Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

lunedì 29 aprile 2013

SANTA CATERINA DA SIENA




SANTA CATERINA DA SIENA

Santa Caterina da Siena dal 1939 patrona d'Italia
PATRONA D'ITALIA E DOTTORE DELLA CHIESA

Ecco la tappe più importanti della vita e del culto di santa Caterina: nacque a Siena nel 1347, è morta a Roma all’età di 33 anni. Fu canonizzata il 29 giugno del 1461 da Pio II. Fu dichiarata patrona delle Donne di Azione Cattolica da Pio X, e nel 1939 Patrona d’Italia da Pio XII. Infine Paolo VI nel 1970 la insignì del titolo di “Dottoressa della Chiesa”. Caterina è stata la prima donna onorata con il titolo di “Maestra della Chiesa”.
Di famiglia numerosa, Caterina fin da piccola mostrò segni non comuni di una intensa vita spirituale. “Precocissima viene descritta la sua vocazione religiosa, segno dell’eccezionalità di tutta una vita: esemplare devozione, carità verso i poveri, penitenze individuali e collettive con le coetanee, fuga nell’eremo, fuori le mura della città, assistenza divina nei lavori domestici, prime esperienze mistiche; e soprattutto voto di verginità” (S. Boesch Gajano). Questo suo progetto fu fortemente ostacolato dalla famiglia (la madre specialmente) che sognava di maritarla bene e presto, fin dall’età di 12 anni. Caterina si oppose. Decise perfino di tagliarsi i capelli. Arrivarono le rappresaglie. Ma resistette e vinse. Chiese per sé solamente una stanzetta, dove creare un proprio spazio spirituale: questo diventerà per lei (diventata nel frattempo religiosa domenicana o mantellata), la sua “cella della mente”, il luogo dell’ascesi e del dialogo con Dio, del raccoglimento e delle esperienze mistiche.

Questo “spazio vitale” diventerà l’anticamera del paradiso dove poteva pregare e meditare, ed un cenacolo. Qui infatti Caterina attirerà donne e uomini, religiosi e laici, artisti e dotti “sociae et socii”, anzi “figli e figlie”, persone spesso più istruite di lei. Una piccola comunità insomma. Tutti affascinati dalla sua personalità e amabilmente guidati nel loro cammino spirituale, legati da affetto, devozione e ammirazione per lei che chiamavano “mamma”. Verranno chiamati i “Caterinati”.
 Caterina impara faticosamente a leggere e scrivere. Tuttavia ella detterà le sue lettere e i suoi messaggi: a papi e a re, a semplici fedeli sprovveduti culturalmente e a dotti cardinali, a cittadini e a generali, a casalinghe e a regine. Fino ai carcerati di Siena, che da lei sentono solo parole di gioia e di incoraggiamento materno.

Caterina è espressione viva e creativa di quella società urbana del Trecento, che diventò protagonista del rinnovamento religioso della chiesa del tempo, attuato attorno a valori come la povertà, la penitenza, la carità e le opere di assistenza. Tutto vivificato dallo sforzo di conformarsi al Vangelo. Caterina fu anche esponente di quella religiosità femminile caratterizzata da carità impegnata, e da esperienze mistiche.
“Darò il mondo a donne non dotte e fragili, ma dotate da Me di forza e sapienza”
Una di queste sembra essere stata fondamentale per il futuro impegno “sociale” della santa senese e per il coraggio dimostrato nella sua vita “pubblica”. È un curioso dialogo tra Cristo e Caterina, narrato dal suo biografo e confessore Raimondo da Capua. Caterina: “Il sesso, o Signore, vi ripugna per molte ragioni. Alle donne non spetta di ammaestrare gli altri, sia perché il loro sesso è spregevole, sia perché non conviene a un tal sesso conversare con l’altro”.
E Cristo le risponde: “Non sono io che ho creato il genere umano e ho formato l’uno e l’altro sesso? Non c’è presso di me uomo o donna, popolano o nobile, ma tutte le cose davanti a me sono uguali. Darò dunque il mondo a donne non dotte e fragili, ma dotate da me di forza e di sapienza divina, per confusione della temerarietà degli uomini maschi”. Sono interessanti le parole di Cristo che correggono “cristianizzandola” la mentalità anti femminile del tempo e quindi anche della santa, figlia del suo tempo.
Caterina è stata una di queste donne, forte della forza divina, sapiente della sapienza di Dio. Questa forza la dimostrò nella sua “vita pubblica”: nell’adoperarsi per portare la pace nelle contrade di Siena, nel suo impegno a curare gli ammalati di peste, nell’impegnarsi a sollecitare la crociata presso re e principi. Nel 1376 diventò ambasciatrice della città di Firenze presso il papa Gregorio XI ad Avignone. Missione in cui ella doveva perorare la causa della crociata e la ribellione della città, il ritorno del pontefice a Roma, la pacificazione dell’Italia.
Ma anche ai santi non va tutto bene. A Caterina non riuscì la mediazione per Firenze. Anzi lei stessa fu sottoposta da alcuni teologi a vari “test” per “verificare” le sue convinzioni teologiche e le presunte esperienze mistiche. Forza che dimostrò durante il tumulto dei Ciompi a Firenze, nel 1378. Qualcuno cercò perfino di ucciderla. Era in compagnia di amici, e davanti al killer, che la cercava, lei gridò con forza: “Caterina sono io! Uccidi me e lascia in pace loro”. E gli porse il collo. Il “poveretto” fuggì via sconfitto ed umiliato.

