Giubileo, la risposta di Francesco agli uomini della durezza
ALBERTO MELLONI
A due anni dalla sua elezione, seminando i generosi tentativi fatti da tutti nel mondo di trovare un «progetto» del Pontificato, Francesco continua a mettere al centro del suo governo la sua confessione di fede: il Cristo povero come metro del cosmo, il Padre misericordioso come metro dell’uomo, lo Spirito che ispira il sensus fidei del popolo cristiano perché la «Chiesa una» si dia alla missione e non all’autocompiacimento. Questa volta ha fatto valere il suo modo d’essere davanti a un clima opaco, dove montano interessate insoddisfazioni, indicendo un anno santo straordinario.
Lo strumento scelto non ha buona fama. Il Giubileo ordinario della Chiesa di Roma fu inventato da Bonifacio VIII per dare risorse e centralità a un papato sfarzoso e ha completato il riscatto della sua reputazione solo quando nel 2000 vi iscrisse quel «mea culpa» , che da allora infastidisce come una tossicola i custodi del trionfalismo chiesastico. Il Giubileo straordinario è anche peggio. Il primo, nel 1390, doveva dar spazio e soldi ad uno dei Papi in contesa nello scisma d’Occidente. Il secondo, quello del 1423, lo celebrò Martino V, dopo che il concilio di Costanza aveva riunificato la Chiesa, e non aveva fini molto diversi. Gli altri due, nel XX secolo, servirono ad altro: quello del 1933 proclamato da Pio XI volle segnare il ritorno della Chiesa nello spazio pubblico dopo i Patti Lateranensi; e nel 1983 anche Giovanni Paolo II ripetè un Anno Santo della redenzione, per recuperare visibilità pubblica, a un lustro dalla fine del papato montiniano. Il Giubileo straordinario Francesco l’ha adottato per altri motivi, che riguardano il Sinodo, il Concilio e il popolo cristiano.
Nello scegliere i vescovi per il prossimo Sinodo, molte conferenze episcopali hanno votato gli «uomini della durezza». Con l’Anno Santo Francesco manda loro un avviso: non è la miseria del popolo cristiano a richiedere sconti, ma è la natura stessa di Dio a chiedere la misericordia. E il popolo pellegrino la farà vedere.
Nel cinquantesimo anniversario della fine del Vaticano II torna a farsi sentire una tendenza a minimizzare il Concilio o a farne un elogio. A chi lo giudica con queste categorie, Francesco offre col Giubileo una ermeneutica della Misericordia, che la Chiesa, secondo le parole inaugurali di Roncalli, usa come una medicina da preferire alle armi della severità.
Il Giubileo è infine un appello al popolo cristiano (un tema della teologia di Lucio Gera) come portatore della testimonianza di fede ai pastori e con i pastori. Questo fiume di pellegrini dirà con la sua devozione che il senso di questo papato non è nella illusione che il predecessore ne ipotechi le scelte, nelle prevedibili resistenze della macchina curiale, nella capacità di questa o quella voce di «annettersi» il pontefice a fini di carriera. Testimonierà, come diceva papa Giovanni, che «non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio».
Corriere della Sera, 15 marzo 2015
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