make unjust use of the weapons of this world, I make this appeal: lay down these instruments of death! Arm yourselves instead with righteousness, with love and mercy, the authentic guarantors of peace. As followers of Christ, dear priests, religious and lay pastoral workers, here in this country, with its suggestive name, situated in the heart of Africa and called to discover the Lord as the true centre of all that is good, your vocation is to incarnate the very heart of God in the midst of your fellow citizens. May the Lord deign to “strengthen your hearts in holiness, that you may be blameless before our God and Father at the coming of our Lord Jesus with all his saints” (1 Th 3:13). Amen.
Spagnolo
En este primer Domingo de Adviento, tiempo litúrgico de la espera del Salvador y símbolo de la esperanza cristiana, Dios ha guiado mis pasos hasta ustedes, en este tierra, mientras la Iglesia universal se prepara para inaugurar el Año Jubilar de la Misericordia. Me alegra de modo especial que mi visita pastoral coincida con la apertura de este Año Jubilar en su país. Desde esta Catedral, mi corazón y mi mente se extiende con afecto a todos los sacerdotes, consagrados y agentes de pastoral de este país, unidos espiritualmente a nosotros en este momento. Por medio de ustedes, saludo también a todos los centroafricanos, a los enfermos, a los ancianos, a los golpeados por la vida. Algunos de ellos tal vez están desesperados y no tienen ya ni siquiera fuerzas para actuar, y esperan sólo una limosna, la limosna del pan, la limosna de la justicia, la limosna de un gesto de atención y de bondad.
Al igual que los apóstoles Pedro y Juan, cuando subían al templo y no tenían ni oro ni plata que dar al pobre paralítico, vengo a ofrecerles la fuerza y el poder de Dios que curan al hombre, lo levantan y lo hacen capaz de comenzar una nueva vida, «cruzando a la otra orilla» (Lc 8,22).
Jesús no nos manda solos a la otra orilla, sino que en cambio nos invita a realizar la travesía con Él, respondiendo cada uno a su vocación específica. Por eso, tenemos que ser conscientes de que si no es con Él no podemos pasar a la otra orilla, liberándonos de una concepción de familia y de sangre que divide, para construir una Iglesia-Familia de Dios abierta a todos, que se preocupa por los más necesitados. Esto supone estar más cerca de nuestros hermanos y hermanas, e implica un espíritu de comunión. No se trata principalmente de una cuestión de medios económicos, sino de compartir la vida del pueblo de Dios, dando razón de la esperanza que hay en nosotros (cf. 1 P 3,15) y siendo testigos de la infinita misericordia de Dios que, como subraya el salmo responsorial de este domingo, «es bueno [y] enseña el camino a los pecadores» (Sal 24,8). Jesús nos enseña que el Padre celestial «hace salir su sol sobre malos y buenos» (Mt 5,45). Nosotros también, después de haber experimentado el perdón, tenemos que perdonar. Esta es nuestra vocación fundamental: «Por tanto, sean perfectos, como es perfecto el Padre celestial» (Mt 5,48). Una de las exigencias fundamentales de esta vocación a la perfección es el amor a los enemigos, que nos previene de la tentación de la venganza y de la espiral de las represalias sin fin. Jesús ha insistido mucho sobre este aspecto particular del testimonio cristiano (cf. Mt 5,46-47). Los agentes de evangelización, por tanto, han de ser ante todo artesanos del perdón, especialistas de la reconciliación, expertos de la misericordia. Así podremos ayudar a nuestros hermanos y hermanas a «cruzar a la otra orilla», revelándoles el secreto de nuestra fuerza, de nuestra esperanza, de nuestra alegría, que tienen su fuente en Dios, porque están fundados en la certeza de que Él está en la barca con nosotros. Como hizo con los Apóstoles en la multiplicación de los panes, el Señor nos confía sus dones para que nosotros los distribuyamos por todas partes, proclamando su palabra que afirma: «Ya llegan días en que cumpliré la promesa que hice a la casa de Israel y a la casa de Judá» (Jr 33,14).
