AGOSTO aperto |
Giovanni Maria Vianney (Lione, Francia, 1786 – Ars 4 agosto 1859), «Santo curato» di Ars per un quarantennio, attirò moltitudini di persone di ogni estrazione sociale con le sue catechesi e con il ministero della riconciliazione. Uomo di austera penitenza, unì alla profonda vita interiore, incentrata nell’Eucaristia, un generoso impulso caritativo. E’ modello della cura d’anime nella dimensione parrocchiale.
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Alla scuola di S. Giovanni Maria Vianney
di Antonio Savone
A scuola di umiltà
Il Curato d’Ars era un umanamente povero, non dotato di chissà quali capacità o risorse. Ha impiegato non poco per diventare prete anche se ben presto aveva cominciato a pensare a questa scelta di vita. Fu ordinato a 29 anni superando non poche traversie nelle quali emergeva la sua tenacia a voler rimanere fedele alla vocazione che egli riteneva ricevuta da Dio proprio mentre faceva esperienza dell’inadeguatezza dei suoi mezzi umani. Non aveva una memoria brillante, faticava ad intendere e a discernere: si possono immaginare le umiliazioni e le sconfitte cui fu sottoposto. Esami falliti, recriminazioni di ogni tipo. L’umiltà è stata senz’altro una delle virtù che più lo ha caratterizzato.
Oggi si esalta – anche in seno alla comunità cristiana e in seno al presbiterio – chi è pieno di sé, chi ha una fiducia incondizionata nelle proprie risorse, chi non arretra di fronte a nulla. Non poche volte queste sembrano le attitudini necessarie per un candidato al sacerdozio. Tuttavia, l’umiltà è la virtù che non può mancare in un cristiano e tanto più in un prete e in chi si prepara ad esserlo. Cosa intendo? L’umiltà come consapevolezza di non meritare il sacerdozio, come consapevolezza che il dono fattoci dal Signore è infinitamente più grande di noi: io non posso essere sacerdote pensando di bastare a me stesso ma solo in una comunione da cui ricevo molto e a cui devo molto. L’umiltà come verità, per usare un’espressione di s. Teresa.
Sono prete umile? Sono un seminarista umile? Come ho vissuto e come intendo vivere la dimensione dell’umiltà? Non c’è identità sacerdotale senza umiltà. Dove manca l’umiltà cresce l’ipocrisia, si moltiplica la presunzione, aumentano le pretese tanto da non essere più capaci di dono di sé ma solo uomini che dilatano a dismisura la loro bramosia di successo.
La vicenda del Curato d’Ars è stata una scuola che lo ha plasmato sulla via dell’umiltà giorno dopo giorno: pensiamo soltanto a quante tentazioni paurose ha subìto, quanti scoramenti di disperazione!
Oggi ci fa ridere che questo giovane prete trentenne abbia avuto paura dell’inferno. E invece deve farci pensare: non siamo forse troppo disinvolti? Non viviamo con una certa sicumera alcuni doni di Dio che se solo ne avessimo consapevolezza non ci farebbero che tremare? Quale consapevolezza che lui è i il Signore?
L’atteggiamento di umiltà è propedeutico a un itinerario vocazionale ma è anche ciò che fa una seria identità di prete.
Quando manca quel confronto continuo tra la mia condizione di fragilità e il mistero santo di Dio a me partecipato ecco che il ministero diventa ripetitivo, annoiato, ci si ritrova stanchi di fare sempre le stesse cose, di vivere sempre le stesse difficoltà. Dimentichiamo così che se ripetitivi possono essere i gesti il mistero non si ripete, sempre, di nuovo, si attua e si rende presente.
Il Curato d’Ars non era mai frustrato, mai stanco, mai deluso: le sue tentazioni di fuga, infatti, non nascevano da queste esperienze ma dallo sgomento che lo prendeva ogni volta che ripensava alla incommensurabilità del dono a lui partecipato.
Mentre noi vorremmo capire tutto, scandagliare tutto, quest’uomo conosceva bene un gesto che noi abbiamo disimparato: gettarsi a terra davanti al tabernacolo proprio per assaporare il mistero di non capire e nello stesso tempo la gioia di credere e di rimanere fedele.
