Santa Maria,

Santa Maria,
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lunedì 30 giugno 2014

Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.

Lunedì della XIII settimana del Tempo Ordinario






L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù, vedendo una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all’altra riva. Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: “Maestro, io ti seguirò dovunque andrai”. Gli rispose Gesù: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.
E un altro dei discepoli gli disse: “Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre”. Ma Gesù gli rispose: “Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”.
 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 8, 18-22)



COMMENTO COMPLETO


Il sogno di Giacobbe



Quando la mattina apriamo gli occhi, si dipana dinanzi ai nostri occhi un futuro incerto. Passarvi dentro senza lasciarci la vita e giungere indenni alla fine della giornata, è il desiderio che, prepotente, ci brucia dentro. Non restare invischiati tra le maglie dei problemi, delle preoccupazioni, delle angosce. Il Vangelo di oggi risponde al desiderio insaziabile di libertà e di felicità che ci accompagna ogni giorno. Gesù "ordina" perentoriamente di "passare all’altra riva", per entrare nella Pasqua (passaggio), il seno da cui è stato tratto Israele. Gesù ci "spinge" oggi a lasciarci attirare nel suo passaggio dalla schiavitù alla libertà. Quello che abbiamo dentro, dunque, è molto più di un desiderio, è un "ordine" del Signore, l'eco della "chiamata" che ci ha tratto all'esistenza, l'annuncio nel quale viviamo, esistiamo, siamo. Il "senso" profondo della nostra vita, ovvero la "direzione" che dà consistenza e pienezza a ogni istante, è quello che ci fa "passare all’altra riva", ogni giorno. Una vita incastrata nella concupiscenza e incapace di "passare" attraverso il fuoco delle passioni, un’esistenza atrofizzata e installata nelle sicurezze schierate come reggimenti a difesa di una pace che neanche possediamo, una vita seduta con le noccioline in mano e il telecomando puntato sullo schermo sperando di poter cambiare insieme ai canali anche i programmi "in diretta" dalle nostre giornate, una vita che non segue il cammino pasquale del Signore, è già preda dei vermi: la corruzione delle menzogne, invidie, gelosie, rancori, egoismi, ha preso il sopravvento, tutto marcisce tra le mani, e ormai nulla soddisfa e nulla rallegra. Passare all’altra riva è l’unico modo di "seguire" il Signore. Lui non ci offre un cuscino dove riposare, alienazioni come ce ne propone il mondo. Con Lui non si scappa dalla realtà per nascondersi nelle "tane" delle "volpi", supponendo stoltamente che la nostra astuzia ci possa preservare dal fallimento e dalle delusioni; si cammina nella storia, i piedi ben piantati in terra, non si vola come "gli uccelli" verso "nidi" di fantasie sognate nel mondo virtuale di internet, degli astrologi, degli acquisti a rate e con carta di credito. Cristo ha pagato cash, per tutti: infatti, "non ha dove reclinare il capo", e lo farà solo sulla Croce, offrendo gratuitamente la propria vita. Su di essa ha disteso le braccia per accogliere e salvare ogni uomo, rivelandoci che, se crocifisso, ogni istante della vita è operoso e fecondo. Il Signore chiama per condurci al vero riposo, quello del seme che, caduto in terra, muore per non restare solo e dare molto frutto. Il riposo che inizia qui sulla terra nell'amore che dimentica se stesso, prende la Croce d’ogni giorno e "segue" il Signore ovunque, perché in ogni luogo c'è qualcuno che aspetta la sua salvezza. Per questo, sulla terra non troveremo mai il riposo autentico, quello carnale e mondano che scorre negli spot pubblicitari: le Maldive e nessuna spiaggia ci daranno mai il riposo che desideriamo, perché il demonio con le sue trame perverse non va mai in vacanza. Pensiamo che una buona vacanza possa essere come un pit-stop dell'anima? Un punto e a capo nella vita che ci affanna e fagocita? Illusi siamo, il demonio ci segue sempre, non sciopera mai, non si prende neanche un momento di riposo. Ma è anche vero che neanche il Signore va mai in vacanza; e se il cuore non smette mai di battere significa che abbiamo la possibilità di amare sempre, ed è il cammino al vero riposo, sia che resti in città durante l'estate, sia che vada in montagna o al mare, sia che la malattia ti obblighi a letto. Ovunque e sempre, come per Gesù, anche per noi la Croce non è il riposo ma la via, non è la meta ma il passaggio ad essa. Il riposo di chi "segue" il Signore è l'amore che dimentica se stesso, prendendo la Croce d’ogni giorno che introduce nel Cielo