Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 15 settembre 2014

«Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!»

«Non piangere!». Martedì della XXIV settimana del Tempo Ordinario

Oggi si è adempiuta questa scrittura 
che voi avete udita con i vostri orecchi

το κήρυγμα Il Kèrygma





L'ANNUNCIO
In seguito si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. 

 (Dal Vangelo secondo Luca 7,11-17)

Nell'episodio si percepisce un'assenza decisiva. 
Manca il "padre". Se la "madre" è "vedova" significa che il figlio è orfano di padre. Ed è proprio questa la malattia che lo aveva ucciso! 
Egli è immagine di Adamo, scacciato nella “morte” - che è il salario del peccato - per aver accettato l'inganno con cui il demonio lo ha indotto a ribellarsi del Padre. Come il figlio prodigo, è "morto" per aver scelto l’autonomia tagliando con il “padre”. Sarebbe "tornato in vita" solo tornando a casa.
Sì, chi non ha Padre è morto. In questo ragazzo possiamo specchiarci tutti, inguaribilmente schiavi di un narcisismo che cerca l'identità lontano da Dio.
Perduto il Padre, siamo diventati orfani che generano orfani, morti che generano morti, riducendo la vita a un tragico ossimoro. Dalla bara dove l'abbiamo deposta, pur sposandoci, pur essendo preti o catechisti, dirigenti o professori, siamo incapaci d’essere padri, di dare cioè una testimonianza credibile da seminare nel cuore per generarvi il desiderio di viverla.
Poi i figli e le persone che ci sono accanto, vorranno avere la loro esperienza e la loro fede, è normale, tentando di adeguare alla propria personalità quanto gli abbiamo testimoniato e annunciato. E questo si chiama crescita, maturazione; così si diventa adulti.
Ma se abbiamo tagliato con il Padre del Cielo e i padri della terra, in noi questa crescita umana e cristiana è stata abortita; e se non abbiamo avuto una seria iniziazione cristiana non siamo diventati adulti nella fede. Per questo non abbiamo nulla di autentico e decisivo da trasmettere, la fede; stiamo fallendo la nostra vita, accompagnando le persone al sepolcro, a quello che anche noi stiamo vivendo: mondo, carne e inganni del demonio.
Mentre siamo nati e chiamati alla Chiesa per innescare in tutti il desiderio di essere e vivere come noi; che non significa imitazione, ma ispirazione a camminare seguendo le stesse orme, e apertura a Cristo perché operi in loro come in noi.
Era ciò che accadeva alla Chiesa primitiva, che compiva così la sua missione: "Vogliamo vivere come voi" dicevano i pagani ai cristiani. Per questo, la “madre vedova” è immagine delle comunità nelle quali, per i peccati e l’indurimento dei fratelli o la negligenza dei pastori, si era spento lo zelo per il Vangelo, raffreddato l’amore tra i fratelli, indebolita la capacità di restare crocifisse sul candelabro della storia. Avevano perduto lo Sposo e i loro “figli” stavano morendo. 
Accadeva allora, accade oggi… Comunità che non hanno nulla da annunciare, autoreferenziali come ripete Papa Francesco, dove non si danno i segni della fede che ha vinto la morte; mondanizzate, possono solo accompagnare il mondo alla sua tomba.
