Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 31 marzo 2015

Il Poema della Croce di Alda Merin.



POEMA DELLA CROCE - Alda Merini


Ero con te, Padre,
al momento della creazione.
Non potevo non conoscere gli elementi e dominarli.
Cosa vuoi che sia
sollevare la pietra di un sepolcro
in confronto alla tua volontà di Creatore.
Tu mi hai insegnato come è composto il mondo
e mi hai reso figlio,
ma ero partecipe
della creazione.
I seguaci che mi hanno seguito
hanno creduto in Te e in me,
Tuo figlio.
Saranno felici di vedermi risorgere,
ma io piangerò
per quelli che sono ancora incatenati
nell'inferno
e le mie mani
faranno tacere i loro stridori.
Povere anime,
che migrano verso il nulla.
Lo spavento,
Dio,
di queste profondità cieche,
di questa gente che non ha avuto
lo splendore delle tue redini.
Perché tu non sai,
Padre,
cosa vuol dire
sedere alla Tua destra 
in veste di re.
Un re mite ma non codardo
che fa da intermediario
tra la tua collera divina
e la lussuria e la miscredenza dell'uomo.
Io,
che sono giusto,
amo l'uomo
e ti chiedo perdono
attraverso questa lenta agonia
che dura da secoli
per il mondo.
Ecco, Signore, io ti rendo il mio spirito
in forma di bianca colomba
che volerà verso il cielo.
E non altrimenti
Tu hai costruito la pace
se non con gli inguini di un uccello
che porta l'ulivo alle tue labbra.

Padre,
io risorgerò,
e siederò alla Tua destra.





Il poema della croce

• In questo libro straordinario, la poesia di Alda Merini evoca, con una forza visionaria di rara suggestione e intensità, il momento più tragico ed emblematico della vita di Cristo, per la prima volta rappresentato dalla poetessa milanese accanto alla Vergine, in un dittico di sublime potenza espressiva e di altissima tensione emotiva 
• Madre e figlio appaiono in tutta la loro fragilità umana, tra smarrimento e paura, e nello stesso tempo si stagliano sulla scena come figure luminosissime, immense, capaci di dialogare con gesti quasi impercettibili a occhio umano: come l’abbraccio impossibile tra Maria e il figlio inchiodato 
• Maria è la madre che non invecchia, conserva la freschezza della sua verginità, dialoga col Figlio in parole e silenzi, e riesce a indossare come morbida stola persino il cencio di dolore del Cristo crocifisso

• Nella presenza di Maria e in quella popolare della Veronica c’è tutta la femminilità materna e vitale, pura e feconda che riesce anche nella morte a generare


Il poema della croce

«Ti lascio Giovanni, Maria,
sarà il tuo figlio prediletto,
con lui potrai rivivere i giorni della mia infanzia,
potrai ricordare i miei giochi,
la mia innocenza.
Giovanni ha sentito il mio cuore,
il battito dello spezzare del pane.
Adesso io verrò spezzato in mille parti
e darò da mangiare a tutte le genti.
La mia carne flagellata
Diventerà un boccone per coloro
che hanno fame e sete di giustizia.
Io, vanto della cristianità,
mi sono lasciato uccidere davanti ai tuoi occhi,
ma tu non mi hai perduto,
il mio cuore per te si è santificato

Io ho vissuto in te, madre,
i migliori istanti della mia poesia.
Ti ho sempre pensata giovane:
anche quando ti affaticavi,
invecchiavi per amor mio.
In te non ci sarà vecchiezza.
Ti lascio Giovanni che è un ragazzo:
tu vedrai in Giovanni
quella foglia di palma e di speranza
che sono stato io
e ti darò il bacio supremo,
il vincolo d’amore che non si spezzerà più.
Sono un uomo contorto dagli spasmi,
ma per affrontare il demonio
devo provare la sua lussuria e la sua superbia
e essere umiliato fin nelle fondamenta.

