Qualche tempo fa ho incontrato un caro amico, Saverio. Saverio come me è appassionato di musica e ha una discreta collezione. Quel giorno, come in un laboratorio di BombaMusica in nuce, abbiamo scambiato opinioni e ascoltato qualche disco. A un certo punto lui tira fuori dal computer un brano di un perfetto sconosciuto (almeno lo era per me): Gavin Bryars. E non solo. Mi racconta una storia. Una strana storia…
Gavin Bryars è a Londra e cammina con in mano un registratore, lo fa per lavoro, deve catturare dei suoni per un film. Girovagando nei pressi di Waterloo Station incontra un barbone che con voce stentata ma profonda canta alcune frasi di una canzone. È una sorta di litania, sempre la stessa. E dice: “Jesus blood never failed me yet, there’s one thing I know, cause He loves me so…“.
“ll sangue di Gesù non mi ha mai tradito finora, c’è una cosa che so, che egli mi ama…”. Gavin rimane colpito dalla forza di quella musica e registra la breve frase che il vecchio ripeteva incessantemente.
Il materiale registrato viene selezionato e questo brano rimane inutilizzato finchè Gavin un giorno di quattro anni dopo riprende la melodia e scopre che è perfettamente intonata con un pianoforte e che la sua lunghezza permette di realizzare un loop, cioè consente di ripetere la frase all’infinito, tagliando il nastro e unendola come in un cerchio. Gavin manda in esecuzione la musica e senza pensare esce dalla stanza. E succede una cosa singolare. Al suo ritorno nota uno strano silenzio. Il personale e la gente che frequenta quello studio di registrazione, persone solitamente rumorose, si quietano, la calma si impossessa del luogo, tutti tengono la voce bassa e si muovono lentamente, alcuni si fermano, altri si commuovono.
A questo punto Gavin, compositore incline al minimalismo, decide di orchestrare il brano lasciando però sempre in ripetizione la stessa frase. “Jesus Blood never failed me yet…“. Sempre la stessa frase per oltre 70 minuti. E il suo arrangiamento si unisce delicatamente alla voce del barbone in un rispettoso crescendo, accostando ora i quartetti d’archi ora l’intera orchestra e verso la fine, prima di lasciare di nuovo la voce solitaria, se ne unisce un’altra, una che di barboni e di disadattati se ne intende, quella di Tom Waits.
Gavin Bryars in una sua nota ci dice che il barbone morì prima di sentire cosa era stato fatto con la sua canzone, ma sottolinea che quel brano rimane come “eloquente se pur minima testimonianza del suo spirito e del suo ottimismo”.
Anno: 1993 (versione con la voce di Tom Waits)
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