Il mistero della mia fragilità esalta ed illustra la magnificenza del Signore.
A scuola di ministerialità...
A scuola di preghiera...
A scuola di perdono...
A scuola di carità...
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Lunedì della XVIII settimana del Tempo Ordinario. Anno A
L'ANNUNCIO
SUBITO DOPO ORDINÒ AI DISCEPOLI DI SALIRE SULLA BARCA E DI PRECEDERLO SULL'ALTRA SPONDA, MENTRE EGLI AVREBBE CONGEDATO LA FOLLA. CONGEDATA LA FOLLA, SALÌ SUL MONTE, SOLO, A PREGARE. VENUTA LA SERA, EGLI SE NE STAVA ANCORA SOLO LASSÙ. LA BARCA INTANTO DISTAVA GIÀ QUALCHE MIGLIO DA TERRA ED ERA AGITATA DALLE ONDE, A CAUSA DEL VENTO CONTRARIO. VERSO LA FINE DELLA NOTTE EGLI VENNE VERSO DI LORO CAMMINANDO SUL MARE. I DISCEPOLI, A VEDERLO CAMMINARE SUL MARE, FURONO TURBATI E DISSERO: «E' UN FANTASMA» E SI MISERO A GRIDARE DALLA PAURA. MA SUBITO GESÙ PARLÒ LORO: «CORAGGIO, SONO IO, NON ABBIATE PAURA». PIETRO GLI DISSE: «SIGNORE, SE SEI TU, COMANDA CHE IO VENGA DA TE SULLE ACQUE». ED EGLI DISSE: «VIENI!». PIETRO, SCENDENDO DALLA BARCA, SI MISE A CAMMINARE SULLE ACQUE E ANDÒ VERSO GESÙ. MA PER LA VIOLENZA DEL VENTO, S'IMPAURÌ E, COMINCIANDO AD AFFONDARE, GRIDÒ: «SIGNORE, SALVAMI!». E SUBITO GESÙ STESE LA MANO, LO AFFERRÒ E GLI DISSE: «UOMO DI POCA FEDE, PERCHÉ HAI DUBITATO?». APPENA SALITI SULLA BARCA, IL VENTO CESSÒ. QUELLI CHE ERANO SULLA BARCA GLI SI PROSTRARONO DAVANTI, ESCLAMANDO: «TU SEI VERAMENTE IL FIGLIO DI DIO!». COMPIUTA LA TRAVERSATA, APPRODARONO A GENÈSARET.
E LA GENTE DEL LUOGO, RICONOSCIUTO GESÙ, DIFFUSE LA NOTIZIA IN TUTTA LA REGIONE; GLI PORTARONO TUTTI I MALATI, E LO PREGAVANO DI POTER TOCCARE ALMENO L'ORLO DEL SUO MANTELLO. E QUANTI LO TOCCAVANO GUARIVANO.
(Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-36)
L'ANNUNCIO |
SUBITO DOPO ORDINÒ AI DISCEPOLI DI SALIRE SULLA BARCA E DI PRECEDERLO SULL'ALTRA SPONDA, MENTRE EGLI AVREBBE CONGEDATO LA FOLLA. CONGEDATA LA FOLLA, SALÌ SUL MONTE, SOLO, A PREGARE. VENUTA LA SERA, EGLI SE NE STAVA ANCORA SOLO LASSÙ. LA BARCA INTANTO DISTAVA GIÀ QUALCHE MIGLIO DA TERRA ED ERA AGITATA DALLE ONDE, A CAUSA DEL VENTO CONTRARIO. VERSO LA FINE DELLA NOTTE EGLI VENNE VERSO DI LORO CAMMINANDO SUL MARE. I DISCEPOLI, A VEDERLO CAMMINARE SUL MARE, FURONO TURBATI E DISSERO: «E' UN FANTASMA» E SI MISERO A GRIDARE DALLA PAURA. MA SUBITO GESÙ PARLÒ LORO: «CORAGGIO, SONO IO, NON ABBIATE PAURA». PIETRO GLI DISSE: «SIGNORE, SE SEI TU, COMANDA CHE IO VENGA DA TE SULLE ACQUE». ED EGLI DISSE: «VIENI!». PIETRO, SCENDENDO DALLA BARCA, SI MISE A CAMMINARE SULLE ACQUE E ANDÒ VERSO GESÙ. MA PER LA VIOLENZA DEL VENTO, S'IMPAURÌ E, COMINCIANDO AD AFFONDARE, GRIDÒ: «SIGNORE, SALVAMI!». E SUBITO GESÙ STESE LA MANO, LO AFFERRÒ E GLI DISSE: «UOMO DI POCA FEDE, PERCHÉ HAI DUBITATO?». APPENA SALITI SULLA BARCA, IL VENTO CESSÒ. QUELLI CHE ERANO SULLA BARCA GLI SI PROSTRARONO DAVANTI, ESCLAMANDO: «TU SEI VERAMENTE IL FIGLIO DI DIO!». COMPIUTA LA TRAVERSATA, APPRODARONO A GENÈSARET.
