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venerdì 15 agosto 2014

papa Francesco ai vescovi della Corea ...ai giovani

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Papa Francesco in Corea del Sud

Vaticano
Nuovo tweet del Papa: "Cari giovani, Cristo vi chiama ad essere accorti e vigili per riconoscere ciò che conta davvero nella vita." (15 agosto 2014)
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Papa Francesco: la tentazione di essere una chiesa per benestanti

Dal discorso di papa Francesco ai vescovi della Corea, 14 agosto 2014 
 Essere custodi della memoria significa qualcosa di più che ricordare e fare tesoro delle grazie del passato. Significa anche trarne le risorse spirituali per affrontare con lungimiranza e determinazione le speranze, le promesse e le sfide del futuro. Come voi stessi avete notato, la vita e la missione della Chiesa in Corea non si misurano in definitiva in termini esteriori, quantitativi e istituzionali; piuttosto esse devono essere giudicate nella chiara luce del Vangelo e della sua chiamata ad una conversione alla persona di Gesù Cristo. Essere custodi della memoria significa rendersi conto che la crescita viene da Dio (cfr 1 Cor 3,6) e al tempo stesso è il frutto di un paziente e perseverante lavoro, nel passato come nel presente. La nostra memoria dei martiri e delle generazioni passate di cristiani deve essere realistica, non idealizzata o e non “trionfalistica”. Guardare al passato senza ascoltare la chiamata di Dio alla conversione nel presente non ci aiuterà a proseguire il cammino; al contrario frenerà o addirittura arresterà il nostro progresso spirituale.
Oltre ad essere custodi della memoria, cari fratelli, voi siete anche chiamati ad essere custodi della speranza: quella speranza offerta dal Vangelo della grazia e della misericordia di Dio in Gesù Cristo, quella speranza che ha ispirato i martiri. È questa speranza che siamo invitati a proclamare ad un mondo che, malgrado la sua prosperità materiale, cerca qualcosa di più, qualcosa di più grande, qualcosa di autentico e che dà pienezza. Voi e i vostri fratelli sacerdoti offrite questa speranza con il vostro ministero di santificazione, che non solo conduce i fedeli alle sorgenti della grazia nella liturgia e nei sacramenti, ma costantemente li spinge ad agire in risposta alla chiamata di Dio a tendere alla meta (cfr Fil 3,14). Voi custodite questa speranza mantenendo viva la fiamma della santità, della carità fraterna e dello zelo missionario nella comunione ecclesiale. Per questa ragione vi chiedo di rimanere sempre vicini ai vostri sacerdoti, incoraggiandoli nel loro lavoro quotidiano, nella loro ricerca di santità e nella proclamazione del Vangelo di salvezza. Vi chiedo di trasmettere loro il mio affettuoso saluto e la mia gratitudine per il generoso servizio in favore del popolo di Dio. Vicini ai vostri sacerdoti, mi raccomando, vicinanza, vicinanza ai sacerdoti. Che loro possano incontrare il vescovo. Questa vicinanza fraterna del vescovo, e anche paterna: ne hanno bisogno in tanti momenti della loro vita pastorale. Non vescovi lontani o, peggio, che si allontanano dai loro preti. Con dolore lo dico. Nella mia terra, tante volte ho sentito qualche sacerdote che mi diceva: “Ho chiamato il vescovo, ho chiesto udienza; sono passati tre mesi, ancora non ho risposta”. Ma senti, fratello, se un sacerdote oggi ti chiama per chiederti udienza, richiamalo subito, oggi o domani. Se tu non hai tempo per riceverlo, diglielo: “Non posso perché ho questo, questo, questo. Ma io volevo sentirti e sono a tua disposizione”. Ma che sentano la risposta del padre, subito. Per favore, non allontanatevi dai vostri sacerdoti.
Se noi accettiamo la sfida di essere una Chiesa missionaria, una Chiesa costantemente in uscita verso il mondo e in particolare verso le periferie della società contemporanea, avremo bisogno di sviluppare quel “gusto spirituale” che ci rende capaci di accogliere e di identificarci con ogni membro del Corpo di Cristo (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 268). In questo senso una particolare sollecitudine chiede di essere mostrata nelle nostre comunità nei confronti dei bambini e dei più anziani. Come possiamo essere custodi di speranza se trascuriamo la memoria, la saggezza e l’esperienza degli anziani e le aspirazioni dei giovani? A questo proposito vorrei chiedervi di prendervi cura in modo speciale dell’educazione dei giovani, sostenendo nella loro indispensabile missione non solo le università, che sono importanti, ma anche le scuole cattoliche di ogni grado, a partire da quelle elementari, dove le giovani menti e i cuori vengono formati all’amore di Dio e della sua Chiesa, al bene, al vero e al bello, ad essere buoni cristiani e onesti cittadini.