En los textos litúrgicos de este domingo, descubrimos algunas características de esta salvación que Dios anuncia, y que se presentan como otros puntos de referencia para guiarnos en nuestra misión. Ante todo, la felicidad prometida por Dios se anuncia en términos de justicia. El Adviento es el tiempo para preparar nuestros corazones a recibir al Salvador, es decir el único Justo y el único Juez que puede dar a cada uno la suerte que merece. Aquí, como en otras partes, muchos hombres y mujeres tienen sed de respeto, de justicia, de equidad, y no ven en el horizonte señales positivas. A ellos, Él viene a traerles el don de su justicia (cf. Jr 33,15). Viene a hacer fecundas nuestras historias personales y colectivas, nuestras esperanzas frustradas y nuestros deseos estériles. Y nos manda a anunciar, sobre todo a los oprimidos por los poderosos de este mundo, y también a los que sucumben bajo el peso de sus pecados: «En aquellos días se salvará Judá, y en Jerusalén vivirán tranquilos, y la llamarán así: “El Señor es nuestra justicia”» (Jr 33,16). Sí, Dios es Justicia. Por eso nosotros, cristianos, estamos llamados a ser en el mundo los artífices de una paz fundada en la justicia.
La salvación que se espera de Dios tiene también el sabor del amor. En efecto, preparándonos a la Navidad, hacemos nuestro de nuevo el camino del pueblo de Dios para acoger al Hijo que ha venido a revelarnos que Dios no es sólo Justicia sino también y sobre todo Amor (cf. 1 Jn 4,8). Por todas partes, y sobre todo allí donde reina la violencia, el odio, la injusticia y la persecución, los cristianos estamos llamados a ser testigos de este Dios que es Amor. Al mismo tiempo que animo a los sacerdotes, consagrados y laicos de este país, que viven las virtudes cristianas, incluso heroicamente, reconozco que a veces la distancia que nos separa de ese ideal tan exigente del testimonio cristiano es grande. Por eso rezo haciendo mías las palabras de san Pablo: «Que el Señor los colme y los haga rebosar de amor mutuo y de amor a todos» (1 Ts 3,12). En este sentido, lo que decían los paganos sobre los cristianos de la Iglesia primitiva ha de estar presente en nuestro horizonte como un faro: «Miren cómo se aman, se aman de verdad» (Tertuliano, Apologetico, 39, 7).
Por último, la salvación de Dios proclamada tiene el carácter de un poder invencible que vencerá sobre todo. De hecho, después de haber anunciado a sus discípulos las terribles señales que precederán su venida, Jesús concluye: «Cuando empiece a suceder esto, tengan ánimo y levanten la cabeza; se acerca su liberación» (Lc 21,28). Y, si san Pablo habla de un amor «que crece y rebosa», es porque el testimonio cristiano debe reflejar esta fuerza irresistible que narra el Evangelio. Jesús, también en medio de una agitación sin precedentes, quiere mostrar su gran poder, su gloria incomparable (cf. Lc 21,27), y el poder del amor que no retrocede ante nada, ni frente al cielo en convulsión, ni frente a la tierra en llamas, ni frente al mar embravecido. Dios es más fuerte que cualquier otra cosa. Esta convicción da al creyente serenidad, valor y fuerza para perseverar en el bien frente a las peores adversidades. Incluso cuando se desatan las fuerzas del mal, los cristianos han de responder al llamado de frente, listos para aguantar en esta batalla en la que Dios tendrá la última palabra. Y será una palabra de amor.
Lanzo un llamamiento a todos los que empuñan injustamente las armas de este mundo: Depongan estos instrumentos de muerte; ármense más bien con la justicia, el amor y la misericordia, garantías de auténtica paz. Discípulos de Cristo, sacerdotes, religiosos, religiosas y laicos comprometidos en este país que lleva un nombre tan sugerente, situado en el corazón de África, y que está llamado a descubrir al Señor como verdadero centro de todo lo que es bueno: la vocación de ustedes es la de encarnar el corazón de Dios en medio de sus conciudadanos. Que el Señor nos afiance y nos haga presentarnos ante «Dios nuestro Padre santos e irreprochables en la venida de nuestro Señor Jesús con todos sus santos» (1 Ts 3,13). Que así sea.
