Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

sabato 21 giugno 2014

"Corpus Domini " SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO (ANNO A)

Corpus Domini


Una domenica per riflettere su chi è Dio - Paolo Curtaz

 22 giugno 2014 - Corpo e sangue


Una domenica per riflettere su chi è Dio.

Una domenica per riflettere su cosa facciamo ogni domenica.
Abbiamo bisogno di molto Spirito Santo per capire, per non banalizzare, per lasciarci convertire. Molto.
Perché il cuore della presenza di Cristo, quella doppia mensa della Parola e dell’eucarestia, l’incontro gioioso col risorto che faceva dire ai primi martiri di Abitene: non possiamo non celebrare il giorno del Signore, l’inizio della settimana, il pane del cammino, la cena del Signore ripetuta con fedeltà in obbedienza dai primi secoli, oggi è diventata, quando va bene, stanca abitudine, reiterata cerimonia, perdendo il senso dell’incontro con Dio, la consapevolezza dell’immensa fortuna che abbiamo nell’avere in mezzo a noi la presenza stessa del Signore che si fa pane spezzato, che si dona.
Cosa ci è successo? Perché è così difficile partecipare ad una celebra zione in cui si respiri la fede? Perché i nostri preti, invece di parlare della Parola, ci inondano di inutili parole e di astratti concetti teologici, o giocano a fare gli intrattenitori simpaticoni? Perché le persone che abbiamo intorno, troppo spesso, sono solo degli anonimi spettatori con i quali non abbiamo nulla da spartire?
Oggi è giorno per tornare all’essenziale, per ridire la fede della Chiesa: noi crediamo nella presenza di Cristo in mezzo alla sua comunità, nel segno efficace dell’eucarestia, nella Parola che riecheggia nei nostri cuori.
Un altro cibo 

Un altro cibo è stato dato al popolo in fuga dall’Egitto. Un cibo che non aveva più nulla a che vedere con le cipolle degli egiziani. Un cibo inatteso e misterioso che il popolo riconosce come donato direttamente da Dio.

Abbiamo bisogno di nutrirci. Di cibo, ovvio, ma anche di affetto, di luce, di senso, di felicità.
E questo cibo manca: quante persone muoiono per inedia spirituale! Si spengono interiormente!
Manca il cibo che ci permette di camminare, di capire il grande mistero che resta l’esistenza di ognuno di noi!
È Dio che ci dona il pane del cammino verso la pienezza, verso l’eternità, verso la luce.
È Dio che si fa pane.
Un pane capace di renderci uniti.
Paolo a Corinto 

È una comunità vivace, quella di Corinto, ma anche molto rissosa.

Persone di carattere diverso, di condizione sociale diversa faticano, dopo avere incontrato il Signore, a trovare sufficienti ragioni per costruire comunione. Proprio come accade oggi, quando la Chiesa italiana, troppo spesso, da l’impressione di un’appartenenza esteriore, di una crescente rissosità (politica, anzitutto), di una contrapposizione fra esperienze diverse, fra entusiasti e prudenti, fra conservatori ed innovatori.
Fatevi un giro su Internet o partecipate a un pranzo fra preti per accorgervi, purtroppo, che anche fra cristiani si alzano i toni, si assegnano patentini di ortodossia, si difendono papi o Concili, riti o leader carismatici.
E Paolo ha una felice intuizione: se ci frammentiamo così tanto, prendiamo il frammento che ci unisce.
Il pane spezzato riporta all’unità, all’essenziale, al centro.
Siamo cristiani perché Cristo ci ha chiamato, ci ha scelto. La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi che pregano Dio, ma la comunità dei diversi radunati nell’unico.
L’eucarestia, allora, diventa il catalizzatore dell’unità.


Corpo e sangue 

Nell’impegnativo discorso fatto da Gesù dopo la moltiplicazione dei pani in Giovanni, Gesù parla esplicitamente della sua carne da mangiare e del suo sangue da bere. Discorso scandaloso, incomprensibile, che pure preannuncia il gesto che, da lì a qualche tempo, compirà come ultimo dono fatto alla comunità.