Questa è la croce, Maria,
un vessillo di grande pace,
e si stenderà sopra tutti.
Ti lascio Giovanni,
il giovane che ha sfiorato la mia carne,
e che ha visto nell’ultima cena
la scelta del mio persecutore.
Perdono Giuda,
e perdono anche te
che sei stata rapita dall’amore.
Perdono tutti coloro che mi hanno amato
e che mi hanno fatto credere
che la carne fosse il traguardo ultimo del pensiero.

Ti lascio tutto quello che non ho avuto,
ma guardando i tuoi occhi, Maria,
che sono gonfi di pianto
e urlano senza essere sentiti,
io rivedo la mia giovinezza
e l’angoscia fugge lontana.
Mi rivedrai, Maria,
non ti lascerò mai sola,
anzi, ritornerò,
ti verrò a prendere,
come tutti gli innamorati
che hanno lasciato vedova
una bambina.»

di Alda Merini





Il Poema della Croce di Alda Merin


«Cantarla significa cantare il dolore dell’uomo, ma anche la sua possibilità di redenzione. La sofferenza viene trasformata in spettacolo, allora, sul calvario, come oggi».


Nessuno sa che cosa sia il dono come il poeta, perché è proprio un dono a rendere tale un poeta. E così Alda Merini, una delle voci più sincere e passionali della poesia italiana, accoglie l’ospite che le fa visita nella sua casa, sui Navigli milanesi, con un dono: un piccolo concerto con musiche composte ed eseguite da due amici, pianista e violinista, su un testo scritto da lei stessa e dedicato a una delle figure più amate, Maria: «In te che sei / la bianca aurora / notte angelica tu che batti alle porte / del regno del cuore tu che sei vissuta della fame e della sete di Dio / tu che non piangi / tu che non menti / e sei gravida di tutte le cose umane / ma comunque giusta e immacolata / bella perché la notizia di Dio ti ha così folgorata / Maria».
Note e versi – del tutto inediti – richiamano alla mente il percorso umano e intellettuale di questa donna di 74 anni, che si è così profondamente immersa nelle vicende della vita terrena da intuirne, in potenti folgorazioni poetiche, la sua più nascosta dimensione metafisica e persino mistica.