del suo compimento, per gustare su questa terra il perdono e la presenza di Gesù, anticipi e caparre della Vita eterna che ci attende. Quando Gesù passa e chiama, il tempo si ferma, ed è impossibile cercare di comprendere quello che accade se non ci lasciamo raggiungere e avvolgere dal suo amore; chi non ha l'esperienza del suo perdono, della Pasqua che fa risorgere dalla morte ogni relazione, ogni situazione che sembrava spacciata, non potrà "seguire il Maestro ovunque vada"; non ha i parametri per ascoltare e obbedire, la carne ha altri criteri e cerca sempre e solo il proprio interesse e la propria soddisfazione. Negli "ovunque" di Gesù, spazi e momenti di puro amore, vi saranno luoghi e persone che la carne rifiuterà, e le buone intenzioni di fedeltà e amore si scioglieranno come neve al sole. Può "seguire" Gesù solo chi, come i catecumeni della Chiesa primitiva, è disceso nelle acque del battesimo dopo una seria iniziazione cristiana che faccia verità sulla propria vita; chi ha camminato nel deserto e ha conosciuto il proprio cuore, e sa per certo che, sulle proprie forze non potrà seguire il Maestro. Chi ha compreso quello che diceva il padre del deserto Abbà Antonio ad un altro padre, Abbà Poemen, "questo è il grande lavoro dell'uomo sulla terra: gettare sopra di sé il proprio peccato davanti a Dio e attendersi la tentazione fino all'ultimo respiro". Chi ha fatto l'esperienza cruda e autentica di essere un apostata, come Pietro: dopo aver toccato con mano la propria debolezza e la friabilità delle proprie promesse e proprio lì aver incontrato lo sguardo misericordioso del Signore e l'abbraccio liberante della sua Croce, può "seguire" Colui che lo ha amato senza condizioni. Solo chi è libero dalla superbia che lo fa presumere d se stesso, può "tendere le mani" offrendosi negli eventi più incomprensibili per "andare dove non vuole"; solo chi vive del suo amore può "seguire" Gesù "ovunque", "lasciando che i morti seppelliscano i propri morti", che significa consegnare fiducioso a Lui le situazioni irrisolte della propria storia: i fidanzamenti interrotti tra passioni, gelosie e capricci infantili, le amicizie finite senza un perché, l'incomunicabilità con il collega; a volte anche la relazione impossibile con il coniuge e i figli. Sì, non ti scandalizzare, a volte neanche i rapporti più santi, come quelli familiari o di una comunità religiosa, possono offrire un "luogo dove reclinare il capo". E non c'è nulla da fare, anzi; più si tenta di "seppellire i morti", ovvero più si cerca di riordinare e spazzare via i motivi delle contese, e più queste si moltiplicano. In questi casi, e sono la quasi totalità, occorre solo rientrare in se stessi, ricordare di non essere migliori di nessuno, accettare che la carne esiste ed è forte, quando soggiogata dal demonio; e "seguire il Signore", per "reclinare il capo", ovvero i pensieri e le angustie, gli tsunami della carne, i desideri e le speranze, sul legno della Croce. E, crocifissi con Lui per amore dell'altro, sino a lasciargli intatta tutta la sua libertà, "passare" al Cielo, perché solo da lassù si vedono con chiarezza le cose di quaggiù. Amare, senza se e senza ma, perché solo nell'amore vi è il riposo, che abbraccia l'altro così com'è, senza esigenza, anche se non cambierà mai. Solo in questo amore si può trovare pace, proprio lì, nella realtà. E non si tratta di superficialità, di rassegnazione e di cinismo; è amore, amore purissimo che si dona senza riserve e senza sperare nulla per sé, sia pure umanamente legittimo; che si offre in silenzio, muto come Gesù nella Passione, per non sporcare la purezza dell'amore di Dio, solo perché l'altro possa percepirne, nella libertà di rifiutarlo, almeno un frammento. "Seguire" il Signore è tenere fisso lo sguardo nel suo sguardo, senza fughe all’indietro a cercare di seppellire il passato, le cose lasciate in sospeso, che sembra sempre di non aver risolto, sistemato, spiegato, compreso. Seguirlo è lasciare che il passato seppellisca il passato, per non diventare come la moglie di Lot, una statua di sale immobile in uno sguardo di rimpianto. Seguirlo è prendere gli attrezzi che sino ad ora ci hanno dato sicurezza e, come Eliseo, farne un falò per accogliere il "mantello" di Elia, lo Spirito Santo che ci conduce a compiere miracoli di vita eterna nella vita della carne. La nostra vita è chiamata a superare anche gli obblighi religiosi, la Legge di Mosè che prescriveva la giusta attenzione per i defunti; ed è ovvio che Gesù non sta dicendo di non curare i propri cari e accompagnarli sino alla morte, anzi. Ma di amare ogni persona, anche le più care, di un amore celeste. E questo, a volte, ci