E LA GENTE DEL LUOGO, RICONOSCIUTO GESÙ, DIFFUSE LA NOTIZIA IN TUTTA LA REGIONE; GLI PORTARONO TUTTI I MALATI, E LO PREGAVANO DI POTER TOCCARE ALMENO L'ORLO DEL SUO MANTELLO. E QUANTI LO TOCCAVANO GUARIVANO.
(Dal Vangelo secondo Matteo 14,22-36)
La fede è un cammino di verità. Pietro è voce della Chiesa intera, portavoce della questione decisiva: Se sei tu... come dire, chi sei Signore, puoi davvero camminare sulle acque? Sei un fantasma, un'illusione, un'invenzione? E' la domanda che sorge prepotente di fronte agli eventi della storia, quelli che accolgono il cammino della Chiesa, come quelli che ci attendono nel dipanarsi dei giorni. E' la domanda che percorre tutto il Vangelo, che ha affaticato cuore e menti dei teologi, dei Pastori, di ogni cristiano durante i secoli, sino ad oggi. E' la domanda che risuona nei territori di missione, in Asia come in Africa, soprattutto laddove l'annuncio del Vangelo sembra sbattere contro un muro di indifferenza che spesso si fa ostilità e atroce persecuzione. Si tratta di una domanda seria, quella di una fidanzata innamorata che vuol conoscere il suo futuro sposo. Ma può nascondere la tentazione più grande, quella capace di minare i fondamenti della fede e spegnere lo zelo abortendo la missione alla quale la Chiesa è chiamata. Una domanda subdola, la stessa affiorata sulle labbra del tentatore, all'inizio e al culmine della missione di Gesù, tra il deserto e il Golgota: se sei Figlio di Dio... Se sei tu... Domanda ineludibile, crocevia fondamentale nel cammino della Chiesa e di ciascuno di noi. La conversione quotidiana cui siamo chiamati passa attraverso lo "scrutinio" di questa domanda. Rispondervi è questione di vita o di morte, per la Chiesa, per noi, per il mondo. La Chiesa sorge dall'effusione dello Spirito Santo: essa vive, si muove, compie la sua missione per l'ordine perentorio del Signore di precederlo all'altra riva, sintesi di quelle che saranno le ultime parole consegnate agli apostoli in Galilea, prima di ascendere al Cielo: "Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo... Ecco io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo". La barca solca il mare nella notte oscura della storia, del male e del peccato: il vento è contrario e increspa il mare di onde minacciose. Una parola di Gesù e la barca salpa, da duemila anni, giorno dopo giorno, tra persecuzioni, incomprensioni, rifiuti e martiri. E Gesù è lì, e cammina accanto ad essa: è con i suoi discepoli ogni giorno mostrando l'autentico cammino, orme invisibili sul mare del nuovo e definitivo esodo che conduce l'umanità dall'Egitto della corruzione alla Terra del Regno, l'eterna libertà nella pienezza dell'amore di Dio. La barca e Gesù, un unico e identico destino, la stessa missione, l'una incarnazione visibile del Verbo eterno risuscitato dalla morte. Ma Pietro, e la Chiesa, e ciascuno di noi, portiamo le ferite del peccato, la debolezza estrema di una carne che appesantisce il cammino. La debolezza sbatte sul legno della Croce, e le difficoltà, le sofferenze, il male, la zizzania, i tradimenti, la fame, i peccati, il corso precario e tumultuoso degli eventi innescano, inevitabile, la domanda: è tutto vero o è pura fantasia? Come Israele, nel deserto, ha tentato di darsi un'immagine di Dio potente e rassicurante, pur avendo sperimentato tante volte la sua presenza attraverso il suo stesso agire. Sei tu Signore che cammini sulle acque della morte, in mezzo a questo matrimonio che fa acqua, a questa missione che non sembra dar alcun frutto, in questo ufficio che è una routine insopportabile, tra queste bollette che non riesco a pagare, tra i sorrisi beffardi e il rifiuto di chi mi sta intorno? Sei tu che cammini