In Israele la carne è segno della debolezza e della fragilità umana: non dobbiamo scandalizzarci per la povertà delle nostre comunità, per la pochezza del vangelo così come viene vissuto dai cristiani. Il Verbo si fa carne, si consegna alle mani di un povero prete.
In Israele il sangue porta la vita, è impensabile cibarsi di animali soffocati nel proprio sangue. Gesù chiede ai discepoli di condividere la sua stessa vita.
Ecco cos’è l’eucarestia.
Non è un problema di lingua o di rito, ma di fede.
Certo: sarebbe cento volte meglio se le nostre assemblee fossero più accoglienti, cantassero canti più belli e intonati, e se le nostre chiese fossero davvero luoghi ospitali che invitano ad alzare lo sguardo.
Ma è inutile illudersi: quello che ancora manca alle nostre liturgie è la certezza che il Signore si rende presente.
Manca la fede.

Riposo e preghiera 
Qualche tempo di riposo e preghiera per me. Le conferenze riprendono in autunno Paolo Curtaz

Commento video al vangelo: www.youtube.com/user/paolocurtaz


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Solennità del Corpus Domini. Anno A




L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».  
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 6, 51-58)



Antimension. Corporale della Chiesa Ortodossa



Siamo all'epilogo del grande discorso di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao. Alle sue parole i Giudei cominciano a “litigare” tra di loro, secondo l’originale greco reso con “discutere”. Quell'Uomo che si definisce l'unico pane di vita, e indica nella sua stessa carne la vita eterna suscita uno scuotimento interno, e, soprattutto, obbliga a prendere posizione.
Le parole di Gesù urtano con la durezza dei cuori, con l'ostinazione delle menti, con le difese della carne. Ed è un urto violento, che spazza via l’ipocrisia e denuda, polverizzando le consuetudini borghesi, le alienazioni, le idolatrie, le false certezze dove l'uomo tenta, goffamente, di installarsi. 
Per questo i Giudei si mettono a litigare: è una forma di difesa, di cercare giustificazioni, come ha fatto il Popolo di Israele nel deserto, quando, dopo aver mormorato per la carne, comincia a litigare e ad accusare Mosè reclamando acqua per non morire di sete. Si accapigliano tra loro e se la prendono con il capo, ma in realtà stavano dirigendo i loro strali a Dio. 
Così nel Vangelo. I Giudei litigano tra di loro ma in fondo è la resistenza che oppongono alle parole di Gesù, e a Lui stesso. Sono scandalizzati dalla sua carne. Credono di conoscerlo, lo hanno visto crescere, sanno tutto della sua famiglia, Lui è una storia esattamente uguale alla loro, non può salvarli, quella carne è carne come la loro, non può dare la vita.
I loro occhi, i pensieri, i cuori si arrestano alla superficie delle cose, come Eva che fu ingannata proprio dagli occhi che si fissarono sull'apparenza del frutto, e non ebbero la capacità di trapassarne la buccia. E, come lei che disobbedì a Dio, essi rigettano Gesù.
Appare in filigrana il rifiuto patito dal Signore a Betlemme, dove per Lui non v'era posto in nessun albergo. Quella mangiatoia era una profezia che annunciava il destino e la missione di Gesù: su questa terra, infatti, il Signore non avrebbe avuto un posto dove reclinare il capo, se non sulla Croce e nel sepolcro.
Per questo, nella Solennità del Corpus Domini, la Chiesa presenta il rifiuto patito da Gesù: è la nostra realtà, dalla quale derivano le incomprensioni, le liti, i divorzi, le guerre, l’avidità, l’avarizia e l’egoismo che ci impediscono di donarci e far parte dei nostri beni i poveri e gli stranieri.