conduce a superare le consuetudini umane e religiose. A volte, un prete o una famiglia partiti in missione, per le distanze, non hanno la possibilità di essere presenti al funerale dei propri cari. Come a volte, per il Vangelo, i cristiani sperimentano un taglio così profondo nella carne da lasciare tramortiti: quando una famiglia vive aperta alla vita e i genitori non accettano l'ennesima gravidanza della figlia, o un fratello di carne non capisce l'attitudine inerme di fronte all'ingiustizia e rompe i rapporti; quando, insomma, per amore a Cristo e al Vangelo - e quindi per amore vero e celeste alla carne della propria carne - il coltello affonda la lama per circoncidere il cuore: anche questo è il momento dell'amore più puro, che si fa crocifiggere per non barattare la propria salvezza e quella dell'altro con un po' d'affetto e consolazioni umane. Si comprende allora come seguire Gesù sia molto più di un'opera pia, qualcosa di radicalmente diverso di un andare al cimitero per seppellire i morti; è invece un camminare nella morte per giungere alla vita e tirar fuori i morti dal sepolcro e accompagnagli in Cielo. Seguendo Gesù siamo chiamati a spargere il suo profumo di vita e misericordia prendendo su di noi l'incomprensione, il rifiuto e i peccati degli altri, dando così compimento a ogni relazione; l'amore, infatti, non si limita alle pur dovute e desiderate attenzioni; esso va ben oltre il "minimo sindacale" del "religiosamente corretto". La vita cristiana è "seguire" l'Amato nelle ore infinite di "straordinario" spese per ascoltare e correggere un figlio, per accollarsi silenziosamente il lavoro che il collega non vuol fare, per amare la suocera o la nuora così come sono, per compiere cioè il Discorso della Montagna; e per annunciare il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Questi sono gli straordinari di un amore straordinario, che non ha altro stipendio in terra che la gioia del Cielo che esplode quando un peccatore, il nostro fratello, si converte e crede all'amore di Dio. Come Giacobbe, siamo chiamati a "posare il capo" su di una pietra, nel luogo di Dio: istante dopo istante, famiglia, lavoro, scuola, i luoghi che ci attendono "seguendo" il Signore, divengono le "porte del Cielo" che ha visto Giacobbe: “Rabbì Berekhiah dice in nome di Rabbì Levi: Le pietre che Giacobbe nostro padre aveva messo sotto il capo furono trasformate in un letto e un cuscino. Lì, con quella freschezza e quella asprezza, Egli benedisse” (GenR 68,43). Così il Midrash. Così per la nostra vita, nella quale freschezza e asprezza caratterizzano le pietre del carattere del coniuge, delle difficoltà con i figli e i genitori, dei sacrifici per non restare invischiati nell'egoismo; ma, proprio per quello che sono, i volti e i luoghi che ci attendono si "trasformano in un letto e un cuscino" dove riposare dalle sterili fatiche della carne; e ogni orma del Signore è colmata dalla nostra "benedizione", perché ci parlano del Cielo, ci mostrano la meta agognata. Pietre come la pietra del sepolcro del Signore, aspra nella morte, fresca nella risurrezione. Come non è stato possibile che la morte tenesse in potere il Signore, così non è possibile riposare nella morte, nei fallimenti, nei dolori. Non è quello il nostro luogo. E’ un momento, un passo nel passaggio. Colui che è di Cristo non è un rassegnato, non accompagna all'eutanasia e non abortisce persone, relazioni ed eventi; non è un cultore macabro della sofferenza e della morte. Chi è di Cristo lo segue ovunque, perché, risvegliatosi con Lui dal sonno della morte, sa che ogni "luogo" è "la casa di Dio, una porta sul Cielo". Dio farà di lui e della sua storia una benedizione "per tutte le famiglie della terra", perché "sarà con lui e lo guarderà ovunque andrà e non lo abbandonerà prima di aver compiuto ogni sua promessa" (Cfr. Gen 28,10-19). E proprio questo era il desiderio dello scriba, simile al nostro celato in tutto quello che pensiamo e facciamo: stare con Gesù per sempre. Ma esso è il frutto dell’esser passati all’altra riva, sorge dall'esperienza della Pasqua, le viscere battesimali della nostra nuova vita sempre protesa verso un’altra riva, sino a che non giunga l’ultima, la sponda del Cielo. Seguire il Signore ci rende come il vento, che non sai di dove venga o dove vada, del quale solo se ne apprezza la presenza. Nessuna sicurezza se non Lui, vivendo sereni nella precarietà che denuda e svuota d’ogni appoggio e schiavitù. Sul mare passa il cammino del Signore e le orme ne restano invisibili recita il salmo, ma Lui è comunque presente, nel potere rigenerante del suo Spirito.

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