Ma proprio quando tutto sembra perduto, giunge Gesù. Lo ha promesso e lo mantiene: Ecco, Io sarò con voi tutti i giorni. Con te, con me, con la Chiesa. Anche il giorno, questo, del nostro funerale conseguenza della superbia che ci ha separato dal Padre della Vita; anche oggi che il sale della comunità ha perduto il sapore e sta per essere gettato via e calpestato.
Lui è il Figlio prediletto e scelto perché, con la sua morte e resurrezione, riconducesse ogni figlio al Padre perduto. Non per caso si trovava lì, in quel momento preciso: era profezia del suo cammino verso la Croce e la tomba, fuori dalle “porte” di Gerusalemme.
Avvocato di ogni uomo, doveva incontrare quell'orfano ormai morto proprio “alla porta della città”, dove a quel tempo si svolgevano i processi. Doveva farlo assolvere annunciando che avrebbe preso su di sé la sua condanna, andando Lui, innocente, nella tomba preparata per ogni peccatore.
Esattamente come si trova ora alle “porte” della nostra vita, al limite estremo che ci separa dalla polvere impura di solitudine e silenzio dei terreni fuori città, dove sorgevano i cimiteri.
Ma, per ridonarci il Padre, Gesù ha bisogno di guardare e avere compassione di nostra Madre. E chi è nostra Madre? Non solo colei che ci ha generato nella carne. E' Maria, la Madre che ha dato alla luce il Figlio del Padre di ogni uomo. Anche di Lei è immagine la vedova del Vangelo.
Oggi di nuovo Maria piange per noi perché ci ama; per salvarci, deve essere lì, accanto ai peccatori, dove incontrare la “compassione” di Gesù e ascoltare l’annuncio capace di consolare e schiudere la tomba: "Non piangere!". Noi siamo morti, e, schiacciati dall’orgoglio, da soli non avremmo la forza di ascoltare. Solo abbandonati alle lacrime di compassione della Chiesa, appoggiati alla sua fede e insieme alla comunità, potremo dischiudere il cuore per accogliere le parole di Gesù.
"Non piangere!", le stesse parole che hanno fatto fremere il cuore di Maria Maddalena piangente aprendolo alla sua vittoria, sino a conoscere, in Lui, il Padre suo e Padre nostro; come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato mille volte: non piangere, la morte è vinta, ogni peccato è perdonato, Cristo è risorto dal sepolcro!
La "compassione" di Gesù è quella di suo Padre che lo ha “toccato” con il suo Spirito quando giaceva esanime nella tomba, riscattandolo dalla morte. E' la stessa con cui Gesù “tocca” oggi la nostra bara, contaminandosi con la nostra morte per purificarci e “rialzarci” a una nuova vita.
"Dico a te!": a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla massa. Sono una chiamata personalead alzarci dalla tomba, forse a confessare quel peccato che abbiamo sempre occultato o minimizzato, perché Gesù vuole “riconsegnarci a nostra Madre”. È il potere della sua Parola che ci libera dal peccato e ci fa tornare vivi a casa, nella comunità cristiana, dove ascoltare la Parola di Dio e accostarci al banchetto che il Padre ha preparato per donarci il suo Figlio.
Solo così potremo “sederci e ricominciare a parlare", come facevano i rabbini, cioè come qualcuno che ha qualcosa di autentico da trasmettere. Il Signore ha il potere di fare di noi, anche se “giovinetti”, ancora deboli, fragili e inesperti, dei padri e maestri per questa generazione. Liberi dal narcisismo perché figli di Dio, potremo amare e perdere la vita perché tutti ascoltino l’annuncio che ha salvato noi.



