Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 29 febbraio 2012

Mercoledì della I settimana del Tempo di Quaresima

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Il libro di Giona e la sua prosecuzione neotestamentaria
è la più decisa negazione del relativismo 
e dell’indifferenza che si possa immaginare.
Anche per i cristiani di oggi vale
"Alzati... e annunzia quanto ti dirò".
Anche oggi deve essere annunciato l’unico Dio.
Anche oggi è necessario agli uomini Cristo, il vero Giona.
Anche oggi deve esserci pentimento perché ci sia salvezza.
E come la strada di Giona fu per lui stesso una strada di penitenza,
e la sua credibilità veniva dal fatto 
che egli era segnato dalla notte delle sofferenze,
così anche oggi noi cristiani
dobbiamo innanzitutto essere per primi 
sulla strada della penitenza per essere credibili. 

Joseph Ratzinger 24 gennaio 2003



Lc 11, 29-32


In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione.
La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui.
Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui».


IL COMMENTO


Giona, un predicatore. In ebraico il nome proprio Ionah vuol dire “colomba”. Giona semplice come una colomba, poche parole, taglienti come una spada. Il tempo è breve, tre giorni e tutto sarà distrutto.


"Fu rivolta a Giona figlio di Amittai questa parola del Signore: Alzati, và a Ninive la grande città e in essa proclama che la loro malizia è salita fino a me". Amittai in ebraico è verità, quindi figlio di Amittai significa figlio della verità. "La verità, la realtà stessa, si sottrae all'uomo, egli appare sottoposto ad anestesia locale, capace di cogliere solo brandelli deformati del reale." (J. Ratzinger, Fede e futuro). Gli abitanti di Ninive, la "città sanguinaria" (Nahum 3,1), sono l'immagine di quanti vivono anestetizzati, in una sorta di "impermeabilità della coscienza" (Dominum et vivificantem, 47): essi "non sanno distinguere la destra dalla sinistra" secondo le parole di Dio rivolte a Giona. La loro malizia è dunque la mancanza di "sensibilità e capacità di percezione" (Reconciliatio et Poenitentia,18) della verità:


Dicono fra loro sragionando:
«La nostra vita è breve e triste;
non c'è rimedio, quando l'uomo muore,
e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi.
Siamo nati per caso
e dopo saremo come se non fossimo stati....
La nostra esistenza è il passare di un'ombra
e non c'è ritorno alla nostra morte,
poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro....
Su, godiamoci i beni presenti,
facciamo uso delle creature con ardore giovanile!
Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia
perché questo ci spetta, questa è la nostra parte.
La pensano così, ma si sbagliano;
la loro malizia li ha accecati.

(Sap. 2)


Giona, il figlio della Verità, è inviato ai niniviti figli della malizia che è inganno e menzogna, a quanti"non conoscono i segreti di Dio; non sperano salario per la santità né credono alla ricompensa delle anime pure" (Sap. 2). Giona, come un segno. L'unico. Secondo l'esegesi rabbinica il nome di Giona e di Ninive sono composti, in ebraico, con le stesse lettere (Giona si scrive IVNH, e Ninive NINVH), e si assomigliano. Scopriamo così che agli abitanti di Ninive immersi nella malizia Dio invia un loro fratello, uno che ha le loro stesse radici. Con la discesa nel ventre del pesce e la sua salvezza miracolosa, il Signore ha preparato Giona per annunciare ai suoi fratelli la parola di Verità, facendogli condividere il loro stesso destino. Veniva a loro dallo stesso inferno, parlava con un'esperienza capace di giungere al loro cuore. Per questo è stato un segno, e la sua predicazione è risuonata nel cuore dei niniviti come un'eco di verità a cui aggrapparsi per salvarsi.


