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lunedì 9 marzo 2015

Non c'è da vergognarsi a chiedere perdono...


Padre Pedro Barrajon, L.C., spiega il valore salvifico dei Sacramenti della confessione e della comunione nel periodo di Quaresima



Non c'è da vergognarsi a chiedere perdono...


Durante il periodo di Quaresima, la tradizione della Chiesa raccomanda in modo speciale ai fedeli di accostarsi al Sacramento della penitenza per poter ottenere il perdono dei peccati, la riconciliazione con Dio e con i fratelli e camminare così, con il cuore leggero, verso la grande festa della Pasqua. Abbiamo chiesto a padre Pedro Barrajón, direttore dell’Istituto Sacerdos dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di illustrarci il significato di questo Sacramento per i sacerdoti e per i fedeli, specie in questo tempo liturgico.
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Per lei, come sacerdote, quali sono i sentimenti spirituali con cui partecipa all’amministrazione di questo Sacramento?
Per un sacerdote il fatto di poter ascoltare le confessioni dei penitenti è una grazia molto particolare. È un vero dono di Dio che rinnova il nostro essere sacerdoti. Può diventare un ministero non facile in quanto richiede una grande capacità di ascolto, dedicando il meglio di noi agli altri ad ogni persona che vuole ricevere il perdono sacramentale di Cristo. Suscita in me una grande emozione spirituale poter essere ministro della misericordia del Signore e poter amare le sue pecore con un amore simile al suo.
Con grande gioia ricordo alcuni momenti di intensità spirituale come le GMG, oppure celebrazioni di adorazione con atti penitenziali dove si danno alle persone la possibilità di ricevere la grazia di questo sacramento. Ho sempre viva nella mente l’esperienza dell’incontro dei giovani a Roma all’occasione del Grande Giubileo dell’anno 2.000. Un sacerdote ebbe l’iniziativa di proporre in modo ufficiale confessioni per i giovani partecipanti. All’inizio ci furono alcune reazioni negative perché si parlava di una specie di disaffezione per la confessione e che pochi giovani sarebbero venuti alla confessione. L’organizzazione dell’evento appoggiò l’iniziativa e ricevetti l’invito di partecipare.
Arrivavamo molto presto di mattino al Circo Massimo dove c’erano confessionali per centinai di sacerdoti e partivamo la sera, stanchi ma felici di poter essere stati strumenti dell’amore e del perdono di Cristo per tanti giovani. C’erano anche vescovi che ascoltavano le confessioni e che si confessavano. E i giovani preparavano gli altri, includendo anche vescovi e sacerdoti, per fare bene la propria confessione.
Per cui, per rispondere alla sua domanda, personalmente ogni volta che sono ministro di questo sacramento mi sento molto piccolo, perché io mi riconosco peccatore e da me stesso sento che non posso perdonare, ma allo stesso tempo il cuore si riempie di una grande gioia riconoscendo nella fede il potere e la presenza di Cristo Risorto che viene a rinnovare l’anima, di Gesù Buon Pastore che conosce le sue pecore e le chiama per nome. Sento una specie di tremore dello spirito, unito ad una grande fiducia e amore a Cristo che ci perdona al di là delle proprie debolezze, peccati, imperfezioni, limiti. Ricordo bene che una volta mia madre, nei primi anni di sacerdozio mi chiese: “Ma non è troppo forte ascoltare tanta miseria umana come si può trovare nella confessione?”. Io risposi, quasi senza pensare: “Io sono meravigliato della misericordia di Dio che è capace di perdonare tanta miseria”.
A volte la gente prova paura o imbarazzo nell'andare al confessionale, per questo rimanda o desiste totalmente dal proposito di confessarsi. Quali consigli potrebbe dare a chi prova questi sentimenti?
La Confessione non è facile. È riconoscere la parte negativa di noi stessi di fronte a un uomo che è peccatore come noi. Sentiamo a volte vergogna, timore di essere giudicati, mancanza di fede nel perdono che ci viene dato attraverso un altro uomo peccatore. Poi si sa che il demonio anche fa di tutto per allontanarci del perdono di Cristo.
Credo che tutti in modo o in un altro vediamo sorgere in noi questa paura che ci vorrebbe allontanarci dalla confessione o differirla in modo indefinito.  Ma si deve vincere questa paura, guardando l’amore misericordioso di Cristo che ha voluto istituire proprio questo sacramento per noi peccatori. Egli non è venuto per i sani ma per i peccatori. Egli, risorto, è apparso agli apostoli dicendogli: “«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23). Ha sofferto, è morto e risorto per poterci offrire questo regalo del Padre.
A volte può succedere che si trovano confessori più rigidi o severi che possono creare sentimenti di un certo timore.  Ma non tutti saranno necessariamente dello stesso carattere. Ci saranno sacerdoti più accoglienti, altri più riservarti, più dialoganti, ma tutti dovremmo essere consapevoli che nel momento della confessione non soltanto rappresentiamo a Cristo Giudice, ma anche a Cristo Buon Pastore, pieno di misericordia e di bontà. Gesù ci ha invitato alla fiducia: “Venite a me tutti voi che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò”.
Gesù viene a guarire le nostre ferite, soprattutto quelle più profonde che sono le ferite spirituali, ma anche altre ferite che la vita ci lascia, cattive abitudini che ci tolgono vera libertà. Gesù è paziente perché pieno di amore e di carità. Il sacerdote dovrebbe anche riflettere il Padre della misericordia che abbraccia con amore e fa festa per il ritorno del figlio peccatore. Il sacerdote che rappresenta Gesù deve invitare il penitente al perdono, al pentimento; deve presentare con chiarezza la dottrina della Chiesa, ma dovrà farlo come Gesù, con dolcezza, amore, carità e pazienza.