 


TUTTO l'EPISODio ruota intorno a un'assenza decisiva. Vi sono la madre, il figlio morto, i portatori, molta gente della città, ma del "padre" nessuna traccia. Se la madre è vedova, significa che il figlio è orfano di padre. E proprio questa è la "malattia" che lo aveva ucciso! In lui appare anche l'immagine della morte prodotta dal frutto velenoso dell'inganno demoniaco per cui bisogna disfarsi del Padre creatore. E' accaduto come al figlio prodigo, "morto" proprio per esserci allontanato dal Padre, mentre il ritorno a lui ne ha segnato la risurrezione: "questo mio figlio è morto ed è ritornato in vita" afferma il Padre che lo ha riabbracciato. Chi non ha Padre è morto. Già Telemaco nell'Odissea, diceva: “Se quello che i mortali desiderano, potesse avverarsi, per prima cosa vorrei il ritorno del padre”. Al proposito, spiegava in un'intervista LO PSICHIATRA CAUDIO RISÉ che "le patologie psichiatriche sono in forte crescita. Da una parte negli ultimi trent’anni sono enormemente aumentati i giovani chiusi in se stessi, soli anche se in compagnia e incapaci di costruirsi una vita basata su relazioni stabili. Dall’altra parte l’assenza del padre genera un narcisismo patologico in cui la persona ha bisogno di continue conferme di sé, prigioniera di una fragilità destabilizzante che la fa essere in balia di tutto. Incapace di fidarsi (innanzitutto di sé) per via del padre che ha abdicato, non sa confrontarsi né accogliere l’altro, di cui dubita sempre. Questa situazione è sfruttata economicamente attraverso comunicazioni e consumi indotti e dipinta come positiva dal circo massmediatico. Così  la persona sofferente, lasciata nella sua sostanziale solitudine anziché aiutata a uscirne, rimane insicura e dipendente e sviluppa angoscia" 
(INTERVISTA AL SETTIMANALE TEMPI)
Possiamo vedere in questo ragazzo la nostra vita e quella dei nostri figli, quella di tanti amici e colleghi, dei protagonisti di film e canzoni: tutti inguaribilmente schiavi di un "narcisismo psicologico" che cerca l'identità nei Social Networks e nell'abbigliamento, negli oggetti e nelle persone ridotte a beni di consumo. Abbiamo perduto il Padre, siamo usciti dal Paradiso nudi e impauriti come Adamo ed Eva, come il figlio incamminato a dilapidare le sostanze. Non solo, ma così ci siamo comportati, orfani che generano orfani, dando vita ad un tragico ossimoro. Quante volte ci comportiamo come pappemolli incapaci di dire no, di avere un'idea forte, espressione di una fede adulta. Quante volte rincorriamo gli affetti perché vuoti e privi di spina dorsale. Morti che generano morti. Come il figlio unico di madre vedova. L'esito immancabile dei nostri atteggiamenti è sparire eludendo le responsabilità per paura; così lasciamo solo chi ci è accanto, solo ad accompagnare alla tomba chi non siamo stati capaci di amare offrendo la nostra vita. Il Padre, infatti, è proprio immagine del Creatore, di colui che è principio e sorgente di vita. La madre è diversa, è colei che sa accogliere la vita, gestarla e custodirla con pazienza e tenerezza. Tutte le volte che abbiamo rifiutato di assumere la responsabilità di testimoniare, con parole, scelte e gesti autentici e "creativi" di bene e bellezza, abbiamo abdicato dalla paternità alla quale siamo chiamati: "Servono anche padri che rappresentino il Padre. Persone che ci indichino il senso, la nostra strada per riconoscerlo, e che la ricerchino con noi. Servono contesti in cui i legami siano veri, comunità in cui ci si supporti l’uno con l’altro, spiritualmente, affettivamente  e materialmente. Ne abbiamo urgenza sia noi sia gli altri. Le persone sono sempre più isolate: quando le incontriamo dobbiamo fare di tutto per rompere questo isolamento. Dobbiamo costruire dei ponti, come ci sta ricordando papa Francesco" (Claudio Risè, Ibid.). E invece di ponti abbiamo allargato le distanze, sino a evaporare noi e la nostra vocazione; abbiamo così consegnato alla vedovanza la moglie con la quale avremmo dovuto condividere la responsabilità – la moglie che abbiamo sposato come la Chiesa e i fratelli - e alla morte il figlio che ci è stato affidato - nella carne o spirituale.Ma il quadro terribile non finisce qui... Proprio quando tutto sembra perduto, e il bambino è già nella bara e alla disperazione della madre non resta che deporlo nella tomba, giunge Gesù. Lui è il Figlio amato dal Padre. Lui è il Figlio Unico che il Padre non lascia solo un istante. Lui è il Figlio che compie la volontà del Padre. Lui è il Figlio al quale il Padre rivela tutto e dona ogni suo bene. Lui è il Figlio prediletto e scelto per rivelare e ridonare a ogni figlio il Padre perduto. Per questo si trova, in quel momento preciso, alle porte di quella città: doveva incontrare quell'orfano ormai morto. Esattamente come si trova ora alle porte della nostra vita orfana e prossima alla tomba. Ma, per ridonarci il Padre ha bisogno di guardare e avere compassione di nostra Madre. Ma chi è nostra Madre? E' colei che ci ha generato nella carne? Certo, ma non solo lei. E' Maria, la Madre che ha dato alla luce il Figlio del Padre di ogni uomo. E' Lei la Madre di tutti noi, piangente oggi perché ci ama infinitamente. Piange perché, per salvarci, deve consegnare le sue lacrime alla compassione di Gesù. Deve poter ascoltare per noi che, morti, non possiamo; deve essere lì, accanto a noi e a Gesù e udire le parole capaci di consolare e schiudere la tomba: "Non piangere". 

