La sua visione di partenza è quella del realismo obiettivo: "è cambiato praticamente tutto". L'antico paese o quartiere è diventato ormai il villaggio globale. In un minuto i ragazzi sono in contatto col mondo intero, il mondo è un supermarket, il paese non educa più, ma il paese è tutto fuorché cristiano. Scuola e famiglia seguono a ruota: "anche nelle famiglie ancora unite, ogni giorno si cerca di comporre una melodia educativa e ogni sera si prende atto di qualche stonatura". "Si tratta semplicemente di capire che siamo entrati in una fase di grande transizione culturale, nella quale gli equilibri precedenti si sono disgregati. Nessuno resta fuori da questa situazione e a nulla serve cercare il colpevole. C'è solo da capire che, se viene meno il contesto di cristianità, il modello che per secoli si è rivelato adeguato mostra ora tutte le sue crepe".
E mentre le sterili lamentele si sprecano all'interno della cerchia di troppi cristiani "stanchi", fratel Enzo (come del resto molti altri) invita alla fiducia e alla speranza evangelica nella convinzione che "questa crisi contiene grandi sfide e formidabili opportunità: essa può trasformarsi nell'occasione di un cambiamento qualitativo nella Chiesa e nel suo modo di annunciare il Vangelo". Per un mondo globalizzato, interetnico e plurireligioso, la Chiesa è semplicemente chiamata a cercare un nuovo modo di inculturazione della fede, un nuovo modo, cioè, di stare in questo mondo con la grazia del Vangelo.
In Europa e in Italia si sta configurando una "nuova geografia della fede": un'area dove si assiste ormai ad una vera e propria espulsione della fede dal quadro culturale (Francia, Belgio, Paesi Bassi); un'area con la permanenza di larghe fasce di tradizione cristiana, se pure segnate da un importante processo di secolarizzazione delle mentalità (Italia, Spagna, Portogallo); un'area di religione "privata" - quella dei Paesi dell'est - ma con scarsa incidenza sulla vita personale e pubblica; una vasta area di non religiosità, un contesto areligioso stabile, peraltro non meno attento e sensibile ai valori umani rispetto alle aree religiose (Germania orientale, Svezia, Olanda, Repubblica Ceca). La situazione attuale di pluralismo non è certo la fine del cristianesimo, ma di un "certo" cristianesimo. Di quel cristianesimo nel quale non si poteva essere altro che cristiani: la fede dovuta, scontata, obbligata. È una prospettiva che pone la Chiesa in una situazione di debolezza evangelica. È come un tornare alla situazione delle origini, azzerando secoli di cristianità per nascita. Ma cambiano tutti i paradigmi dell'annuncio cui eravamo abituati.
Riportiamo qui alcuni passi tratti da "Il secondo annuncio per una vita buona":
Per molte persone la vita cristiana non è una vita buona. Molti sono segnati da un rapporto negativo con la fede. Essa sarebbe nemica dell'uomo, della sua libertà, della sua realizzazione. Un'educazione segnata da visioni moralistiche, da ritualismi, da posizioni dogmatiche senza rapporto con la ragione, li tiene lontani dalla fede o li porta a viverla in maniera sofferta. Il cristianesimo spesso non è percepito come socialmente umanizzante. Allora non è neanche desiderabile. È compito fondamentale del secondo annuncio mostrare il volto di un Dio desiderabile. Ogni aspetto del Vangelo è una parola buona per la vita. Riconciliare con la Chiesa e con il vangelo molti dei nostri contemporanei, aiutarli a ricominciare a credere, passa per la capacità di proporre un annuncio a favore dell'uomo. Certo, un annuncio che mette in risalto la differenza cristiana, ma sempre come "differenza a favore", mai come "differenza contro".
È bello per chi è credente accorgersi che l'apporto educativo della fede non è primariamente religioso, ma semplicemente umano, perché "chi segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anche lui più uomo " (Gaudium et Spes n. 41). È bello sapere che la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di trasmettere e custodire umanità, vita, pienezza di vita. Questo ci pone tutti serenamente e gioiosamente accanto a tante donne e uomini diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano ad essa. La vita buona del vangelo è quella che Gesù ha riassunto nel gesto eucaristico. Questo gesto è insieme denuncia per quanto abbruttisce la vita, sogno per un mondo di figli e fratelli. Il compito del primo annuncio è di annunciarlo a chi non conosce il vangelo. Il compito del secondo annuncio è di farlo "sentire buono" a chi lo ha incontrato male.
Significative le "3 regole d'oro del secondo annuncio":
1. Non far leva prevalentemente sulla consistenza della ricerca e delle domande, ma sulla qualità della proposta nei termini del dono e della sorpresa
2. Non partire dal richiamo delle esigenze morali della fede e dell'impegno radicale che essa richiede, bensì impegnarsi a risuscitare lo stupore, la meraviglia, la gratitudine per l'amore, eccedente, di Dio.
3. Saper mostrare che il dono di Dio raggiunge le persone dentro la loro vita, riguarda le loro storie, raggiunge il loro bisogno di vita e, in questo senso, le loro domande.
"Tocchiamo qui - conclude fratel Enzo - la grande sfida che la Chiesa italiana ha deciso di affrontare in questo decennio". E se la sfida pastorale oggi in Italia è quella di "tenere in piedi l'albero che cade", occorre chiedere la "grazia di ricominciare" in un rapporto di ospitalità reciproca. L'annuncio richiede l'implicazione del testimone nella vita, nelle domande, nel bisogno di vita dell'altro. In altre parole, "evangelizzare e lasciarsi evangelizzare"».
a cura di Maria Teresa Pontara Pederiva
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