Benché già dagli esordi tutto il suo itinerario sia sospeso fra terra e cielo, fra sensualità e misticismo, vera cifra della sua produzione letteraria, l’ispirazione religiosa è diventata ancora più esplicita negli ultimi tempi e si è concretizzata in quattro volumi, esemplari fin dalla titolazione: L’anima innamorata del 2000,Corpo d’amore. Un incontro con Gesù del 2001, Magnificat. Un incontro con Maria del 2002 e La carne degli angeli del 2003, tutti pubblicati da Frassinelli e curati dall’amico Arnoldo Mosca Mondadori.
Ad essi si aggiunge ora una nuova raccolta, Poema della croce (Frassinelli, pp. 96, € 8,00), in uscita il 16 novembre, ancora una volta affidato ad Arnoldo Mosca Mondadori e con la prefazione di monsignor Gianfranco Ravasi.
Dopo l’incontro con Gesù e con Maria, Alda Merini racconta quello con la croce, il simbolo stesso del cristianesimo, «l’albero della profondità del male», ma anche falce che «falcerà tutti i reprobi della terra». Un simbolo in fondo familiare all’esistenza della poetessa, a cui è toccata la drammatica esperienza del manicomio (per ricostruire la sua biografia si legga il toccanteClinica dell’abbandono del 2004, edito da Einaudi), della solitudine e del dolore fisico, ma anche l’estasi dell’illuminazione poetica e la gioia della rinascita.
  • Al centro della sua nuova raccolta poetica c’è la croce. Che cosa rappresenta per lei?
«Cantare la croce significa cantare il dolore, ma al tempo stesso anche la liberazione. La croce richiama la morte, ma è pure la base della risurrezione. In fondo ognuno di noi se la porta dentro tutta la vita, anche come forma di vergogna e di derisione. Giovanni Paolo II, in questo senso, è una figura unica, perché non cerca mai di mascherare il suo dolore».
  • Nella prefazione Ravasi ricorda che lei inizialmente voleva dare un altro titolo al suo libro, vale a dire Carnevale della crocifissione. Perché?
«Per capirlo basta leggere il Vangelo di Luca: la presenza della vittima rendeva contenta la gente che assisteva al calvario. Ma non si pensi che noi contemporanei siamo migliori: le decapitazioni degli ostaggi in Irak e la loro macabra esibizione rientrano nella stessa logica. È triste dirlo, ma attorno al dolore si costruisce uno spettacolo, un carnevale. La croce è pure segno di derisione».
  • Anche in queste poesie torna una figura che le è sempre stata molto cara, quella di Maria...
«Maria è sorella, ancor più che madre. Nella tradizione popolare c’è l’abitudine di rivolgersi a lei nei momenti cruciali della vita. Si pensi, ad esempio, alla Madonna del parto. Maria, pur essendo vergine, comprende la maternità. È lei a rendere possibile quella contraddizione, quel miracolo per cui una donna benedice il figlio che le ha procurato dolore per venire alla luce. La donna dimentica il dolore e così è pronta a generare di nuovo. Ecco perché Maria è compagna nel dolore, madre di casa, della quotidianità».
  • La poesia è inscindibile dal dolore?
«Secondo me, l’accostamento fra poesia e dolore è un inganno. L’uomo comune vive nella sofferenza, mentre il poeta è felice, perché asseconda i suoi desideri più profondi e viscerali. Certamente, ci vuole studio, esperienza, volontà e soprattutto cuore per scrivere versi, ma se fosse vero che non c’è poesia senza dolore, sarebbe preferibile che fossimo tutti analfabeti».
  • Lei scrive da quando aveva 15 anni...
«La poesia nasce in me da una passione della carne, fortemente fisica. L’istinto però viene filtrato dalla ragione, dal momento che ogni parola viene soppesata e scelta fra molte. E così la poesia diventa una menzogna, una bellissima favola che si avvicina ai testi sacri».
  • Le sue ultime poesie hanno il sapore della preghiera...
«Rivolgermi a Dio mi viene spontaneo, come richiesta di grazia. Tutti gli artisti sono religiosi, in quanto percepiscono l’immenso bene di cui fanno parte e il mistero della natura. Ciò li rende umili, anche se il loro creare dal nulla li rende vicini a Dio e compartecipi del fenomeno della creazione». 


Paolo Perazzolo
    
"La Madre, quella che come me mangiò la terra del manicomio credendola pastura divina, quella che si legò ai piedi del figlio per essere trascinata con lui sulla croce e ne venne sciolta perché continuasse a vivere nel suo dolore"
Alda Merini

POEMA DELLA CROCE
Frassinelli, pp. 96, € 8,00

“L’Internazionale della Croce”...