Nel 1378 Caterina si trasferì a Roma. Fu ricevuta volentieri da Urbano VI. Su di lui ebbe un certo influsso per avviare la riforma della chiesa. I biografi e critici dicono che in complesso la sua attività “politica” non ebbe grande successo.
 Caterina parla ancora oggi a noi attraverso gli scritti. Il principale è il Dialogo della Divina Provvidenza, chiamato da lei il Libro. È strutturata come un lungo colloquio tra lei e Dio, nella quale figurano quattro principali “petizioni”: per se stessa, per la riforma della chiesa, per il mondo, per l’intervento della Divina Provvidenza.

L’interesse teologico di Caterina ruota attorno alla ricerca dell’Unione con Dio da conseguire con la carità apostolica. Il suo è un linguaggio semplice, ricco di immagini. Eccone alcune: Dio è l’albero, che affonda le radici nella terra, ma guarda e tende verso il cielo. Cristo è integrazione dell’albero: la sua Incarnazione è come l’innesto di Dio sull’albero di morte dell’uomo. Cristo è il ponte, che traghetta l’uomo oltre il fiume del peccato. La Chiesa infine è la “bottega” costruita sul ponte per dare ristoro al viandante affaticato. Caterina aveva anche una grande devozione alla Madonna. La chiamava “Maria dolce”. Parlando di Lei usava le immagini: Maria è il “campo”, è “il libro”, è la “farina” di cui è impastato Gesù, il Pane Vivo disceso dal cielo.

Profondo fu il suo rapporto con Cristo (le “nozze mistiche”) che la confortò con frequenti visioni. Morì a soli 33 anni consumata da questo amore a Cristo (lo chiamava “dolce Gesù”) e dalla penitenza.
 Una grande donna e una grande santa con un messaggio valido ancora oggi.
                                                                                       MARIO SCUDU sdb 


 
 
Preghiera a Santa Caterina da Siena per l'Italia
O sposa del Cristo, fiore della patria nostra.
Angelo della Chiesa sii benedetta.
Tu amasti le anime redente dal Divino tuo Sposo: come Lui spargesti lacrime
sulla Patria diletta; per la Chiesa e per il Papa consumasti la fiamma di tua vita.
Quando la peste mieteva vittime ed infuriava la discordia, 
passavi Angelo buono di Carità e di pace.
Contro il disordine morale, che ovunque regnava, chiamasti virilmente a raccolta la buona volontà di tutti i fedeli.
Morente tu invocasti sopra le anime, sopra l'Italia e l'Europa, sopra la Chiesa
il Sangue prezioso dell'Agnello.
O Caterina Santa, dolce sorella patrona Nostra, vinci l'errore, custodisci la fede, infiamma, raduna le anime intorno al Pastore.
La Patria nostra, benedetta da Dio, eletta da Cristo, sia per la tua intercessione vera immagine della Celeste nella carità nella prosperità, nella pace.
Per te la Chiesa si estenda quanto il Salvatore ha desiderato, per te il Pontefice sia amato e cercato come il Padre il consigliere di tutti.
E le anime nostre siano per te illuminate, fedeli al dovere verso L'Italia, l'Europa e verso la Chiesa, tese sempre verso il cielo, ne Regno di Dio dove il Padre, il Verbo il Divino amore irradiano sopra ogni spirito eterna luce, perfetta letizia.

Così sia




Decorazione dell'abside dell'oratorio di Germigny-des-Prés, 
Arca della Alleanza protetta dai due cherubini


Non si può esporre lo Spirito di Dio come una merce.
Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere.
Vedere e venire, vedere e dimorare 
vanno di pari passo e sono inscindibili.
Lo Spirito dimora nella parola di Gesù
e non si ottiene la parola mediante discorsi,
bensì mediante la costanza, mediante la vita.


