9 Gennaio
C'è però un'altra forza - una forza positiva - che muove il mondo,
capace di trasformare e rinnovare le creature:
la forza dell'amore di Cristo.
Nel mistero pasquale,
Gesù è passato attraverso l'abisso della morte,
poiché Dio ha voluto così rinnovare l'universo:
mediante la morte e risurrezione del suo Figlio "morto per tutti",
perché tutti possano vivere "per colui che è morto e risorto per loro",
e non vivano solo per se stessi.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Marco 6,45-52
[Dopo che i cinquemila uomini furono saziati], Gesù subito costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, a Betsàida, finché non avesse congedato la folla. Quando li ebbe congedati, andò sul monte a pregare.
Venuta la sera, la barca era in mezzo al mare ed egli, da solo, a terra. Vedendoli però affaticati nel remare, perché avevano il vento contrario, sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare, e voleva oltrepassarli.
Essi, vedendolo camminare sul mare, pensarono: «È un fantasma!», e si misero a gridare, perché tutti lo avevano visto e ne erano rimasti sconvolti. Ma egli subito parlò loro e disse: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». E salì sulla barca con loro e il vento cessò.
E dentro di sé erano fortemente meravigliati, perché non avevano compreso il fatto dei pani: il loro cuore era indurito.
Il commento
Un “cuore indurito” non può vedere e riconoscere il Signore, “pensa sia un fantasma”, il frutto di un’allucinazione religiosa, l’oppio dei popoli. Chi ha il cuore pietrificato, secondo l’originale greco tradotto con “indurito”, non riesce a “mettere, prendere insieme” - com-prendere – i diversi aspetti della realtà. Tutto resta frammentato, senza ordine, e anche l’amore di Dio scivola via tra i brandelli della vita. Per questo il Signore, appena compiuto il segno dei pani, “costringe” i discepoli a salire sulla barca e a precederlo all’altra riva. Li spinge ad entrare nella notte e nel mare, immagini del caos, del nulla, del male e della morte. Il compimento della sua opera in ciascun uomo, infatti, non è saziare la carne, ma farlo partecipe della sua stessa vita. Il traguardo della sua incarnazione non è risolvere qualche problema e dare soddisfazione ai desideri che fioriscono dalle pulsazioni della carne. Lui mira molto più in alto: fare dei suoi discepoli il popolo della vita eterna. Per questo la barca, immagine della Chiesa, deve passare attraverso il mare increspato dal vento contrario; così Gesù conduce i cristiani nella realtà, ordinando di “precederlo sull’altra riva”, gettandoli così nella Pasqua: li invia in una traversata fin dentro la verità, che per loro era ancora oscura come la notte che li avvolgeva. Egli però resta in preghiera, accompagnandoli così con la sua intercessione: il Signore non ci lascia un istante, anche quando ci sembra di essere soli di fronte alle avversità. E’ Lui che ci spinge ad entrare nel deserto di ogni giorno, perché nulla è frutto del caso, ma “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio e da Lui sono amati”. Gesù è, infatti, il protagonista assoluto di questo episodio: costringe, prega, vede, và, cammina, e parla, e da ogni gesto e parola sgorga, benefico, il suo amore. Egli conosce il cuore dei discepoli, incapace di reggere l’urto del miracolo compiuto da Gesù attraverso la loro debolezza, paralizzato di fronte alla sovrabbondanza scaturita dalla loro pochezza. Gesù conosce l’orgoglio che si cela nello stupore dei discepoli, che non ha nulla di umile, così diverso da quello della Vergine Maria che la schiude, invece, alla fede e all’obbedienza. Come noi, i discepoli sono ancora prigionieri di se stessi, delle proprie debolezze e incertezze, e guardano a Gesù attraverso di esse.