E così moriamo nell’orgoglio che lascia fuori Dio e i fratelli. Ma Gesù ci conosce. Sa che soffriamo non perché siamo senza lavoro, o il fidanzato ci ha lasciato, o una malattia ci sta consumando. Queste sono sofferenze che non avrebbero il potere di toglierci la pace. Soffriamo a causa dei nostri peccati, che hanno tutti origine dalla stessa superbia che ha fatto precipitare fuori dal Paradiso Adamo ed Eva e ha fatto dubitare i Giudei sul "come" fosse possibile che Gesù "desse la sua carne da mangiare".
Non avevano compreso che erano affamati perché non avevano più cibo per le loro anime, come il figlio prodigo perduto e morto. Non potevano credere al mistero del "come" in quanto non erano interessati al "perché" Gesù doveva "dare la sua carne". Erano così ingannati e induriti che non pensavano d'aver bisogno di quell'alimento. 
Invece tutti abbiamo bisogno della sua carne, e non c'era che un solo "come" attraverso il quale poteva darcela. Era, infatti, necessario, che il corpo di Gesù, identico a quello di tutti noi, fosse ferito e trascinato nella morte per riscattare il nostro e introdurlo nel Paradiso che avevamo perduto.
Ecco perché il corpo del Signore ha dovuto essere adagiato in una mangiatoia nel mezzo di una stalla sporca e maleodorante. 
Ecco perché la sua carne ha dovuto subire i tormenti della Passione, le trafitture dei chiodi ed essere appesa su una Croce, il supplizio peggiore che ci fosse. 
Ecco perché il suo corpo ha dovuto essere disteso in un sepolcro nuovo, dove nessuno era stato mai sepolto. Ecco perché ha dovuto essere chiuso nel buio senza speranza dietro a una pietra.
Per questo Gesù risponde ai Giudei affermando che chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue offerti per il perdono dei peccati, non può avere in sé la vita. Chi resta ancorato ai propri schemi, chi si chiude ostinatamente alla grazia non si accorge di quello che è celato sotto le apparenze, non vede e non riconosce nei segni ciò che vi è significato e non può accogliere il perdono.
Per illuminarli e chiamarli alla conversione dell'umiltà, Gesù afferma che i padri hanno mangiato la manna ma sono morti, hanno cioè continuato a mormorare e non sono entrati nella Terra Promessa. Non basta essere Giudei per essere salvi, come non basta essere battezzati per avere in noi la vita eterna. Essa ci è donata certo, ma è un seme che deve essere curato e alimentato per crescere e dare i frutti di un'esistenza santa nell'amore oltre la morte.
Un po' come la manna, che era anch'essa il seme del "pane vero" che Dio avrebbe dato dal Cielo; un segno profetico di quello che Dio avrebbe compiuto per ogni uomo: nella marcia attraverso il deserto delle tentazioni, avrebbe provveduto in modo definitivo, compiendo quanto profetizzava quella polvere bianca che il Popolo non conosceva. 
I Giudei conoscevano le Scritture, ne erano gli orgogliosi custodi, e avrebbero dovuto capire che di nuovo Dio aveva deposto dinanzi al loro sguardo un cibo che non conoscevano! Ed era proprio quel loro concittadino, carne della loro carne per salvare la loro carne, ma che gli era sconosciuto.
Quel giorno a Cafarnao accadde come nel deserto di Sin durante la marcia dell'esodo: "evaporato lo strato di rugiada, apparì sulla superficie del deserto qualcosa di minuto, di granuloso, fine come brina gelata in terra. A tal vista i figli d'Israele si chiesero l'un l'altro: «Che cos'è questo?» perché non sapevano che cosa fosse. E Mosè disse loro: Questo è il pane che il Signore vi ha dato per cibo" (Es. 16,14-15). I Giudei avrebbero dovuto abbandonarsi allo stesso stupore dei loro padri; di fronte a Gesù che, con le sue parole identiche a quelle di Mosè, aveva fatto "evaporare lo strato di rugiada" che nascondeva il mistero celato nella sua umanità, chiedersi umilmente "chi è davvero costui?", accettando di non conoscerlo.