Ninive, la nostra vita oggi. Gesù, il nostro Giona oggi: "Tre giorni e Ninive sarà distrutta". Il terzo giorno era noto alla tradizione ebraica antica. Nella Scrittura il terzo giorno è quello nel quale si risolve una situazione critica, disperata. Il terzo giorno appare sempre come quello del dono della vita. "Mai il Santo, benedetto egli sia, lascia i giusti nell'angoscia per più di tre giorni" (Gen. R. 91,7 su Gen. 42,18). L'esperienza di Giona salvato dalle fauci della balena proprio al terzo giorno. Allo stesso modo il Kerygma - l'annuncio - più antico proclama che Gesù "è risuscitato il terzo giorno secondo le scritture" (1 Cor. 15,4). Non a caso il Vangelo di oggi termina con la conversione degli abitanti di Ninive alla predicazione di Giona, dove predicazione traduce proprio l'originale greco KerygmaPer Rabbì Levi il terzo giorno ha una virtù particolare, è benedetto a causa del dono della Torah sul Sinai (cfr. Es. 19,16). A Ninive, come nella nostra vita, si rinnova il dono della Torah, la Parola incarnata nella misericordia apparsa in Cristo. Egli, come Giona lo fu per quelli di Ninive, è fratello di ciascuno di noi, ha condiviso il destino di morte che l'uomo si è attirato peccando. Tre giorni, il riposo del Signore nel sepolcro dell'umanità, della nostra vita, il tempo favorevole per lasciarci raggiungere dal Suo amore e farci trascinare con Lui nel passaggio dalla morte alla vita. Solo Lui può annunciarci il Kerygma autentico, quello che attende e desidera il nostro cuore ormai da tre giorni, la Parola di Verità che il nostro cuore può comprendere e accogliere. E' Lui l'unico segno offerto ad una generazione malvagia, l'unico che può salvarla. Lui attraverso la sua Chiesa, madre e maestra dell'umanità.


Indossiamo allora il sacco e ricopriamoci di cenere, i segni della debolezza e della caducità bisognosa che tutti ci accomuna, della realtà che ci definisce quali peccatori, sine glossa e senza giustificazioni; disponiamoci al digiuno e alla preghiera, i segni della Grazia che prende vita nelle nostre esistenze, che si fa fiduciosa risposta all'amore di Dio. Inginocchiamoci in questa quaresima, in attesa della mano del Signore tesa a salvarci, della sua Parola di vita. Un Segno per convertirci.





Dio si impietosì. Il Card. Ratzinger sulla predicazione del profeta Giona nella città di Ninive






Cardinale Joseph Ratzinger [Papa Benedetto XVI]
Ritiro predicato al Vaticano 1983


« Non gli sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona »


“Questa generazione cerca un segno”. Anche noi aspettiamo la dimostrazione, il segno del successo, tanto nella storia universale quanto nella nostra vita personale. Pertanto ci chiediamo se il cristianesimo abbia trasformato il mondo, se abbia dato quel segno del pane e della sicurezza di cui parlava il diavolo nel deserto (Mt 4,3s). Secondo l’argomentazione di Karl Marx, il cristianesimo ha disposto di un tempo sufficiente per dimostrare i suoi principi, per provare il suo successo, per dimostrare che ha creato il paradiso terrestre; seondo Marx, dopo tanto tempo, sarebbe ormai necessario appoggiarsi su altri principi.


Questa argomentazione non manca di impressionare numerosi cristiani, e molti ritengono che sia per lo meno necessario inventare un cristianesimo molto differente, un cristianesimo che rinunci al lusso dell’interiorità, della vita spirituale. Ma proprio in questo modo, impediscono la vera trasformazione del mondo, che si origina in un cuore nuovo, un cuore vigilante, un cuore aperto alla verità e all’amore, un cuore liberato e libero.


Alla radice di tale richiesta sviata di un segno, c’è l’egoismo, la mancanza di purezzza di un cuore che non aspetta nulla di Dio se non il successo personale e un aiuto per affermare l’assoluto dell’io. Tale forma di religiosità è rifiuto fondamentale di conversione. Eppure, quante volte anche noi dipendiamo dal segno del successo! Quante volte chiediamo il segno e rifiutiamo la conversione!

martedì 28 febbraio 2012

Martedì della I settimana di Quaresima

Vangelo del Giorno



Silenzio e contemplazione.
Nella loquacità del nostro tempo, e di altri tempi,
nell’inflazione delle parole,
rendere presenti le parole essenziali.
Nelle parole rendere presente la Parola,
la Parola che viene da Dio, la Parola che è Dio.

Benedetto XVI




Mt 6, 7-15 


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: 
Padre nostro che sei nei cieli, 
sia santificato il tuo nome; 
venga il tuo regno; 
sia fatta la tua volontà, 
come in cielo così in terra. 
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, 
e rimetti a noi i nostri debiti 
come noi li rimettiamo ai nostri debitori, 
e non ci indurre in tentazione, 
ma liberaci dal male. 
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». 


IL COMMENTO


Chiacchieriamo e ci piace intrattenerci con le parole. Talk-show e salotti, il piacere della parola. Soprattutto gridata, brandita come un'arma, la regina di questa società travestita come uno show, apparenza pura spacciata per "reality". Mentre la Scrittura ci rivela che il reale nasce sì da una Parola, ma dall'unica autentica, la Parola di Dio. "Sia la luce". E la luce fu. Una Parola che si compie, fatta carne nella pienezza dei tempi. Una Parola, l'unica, che salva smascherando le vuote parole di tutti noi, quelle mai pensate, sempre buttate.


