Umiliarsi è la conversione
Andare in Chiesa, frequentarla assiduamente, lustrarla e farci catechismo, pregarci tutti i giorni, può non voler dire nulla. Si può uscirne esattamente come si è entrati. E’ quello che accade a “chi presume di essere giusto e disprezza gli altri”. Come noi che, prigionieri di un Io sconfinato che si crede “diverso”, "nullifichiamo" il prossimo. Non a caso questa società edonistica e carnale idolatra il diverso a tutti i costi, al punto che la normalità diventa l’eccezione da nascondere. Come nel Vangelo, dove il diverso, ovvero il fariseo, è in prima fila e il normale, ovvero il peccatore, se ne resta giù in fondo. Chi si sente “diverso” si arroga sempre più diritti degli altri. Niente di nuovo, succede nelle famiglie, succede a te e a me che voliamo sulle nubi della vanagloria, succede nella società con le nuove lobby “di genere”, è successo quel giorno nel Tempio. Ne è l’immagine il fariseo, di fronte a Dio come davanti a uno specchio nel quale non vedeva che se stesso travestito da dio: "stando in piedi, pregava rivolto verso se stesso", secondo il senso del greco originale. Non prega, dialoga con se stesso… Il demonio gli aveva venduto un paradiso contraffatto al cui centro aveva messo lui, il suo ego gonfiato. E così, proprio il Tempio dove Dio aveva dato convegno al suo Popolo, era diventato la passerella dell'ipocrisia. Come le nostre Chiese, le comunità, i gruppi. A causa dell’inganno del demonio la nostra vita diviene un’autocelebrazione no-stop, un Grande Fratello dove esibire ipocrite vanità, colorando di virtù anche i peccati per non essere smascherati. Ma quando la realtà ci lancia una secchiata d'acqua gelida in faccia, scopriamo le dure conseguenze della superbia: tornati a casa senza aver gustato l'amore che giustifica, cerchiamo negli altri gesti e parole che giustifichino la nostra pretesa di essere dio. Irati e nervosi seppelliamo marito, moglie e figli con lo stesso diluvio di ipocrisie con cui stiamo davanti a Dio: Io "non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come" voi. Io, "digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo" mentre tu, tutta tua madre, guarda che disordine, mai una volta che riesca ad avere una camicia stirata come si deve; etu, come al solito, ti sei dimenticato che oggi c'era la recita della piccola; e voi, sempre con quei telefonini, a lavorare vi mando debosciati! Basta, da oggi si farà come dico io. Il pubblicano, invece, peccatore dei peggiori, impuro e per questo abituato a essere tenuto "a distanza", è entrato nel Tempio sperando l'impossibile di cui sapeva non avere diritto. “Non osava neanche alzare lo sguardo”, che invece posava sulla terra che definiva la verità su se stesso. Il testo greco suggerisce che egli non si sentiva semplicemente un peccatore, ma il peccatore. Per questo tende la mano a "percuotersi" il cuore, la fonte di ogni malvagità; stava davanti a Dio come Davide scoperto in flagrante, nella certezza che Dio "non disprezza un cuore contrito e umiliato". In lui rinveniamo le sembianze del Signore Gesù: Lui non è mai rivolto verso se stesso, ma perennemente rivolto verso il seno del Padre (cfr. Gv 1,18). Umiliato, sulla Croce ha gridato implorando a Lui perdono per tutti noi; è sceso all'ultimo posto, "a distanza" da tutti per abbracciare tutti i distanti, sino a sentire l'abbandono del Padre. Gesù si è fatto pubblicano tra i pubblicani, disprezzato dai superbi figli di Adamo perché i superbi potessero "umiliarsi" scendendo i gradini che conducono alla verità. Lo troveremo sempre là dietro, dove non te lo aspetti e non lo cercheresti: in chiesa, a casa, al lavoro, con gli amici, nella verità che vorremmo nascondere, in quel mucchio di spazzatura che sono i nostri peccati. E’ lì che si prega, perché non abbiamo altro posto che l’ultimo. Dietro tua moglie che hai giudicato, dietro tuo marito che non sai perdonare, dietro tuo figlio che non accetti, dietro ogni donna che hai guardato con concupiscenza, dietro ogni uomo che hai disprezzato. La Quaresima è il cammino che, dall'alto dove l'inganno del demonio ci ha "esaltati", ci fa "umiliare" sin dentro la verità, per entrare nudi nelle viscere di misericordia della Chiesa; qui la vittoria di Cristo cancella il peccato per "esaltarci" con Lui alla destra del Padre. Nella Chiesa, infatti, si viene per scendere e non per salire, per scoprirci tutti dei condannati a morte con la sola speranza di una "grazia" del Giudice, da raccogliere in poche, semplici e sincere parole: "Signore, abbi pietà di me che sono un peccatore". Silvano del Monte Athos lo aveva compreso bene: "Signore, insegnami che cosa devo fare perché la mia anima diventi umile". E , nel suo cuore, riceve questa risposta: "Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!". E subito comincia a mettere in pratica quella parola. Trova la pace, e lo Spirito gli testimonia la sua salvezza" (Vita di San Silvano del Monte Athos narrata dal suo discepolo, l'archimandrita Sofronio). Non ti affannare per giustificarti, stai soffrendo per il male compiuto, per questo la tua vita è un inferno di litigate, incomprensione, rancori. Accettalo e dillo al Signore: "sono un peccatore". Solo allora potrai chiedere sinceramente che "abbia pietà di te". Basta questo, basta camminare nella Chiesa per essere illuminati, perché si spalanchino le porte del carcere per "tornare a casa giustificati”. Chi ha questa esperienza non disprezzerà più nessuno; non potrà, perché la sua realtà ha fatto giustizia della sua superbia. Per questo, appena rientrato a "casa", comincia a cercare nel marito, nella moglie, nei figli il fratello al quale assomiglia; in tutti cerca il carcerato in attesa della Grazia. Sa, per esperienza, che il figlio non può evadere dalla situazione di peccato nella quale è precipitato; ma sa anche che è quella giusta per conoscere la "giustificazione"; non si attarda a discutere, non lo giudica, non esige, ma scende in quella "distanza" che era stata anche la sua; lo ama, e prende su di sé i suoi peccati perché riconosca di averne; gli annuncia che il Giudice è misericordioso e concede la Grazia a chi gliela chiede; e lo aiuta a implorarla umiliato nella sua stessa sofferenza, pregando con lui e per lui. Un peccatore giustificato ama l'altro sperando per lui la stessa giustificazione che lo ha salvato. Per questo non si allontana dall'inferno che diventa la storia degli altri macchiata dal peccato. Non vai più d'accordo con qualcuno? Le persone che ti sono accanto hanno problemi? Concentrati su te stesso, anche se sei sicuro d'aver ragione, inginocchiati, tritura il cuore davanti a Cristo, e chiedi pietà per te. Perché se ti converti tu e accogli il perdono saprai perdonare; è proprio attraverso questa tua preghiera che giungerà agli altri la giustificazione. Arriverà nel tuo sguardo trasfigurato di misericordia, umile e semplice che non difende nulla e offre l'amore di Cristo che lo ha giustificato come una roccia su cui lasciare che il male si infranga.
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L'ANNUNCIO |
In quel tempo, Gesù disse questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato».
(Dal Vangelo secondo Luca 18, 9-14)
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