Le Croci - don Tonino Bello
Miei cari fratelli,

mi era venuta in mente l’idea di intitolare questa lettera così: “L’Internazionale della Croce”. Ma poi l’ho scartata. 
Prima di tutto, perchè poteva apparire solo una bella frase ad effetto. E poi perchè temevo che evocasse spettri di chi sa quali contaminazioni. La frase, però, mi sarebbe servita tantissimo per far comprendere una verità fondamentale: che non c’è solo la Croce mia, la sofferenza tua, il dolore di Angela, la tragedia di Franco, l’agonia dei singoli. C’è anche una croce collettiva.
C’è anche una sofferenza comune. C’è anche un dolore di classi. C’è anche una tragedia di popoli. C’è anche un’agonia di gruppi umani ben definiti.
E per poco che uno, da un terrazzo del Calvario, si metta a contemplare il panorama sottostante, gli è dato sentire non solo l’affanno dei malati, il pianto dei delusi, il gemito degli sfortunati che arrancano sui tornanti del Golgota.
Ma gli toccherà giù, alle pendici del colle, Croci enormi che ondeggiano sospinte da folle sterminate di oppressi. Lì c’è la Croce dei paesi del Quarto Mondo condannati allo sterminio per fame. Accanto, avanza la croce sostenuta da una turba, incredibilmente privata dei diritti fondamentali dell’uomo, su cui grava la congiura del silenzio. Più in fondo si intravede il patibolo di intere popolazioni considerate marginali dalle grandi potenze, e destinate cinicamente al genocidio.
Ecco lì la croce dei “desaparecidos”. 
Ecco quella degli abitanti di Haiti. 
Ecco quella dei massacrati del Guatemala. 
Ecco la croce che schiaccia la schiena delle popolazioni afgane. 
Ecco quella trascinata dalle tribù violente dell’Iran. 
Più in là la croce dei dissidenti dell’Est, che copre, con la sua ombra, interminabili campi di concentramento, squallide prigioni e lontanissime terre di esilio. 
Poi sotto gli occhi, ecco la croce delle grandi masse di tutta la Terra discriminate dalle leggi razziali del mercato. 
Condannate dalle centrali del Capitalismo mondiale, a non risollevarsi mai, a rimanere sempre subalterne, a diventare sempre più schiave, sempre più umiliate, sempre più offese.
Miei cari fratelli, non fate lo sbaglio di dire che il vostro Vescovo sta facendo politica solo perchè cerca di distogliervi da un certo “uso intimistico” della Croce, o da una visione “formato personale” della via del Calvario. Non accusatelo d’inquinare l’atmosfera quaresimale con ingredienti poco ascetici sol perchè tenta di sottrarvi al consumo troppo domestico della Passione di Gesù. Se è vero che ogni cristiano deve accogliere la sua croce, ma deve anche staccare tutti coloro che vi sono appesi, noi oggi siamo chiamati ad un compito della portata storica senza precedenti:”Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi”.
Pertanto, non solo dobbiamo lasciare “il belvedere” delle nostre competizioni panoramiche e correre in aiuto del fratello che geme sotto la sua croce personale, ma dobbiamo anche individuare con coraggio ed intelligenza, le botteghe dove si fabbricano le croci collettive.
In oscure centrali della terra ci sono dei Cagliostri che con alchimie macabre di potere confezionano per noi croci sintetiche che addossano poi sulle masse sterminate di poveri.
Per noi, oggi, essere fedeli alla Croce di Gesù Cristo, nostro indistruttibile amore, significa disintegrare queste fucine di morte e distruggere tutte le agenzie periferiche di questi arsenali di giustizia planetaria.
E forse non c’è bisogno di andare troppo lontano per scovarle. Perchè piccole succursali di queste botteghe, veramente oscure, dove si confezionano croci collettive, esistono anche nelle nostre città.

Con grande Speranza. Vostro.


- Don Tonino Bello -



"Io sono convinto che un giorno il Signore giudicherà con questo criterio le autorità. Non dirà «ero senza chiesa e mi avete costruito la chiesa», ma «ero senza casa e mi avete costruito la casa». Costruiremo anche la chiesa, però quello che ci interessa di più è dare la casa anche ai poveri".

- don Tonino Bello -


La morte di croce respinge "l’incompreso" nella zona del silenzio...