Non sempre sappiamo cosa dire quando andiamo a confessarci. Come preparare bene la confessione? Che cosa confessare? 
La confessione inizia con un buon esame di coscienza. Nella presenza di Dio, si portano alla coscienza i peccati commessi dopo l’ultima confessione. Si devono confessare i peccati mortali, quelli più gravi, quelli che hanno ferito di più il Cuore di Gesù. Per fare un buon esame di coscienza ci sono tanti metodi. Uno sarebbe ricordare uno per uno i comandamenti divini e i comandamenti della Chiesa e poi confrontare la nostra vita con i diversi precetti. Si possono esaminare i peccati contro le virtù teologali o cardinali oppure i peccati riguardanti i setti vizi capitali. Spesso capiterà che, per grazia di Dio, non troveremo peccati gravi, ma peccati dovuti alla nostra condizione di debolezza, peccati veniali. Anche questi peccati si possono confessare e la tradizione della Chiesa consiglia di farlo perché ci aiuta a ricevere grazie per combatterli più efficacemente e per sradicare abitudini cattive. La grazia della confessione guarisce la persona in profondità perché l’amore di Cristo viene infuso in essa attraverso lo Spirito Santo.
È importante sempre esaminare i peccati che danneggiano la carità, che sono contrari al comandamento dell’amore fraterno e non tralasciare di esaminare le omissioni, quel bene che si poteva fare e che magari per pigrizia, per indifferenza, per paura, per vanità non si è fatto. Ci sono anche alcuni questionari che aiutano a ricordare quali sono i principali peccati. Ma oltre all’esame di coscienza, pur importante, più decisivo ancora è il dolore dei peccati, è il pentimento del cuore; riconoscere il male fatto e la volontà di non farlo più; il desiderio di riparare; il proposito di vivere una vita santa e unita a Cristo, al servizio della Chiesa e dei fratelli.
Ci sono ferite di tipo psicologico o affettivo. La grazia del sacramento della confessione guarisce anche queste?
Il sacramento della confessione guarisce in modo speciale le ferite inflitte all’anima per i diversi peccati. Questo comporta una componente di guarigione profonda delle ferite anche a livello psicologico o affettivo. Non possiamo ignorare che la persona è un’unità: Corpore et anima unus. Guarendo le ferite dell’anima, la confessione ci prepara a guarire meglio le altre ferite della natura umana, a livello affettivo, psicologico, emotivo. Oggi ci sono tante persone ferite per esperienze diverse, per abbandoni, per mancanza di vero affetto, famiglie disintegrate dove è mancata l’armonia nelle relazioni. La confessione opera un effetto risanatore della persona e attraverso la persona raggiunge la natura nella sua complessità. Questo non vuol dire che, se è necessario in alcuni casi, la confessione non vada affiancata da altre terapie. Ma le altre terapie potranno non produrre l’effetto desiderato se non c’è la pace profonda del cuore che dà il perdono di Cristo, il ricupero della dignità della filiazione divina, la vera riconciliazione con sé stessi e i fratelli.
C’è chi lamenta che è difficile trovare confessori disponibili o che gli orari sono così ridotti che si procrastina la confessione sine die con il risultato che molti fedeli possono passare molto tempo, a volte anni, senza ricevere questo sacramento...
La mancanza di sacerdoti oppure le numerose attività pastorali dei sacerdoti può creare questa situazione. In alcuni paesi potrebbe unirsi ad un abbandono della pratica del sacramento della penitenza per mancanza di fede o per altre cause relative alla secolarizzazione. Ma dovrebbe certamente essere una priorità sacerdotale dedicare del tempo, il miglior tempo, al sacramento della confessione. Questo –è vero- richiede dal sacerdote un grande spirito di sacrificio, una piena disponibilità, un saper disciplinare la propria vita includendo questa attività tra le sue priorità sacerdotali. Il tempo che si dedica alla confessione è un tempo di grazia per i fedeli ed è un tempo di grazia per il sacerdote stesso. La Chiesa conta con esempi meravigliosi di confessori, di veri martiri del confessionale.