sui miei fallimenti? Se sei tu chiamami, che abbia un sigillo, qualcosa che mi tolga il dubbio dal cuore. Chiamami Signore! E Gesù chiama Pietro, e chiama da venti secoli la sua Chiesa, e oggi anche ciascuno di noi. Nella sua misericordia stende di nuovo il suo braccio, schiude le labbra e ci dice, anche ora: "Vieni!". E, come Pietro, come i suoi successori, come la teoria infinita di santi, conosciuti e sconosciuti, andiamo, ancora una volta obbedendo ad una sua Parola, e camminiamo, come Lui, sulla morte. Ma non basta: occorre sperimentare la verità. Pietro, per essere Pastore universale, deve scendere al fondo di se stesso e scoprire che, la domanda fondamentale, l'unica che schiuda alla rivelazione sull'autentica identità di Gesù, è la domanda che riguarda se stesso; è conoscere sino in fondo chi sia lui, Simone figlio di Giona. E non basterà quella volta sul mare di Galilea, non basterà quando, proprio dopo aver professato la fede in Gesù Messia e Figlio di Dio, si sentirà apostrofato "satana" da Gesù. Pietro dovrà scendere ancora, e scoprire sino in fondo il suo cuore adultero, traditore, apostata, complice dell'assassinio di Cristo; lui, che era convinto di non abbandonare mai quel profeta galileo che tanto amava. E, al capolinea della propria miseria ecco l'incontro decisivo, quella mano tesa, la misericordia infinita. Nella sua debolezza la potenza di Cristo, nello svelarsi della propria realtà Pietro ha conosciuto Gesù, l'amore di Dio fatto carne, tanto grande da polverizzare il peccato e la morte. Il cuore del Vangelo di oggi è dunque l'affondare di Pietro nella sua paura, nello scandalo della propria debolezza, e in quella mano tesa a rivestire di forza il suo niente; quella mano tesa a farlo risuscitare. Questo testimonierà, quando riceverà lo Spirito Santo che lo legherà indissolubilmente a quella mano tesa, istante dopo istante, nei secoli di martirio della Chiesa, di ogni cristiano. In quel momento drammatico, infatti, hanno cominciato ad aprirsi i suoi occhi sulla propria debolezza e, in essa, sull'infinito potere di Gesù, La sua realtà gli ha svelato l'identità di Gesù. La consapevolezza della sua povertà ha cancellato quel "se" che lo turbava: è questa l'esperienza decisiva senza la quale non si diventa cristiani. Se non l'hai fatta, se sei prete o vescovo, madre o padre, catechista o non so che, se vai a messa e preghi tanto e non hai questo sigillo dentro, beh non potrai seguire Cristo sino al Calvario; continuerai a dubitare, a vivere incatenato al "se" senza passare mai alla certezza del "sei tu". Per questo non riesci a perdonare, ad amare l'altro così com'è; per questo ti disprezzi e giudichi gli altri; per questo i tuoi figli, senza questa esperienza, finiscono dentro situazioni pericolose, tra canne e sesso, menzogne e crisi. C'entra poco l'età... A quindici anni come a ottanta, a trenta come a cinquanta, il "se" impedisce la libertà di seguire il Signore. Quella notte, sul mare di Galilea, Pietro ha compito profeticamente il salto nella fede che caratterizza i figli di Dio. Ha fatto l'esperienza della Pasqua, che davvero Cristo è risorto, che è vivo, che la morte è vinta. Ha toccato la mano di Dio, un appoggio saldo che gli ha impedito di affogare. Ha sperimentato che c'è qualcuno che lo poteva tirar fuori dalla morte. Solo dopo aver conosciuto sino in fondo se stesso, ha potuto accettare che davvero nulla poteva senza Gesù; che la chiamata che lo aveva raggiunto è stata pura Grazia; che la fede, l'abbandono fiducioso a Dio, la consegna senza riserve della propria vita a Cristo, doveva passare per la scoperta della propria superbia e del proprio orgoglio, proprio attraverso il loro frutto amaro che