Portoghese
Neste Primeiro Domingo de Advento, tempo litúrgico da expectativa do Salvador e símbolo da esperança cristã, Deus guiou os meus passos até junto de vós, nesta terra, enquanto a Igreja
universal se prepara para inaugurar o Ano Jubilar da Misericórdia. E sinto-me particularmente feliz pelo facto de a minha visita pastoral coincidir com a abertura no vosso país deste Ano Jubilar. A partir desta Catedral, com o coração e o pensamento, quero alcançar afectuosamente todos os sacerdotes, os consagrados, os agentes pastorais deste país, que estão espiritualmente unidos connosco neste momento. Através de vós, quero saudar todos os centro-africanos, os doentes, as pessoas idosas, os feridos pela vida. Talvez alguns deles estejam desesperados e já não tenham força sequer para reagir, esperando apenas uma esmola, a esmola do pão, a esmola da justiça, a esmola dum gesto de atenção e bondade.
Mas, como os apóstolos Pedro e João que subiam ao templo e não tinham ouro nem prata para dar ao paralítico indigente, venho oferecer-lhes a força e o poder de Deus que curam o homem, fazem-no levantar e tornam-no capaz de começar uma nova vida, «passando à outra margem» (cf. Lc 8, 22).
Jesus não nos envia sozinhos para a outra margem, mas convida-nos a fazer a travessia juntamente com Ele, respondendo cada qual a uma vocação específica. Devemos, pois, estar cientes de que esta passagem para a outra margem só se pode fazer com Ele, libertando-nos das concepções de família e de sangue que dividem, para construir uma Igreja-Família de Deus, aberta a todos, que cuida dos mais necessitados. Isto pressupõe a proximidade aos nossos irmãos e irmãs, isto implica um espírito de comunhão. Não se trata primariamente duma questão de recursos financeiros; realmente basta compartilhar a vida do Povo de Deus, dando a razão da esperança que está em nós (cf. 1 Ped 3, 15), sendo testemunhas da misericórdia infinita de Deus, que – como sublinha o Salmo Responsorial deste domingo - «é bom e (…) ensina o caminho aos pecadores» (Sal 25/24, 8). Jesus ensina-nos que o Pai celeste «faz com que o Sol se levante sobre os bons e os maus» (Mt 5, 45). Depois de nós mesmos termos feito a experiência do perdão, devemos perdoar. Aqui está a nossa vocação fundamental: «Portanto, sede perfeitos como é perfeito o vosso Pai celeste» (Mt 5, 48). Uma das exigências essenciais desta vocação à perfeição é o amor aos inimigos, que protege contra a tentação da vingança e contra a espiral das retaliações sem fim. Jesus fez questão de insistir sobre este aspecto particular do testemunho cristão (cf. Mt 5, 46-47). Consequentemente os agentes de evangelização devem ser, antes de mais nada, artesãos do perdão, especialistas da reconciliação, peritos da misericórdia. É assim que podemos ajudar os nossos irmãos e irmãs a «passar à outra margem», revelando-lhes o segredo da nossa força, da nossa esperança, e da nossa alegria que têm a sua fonte em Deus, porque estão fundadas na certeza de que Ele está connosco no barco. Como fez com os Apóstolos na altura da multiplicação dos pães, é a nós que o Senhor confia os seus dons para irmos distribuí-los por todo o lado, proclamando a sua palavra que garante: «Eis que virão dias em que cumprirei a promessa favorável que fiz à casa de Israel e à casa de Judá» (Jr 33, 14).