Purtroppo le infiliamo spesso alla rinfusa anche nelle preghiere che sembrano sgorgare da cuori impazziti di orfani senza certezze. Per pregare davvero occorre una certezza. Una sola. Che siamo figli. «Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia» (Charles Péguy, Il portico del mistero della seconda virtù, in I Misteri). Per sperare e pregare senza dubitare è necessaria l'esperienza di avere un Padre nel Cielo che ci ama infinitamente, e sa tutto di noi. “Niente è più decisivo in una vita delle proprie origini. Per questo il padre rappresenta molto di più di un uomo in carne e ossa che ci ha generati. Ci dà un nome.[...] La nostra individualità, così concreta, è legata al nome che riceviamo da nostro padre, per noi sigillo, segno distintivo. Prima che esseri di ragione o di coscienza, d’istinto o di passione, siamo infatti figli" (Maria Zambrano, Verso un sapere dell’anima).


Alla nostra origine vi è il perdono che ha cancellato il peccato d'origine. Siamo figli della misericordia, e questo è il nome che ci distingue, il nome stesso di Dio sigillato in noi, sorgente inesauribile della nostalgia di Lui. Perchè Dio è Padre soprattutto perdonando. Basta alzare gli occhi del cuore e sussurrare "Papà", il perdono è lì. Come ha sperimentato il figliol prodigo che s'era preparato un bel discorso, parole da dire, parole per spiegare, parole per implorare. E il Padre, già da tempo alla finestra, aspetta suo figlio con il cuore traboccante di compassione, sapendo già ciò di cui il figlio aveva bisogno, il suo perdono gratuito e rigenerante. Il Padre che gli corre incontro, lo accoglie in un abbraccio e gli permette una sola parola: "Padre". L'abbraccio spegne ogni altra parola. Padre, che declina perdono, per ciascun figlio.


"Amare un essere è sperare da esso qualcosa di indefinibile, di imprecisabile, e, nello stesso tempo, è dargli, in certo modo, il modo di rispondere a tale aspettativa" (Gabriel Marcel). Attraverso la preghiera del Padre nostro Gesù ci insegna ad offrire a Dio il modo di rispondere alle nostre aspettative più profonde. Più dell'aria che respiriamo abbiamo bisogno d'amore, di misericordia e di perdono. Nostro Padre attende uno sguardo per donarci quanto ci appartiene per natura, quella nuova conquistataci dal Figlio, l'eredità che spetta ai figli. Sì, la preghiera del Padre Nostro ci svela quale sia l'immensità della nostra elezione, i tesori di Grazia preparati per i figli di Dio. E' per noi la santità del nome di Dio, la vita celeste, divina che si incarna nella nostra vita terrena, povera, fragile: ogni istante ci è dato perchè in esso sia santificato il nome di Dio, perchè ogni aspetto della nostra vita sia strappato alla corruzione e rivestito di incorruttibilità, separato dal mondo pur essendo nel mondo. E' per noi il pane quotidiano imprescindibile per vivere, la croce ricolma dell'amore di Dio, il cibo della fede adulta, la storia trasformata in un altare dove donarsi per la salvezza del mondo; il cibo sconosciuto di cui si è nutrito il Signore, compiere l'opera del Padre suo, consegnarsi per amore senza difendere nulla, nella certezza che al di là della croce vi è il cuore di Dio, l'intimità eterna con Lui. E' nostra eredità il suo Regno che giunge tra noi, il suo potere su ogni demonio, sul peccato, sul regno del male; è per noi la dignità regale,  una nuova forma di pensare, di guardare, di studiare, di fidanzarsi, di sposarsi, di vivere la sessualità, il rapporto con il denaro e i beni di questo mondo, con la salute e la malattia: il Regno di DIo viene ad estendere il suo dominio sul giorno che ci attende oggi, perchè la nostra vita sia un frammento di Cielo, perchè passa la scena di questo mondo. Così è nostra eredità di figli il compiersi della volontà di Dio in noi, che fa della terra il Cielo: la casa, la famiglia, la scuola, il lavoro, l'ospedale, ogni angolo di questo mondo nel quale siamo chiamati a vivere trasfigurato nel compimento dell'originaria volontà del Padre, note di amore che compongono la sinfonia celeste anticipo della contemplazione eterna; è nostra parte di eredità la liberazione dalla tirannia del maligno; è nostra sorte deliziosa il perdono; è nostra proprietà la forza capace di abbattere la tentazione. 