era quel precipitare nell'abisso. Il "vento" aveva solo svelato la sua debolezza, che era mancanza di fede. Ha cominciato a guardare se stesso, e ha scoperto di essere nulla di fronte alle onde; che non aveva nulla da opporre alle tentazioni. Orgoglio, puro orgoglio di chi non guarda con fiducia a Cristo. Ma quell'esperienza era necessaria, come per te e per me. Spinto da quel "se" che portava nel cuore aveva voluto avere una prova dell'esistenza di Dio; non gli bastava restare nella "barca" dove la Parola di Gesù gli aveva "ordinato" di entrare; non gli era stata sufficiente la chiamata a "precederlo all'altra riva". Non vi era entrato con fede, ma come tutti noi, stava nella comunità dubitando; "uomo di poca fede" lo era già nella barca, dalla quale guardava a Gesù con gli occhi, debolissimi, della sua carne. E quando lo ha visto arrivare camminando sul mare in tempesta, lo ha creduto un "fantasma", insieme agli altri apostoli. Come noi, forse oggi, in questo tempo, in mezzo al "vento contrario", dubitiamo dell'annuncio della Chiesa, della Parola di Gesù che ci ha inviato all'altra riva, "ordinandoci" di entrare nel matrimonio, nel ministero, nella volontà del Padre. Ma Gesù non ci ha rifiutato, anzi. Ci sta assecondando, come ha fatto con Pietro: e ci chiama ancora, per fare l'esperienza che il nostro cuore incredulo esige. Sino a sperimentare di non avere fede... Pietro pensava che, camminando sull'acqua, avrebbe ottenuto una prova tangibile che Gesù non fosse un fantasma; invece, ha avuto la prova della propria incredulità. Eppure proprio qui è cominciata la fede. Mancava certo molto, doveva arrivare a tradire Gesù ed incontrarlo vivo sulle sponde dello stesso mare, ma nella Chiesa l'iniziazione cristiana, il cammino che conduce alla fede, inizia davvero quando si scopre di non aver fede. E c'è da preoccuparsi quando, invece, la fede si dà per scontata; nelle parrocchie, nei seminari, nei monasteri. Basta essere in parrocchia, fare qualche servizio, e questa sembra fede. Ah sì? Vediamo quando si alza il vento e le onde si increspano, laggiù, lontano "qualche miglio" dalle sicurezze della terraferma. Vediamo nella sofferenza, nel disprezzo, nei fallimenti, vediamo dov'è la fede.... Il "se" di chi guarda con occhi carnali su Cristo e che genera il guardarsi senza misericordia e il giudicarsi, è scandalo per la fede e toglie la forza e la gioia di vivere in mezzo alla morte per annunciare la risurrezione. Comprendiamo allora quanto sia importante per la Chiesa camminare ogni giorno sulla via della conversione, conoscendo più profondamente la propria debolezza e così accogliere e amare Cristo stringendo la sua mano tesa. Siamo dunque chiamati a convertirci, a smettere di guardare a noi stessi per fissare lo sguardo su di Lui attraverso la Chiesa, compiendo in essa la "traversata"; a guardarlo mentre opera nei fratelli, a nutrirci della sua Parola e dei sacramenti, per consegnargli tutti nostri beni e i nostri peccati, e imparare a vivere del suo amore. Sono proprio le onde e il vento contrario che ci aiutano a conoscere Cristo. Il nostro posto è lì, "sulla barca": basta "appena salirci per vedere il vento cessare", gustare cioè le primizie del Paradiso... Così avremo la certezza che Lui è con noi tutti i giorni, con il suo potere, sino alla fine del mondo. Che nulla potrà danneggiare la sua Chiesa, che le porte degli inferi non prevarranno su di essa, e su nessuno di noi. "Sono Io", cioè sono Dio, perché è questo il nome che Dio ha rivelato a Mosè dal roveto: "Io sono". E tanto basta. Sono queste le uniche parole capaci di darci pace in mezzo ai marosi della vita. "Coraggio", è Lui, proprio Lui, non è un fantasma, non sono