Ma avevano il cuore indurito, cercavano la gloria gli uni dagli altri, non potevano "vedere la gloria di Dio" che Gesù, nuovo Mosè, aveva loro annunciato; non erano capaci di accogliere "la risposta" d'amore ai loro peccati che Dio gli offriva attraverso la carne di Gesù, la manna autentica e incorruttibile. Avrebbero dovuto solo obbedire e prendere le due razioni come fecero i loro padri il venerdì, immagini delle due nature di Cristo, quella umana come la loro, e quella divina, come il Padre. 
Gesù, infatti, era il compimento del segno dato da Dio nel deserto. Lui era il cibo che li avrebbe saziati introducendoli nel giorno del riposo, l'ottavo giorno della risurrezione che ha rivelato l'incorruttibilità di quel pane fatto carne nella carne vittoriosa di Cristo. Offrendola come cibo li avrebbe riscattati e uniti indissolubilmente alla sua natura divina, facendo di loro dei figli di Dio!
Sì, Dio avrebbe liberato i suoi figli dalla prigione del peccato, avrebbe aperto i loro occhi sulla verità, il suo amore infinito celato in ogni istante della storia, come Lui si sarebbe nascosto nella carne del Figlio "inviato" per mostrare come si "vive per mezzo del Padre".
Anche Gesù, infatti, ha vissuto nella debolezza della carne grazie alla vita divina; e per questo ha potuto vivere ogni istante per il Padre, facendo sempre tutto quello che piace a Lui. Il suo corpo l'ha custodita sin sulla Croce, sin dentro alla tomba, per lasciarla esplodere vittoriosa sulla morte. Per questo nel Corpus Domini, nella carne di Cristo, s'è compiuta la vera e definitiva liberazione. 
Con Lui ogni uomo può entrare nella Terra Promessa, dove, dal giorno dell'ingresso in essa del Popolo di Israele, era cessata la manna. A Canaan, infatti, potevano saziarsi dei suoi frutti; così, chiunque si ciba del Corpus Domini non ha più fame né sete, perché Lui è il vero alimento, quello che non si esaurisce nella morte, che sazia anche quando non vi sono consolazioni umane, il pane del Cielo, primizia del banchetto preparato nel Regno eterno del Padre da gustare sulla terra.
Al Corpus Domini ogni figlio di Adamo può attingere per "vivere per mezzo di Gesù" e non vedersi più morire. Con Lui possiamo compiere l'esodo definitivo: dall'Egitto che tutti sperimentiamo, dove siamo obbligati a fabbricare mattoni per issare piramidi al nostro ego, senza accorgerci che sono invece i sepolcri dove seppelliamo la felicità, nutrendoci della sua carne e del suo sangue, siamo condotti alla terra della libertà, dove scorrono il latte e il miele dell'amore e della comunione, con Dio e i fratelli. 
Per questo, la carne di Gesù è il pane della fretta, dell’urgenza di salvare il tuo matrimonio, di liberare tuoi figli dai tentacoli del mondo, di strappare ogni uomo dalle mani del demonio. La carne di Gesù, infatti, è quella del vero Agnello che ha tolto i peccati del mondo, quello che nella Pasqua si offriva al Tempio. 
Anche il suo sangue compie ciò che profetizzava quello dell'agnello che ha protetto i figli di Israele dall'angelo della morte nella notte della Pasqua: il suo è ora sparso sugli stipiti delle porte delle nostre case, delle nostre menti, dei nostri cuori, per difenderci dagli attacchi del demonio. Il sangue di Gesù è il frutto delizioso del Regno eterno, la sua primizia che gustano i figli della Chiesa, il segno della gioia che sperimentano coloro che sono risorti con Cristo. 
Per questo la carne e il sangue di Gesù sono alimento e bevanda veri, degni di fede; attendono solo il nostro Amen. Non hanno bisogno di spot pubblicitari, perché la tua vita salvata e gioiosa pur nelle difficoltà ne è l’immagine più credibile. La vita dei cristiani che, nutrendosi del corpo e sangue di Cristo, sono trasformati in Lui.