In questo frastuono di lacrime e speranze infrante, in questo funerale che è oggi la nostra vita - un figlio scappato di casa, una malattia, il lavoro perduto, l'incomprensione della moglie, i soldi che non bastano, lo sfratto, i peccati che ci scappano dal cuore e non possiamo farne a meno - sul cammino che ci conduce al sepolcro dove deporre la felicità perduta, ecco giungere e planare lo sguardo di Gesù. Ecco oggi i suoi occhi colmi di compassione cercare quelli gonfi di lacrime della madre e quelli spenti del figlio; e le sue parole, le udiamo insieme a nostra madre; proprio perché morti e senza speranza, ci giungono diritte al cuore che ha smesso di amare: "Non piangere!". Le stesse che hanno fatto fremere il cuore di Maria Maddalena piangente al sepolcro di Gesù. Le parole che ne hanno destato la speranza, come oggi risvegliano in noi la Verità che la Chiesa ci ha annunciato mille volte: non piangere, la morte è vinta, ogni peccato è perdonato, Cristo è risorto dal sepolcro!
L'episodio del Vangelo di oggi profetizza quello del Calvario, dove "stava presso la Croce di Gesù Maria, la madre di Gesù...": Giovanni utilizza la preposizione presso in una forma particolare, quella che in greco è riservata alle persone, diversa da quella usata per le cose: Maria non era accanto ad un oggetto di legno quale era in effetti la Croce; Ella si trovava invece presso qualcosa di vivo, ad una Croce viva, la Croce di suo Figlio, il legno santo divenuto persona, la sofferenza autentica intrisa del sangue di Gesù, un dolore che la coinvolgeva in un rapporto specialissimo. La Croce non era per Maria un semplice strumento di tortura ma il Destino che aveva afferrato suo Figlio e nel quale lei stessa era assorbita, del quale partecipava fino a sentire la sua anima trapassata da una spada. Su quella Croce il Figlio ha riaperto il Cielo e ricondotto ogni figlio disperso tra le braccia di suo Padre.

 