ideali, filosofie, dottrine, pensieri, sogni. E' Lui, incarnato oggi dove siamo, e ci fa figli nel Figlio, vincitori in tutto. Nulla e nessuno potrà mai separarci da Lui, mai. Solo dopo questa esperienza, Pietro potrà tendere le sue mani e lasciarsi condurre dove non vorrà andare, tra le onde impetuose e il vento contrario, sulla Croce, il legno benedetto di cui è fatta la barca della Chiesa. La Buona Notizia di oggi, infatti, è che il Signore ha voluto fondare la sua Chiesa proprio su questo povero uomo; e, con lui, su ciascuno di noi. Come per Pietro. è necessario anche per noi scendere i gradini che conducono alle acque del battesimo, che significa anche inoltrarsi nell'abisso dell'incredulità per poter gridare a Cristo: "Signore salvami!". Proprio sperimentando e conoscendo la propria incredulità, una e cento volte, Pietro avrà sigillata la certezza che la fede è un dono celeste, nulla di moralistico e da strappare con i pugni e gli sforzi. E avrà conosciuto, per un'esperienza che nessuno potrà togliergli, che Gesù è l'unico salvatore. Nei secoli Pietro confermerà la Chiesa in questa fede, di fronte alle eresie, di fronte agli sbandamenti, ai timori e alle persecuzioni, riconoscendo i carismi consegnati da Dio per sostenerla nel suo cammino e nella sua missione, indicando con fermezza e certezza la rotta ispirata da Dio. Pietro confermerà la Chiesa nella fede perché ha conosciuto la propria debolezza, come Giacobbe al guado del Jabbok, come ciascuno di noi: possiamo essere padri, madri, fidanzati, operai e dirigenti, amici e studenti solo conoscendo la nostra debolezza: "Dio vi lascia in quelle tenebre per la sua gloria; qui è il vostro grande profitto spirituale. Dio vuole che le vostre miserie siano il trono della sua misericordia e le vostre impotenze il seggio della sua onnipotenza". (S. Pio da Pietrelcina). Possiamo confermare nella fede, annunciare l'amore di Dio e l'unicità della sua salvezza solo nella consapevolezza della nostra totale debolezza, nella quale si manifesta pienamente la potenza di Dio. Solo un prete che sa di non avere nulla di speciale per poterlo essere, sarà libero di spendersi nella volontà di Dio senza seguire la propria. Solo un padre o una madre che hanno conosciuto la loro totale inadeguatezza, potranno affidare a Dio se stessi e i figli, docili alla storia di salvezza che Lui prepara per tutti. Allora nessun "se" ci ingannerà e, in virtù del cammino fatto nella barca, finalmente ci "prostreremo davanti" a Lui abbandonando il nostro orgoglio, per professare la nostra fede "esclamando: Tu sei veramente il Figlio di Dio!". E la fede ci farà "approdare a Genèsaret", che significa arrivare come figli di Dio risuscitati alle nostre città, al lavoro, a scuola, ovunque, dove accogliere "la gente del luogo". In noi, infatti, essi "riconosceranno Gesù" e saranno proprio loro a "diffondere la notizia in tutta la regione". E così la Chiesa compirà la sua missione di sale, luce e lievito, e gli uomini "porteranno" a Cristo vivo in essa "tutti i malati" per "pregarlo di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello", ovvero di ascoltare l'annuncio del Vangelo, perché "quanti lo toccheranno guariranno".
APPROFONDIMENTI
αποφθεγμα Apoftegma
In Cristo, Parola definitiva della sua rivelazione,
Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno:
egli ha detto all'umanità chi è.
E questa autorivelazione definitiva di Dio
è il motivo fondamentale per cui la Chiesa è per sua natura missionaria.
Essa non può non proclamare il vangelo,
cioè la pienezza della verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso.
Giovanni Paolo II, Redemptoris missio
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