Come i leviti siamo nati per non possedere nulla in questo mondo, per vivere nella precarietà totale che spinge ad alzare lo sguardo e chiedere a nostro Padre la nostra eredità, la vita celeste, l'intimità con Lui, il suo Figlio: è Lui la nostra eredità, la parte che ci è riservata; è Cristo nascosto in ciascuna domanda del Padre Nostro, il Figlio nel quale si compie ogni pensiero del Padre. Quando preghiamo non sprechiamo parole solo quando imploriamo di vivere con Gesù, di essere in Lui, per Lui, con Lui. E' vera e autentica solo la preghiera che bussa al cuore di Dio, di un Padre con le viscere di madre. Abbà, papà era l’invocazione con la quale i piccoli bambini ebrei si rivolgevano al loro padre, come ricorda il Talmud: "quando un bambino gusta il sapore del grano (cioè, quando comincia a farfugliare le prime parole), impara a dire Abbà e imma, (mamma)". Papà, si compia in me il tuo volere, è la preghiera del Figlio nel Giardino dell'angoscia, l'obbedienza fatta amore confidente. Il Padre nostro ci conduce nella stessa obbedienza del Figlio, la consegna di tutto noi stessi alla Verità che ci fa liberi. "Castificantes animas nostras in oboedentia veritatis (1 Pt. 1,22). L'obbedienza alla verità dovrebbe "castificare" la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione" (Benedetto XVI, omelia nella messa con i membri della Commissione Teologica Internazionale, 6 aprile 2006). Il Padre Nostro è la preghiera che ci fa casti nel cuore, nella mente e nella carne, per vivere rettamente, quali figli di Dio che rimangono sempre nella casa di loro Padre, liberi nel suo amore.





Benedetto XVI: Il Padre Nostro. Da 'Gesù di Nazaret'

Emiliano Jimenez. Il Padre Nostro.




Beata Teresa di Calcutta (1910-1997), fondatrice delle Suore Missionarie della Carità
No Greater Love


La preghiera dei figli di Dio


Per essere feconda, la preghiera deve venire dal cuore e poter toccare il cuore di Dio. Vedi come Gesù ha insegnato a pregare ai suoi discepoli. Ogni volta che diciamo “Padre nostro”, Dio, ne sono sicura, rivolge lo sguardo sulle sue mani, proprio dove ci ha disegnati: “Ti ho designato sulle palme delle mie mani” (Is 49,16). Egli contempla le sue mani, e ci vede, qua, accucciati fra di esse. Che meraviglia, la tenerezza di Dio!


Preghiamo, diciamo il “Padre nostro”. Viviamolo e allora saremo dei santi. Qui c’è tutto: Dio, io, il prossimo. Se io perdono, allora posso essere santo, posso pregare. Tutto viene da un cuore umile; se avremo tale cuore, sapremo come amare Dio, amare noi stessi e amare il nostro prossimo (Mt 22,37s). Non c’è in questo nulla di complicato, eppure noi complichiamo tanto le nostre vite, gravandole di tanti sovrappesi; una sola cosa conta: essere umili e pregare. Quanto più pregherete, tanto meglio pregherete.


Un bambino non incontra nessuna difficoltà ad esprimere la sua intelligenza candida in termini semplici che dicono molto. Gesù non ha forse fatto capire a Nicodemo che occorre diventare come un bambino (Gv 3,3)? Se pregheremo secondo il Vangelo, permetteremo a Cristo di crescere in noi. Prega dunque con amore, come un bambino, con l’ardente desiderio di amare molto e di rendere amato colui che non lo è.




Charles Péguy. Chiedete a un padre....


"Chiedete a un padre se il miglior momento non è quando i suoi figli cominciano ad amarlo come uomini, lui stesso, come un uomo, liberamente, gratuitamente. Chiedetelo a un padre i cui figli stiano crescendo. Chiedete a un padre se non ci sia un'ora segreta, un momento segreto, e se non sia quando i suoi figli cominciano a diventare uomini, liberi, e lui stesso trattato come un uomo, libero! L'amano come uomo, libero, chiedetelo a un padre i cui figli stiano crescendo. Chiedete a quel padre se non ci sia una elezione fra tutte, e se non sia quando la sottomissione precisamente cessa, e quando i suoi figli, divenuti uomini, l'amano, lo trattano per così dire da conoscitori, da uomo a uomo, liberamente, gratuitamente, lo stimano così. Chiedete a quel padre se non sa che nulla vale uno sguardo d'uomo che incontra uno sguardo d'uomo. Ora io sono il loro padre, dice Dio, e conosco la condizione dell'uomo, sono io che l'ho fatta, non chiedo loro tropo, non chiedo che il loro cuore, quando ho il cuore trovo che va bene, non sono difficile. Tutte le sottomissioni da schiavo nel mondo non valgono un bello sguardo da uomo libero, o piuttosto tutte le sottomissioni da schiavo nel mondo mi ripugnano ed io darei tutto per uno bello sguardo da uomo libero, per una bella obbedienza e tenerezza e devozione da uomo libero, per uno sguardo di San Luigi IX e anche per uno sguardo di Joinville, perché Joinville è meno santo, ma non è meno libero, e non è meno cristiano e non èmeno gratuito, e mio figlio è morto anche per Joinville, A questa libertà, a questa gratuità ho sacrificato tutto, dice Dio, al gusto che ho di essere amato da uomini liberi, liberamente, gratuitamente, da dei veri uomini, virili, adulti, fermi, nobili, teneri ma di una tenerezza ferma. Per ottenere questa libertà, questa gratuità ho sacrificato tutto, per creare questa libertà, questa gratuità, per far agire questa libertà, questa gratuità, per insegnare all'uomo la libertà..."