...Essere uomini significa essere destinati alla morte. Essere uomini significa dover morire, conoscere la contraddizione per cui, dal punto di vista biologico, morire è un fatto naturale e necessario, ma, al tempo stesso, nella sfera biologica si è dischiuso un centro spirituale che aspira all’eternità e alla cui luce il morire non è un fatto naturale, bensì illogico, è un essere cacciati dalla sfera dell’amore, è una lacerazione di quel rapporto di comunione che vuole stabilità. In questo mondo, vivere significa morire. «Si è fatto uomo» significa, dunque, anche questo: ha imboccato la via della morte. La contraddittorietà propria della morte umana conosce in lui tutta la sua asprezza. In lui, infatti, che vive fino in fondo la comunione e il dialogo con il Padre, l’isolamento assoluto della morte appare del tutto inconcepibile. D’altra parte, proprio in lui la morte trova la sua più specifica necessità. Abbiamo visto, infatti, che proprio il suo essere con il Padre fonda anche l’incomprensione da parte degli uomini e così il suo isolamento nella vita pubblica. La morte di croce è l’atto ultimo e conseguente di questa non-comprensione, di questo rifiuto dell’incompreso, respinto nella zona del silenzio...

- Card. Joseph Ratzinger  -
da "Il Dio di Gesù Cristo" 




"Grazie terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te, ma che proprio per questo mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli".

- Don Tonino Bello - 



"Caro Gesù, asciuga le lacrime segrete di tanta gente che non ha il coraggio di piangere davanti agli altri".

- Don Tonino Bello - 



“A me, vostro vescovo e padre, viene la voglia di inginocchiarmi davanti a voi per ricevere la vostra benedizione. Non abbiate timore. Dátemela, nel nome del padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E così, rafforzato dal vostro segno di Croce, sarò più pronto e più forte nel proclamarvi le meraviglie compiute da Dio, lo Sposo che ci ha sedotti ma senza abbandonarci”.

- Don Tonino Bello - 


Non demordete: la coerenza paga, anche se con qualche ritardo. Paga anche l'onestà. E la speranza non delude.

 - don Tonino Bello -






Buona giornata a tutti. :-) leggoerifletto

Mercoledì Santo. La tua morte, o Gesù, è una storia di mani.Primo Mazzolari.


UNA STORIA DI MANI - Primo Mazzolari.

UNA STORIA DI MANI
La tua morte, o Gesù, è una storia di mani. Una storia di povere mani, che denudano, inchiodano, giocano a dadi, spaccano il cuore. Tu lo sai, tu lo vedi, o Signore. Prima di giudicare, però, pensiamoci.
Ci sono dentro anche le nostre mani. Mani che contano volentieri il denaro, mani che legano le mani agli umili, mani che applaudono le prepotenze dei violenti, mani che spogliano i poveri, mani che inchiodano perché nessuno contenda il nostro privilegio, mani che invano cercano di lavare le proprie viltà, mani che scrivono contro la verità, mani che trapassano i cuori. La tua morte è opera di queste mani, che continuano nei secoli l’agonia e la passione.
Se potessimo dimenticare queste mani, se ci fosse un’acqua per lavare queste mani. Per dimenticare le mie mani, ho bisogno di guardare altre mani, di sostituire le mie mani spietate con le mani misericordiose della Madonna, della Maddalena, di Giovanni, del Centurione che si batte il petto…
Primo Mazzolari, Preghiere, La Locusta 


Don Primo Mazzolari presso il suo studio in canonica
Biografia
www.fondazionemazzolari.it

Reclinare il capo sul petto di Gesù.


Martedì Santo




Reclinare il capo sul petto di Gesù




αποφθεγμα Apoftegma

A chi, afflitto da una prova particolarmente dura
o schiacciato dal peso dei peccati commessi,
ha smarrito ogni fiducia nella vita
ed è tentato di cedere alla disperazione,
si presenta il volto dolce di Cristo,
su di lui arrivano quei raggi che partono dal suo cuore
e illuminano, riscaldano, 
indicano il cammino e infondono speranza.