Penso al curato d’Ars, a San Leopoldo Manlic, a San Pietro da Pietrelcina, al  padre gesuita Felice Maria Capello qui a Roma, e a tanti e tanti grandi e santi sacerdoti che hanno fatto del confessionale l’altare del suo sacerdozio. Noi sacerdoti dovremmo saper rendere visibile la nostra disponibilità; che la gente ci vedea pronti ad ascoltare le confessioni. Papa Francesco ha raccontato che la storia della sua personale vocazione proviene da una confessione, quando per caso entrò in una chiesa e vedendo un sacerdote disponibile per le confessioni, sentì il desiderio di accostarsi a ricevere il perdono di Cristo. E questo incontro d’amore con il Signore gli cambiò la vita. Ne uscì con l’intima convinzione che doveva dedicare la sua vita ad diventare anche lui ministro della misericordia.
I sacerdoti anche si confessano. È difficile per voi confessarvi?           
 Le difficoltà di cui ho parlato prima per i fedeli si possono applicare anche ai noi, sacerdoti. Noi siamo stati scelti da Cristo pèr un atto della sua misericordia infinita e non perché eravamo santi, ma per diventare santi con l’aiuto della sua grazia. Papa Francesco ha scelto questo fatto come motto del suo stemma: “Miserando atque eligendo” che è tratto da un testo di San Beda il Verabile che commenta l’elezione di San Matteo. Si potrebbe tradurre così: “Lo vide con sentimento d’amore e lo scelse”. La vocazione è un atto di misericordia. Per cui la nostra vita è dedicata alla misericordia: ricevere e dare misericordia.
Come tutti, noi abbiamo bisogno del perdono di Cristo. Devo dire che è molto bello ricevere il perdono di Gesù da un altro sacerdote. Il sacerdote può perdonare altri ma non sé stesso. È bello poter fare esperienza personale del perdono divino che viene attraverso, peccatore anche lui, chiamato anche lui a essere ministro di misericordia. Ma non è facile neanche per noi fare la confessione, riconoscere i peccati, confessarli, volere cambiare abitudini non evangeliche, convertirci veramente. Ma se uno si lascia perdonare, se riceve con frequenza la grazia sacramentale, il sacerdozio fiorisce con frutti inaspettati, l’anelito di santità e di servizio alla Chiesa cresce e diventa più puro; la nostra vita è più di Dio e meno di noi.
Che consiglio darebbe a chi sta pensando di confessarsi durante la Quaresima? 
Consiglierei appunto di fare una buona confessione, di cercare opportunità per ricevere il perdono di Cristo. Molte parrocchie organizzano liturgie penitenziali dove è più facile fare l’esame di coscienza, dove sono presenti diversi sacerdoti per la confessione sacramentale individuale, dove si può inoltre aprire la propria anima e la propria situazione personale spirituale di fronte a Dio, alla Chiesa, ai fratelli a chi ci può consigliare bene. Il sacerdote come ministro ha la “grazia di stato” per dare consigli pertinenti a chi lo sollecita nella confessione. La mia esperienza è che Dio ci illumina in modo speciale durante le confessioni. Vengono in mente idee e motivazioni nuove che toccano in modo inaspettato i cuori e le coscienze. Nella confessione, per il ministro e per il penitente, la grazia di Dio è all’opera in un modo ammirevole. Sono come grandi ondate di grazie che inondano i cuori e che provengono dal costato aperto di Cristo sulla croce. Io confesso che mi meraviglio vedendo l’azione della grazia divina, capace di rinnovare così profondamente e in modo inaspettato tante vite. Noi, sacerdoti, non siamo i protagonisti, ma semplici e umili ministri di Cristo, della sua misericordia, del suo perdono, del suo amore.
Antonio Gaspari


FONTE: Kairos

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