lunedì 27 febbraio 2012

Lunedì della I settimana di Quaresima

Vangelo del Giorno


Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili”
dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio,
senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero,
al cui servizio sta la vita interna della Chiesa.

Benedetto XVI, 21 dicembre 2009




Mt 25, 31-46


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra.
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi.
Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?
Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me.
Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli.
Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato.
Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?
Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me.
E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» .


IL COMMENTO


Ogni uomo è chiamato ad ereditare una benedizione, il regno dei Cieli. Il senso più profondo di ciascuna esistenza è un destino di intimità con Dio oltre i confini del tempo. La parabola del vangelo di oggi, schiudendo il velo sulla fine del mondo, ci aiuta a comprendere la serietà della nostra vita. Il giudizio che oggi ci viene posto innanzi è una chiamata a conversione. Dio ha eletto la Chiesa ad essere una stirpe santa in mezzo alle nazioni, la comunità dei figli di Dio. Piccoli, indifesi, disprezzati, gli ultimi di questa terra. La Chiesa ha ereditato da Israele la missione di testimoniare al mondo l'esistenza misericordiosa di Dio, e il destino di un popolo diverso da tutte le nazioni, oggetto di persecuzioni feroci, calunnie infamanti, obiettivo di stermini programmati misteriosamente falliti. Fratelli di Gesù, nel nostro DNA è scolpita la sua immagine, quella del Servo di Yahvè, il Giusto che si offre per avere in premio le moltitudini.


Il testo evangelico di oggi descrive quale sarà il giudizio dei popoli al di fuori di Israele, secondo l'espresione greca panta ta ethné (tutte le Nazioni nella traduzione corrente) che, negli altri passi di Matteo ove compare, designa sempre i Gentili, i popoli pagani, in contrapposizione a Laos che indica il Popolo di Israele. Per essi è preparato dal Padre un Regno fin dalla fondazione del mondo, la benedizione di Dio, l'intimità significata dalla chiamata a stare alla destra di Gesù. La stessa eredità promessa ai cristiani. Per ogni uomo "la salvezza di Cristo è accessibile in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la Chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito Santo» (Costituzione Apostolica Dei Verbum, n. 82). La Grazia che li conduce all'incontro con Cristo attraverso i Suoi fratelli più piccoli - adelphoi -che il vangelo di oggi identifica con Gesù. La salvezza e il Regno dipenderanno così da un incontro, il misterioso "quando" i pagani, chi non conosce il Signore, hanno visto Cristo nei cristiani. "I Saggi, sia il loro ricordo di benedizione, ci hanno insegnato una grande regola: la misericordia (hesed) non inizia con il dono ma con la vista". (Siftè Chajm III, 154). Un piccolo atto d'amore e di misericordia fatto ai piccoli di Gesù sarà la chiave che schiuderà a chiunque non fa parte della Chiesa le porte del Cielo.