Giovanni Paolo II
Gesù sapeva tutto. Sapeva chi lo avrebbe tradito, e come lo avrebbe consegnato, e non fa nulla per cambiarne la rotta. Il mondo, e noi in esso, farebbe carte false per sapere in anticipo, non dico i numeri del lotto, ma anche solo le proprie vicende sentimentali, il futuro dei figli, l'epilogo di storie intricate. Le cartomanti invadono le televisioni, gli oroscopi appaiono sulle prime pagine dei giornali, sedute spiritiche e pellicole di fantasia legate alla magia riempiono le sale cinematografiche. Il desiderio di appropriarsi del futuro e di manipolarlo secondo i propri progetti di felicità ci accomuna tutti. Vorremmo sapere, per regolarci, per parlare, per aggiustare, per non sbagliare; per non morire. E ci inventiamo prevenzioni, diete che promettono salute e benessere fatte per essere smentite, assicurazioni sulla vita, contratti a tempo indeterminato, tutte cose alle quali ci aggrappiamo illudendoci di "aggiungere un'ora sola alla nostra vita". C'è addirittura chi si priva preventivamente di alcune parti del proprio corpo per non ammalarsi di cancro... Gesù invece sa e non fa nulla. Anzi. Lui conosce il destino che lo attende e, attraverso il crogiuolo del Getsemani, vi entra sereno, senza dire parola, come chi ha già vintoEra consapevole che la sua vita non aveva altro senso e direzione che Gerusalemme, il Golgota e il sepolcro dove "glorificare il Padre" passando dalla morte alla vita. Sapeva perché portava sigillato nel cuore il segreto del Padrel'amore che riempiva quella volontà, che appariva alla carne così cruenta. Gesù non aveva bisogno di maghi, di indovini e di oroscopi, neanche di illusionisti che vendono fumo spacciandolo per qualità della vita, o di politici che promettono denaro e lavoro; non aveva bisogno di personal trainer e di motivatori, filosofi e tuttologi dispensatori di consigli e segreti per cavarsela e riuscire nella vita. Gesù sapeva di essere Figlio di Dio, e questo era tutto: la volontà del Padre era la sua, ed era amore perché nessuno si perda. Come Abramo e Isacco, “i due si guardavano negli occhi” come in uno specchio, perché avevano lo stesso cuore, la stessa mente, e lo stesso Spirito. Esattamente ciò che manca a noi, che invece di fissare il Padre contempliamo narcisisticamente noi stessi. Per questo, tristi e insoddisfatti, siamo come obbligati a dare ogni giorno un senso alla marcia della vita, sforzandoci di cambiarne l'orientamento quando non è secondo le nostre carte di bordo. Ci illudiamo di stabilire la meta, tracciamo di conseguenza il percorso, dimenticando però chi siamo, da dove veniamo, dove stiamo andando. 

Per questo oggi, accanto a Gesù, appare, con “il capo reclinato sul suo petto”, la figura del “discepolo che Lui amava”. Tu, ed io. Siamo noi i discepoli che Gesù ama: la sua dolcezza, la sua tenerezza infinita, la sua mitezza di fronte alla storia che lo conduce alla morte, il suo amore, ci attirano a sé, nel profondo del suo cuore. La luce per la nostra vita, per comprenderne il senso e discernere il cammino, è la luce di Pasqua che emerge dal suo cuore squarciato, immagine del sepolcro aperto sulla vita e definitivamente serrato in faccia alla morte. Siamo chiamati a deporre la nostra mente sul cuore di Gesù, come un corpo nel sepolcro, come un catecumeno si immerge nella piscina battesimale: "Rapisca, ti prego, o Signore, l’ardente e dolce forza del tuo amore la mente mia da tutte le cose che sono sotto il cielo, perché io muoia  per amore dell’amor tuo, come tu ti sei degnato morire per amore dell’amor mio" (San Francesco). Gesù ci chiama oggi a lasciare che i pensieri, i progetti, i criteri, fossero anche i più santi e ragionevoli, siano assorbiti nel fuoco del suo cuore, per vederli trasformati in palpiti d'amore; nulla di smielato e sentimentale però, piuttosto l'amore autentico e fatto carne nella vita che "muore per amore" dell'amore di Cristo; l'amore che offre la mente alle spine della stessa sua corona, per non dimenticare il dolore dei peccati che sorgono sempre da un pensiero mondano, e tenere desta la memoria della sua misericordia. "Reclinare il capo sul petto di Gesù" significa entrare nello scrigno del suo intimo, dove è custodito il senso di ogni evento, anche il più banale. Perché, come scrisse il Beato Card. Newman, "il cuore parla al cuore", e solo chi lo ascolta può accoglierne i tesori. Sul petto di Gesù, tutto in noi è santo, così come è, non dobbiamo toccare nulla; niente da togliere, niente da aggiungere