Nos textos litúrgicos deste domingo, podemos descobrir algumas características desta salvação anunciada por Deus, que servem igualmente como pontos de referência para nos guiar na nossa missão. Antes de mais nada, a felicidade prometida por Deus é anunciada em termos de justiça. O Advento é o tempo para preparar os nossos corações a fim de acolher o Salvador, isto é, o único Justo e o único Juiz capaz de dar a cada um a sorte que merece. Aqui, como noutros lugares, muitos homens e mulheres têm sede de respeito, justiça, equidade, sem avistar no horizonte qualquer sinal positivo. Para eles, o Salvador vem trazer o dom da sua justiça (cf. Jr 33, 15). Vem tornar fecundas as nossas histórias pessoais e colectivas, as nossas esperanças frustradas e os nossos votos estéreis. E manda-nos anunciar sobretudo àqueles que são oprimidos pelos poderosos deste mundo, bem como a quantos vivem vergados sob o peso dos seus pecados: «Judá será salvo e Jerusalém viverá em segurança. Este é o nome com o qual será chamada: “Senhor-nossa justiça”» (Jr 33, 16). Sim, Deus é Justiça! Por isso mesmo nós, cristãos, somos chamados a ser no mundo os artesãos duma paz fundada na justiça.
A salvação que esperamos de Deus, tem igualmente o sabor do amor. Na verdade, preparando-nos para o mistério do Natal, assumimos de novo o caminho do povo de Deus para acolher o Filho que nos veio revelar que Deus não é só Justiça mas é também e antes de tudo Amor
(cf. 1 Jo 4, 8). Em todos os lugares, mas sobretudo onde reinam a violência, o ódio, a injustiça e a perseguição, os cristãos são chamados a dar testemunho deste Deus que é Amor. Ao encorajar os sacerdotes, as pessoas consagradas e os leigos que, neste país, vivem por vezes até ao heroísmo as virtudes cristãs, reconheço que a distância, que nos separa do ideal tão exigente do testemunho cristão, às vezes é grande. Por isso faço minhas, sob a forma de oração, estas palavras de São Paulo: «O Senhor vos faça crescer e superabundar de caridade uns para com os outros e para com todos» (1 Ts 3, 12). A este respeito, deve permanecer presente no nosso horizonte como um farol o testemunho dos pagãos sobre os cristãos da Igreja Primitiva: «Vede como se amam, amam-se verdadeiramente» (Tertuliano, Apologetico, 39, 7).
Por fim, a salvação anunciada por Deus reveste o carácter duma força invencível que triunfará sobre tudo. De facto, depois de ter anunciado aos seus discípulos os sinais tremendos que precederão a sua vinda, Jesus conclui: «Quando estas coisas começarem a acontecer, cobrai ânimo e levantai a cabeça, porque a vossa redenção está próxima» (Lc 21, 28). E, se São Paulo fala dum amor «que cresce e superabunda», é porque o testemunho cristão deve reflectir esta força irresistível de que se trata no Evangelho. Assim, é também no meio de convulsões inauditas que Jesus quer mostrar o seu grande poder, a sua glória incomparável (cf. Lc 21, 27) e a força do amor que não recua diante de nada, nem diante dos céus transtornados, nem diante da terra em chamas, nem diante do mar revolto. Deus é mais forte que tudo. Esta convicção dá ao crente serenidade, coragem e a força de perseverar no bem frente às piores adversidades. Mesmo quando se desencadeiam as forças do mal, os cristãos devem responder ao apelo, de cabeça erguida, prontos a resistir nesta batalha em que Deus terá a última palavra. E será uma palavra de amor.
A todos aqueles que usam injustamente as armas deste mundo, lanço um apelo: deponde esses instrumentos de morte; armai-vos, antes, com a justiça, o amor e a misericórdia, autênticas garantias de paz. Discípulos de Cristo, sacerdotes, religiosos, religiosas ou leigos comprometidos neste país de nome tão sugestivo, situado no coração da África e que é chamado a descobrir o Senhor como verdadeiro Centro de tudo o que é bom, a vossa vocação é encarnar o coração de Deus no meio dos vossos concidadãos. Oxalá o Senhor nos torne a todos «firmes (...) e irrepreensíveis na santidade diante de Deus, nosso Pai, por ocasião da vinda de Nosso Senhor Jesus com todos os seus santos» (1 Ts 3, 13). Assim seja!
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Al termine della Santa Messa, dopo l’indirizzo di saluto dell’Arcivescovo di Bangui, S.E. Mons. Dieudonné Nzapalainga, e la benedizione finale, il Papa rientra in Sacrestia. Quindi si reca al podio nei pressi del Sagrato dove darà inizio alla Veglia di preghiera con i giovani.
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