E' grande la responsabilità che ci accompagna. Molto ci è stato dato, molto ci sarà richiesto. Ci saranno chiesti tutti gli uomini che Dio ha pensato di salvare attraverso di noi. I loro nomi sono scritti nei registri di Dio, non ne potrà mancare neppure uno, fatta salva la libertà di ciascuno. Ma anch'essa non potrà essere esercitata se non vi sarà, per ciascuno, il quando, il momento favorevole nel quale vedere, incontrare Cristo. Il quando riguarda ognuno di noi. La Chiesa è per questo un sacramento di salvezza; inviata agli estremi confini della terra inizia l'evangelizzazione mostrando Cristo nei suoi figli, vivendo e condividendo con ciascun uomo le vicende della storia. In ogni giorno ci aspetta un quando decisivo per la salvezza nostra e di chi Dio ci pone accanto. Ogni istante della nostra vita è prezioso. Ogni evento che ci rende piccoli fratelli di Gesù, immagine del Servo di Yahvè, riveste un'importanza decisiva. La missione della Chiesa e di ciascuno di noi inizia dunque con l'accogliere la storia quotidiana che Dio ci dona. Essa costituisce il luogo dove, anche senza riconoscerlo, gli uomini possono vedere il Signore. La nostra vita è il "Cortile dei Gentili dove gli uomini possano in qualche modo agganciarsi a Dio" (Benedetto XVI); ogni evento è quell'estremo confine della terra dove il Signore risorto ci invia. In questa Quaresima possiamo imparare che la conversione è, soprattutto, credere ed entrare nella volontà di Dio. Non disprezzare nulla di ciò che ci rende affamati, assetati, forestieri, nudi, disprezzati, rifiutati, prigionieri. Piccoli, crocifissi. E' la nostra vocazione, presenza di Cristo nel mondo, viscere di misericordia che accolgano ogni uomo.




San Cesario di Arles (470-543), monaco e vescovo
Discorsi, 26,5 ; SC 243, 89s


« Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno »


Cristo, ossia la misericordia celeste, viene ogni giorno alla porta della tua casa: non soltanto spiritualmente alla porta della tua anima, ma pure materialmente proprio alla porta della tua casa. Ogni volta infatti che un povero si avvicina alla tua casa, senza dubbio viene Cristo. Egli infatti ha detto: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Non indurire dunque il tuo cuore; dona un po’ di soldi a Cristo, da cui desideri ricevere il Regno; dona un pezzo di pane a colui da cui speri di ricevere la vita; accoglilo nel tuo alloggio, affinché lui ti riceva nel suo paradiso; donagli l’elemosina affinché lui ti dia in cambio la vita eterna.


Quale audacia volere regnare in cielo con colui al quale rifiuti la tua elemosina in questo mondo! Se lo riceverai durante questo viaggio terreno, egli ti accoglierà nella felicità celeste; se lo disprezzeraiqui, nella tua patria, egli distoglierà lo sguardo da te nella sua gloria. Dice un salmo: “Nella tua città, Signore, fai svanire la loro immagine” (Sal 72,20 Volg.); se, nella nostra città, cioè in questa vita, disprezziamo coloro che sono stati fatti a immagine di Dio (Gen 1,26), dobbiamo temere di essere respinti nella sua città eterna. Fate dunque misericordia quaggiù,... grazie alla vostra generosità, sentirete questa beata parola a voi rivolta: “venite, benedetti, ricevete in eredità il Regno”.

venerdì 24 febbraio 2012

Venerdi dopo le Ceneri

Il digiuno dei cristiani  (dal BLOG Kairos)

Di seguito il Vangelo di oggi, 24 febbraio, venerdi dopo le Ceneri, con un commento
e due brevi testi (di Giovanni Paolo II e di don Giussani) per la meditazione.

Oggi, che si parla tanto di catecumenato,
non dobbiamo di nuovo riconoscere molto più seriamente
che il tempo del digiuno deve essere un catecumenato universale
in cui noi con la nostra vita ricuperiamo concretamente il nostro battesimo
o piuttosto facciamo in modo che la nostra vita ricuperi le esigenze del battesimo?

Joseph Ratzinger, in "Speranza di un granello di senape"
Mt 9,14-15 

In quel tempo, giunto Gesù all’altra riva del lago, nella regione dei Gadareni, gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?”.
E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno”.