Giuda invece "è finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze" (Benedetto XVI). Quando poi, comprendendo l'errore, Giuda tenterà un ritorno, l'orgoglio a cui si era consegnato gli impedirà di credere all'amore smisurato di Cristo. Non aveva mai reclinato il suo capo sul petto di Gesù, non aveva udito i battiti del suo cuore che si commuoveva per lui, non aveva quindi potuto comprendere la sua Parola e il suo amore. Giuda “mangia il boccone intinto” da Gesù, ma dubitando di Lui; e, dice San Paolo, "chi mangia dubitando si condanna". Gesù, pur conoscendo la malizia del suo cuore, non esita a “prendere” quel boccone sacramento del suo corpo, e a “darglielo”, perché sa che senza quel boccone non avrebbe compiuto la sua missione. E’ tremendo: da una parte emerge l’amore di Gesù che, in quel boccone, si offre da se stesso a Giuda e alla Croce prima ancora di essere consegnato; dall’altra si rivela l’abisso a cui può arrivare il cuore dell’uomo: invece di reclinare il capo sul petto di Gesù, tutti possiamo prendere e mangiare i segni del suo amore con un cuore doppio, dubitando che sia davvero amore, e aprendo così a satana la porta del nostro cuore. E’ dopo aver mangiato quel boccone, infatti, che “satana entra in Giuda”. Prima c’era solo la sua debolezza che poteva ancora abbandonarsi alla misericordia di Cristo. Prima c’erano i suoi dubbi, i suoi ragionamenti, i suoi criteri, che avrebbe potuto gettare nel cuore di Cristo. E invece si è chiuso in se stesso, e quel boccone di vita si è trasformato in cibo di morte. Attenzione eh, si tratta di un pericolo in agguato per tutti noi. Giuda, infatti, è l'immagine di quanti, chiusi gli occhi alla luce dell'amore, si infilano "nella notte" della giustizia umana che non conosce misericordia. Attenti allora, perché Giuda, ovvero lo spirito malvagio e incredulo del demonio, ci aspetta al varco, nella notte di questo mondo: è in ufficio, a scuola, forse in famiglia; in un tradimento, nel disprezzo, nella solitudine. O nelle malattie, nelle difficoltà, nei fallimenti e nella precarietà. Ci aspetta soprattutto con il suo ghigno beffardo, quando ci scopriamo peccatori, incapaci di amare, un blocco granitico di orgoglio e superbia; è allora che, prendendo spunto dalla nostra debolezza, ci induce a dubitare, anzi a disperare e a disprezzarci, e così a rinnegare Cristo e il suo amore, troppo grande per essere vero. Giuda si nasconde anche nella paura di fronte alla grandezza della chiamata, al matrimonio o al celibato, nel terrore dinanzi alla possibilità di un amore indissolubile che urta con la provvisorietà delle nostre affezioni. Ma proprio le nostre debolezze e le contraddizioni della storia sono il luogo dove sperimentare che in tutto e in ogni istante, scorre l'amore di Dio, come un fiume di Grazia. Ma per riconoscerlo, dobbiamo accogliere in noi lo sguardo di Gesù che vedeva la trama positiva, di Grazia e di Gloria anche negli occhi assassini di Giuda. Lo sguardo del suo cuore che, oltrepassando i deboli sentimenti d'affetto e di giustizia di Pietro, lo vedeva già piangente sui suoi peccati, perché lo aveva già perdonato. 