Celebrare e contemplare oggi il Corpus Domini è, concretamente, sfamarsi e dissetarsi di Cristo, per sperimentare di non avere più fame di affetto e stima, di soldi e idoli, né sete di lodi e attenzioni. Nel Corpo del Signore siamo attratti e saziati per dimorare in Lui, e, con Lui, dimorare in Dio. 
L’eucarestia ci spinge ad aprirci al Mistero celato in Gesù, per accoglierlo umilmente e imparare così a dimorare, istante dopo istante, nel cuore di Dio. Come Giovanni , il discepolo amato, “colui che giacque sopra ‘l petto del nostro Pellicano, e Questi fue di su la croce al grande officio eletto” (Dante, Paradiso, XXV, 112-114).
Abbandonati sul petto di Gesù squarciato per amore, possiamo nasconderci nelle sue ferite quando imperversa la battaglia con la concupiscenza e le tentazioni, e discernere, da quelle profondità d’amore, in ogni uomo, anche nel nemico, anche nel più grande peccatore, i lineamenti inconfondibili del Signore. Dal Mistero di Gesù al mistero celato in ogni uomo, anche questo ci annuncia la Solennità che celebriamo. 
Allora, dimorando in Lui, non potremo resistere al fuoco dello zelo che ha infiammato il cuore di Gesù. Anche il nostro corpo, come il suo, arderà di gelosia per ogni pecora perduta, il coniuge, il figlio, l’amico, il collega, il vicino di casa. E per loro saliremo ogni giorno sulla Croce con Cristo per entrare, insieme a chi ci è accanto, nella vita eterna.
Se il suo Corpo che oggi celebriamo solennemente siamo noi, se lo lo è la sua Chiesa, allora significa che anche la nostra povera e debole carne, il nostro sangue immagine della nostra vita troppe volte perduta in passioni effimere, sono presi dalle mani di Gesù e trasformati, per mezzo dello Spirito Santo, nella sua carne e nel suo corpo. Infatti, "per la carità, che custodisce chi beve al calice del Signore, ci viene dato di essere veramente quello che misticamente celebriamo in modo sacramentale nel sacrificio" (San Fulgenzio di Ruspe). Presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, presenza reale in ciascuno di noi.
Significa che ogni giorno siamo anche noi adagiati sull’antimension, il corporale usato dalla Chiesa ortodossa sul quale è ricamata la deposizione di Gesù, fatto di puro lino perché, come dicevano i Padri, il lino viene dalla terra come la tomba del Signore. Anche oggi saremo deposti nelle mani dei fratelli, anch’essi fatti di terra e precipitati nel sepolcro, perché nelle nostre attitudini, nelle parole e nei gesti, possano riconoscere il corpo del Signore deposto nella loro vita. 
Anche per noi è preparato un tabernacolo dove dimorare con il Signore e vivere per Lui nella storia di ogni giorno. In essa vi è un’altare sul quale è pronto un ostensorio dove essere crocifissi con Cristo, perché, come accadde a Santo Stefano, chi ci guarda possa vedere in noi gli angeli che, offrendo il proprio corpo divenuto una sola carne con Cristo, annunciano l’amore di Dio. 
Contempliamo e adoriamo il Corpus Domini allora, e vi troveremo la nostra vita: quella passata redenta, quella presente e quella futura come un dono d’amore per ogni uomo. 




APPROFONDIMENTI




CATECHISMO

CATECHISMO. IL SACRAMENTO DELL'EUCARISTIA



CONCORDANZE

Concordanze di Gv. 6




COMMENTI E OMELIE


MIRACOLI EUCARISTICI

IL MIRACOLO EUCARISTICO DI LANCIANO: FEDE, SCIENZA E PIETA’ POPOLARE.

Il Miracolo Eucaristico di Bolsena
Il Miracolo Eucaristico di Offida



 αποφθεγμα Apoftegma


"Come l'amorevole pellicano, o Gesù Signore,
purifica me, immondo, col tuo sangue,
di cui una goccia può purificare
tutti i peccati"

San Tommaso d'Aquino


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