Amore e libertà. I discepoli di Gesù non digiunano come gli altri. I discepoli di Gesù digiunano per amore, in libertà. Il digiuno cristiano non è solo una pratica pia, un segno religioso in vista d'una purificazione. Il digiuno dei discepoli di Gesù è MEMORIA. E' inginocchiarsi dinnanzi al Crocifisso e implorare il Suo ritorno. E' una condizione essenziale dell'esistenza, digiunare è vivere in pienezza la vita terrena. Che è GIA' e NON ANCORA. Lo Sposo è con noi, ma, contemporaneamente, non è qui. La pienezza è il Cielo. La terra è ancora un cammino, passi che si susseguono verso il Cielo, e la mancanza e il desiderio di pienezza si acuisce all'avvicinarsi della meta. Le nostre nozze con il Signore sono certo indissolubili, eppure vi sono giorni nei quali lo sposo ci è tolto. Allora la nostra vita si addentra nel mistero di una compiutezza pregustata ma non ancora completamente assaporata.
E' il mistero della Chiesa, sposa e vedova allo stesso tempo, che esplode di gioia intorno alla mensa eucaristica, ma che digiuna nell'attesa del compimento. La Chiesa che vive del memoriale del suo Signore, l'eucarestia, presenza viva del suo Sposo amatissimo. Per Lui getta ogni avere, gli spiccioli che ha per vivere, per Lui digiuna, perchè è Lui la sua vita. Infatti “La vera vedova, dice l’apostolo Paolo, mette la sua speranza nel Signore, e persevera notte e giorno nella preghiera e nell’orazione”” (cf. 1 Tm 5, 5). La Chiesa che nel mezzo del banchetto pasquale rinnovato ogni settimana erompe in un grido di nostalgia e speranza:maranathà, vieni, ritorna Signore Gesù. Il digiuno è il nostro maranathà, le lacrime appassionate della Maddalena presso la tomba del suo Signore; il digiuno è l'attesa fatta preghiera, perchè lo Sposo torni presto per portarci con Lui, verso il posto che ha preparato per noi. E' lì che ci attende. Infatti Gesù presentando il calice nell’ultima cena, ha detto: «In verità vi dico, non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio» (Mc 14,25). Dopo quella cena lo Sposo sarà tolto e i discepoli dovranno digiunare nell’attesa del suo ritorno; nell’attesa dell’eterno «banchetto delle nozze dell’Agnello » (Ap 19,9). Il nostro digiuno partecipa così di quello di Gesù. Un digiuno che è una promessa. Un appuntamento d'amore, l'attesa di bere con Lui il vino nuovo del regno di Dio.
Per questo il morire è meglio del vivere e San Paolo e tantissimi altri cristiani hanno desiderato ardentemente il Cielo. Cristo. "Muoio perchè non muoio" diceva Santa Teresa d'Avila, e non era disprezzo della vita. Anzi, più si vive intensamente la vita più si desidera di addormentarsi per risvegliarsi in Cielo. Più la vita è perduta per amore, più forte è l'ansia d'un amore perfetto e definitivo. “Uomini che hanno in sé un desiderio così possente che supera la loro natura, ed essi bramano e desiderano più di quanto all’uomo sia consono aspirare, questi uomini sono stati colpiti dallo Sposo stesso; Egli stesso ha inviato ai loro occhi un raggio ardente della sua bellezza. L’ampiezza della ferita rivela già quale sia lo strale e l’intensità del desiderio lascia intuire Chi sia colui che ha scoccato il dardo” (N. Kabasilas). Feriti dal dardo d'amore del loro Sposo i figli delle nozze vivono un'attesa di pienezza che nulla può colmare.
Il digiuno è dunque la condizione del cristiano. Le sofferenze, la precarietà, le malattie, i fallimenti, le proprie debolezze sono il digiuno d'ogni giorno. La Croce è il digiuno. Per questo in alcuni momenti, quando più intensa è l'esperienza della mancanza della pienezza, quando più acre è il fiele della Croce, in quei tempi quando più viva è la consapevolezza che la presenza assoluta dello Sposo è questione di vita o di morte, quando siamo incastrati sul legno della Croce è NATURALE il digiuno. Non mangiare, non fumare, non parlare, digiunare da qualcosa non è così solo una pratica ascetica per ingrassare l'uomo vecchio che fa anche della religione qualcosa di carnale. Digiunare è un'esigenza, un grido dalla Croce, l'eco stesso delle parole del Signore Crocifisso: "Dio mio, Dio mio, Sposo mio perchè mi hai abbandonato?". Il digiuno sono le lacrime che sperano il Suo amore. E' questa l'ascesi, l'ascesa al trono di misericordia che sappiamo non deludere mai. Digiunare in Quaresima è lasciare che la VERITA' prenda il posto delle menzogne, delle fughe e delle alienazioni. La fame che il digiuno suscita è la verità, la nostra realtà, nella quale il Corpo benedetto e risorto del Signore è l'unico vero cibo capace di saziarci. Digiunare è spogliarci in attesa d'essere una sola carne redenta con il nostro Sposo, nell'ansia del santo e castissimo amplesso, quell'amore eterno per il quale siamo stati creati.
Digiuniamo allora, senza occhi smorti ostentando chissà quale sacrificio. Digiuniamo così che sia distrutta l'ipocrisia e il mondo stesso, che giace nelle tenebre della menzogna e dell'illusione, tra diete e godimenti d'ogni genere, riceva un raggio di luce. Il digiuno è il cammino che svela la verità celata nelle apparenze. Potremmo dire che digiunare è come dipigere un'icona. Un'immagine del destino promesso tra le pieghe delle vicende umane. Le nostre, donate ad ogni uomo. Infatti " Pavel Evdokimov ha indicato in maniera così pregnante quale percorso interiore l’icona presupponga. L’icona non è semplicemente la riproduzione di quanto è percepibile con i sensi, ma piuttosto presuppone, come egli afferma, un “digiuno della vista”.La percezione interiore deve liberarsi dalla mera impressione dei sensi ed in preghiera ed ascesi acquisire una nuova, più profonda capacità di vedere, compiere il passaggio da ciò che è meramente esteriore verso la profondità della realtà, in modo che l’artista veda ciò che i sensi in quanto tali non vedono e ciò che tuttavia nel sensibile appare: lo splendore della gloria di Dio, la “gloria di Dio sul volto di Cristo” (2, Cor 4,6) (J. Ratzinger,Messaggio inviato al Meetig di Rimini, 2002). La nostra vita come un'icona che svela al mondo la Verità trasfigurata nella carne delle nostre storie quotidiane. Il digiuno è dunque parte essenziale della missione che ci è affidata, aprire il Cielo della speranza a questa generazione. Qui ed ora non sono il definitivo destino. Ogni uomo è nato per il Cielo. Il nostro digiuno ne è un segno. Per ogni uomo.