Fratelli, per trasfigurare il nostro sguardo in quello di Cristo, entriamo allora con Lui nel Cenacolo in questa vigilia della sua Passione; e impariamo ad entrarci ogni giorno, prima della nostra passione: prima di un’operazione delicata, di una decisione da prendere, di fronte alle difficoltà di relazione con il coniuge e i figli, dinanzi alla Croce che ci attende. Prima del Getsemani c’è il Cenacolo, dove reclinare il capo sul petto di Gesù, perché solo così impareremo ad entrare nella storia e a reclinare il nostro sulla Croce, l'unico posto dove Cristo stesso ha potuto reclinare il suo… Quando siamo crocifissi con Cristo, scocca l'ora nella quale "glorificare il Padre" e Cristo in noi. Ogni ora nella quale la carne bestemmierebbe, è quella favorevole per rendere gloria a Dio. Ma dobbiamo preparaci nel Cenacolo, immagine della comunità cristiana, dove ci accoglie la "profonda commozione" di Gesù per ogni nostro tradimento perché ci abbandoniamo alle sue viscere di misericordia. In essa, infatti, si ascolta la sua Parola e ci si nutre di Cristo nei sacramenti; si diluiscono le angosce nella preghiera, e si depone l’inconsapevole orgoglio di Pietro nell’abbraccio amorevole del Signore, dove accettare la propria debolezza. Satana, infatti, lo si affronta solo nascosti nella fenditura della roccia da dove far udire allo Sposo la voce del nostro cuore. Le tentazioni e le incredulità si vincono solo reclinati sul petto di Gesù, come il tralcio è unito alla vite, nella consapevolezza umile che da soli non possiamo nulla. Lì dentro infatti, nella fornace ardente del cuore di Cristo, sperimenteremo di essere i suoi discepoli amati, partecipi della sua stessa missione. Il fuoco del suo amore ci fonderà in Lui perché si infranga su di noi, ormai divenuti una cosa con Cristo, il male di questa generazione. Chi vive nella comunione della Chiesa si abbevera ogni istante della misericordia che sgorga dal petto di Gesù, “e non è forse la misericordia un "secondo nome" dell'amore, colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono? Suor Faustina Kowalska ha lasciato scritto nel suo Diario: "Provo un dolore tremendo, quando osservo le sofferenze del prossimo. Tutti i dolori del prossimo si ripercuotono nel mio cuore; porto nel mio cuore le loro angosce, in modo tale che mi annientano anche fisicamente. Desidererei che tutti i dolori ricadessero su di me, per portare sollievo al prossimo". Ecco a quale punto di condivisione conduce l'amore quando è misurato sull'amore di Dio!" (Giovanni Paolo II). Ecco, nel cuore a cuore con Cristo che travasa in noi il suo amore, possiamo vivere il “prima” di ogni evento della nostra vita discernendo in ciascuno il suo Mistero Pasquale che ci attende; e così “potremo” entrare in quel "più tardi" nel quale “andare con Gesù dove Lui è già andato”, il Regno dove riposare eternamente sul suo petto, del quale anche in questa Pasqua ci verranno donate le primizie squisite.




L'ANNUNCIO
In quel tempo, mentre Gesù era a mensa con i suoi discepoli, si commosse profondamente e dichiarò: “In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”. I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: “Di’, chi è colui a cui si riferisce?”. Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?”. Rispose allora Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò”. E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: “Quello che devi fare fallo al più presto”.
Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo; alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: “Compra quello che ci occorre per la festa”, oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.
Quand’egli fu uscito, Gesù disse: “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire”.
Simon Pietro gli dice: “Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”. Pietro disse: “Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!”. Rispose Gesù: “Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte”.

 (Dal Vangelo secondo Giovanni 13,21-33.36-3)


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