Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii purificato!». E immediatamente la lebbra scomparve da lui. Gli ordinò di non dirlo a nessuno: «Va’ invece a mostrarti al sacerdote e fa’ l’offerta per la tua purificazione, come Mosè ha prescritto, a testimonianza per loro».
Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie. Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare.
Il commento
Le “parole” su di Lui e le “folle numerose” in cerca di guarigione e consolazione, spingono Gesù a «ritirarsi in luoghi deserti a pregare», obbedendo alla volontà di Dio; non cerca fama e successo, come i mercenari e i falsi profeti: è il Buon Pastore che lascia le novantanove pecore per gettarsi alla ricerca di quella perduta, malata e ferita, perché Egli cerca l’uomo e non le folle. Per questo Gesù va a rifugiarsi nel luogo dal quale il lebbroso desiderava essere liberato, il deserto di angoscia e morte dove la sua impurità lo aveva relegato, la solitudine che annuncia il Getsemani, il Golgota e il sepolcro. Egli percorre il cammino inverso di quello dell’uomo che aveva appena guarito, primizia dei lebbrosi di ogni generazione. Gesù scende nell’abisso della sofferenza, della solitudine e della morte di ogni uomo per deporvi la sua preghiera: “nei giorni della sua vita terrena Egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la sua pietà; pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb. 5, 5-9). Benedetto XVI commenta così questo brano: “Offrì… è una traduzione giusta del verbo prospherein, parola cultuale che esprime l’atto dell’offerta dei doni umani a Dio… del sacrificio. Così, con questo termine cultuale applicato alle preghiere e lacrime di Cristo, dimostra che le lacrime di Cristo, l’angoscia del Monte degli Ulivi, il grido della Croce, tutta la sua sofferenza non sono una cosa accanto alla sua grande missione… Proprio con questo “offrì”, prospherein, Gesù porta l’umanità a Dio, così si fa sacerdote…”. Quel Rabbì di Nazaret era dunque il Sacerdote dal quale il lebbroso aveva sognato di andare un giorno a presentare la sua carne guarita come prescriveva la Legge. Il Sommo Sacerdote di cui aveva bisogno, Santo, perfetto e separato dagli uomini, ora era lì, accanto a lui; non si trovava nel Tempio ad aspettare per certificare, ma gli era accanto, dentro alla sua solitudine, per presentare se stesso e lui al Padre come offerta per i peccati. Gesù era il Sommo Sacerdote che sapeva compatire le sue infermità, perché sarebbe stato lui stesso, di lì a poco, provato in ogni cosa, piagato dalla sua stessa lebbra. Quel lebbroso si poteva dunque accostare con piena fiducia la trono della Grazia, per ricevere misericordia e trovare Grazia ed essere aiutato proprio in quel momento opportuno (cfr. Eb. 4, 15-16) per essere trasformato e divinizzato.
Gesù realizza la sua missione dando compimento a quanto “Mosè ha prescritto”: la Purezza si fa carne nella carne malata, la vita fiorisce nel deserto, nella morte esplode la Vita. La preghiera solitaria di Gesù dà voce al grido di ciascun uomo prigioniero della lebbra e forma così la comunità dei santi, la Chiesa purificata dal suo sangue, sacramento di salvezza per le Nazioni: “La preghiera di Gesù è stata esaudita, nel senso che realmente la sua morte diventa vita, il luogo da dove redime l’uomo, da dove attira l’uomo a sé” (Benedetto XVI). La Chiesa allora è proprio il luogo dove si registrano i miracoli di Dio, l’assemblea dove, davanti ai sacerdoti, “rendere testimonianza” alla misericordia di Dio che continua a visitare il suo popolo. La riammissione del lebbroso segregato, dopo la constatazione della scomparsa delle pustole, veniva suggellata da un sacrificio come per l’espiazione di un peccato. Per questo, culmine e fonte della liturgia, è l’eucarestia, il rendimento di grazie per i miracoli operati nei cristiani dall’Unico Sommo Sacerdote, per il perdono che ha purificato le pustole dell’orgoglio, dei giudizi, della concupiscenza e di ogni peccato. Nella Chiesa risuona la preghiera del lebbroso: “Signore, Kyrios, se vuoi puoi guarirmi. Se è la tua volontà puoi purificarmi”. E Gesù non può che rispondere “Certo che è la mia, lo voglio, sii purificato!”. Ma è questa la nostra preghiera? Oppure è un subdolo “se puoi”, il capriccio di chi si arrampica sino al Cielo per esigere che Dio faccia la sua volontà? La preghiera autentica è già una professione di fede: “abbi pietà di me peccatore”, se la tua volontà è la mia santificazione, allora certo puoi guarirmi da quanto mi impedisce d’essere e vivere obbedendo ad essa. Non si tratta del se di chi dubita orgogliosamente, ma di un se che esprime l’umiltà di chi non ha nulla da pretendere ed esigere perché indegno di tutto. E’ il se che contiene la certezza della volontà misericordiosa di Dio, e professa la fede della creatura ferita dal peccato che riconosce di non appartenersi, che bussa alla porta del suo Creatore perché lo accolga di nuovo nella sua comunione. E’ un “se” che si apre al “si” di Dio. Il lebbroso è malato, ma il fondo del suo cuore è puro, perché vi alberga la consapevolezza di essere comunque immagine e somiglianza del Puro e Santo. Il se sgorga proprio dall’estremo baluardo, l’enclave divina che ha resistito all’assedio del demonio che ha conquistato tutto il resto, il frammento d’anima inattaccabile perché è dove Dio ha deposto il suo seme di vita eterna, incorruttibile. Per questo, anche dopo un miliardo di peccati, la stessa libertà che ha deciso di occultare e dimenticare Dio e vivere come se non esistesse, può voltarsi, convertirsi, e pronunciare il se che riapre i giochi, che dà il via libera alla controffensiva di Dio, che, “immediatamente”, ha ragione del nemico, il demonio che ha ucciso carne e mente, ma non ha potuto nulla contro l’anima. Tutto il male, tutti i peccati accumulati sino ad oggi sono nulla in confronto a quell’impercettibile seme di vita eterna che alberga in ogni uomo e che attende solo d’essere innescato. Tutto quello che durante una vita di tentazioni e cadute, trappole astute e subdoli inganni, è stato ferito, e raso al suolo, può essere risuscitato, trasfigurato e portato a compimento in un istante, perché Dio è onnipotente di fronte al più grande peccato, alla vita più corrotta. Per questo Gesù viene alla nostra città, scendendo nel nostro deserto. In qualunque situazione, nelle relazioni familiari complicate e senza sbocco, quando bruciano le tentazioni tra due fidanzati, e magari si è caduti e il mondo sembra franare addosso tra giudizi e disprezzo di se stessi, Gesù si fa vicino a ciascuno suscitando quel “se vuoi puoi guarirmi”, la preghiera umile che tocca il suo cuore perché Egli “stenda la mano” e ci tocchi con la sua Grazia, attraverso i sacramenti donati alla sua Chiesa.
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