Per questo Maria presso la Croce

è anche immagine di ogni innocente sofferente, di tutti gli orfani di Padre disseminati nella storia. Bambini violentati, vittime degli tsunami, figli che hanno visto i genitori divorziare, coniugi traditi, lavoratori licenziati, anziani gettati nell'abisso della solitudine, e le vittime delle dittature e dei campi di concentramento, delle guerre e delle rivoluzioni, degli sconquassi economici frutto di giochi finanziari perversi e avidi. I piccoli e i poveri della terra, tutti racchiusi nel popolo degli anawin di Israele, oppressi e affaticati, gli ultimi della terra. Maria presso la Croce è una di loro, abbracciata alla sofferenza di ogni innocente, unita all'unico Giusto sofferente l'ingiustizia più grande: Maria presso Gesù crocifisso, presso ciascuno di noi, "figli unici di madre vedova", senza speranza, cancellati dalla terra, avviati ad un sepolcro senza uscita.
Peccatori che sperimentano le conseguenze mortali del peccato ci troviamo spesso vittime innocenti di ingiustizie cui non possiamo sfuggire. Siamo tutti distesi nella bara di quel giovinetto. E proprio per questo siamo tutti oggetto della compassione di Dio. In noi Egli vede il suo Figlio crocifisso, e sua Madre sola accanto a Lui. Nostra madre, le viscere di carne che ci hanno gestato e generato, la nostra storia, l'identità, quello che ci ha costituito e formato, dissolversi nel fallimento della morte. E la nostra Madre che ci ha rigenerato, Maria, la Chiesa, anch'essa sofferente per noi, le sue preghiere e le sue lacrime, la sua intercessione, lo zelo pieno d'amore che non ci lascia mai, sino all'ultimo respiro, sin dentro la morte. Su tutto lo sguardo compassionevole di Dio, lo stesso che ha guardato il Popolo oppresso da quattrocento anni di schiavitù in terra d'Egitto, lo stesso che ha amato quella madre vedova di quel "giovinetto", "figlio unico" come Gesù, come unico è ciascuno di noi agli occhi di Dio. 
La "compassione" di Gesù è la compassione del Padre, il suo cuore spezzato di fronte alla morte del Figlio, alla spada che percuoteva l'anima di sua Madre, al peccato e alla sofferenza innocente di ogni uomo, paradosso che atterrisce anche la nostra vita. La "compassione" che ha mosso Gesù a toccare quella bara e a ridare vita al ragazzo è la "compassione" di suo Padre che lo ha riscattato dalle angosce della morte. E' la compassione che tocca la nostra bara oggi, che si contamina con la nostra morte, e che ci risveglia e rialza ad una nuova vita. "Dico a te!", a me, a te, proprio a noi, e non sono parole dette così, alla moltitudine. Sono una chiamata personale ad alzarci dalla tomba, per "ricominciare a parlare", ad avere relazioni nuove e autentiche libere dal narcisismo perché ormai riconsegnati alla vita dei figli amati dal Padre. Il Signore ci ridona oggi la capacità di "parlare" lingue nuove, per entrare nella comunione nuova che Lui ci dona per amare: parlare per donarci agli altri, per uscire dalla solitudine della tomba e ricominciare a vivere, che significa amare, nella storia concreta che siamo chiamati a vivere, senza sperare ed esigere cambiamenti, certi che la compassione di Dio ci conduce ogni istante ad attraversare la porta stretta dell'ingiustizia, della sofferenza e della Croce. Risuscitati per tornare a nostra Madre. 
 Risuscitati per sperimentare la riconciliazione, e vivere nell'intimità della Chiesa, il luogo dove la nostra storia di carne, anche nei suoi aspetti più misteriosi e dolorosi, incontrano la pace di chi vi scopre l'amore infinito di Dio. Come Giovanni sotto la Croce siamo risuscitati per accogliere Maria, la Mediatrice di tutte le Grazie, nella nostra casa, nella trama della nostra vita. Per questo oggi il Signore ci perdona e ci riscatta dalle ingiustizie, per donarci a sua Madre, alla Chiesa, non più vedova ma Sposa che attende ogni istante il ritorno dello Sposo amatissimo; e noi suoi figli siamo chiamati a vivere ogni evento nella stessa attesa, certi che Lui è già con noi, e noi con Lui vivi alla destra dello stesso Padre. Oggi il Signore ci risuscita per gustare e vivere già il Cielo nella nostra storia. E' questa la Profezia apparsa tra noi, la visita di Dio: "Non piangere! Alzati!" ed entra nella volontà d'amore di Dio, una vita trasfigurata sui passi della storia, attraverso tsunami e sofferenze, verso il compimento che ci attende in Cielo, in Cristo Gesù risorto che ci ama di un amore incorruttibile.

APPROFONDIMENTI






 αποφθεγμα Apoftegma






La prima metamorfosi avviene quaggiù mediante l'illuminazione e la conversione, 
cioè col passaggio dalla morte alla vita, 
dal peccato alla giustizia, 
dalla infedeltà alla fede, 
dalle cattive azioni ad una santa condotta. 
Coloro che risuscitano con questa risurrezione 
non subiscono la seconda morte. 



San Fulgenzio di Ruspe

Nessun commento:

Posta un commento