Venerdì della XXXI settimana del Tempo Ordinario
αποφθεγμα Apoftegma
"Rimetti a noi i nostri debiti,
come noi li rimettiamo ai nostri debitori".
Ogni colpa tra uomini comporta in qualche modo
un ferimento della verità e dell’amore
e si oppone così a quel Dio che è la Verità e l’Amore.
Il superamento della colpa
è una questione centrale di ogni esistenza umana;
la storia delle religioni gira intorno a tale questione.
Colpa chiama ritorsione;
si forma così una catena di indebitamenti,
in cui il male della colpa di continuo
e diventa sempre più difficile sfuggirvi.
Il Signore con questa domanda ci dice:
la colpa può essere superata solo attraverso il perdono,
non attraverso la ritorsione.
J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I.
come noi li rimettiamo ai nostri debitori".
Ogni colpa tra uomini comporta in qualche modo
un ferimento della verità e dell’amore
e si oppone così a quel Dio che è la Verità e l’Amore.
Il superamento della colpa
è una questione centrale di ogni esistenza umana;
la storia delle religioni gira intorno a tale questione.
Colpa chiama ritorsione;
si forma così una catena di indebitamenti,
in cui il male della colpa di continuo
e diventa sempre più difficile sfuggirvi.
Il Signore con questa domanda ci dice:
la colpa può essere superata solo attraverso il perdono,
non attraverso la ritorsione.
J. Ratzinger - Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, Vol. I.
L'ANNUNCIO |
Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.
Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.
Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ma che Giustizia è mai questa?
«Che cos'è questo che sento dire di te?». Le voci dei fratelli ci «accusano» di aver «sperperato» e sottratto loro gli «averi» del Signore. Ad essi, infatti, spettava l’amore che Dio ci ha dato in «amministrazione». Invece di gestire con generosità i frutti del suo «giardino», abbiamo allungato la mano avidamente cercando di diventare ricchi come il padrone. Per questo «non possiamo più essere amministratori», «allontanati» da Lui e dai suoi averi. Ma imprevedibilmente, proprio quando dobbiamo «rendere conto», si schiude per noi la porta della conversione, quando ci accorgiamo che senza le «sostanze» di Dio da amministrare siamo nulla, incapaci di qualsiasi cosa. «Non abbiamo forze» per «zappare» un terreno che non darà mai il raccolto d’amore che solo Dio può concedere. Spogliati della nostra identità, ci «vergogniamo di mendicare» la dignità che solo Dio può donarci. Non abbiamo che una possibilità, ripartire da dove abbiamo fallito, dagli «averi» del Signore. Essendone stati amministratori ne abbiamo intuito l’immensa entità; nessuno ci «accuserà» se stavolta sapremo sottrarne qualcosa con la «scaltrezza» del mondo. I «figli della luce» si illudono di poter amministrare con giustizia, ma non tengono conto delle insidie della carne che possono trasformarli in «amministratori di ingiustizia». Accanto alla «semplicità delle colombe» occorre «l’astuzia dei serpenti», la «scaltrezza» «lodata» sorprendentemente da Dio.
Perché i denari non cadano nelle nostre avide tasche ma siano fecondi per tutti, essa ci insegna a fare come i «figli di questo mondo» usi ai favori illegali e interessati perché «i loro pari» contraccambino nel bisogno: ad essere generosi con i denari altrui, a disporre con magnanimità dei tesori di misericordia di Dio per riscattare noi stessi salvando anche gli altri. Non abbiamo molto tempo, restano i giorni che ci saranno concessi. La nostra missione coincide con la nostra conversione: confidare nella «ricchezza» del Signore e con le parole e i gesti aprire audacemente i suoi forzieri perché giunga ad ogni uomo il condono del proprio debito. Vivere nel miracolo della misericordia, possibile solo perché il Figlio ha coperto ogni ammanco: ci ha fatti suoi «amici» «chiamandoci a sedere» alla mensa del suo corpo e del suo sangue con i quali ha cancellato il nostro debito; risorgendo, ha preparato per noi una «casa» dove accoglierci tutti per l’eternità. Sì, ci ha scelti sapendo che siamo amministratori disonesti. Tutti! Ed è il grande mistero dell'elezione, di Davide e di ogni apostolo, che ha tradito spudoratamente. Ma proprio in questa parabola risplende il segreto di ogni vocazione, di presbitero, di vergine consacrata, di sposo e padre, di sposa e madre: innanzitutto accettare di essere deboli e inadatti alla missione; assumere umilmente la verità, che non potremo mai rifondere il debito delle nostre infedeltà, che, cioè, non saremo noi a riparare agli errori. Ma l'importante è essere sapienti, "scaltri" come lo sono quelli del mondo con le loro cose; e approfittare a mani basse della Grazia per rimettere i debiti di coloro che ci sono affidati. Non siamo noi il centro della missione, ma i tesori di misericordia di Dio. Con essi possiamo farci amici per il cielo, raggiungere ogni uomo per offrirgli la stessa nostra esperienza.
QUI IL COMMENTO AUDIO
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