Commento al Vangelo di : 

Giovanni Paolo II 
Angelus del 10 marzo 1996

« Allora digiuneranno »

Tra le pratiche penitenziali suggerite dalla Chiesa soprattutto in questo tempo di Quaresima v’è il digiuno. Esso comporta una speciale sobrietà nell’assunzione del cibo, fatte salve le necessità dell’organismo. Si tratta di una forma tradizionale di penitenza, che non ha perso il suo significato, anzi forse è da riscoprire, specie in quella parte del mondo e in quegli ambienti in cui non solo il nutrimento abbonda, ma si va talora incontro a malattie da iper-alimentazione.

Ovviamente, il digiuno penitenziale è cosa ben diversa dalle diete terapeutiche. Ma a suo modo si può considerare una terapia dell’anima. Praticato infatti come segno di conversione, facilita l’impegno interiore a mettersi in ascolto di Dio. Digiunare è riaffermare a se stessi quanto Gesù replicò a Satana che lo tentava, al termine dei quaranta giorni di digiuno nel deserto: "Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio" (Mt 4,4). Oggi, specialmente nelle società del benessere, il senso di questa parola evangelica si coglie a fatica. Il consumismo, invece di placare i bisogni, ne crea sempre di nuovi generando spesso un attivismo smodato... Il digiuno penitenziale, tra gli altri significati, ha appunto quello di aiutarci in questo recupero dell’interiorità.

Lo sforzo di moderazione dal cibo si estende anche alle altre cose non necessarie, ed è di grande sostegno alla vita dello spirito. Sobrietà, raccoglimento e preghiera vanno di pari passo. Un’applicazione di tale principio si può fare opportunamente per quanto riguarda l’uso dei mezzi di comunicazione di massa. Essi hanno un’indiscutibile utilità, ma non debbono farla da "padroni" nella nostra vita. In quante famiglie il televisore sembra sostituire, più che agevolare, il dialogo tra le persone! Un certo "digiuno" anche in questo ambito può essere salutare, sia per destinare del tempo in più alla riflessione e alla preghiera, sia per coltivare i rapporti umani.

La tristezza

«La tristezza è una nota inevitabile e significativa della vita, perché nella vita, in ogni suo momento tu hai la percezione di qualcosa che ancora ti manca; la tristezza è un’assenza sofferta.
Che cosa rende buona la tristezza? Riconoscerla come strumento significativo del disegno di Dio. Il disegno di Dio implica questo: che la vita sia sempre, in qualsiasi caso … soggetta alla percezione di qualcosa che manca. Ed è provvidenziale questo … Che la vita sia triste è l’argomento più affascinante per farci capire che il nostro destino è qualcosa di più grande, è il mistero più grande. E quando questo mistero ci viene incontro diventando un uomo, allora questo fascino diventa cento volte più grande. Non ti toglie la tristezza, perché il modo con cui Dio diventa uomo è tale che l’hai senza averlo, l’hai già e non l’hai ancora. … Non lo vediamo – io non vedo Lui come vedo te – , so che Lui è qui perché ci sei tu, perché ci siamo noi …
La tristezza è la condizione che Dio ha collocato nel cuore dell’esistenza umana, perché l’uomo non si illuda mai tranquillamente che quello che ha gli può bastare.
La tristezza è parte integrante, non della natura del destino dell’uomo, ma dell’esistenza dell’uomo, cioè del cammino al destino, ed è presente ad ogni passo. Quanto più questo passo è bello per te, quanto più è incantevole per te, quanto più è tuo, tanto più capisci che ti manca quello che più aspetti».

Luigi Giussani, Si può vivere così?, p. 338