Per questo sono “costretti” ad entrare in quella notte e in quel mare che Gesù sapeva infido e prossimo alla tempesta. Per loro e per noi è necessario lo stesso cammino che Dio ha fatto percorrere al Popolo di Israele per quarant'anni nel deserto; il buio, il vento e le onde che incontriamo nella nostra vita ci umiliano e mettono alla prova, per sapere quello che abbiamo nel cuore e se possiamo osservare o no la Parola di Dio: Siamo nati per amore, lo stesso che ha sospinto i discepoli nella barca; la vita, infatti, è il passaggio all’altra riva, il compimento della Pasqua che ci farà approdare sulle sponde del Regno dei Cieli, la terra che ci è stata promessa sin dal concepimento. E così è di ogni giorno, sulla cui soglia il Signore ci accoglie ripetendoci che “sta per farti entrare in un paese fertile… dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla... Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio… Quando avrai mangiato e ti sarai saziato… e abbondare ogni tua cosa, il tuo cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice nel tuo avvenire. Guardati dunque dal pensare: La mia forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze” (cfr. Dt 8). La nostra vita è quindi una traversata della memoria, fondata sull’esperienza umiliante della propria debolezza “guardata” e raggiunta da Gesù con infinita misericordia. Il vento, infatti, aveva solo svelato quello che in realtà i discepoli avevano nel cuore. Noi pensiamo che siano gli eventi a trascinarci nell’angoscia e nella paura, ma non è così. Vi è in noi qualcosa di più profondo e latente. Il Vangelo ci dice che già prima di salpare i discepoli avevano il cuore indurito, ed è un’istantanea sulla condizione esistenziale dell’uomo. La Lettera agli Ebrei così la descrive: “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb. 2,14-15). Su quella barca, come nella nostra storia, si svela la schiavitù che ci indurisce il cuore, la paura delle onde del disprezzo, dell’insignificanza, della sofferenza della morte. Il cuore dell’uomo è pietrificato e incapace di perdonare e amare perché schiavo di colui che della morte ha potere, il diavolo. E’ lui che ha fatto del nostro cuore un callo duro e impenetrabile, depositandovi, come in Adamo ed Eva, la menzogna primordiale. Il miracolo dei pani e dei pesci ha scosso i discepoli, come i tanti disseminati nella nostra vita, ma il cuore ha bisogno d’altro ancora. Occorre il miracolo definitivo, è necessario che l’autore stesso del miracolo prenda dimora dentro di noi. Per questo, Gesù ha preso la nostra carne e il nostro sangue, e con questo nostro corpo ha camminato sul mare, ha attraversato la morte “passando oltre” la nostra paura per attirarci con Lui, e ridurre all’impotenza l’autore d’ogni indurimento. Gesù ci vede anche oggi, in famiglia, in ufficio, all’università, affaticati tra le onde di cui non riusciamo ad avere ragione. Ci conosce e per questo ci capisce e ci viene incontro con amore per raccogliere la nostra paura e distruggere l’orgoglio che ci tiene schiavi. “Sono Io”, sono Dio ora nella tua vita, “non aver paura”, ho vinto la morte e il peccato; sono qui per entrare con te nella tua barca, perché è la mia, da sempre. Insieme attraverseremo questa tempesta per giungere alla pienezza della vita. Solo chi ha la vita eterna con sé dentro la barca, sperimenta, al posto del cuore di pietra, il dono di un cuore nuovo e capace di amare, e occhi e mente trasfigurati che sanno com-prendere ogni frammento della vita come tessere di un mosaico che Dio ha creato colmo di bellezza, bontà e verità. Ora si com-prende anche la missione affidata ai discepoli: “Date voi stessi loro da mangiare”. Di fronte a questo erano induriti nella paura che rendeva impossibile il dono di se stessi. Ma Gesù, con quelle parole, aveva profetizzato loro quello che oggi profetizza a ciascuno di noi: voi stessi diventerete cibo capace di saziare questa generazione.
APPROFONDIMENTI
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