Essere custodi di speranza implica anche garantire che la testimonianza profetica della Chiesa in Corea continui ad esprimersi nella sua sollecitudine per i poveri e nei suoi programmi di solidarietà, soprattutto per i rifugiati e i migranti e per coloro che vivono ai margini della società. Questa sollecitudine dovrebbe manifestarsi non solo attraverso concrete iniziative di carità – che sono necessarie – ma anche nel costante lavoro di promozione a livello sociale, occupazionale ed educativo. Possiamo correre il rischio di ridurre il nostro impegno con i bisognosi alla sola dimensione assistenziale, dimenticando la necessità di ognuno di crescere come persona – il diritto che ha di crescere come persona – e di poter esprimere con dignità la propria personalità, creatività e cultura. La solidarietà con i poveri è al centro del Vangelo; va considerata come un elemento essenziale della vita cristiana; mediante la predicazione e la catechesi, fondate sul ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa, essa deve permeare i cuori e le menti dei fedeli e riflettersi in ogni aspetto della vita ecclesiale. L’ideale apostolico di una Chiesa dei poveri e per i poveri, una Chiesa povera per i poveri, ha trovato espressione eloquente nelle prime comunità cristiane della vostra nazione. Auspico che questo ideale continui a modellare il cammino della Chiesa in Corea nel suo pellegrinaggio verso il futuro. Sono convinto che se il volto della Chiesa è in primo luogo il volto dell’amore, sempre più giovani saranno attratti verso il cuore di Gesù sempre infiammato di amore divino nella comunione del suo mistico Corpo.
Ho detto che i poveri sono al centro del Vangelo; sono anche all’inizio e alla fine. Gesù, nella sinagoga di Nazareth, parla chiaro, all’inizio della sua vita apostolica. E quando parla dell’ultimo giorno e ci fa conoscere quel “protocollo” sul quale tutti noi saremo giudicati – Matteo 25 –, anche lì ci sono i poveri. C’è un pericolo, c’è una tentazione che viene nei momenti di prosperità: è il pericolo che la comunità cristiana si “socializzi”, cioè che perda quella dimensione mistica, che perda la capacità di celebrare il Mistero e si trasformi in una organizzazione spirituale, cristiana, con valori cristiani, ma senza lievito profetico. Lì si è persa la funzione che hanno i poveri nella Chiesa. Questa è una tentazione della quale le Chiese particolari, le comunità cristiane hanno sofferto tanto, nella storia. E questo fino al punto di trasformarsi in una comunità di classe media, nella quale i poveri arrivano a provare anche vergogna: hanno vergogna di entrare. E’ la tentazione del benessere spirituale, del benessere pastorale. Non è una Chiesa povera per i poveri, ma una Chiesa ricca per i ricchi, o una Chiesa di classe media per i benestanti. E questo non è cosa nuova: questo cominciò all’inizio. Paolo deve rimproverare i Corinzi, nella Prima Lettera, capitolo XI, versetto 17; e l’apostolo Giacomo più forte ancora, e più esplicito, nel suo capitolo II, versetti da 1 a 7: deve rimproverare queste comunità benestanti, queste Chiese benestanti per i benestanti. Non si cacciano via i poveri ma si vive in modo tale che loro non osino entrare, non si sentano a casa loro. Questa è una tentazione della prosperità. Io non vi rimprovero, perché so che voi lavorate bene. Ma come fratello che deve confermare nella fede i suoi fratelli, vi dico: state attenti, perché la vostra è una Chiesa in prosperità, è una grande Chiesa missionaria, è una grande Chiesa. Il diavolo non semini questa zizzania, questa tentazione di togliere i poveri dalla struttura profetica stessa della Chiesa, e vi faccia diventare una Chiesa benestante per i benestanti, una Chiesa del benessere… non dico fino ad arrivare alla ‘teologia della prosperità’, no, ma nella mediocrità.
Cari fratelli, una profetica testimonianza evangelica presenta alcune sfide particolari per la Chiesa in Corea, dal momento che essa vive ed opera nel mezzo di una società prospera ma sempre più secolarizzata e materialistica. In tali circostanze gli operatori pastorali sono tentati di adottare non solo efficaci modelli di gestione, programmazione e organizzazione tratti dal mondo degli affari, ma anche uno stile di vita e una mentalità guidati più da criteri mondani di successo e persino di potere che dai criteri enunciati da Gesù nel Vangelo. Guai a noi se la Croce viene svuotata del suo potere di giudicare la saggezza di questo mondo! (cfr1 Cor 1,17). Esorto voi e i vostri fratelli sacerdoti a respingere questa tentazione in tutte le sue forme. Voglia il Cielo che possiamo salvarci da quella mondanità spirituale e pastorale che soffoca lo Spirito, sostituisce la conversione con la compiacenza e finisce per dissipare ogni fervore missionario! (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 93-97).

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