Card. Joseph Ratzinger, Dio e il mondo




Dal Vangelo secondo Giovanni 14,21-26


Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui». Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


IL COMMENTO


Abbiamo bisogno di un Consolatore. Qualcuno che, dinanzi alle difficoltà, ai dubbi, alle angosce, ci sussurri che Dio ci ama, che non si è dimenticato di noi. Non possiamo fare a meno di Qualcuno che ci ricordi le parole del Signore, che le sigilli e le custodisca in noi. Qualcuno che ci dia forza e audacia, per osservare, custodire, compiere. Qualcuno che ci unisca al Signore. "Lo Spirito Santo è proprio “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono" (Benedetto XVI, Il Dio di Gesù Cristo). E' Lui il Consolatore che ci pone nell'intimità di Dio. Per questo il compimento del Mistero Pasquale del Signore è l'effusione dello Spirito Santo, il dono che, colmando il nostro cuore, non delude la speranza e ci fa partecipi della natura divina, ci fa familiari di Dio.


Queste non sono solo affermazioni di un libro di teologia, sono la nostra vita. Il dimorare in Dio, il rimanere nell'amore di Gesù non sono esperienze relegate a momenti particolari, a certi stati d'animo; non sono solo prerogative della preghiera o dei ritiri spirituali. La comunione con Dio non è questione di sentimenti. E' osservare la Sua Parola, un modo per dire che l'intimità che ci fa uno con Gesù nel Padre si realizza molto concretamente nel compiere la Sua Parola nella vita di ogni giorno. Vivere come Lui, rimanere in Lui perchè sia Lui ad operare in noi, è il segno visibile della nostra appartenenza, dell'essere trasformati in Lui.


Osservare i comandamenti, secondo l'originale greco, è un custodire dinamico, lo stesso di Maria che custodisce e mette insieme tutti gli eventi della sua storia straordinaria, meditandoli nel suo cuore. E' un custodire per far crescere, nella fecondità che suppone un processo di maturazione. E' la custodia del catecumeno, di chi ascolta i comandamenti e li riceve come i talenti della parabola, e li traffica, perchè fruttifichino. Ogni comandamento illumina e dà pienezza a ciascun aspetto della vita, per cui in ogni momento possiamo rimanere in Cristo, custodendo la sua opera in noi. Come fu in quel pomeriggio per Giovanni e Andrea che andarono e videro dove Gesù abitava rimanendo presso di Lui, è possibile anche per noi andare da Lui negli eventi concreti, alle quattro del pomeriggio, come alle sette della mattina o alle nove della sera, per vedere la sua dimora nella nostra storia e rimanere presso di Lui. Uscendo con la fidanzata, con il testo di algebra o di anatomia dinanzi agli occhi, cambiando pannolini o passando l'aspirapolvere, al mercato o sulla metropolitana, in una riunione di marketing o imbottigliati nel traffico dell'ora di punta, ogni luogo è quello giusto per dimorare in Cristo. Ascoltare e custodire in ogni istante, per vedere crescere in noi il frutto squisito dell'intimità con Lui, il dono totale del suo amore che suscita il dono di noi stessi, la gioia piena che nessuno potrà mai toglierci.


E' pur vero che noi sperimentiamo giorno per giorno l'impossibilità di compiere la Parola, di permanere nella volontà di Dio. Conosciamo i nostri limiti. Per questo ci è necessario un Consolatore, uno che che ci ripeta "Coraggio, non temere, tu sei Figlio, Dio ti ama e compirà in te la Sua opera". Abbiamo bisogno della vita di Dio, del Suo respiro di vita in noi, del soffio che ci ricrei istante per istante, che compia in noi la Parola che ci fa veri, autentici, vivi. Abbiamo bisogno dello Spirito Santo, più dell'aria che respiriamo. E' Lui l'amore di Dio che plana nei nostri cuori, ed è lo stesso amore con il quale possiamo amare Dio e il Suo Figlio e così dimorare in Loro ed Essi in noi.


Nell'Antico Testamento “Dimora” (in ebraico “mishkan”) è il termine con cui è indicato il “santuario”. Il nome sottolinea la decisione di Dio di “abitare” in mezzo al suo popolo. Dimora è stato tradotto nella versione latina della “Vulgata” di S. Girolamo con il termine “tabernaculum” (= “tenda”), da cui deriva il termine italiano più corrente di “tabernacolo”. Esso si presenta come una struttura mobile in legno, tutta rivestita d'oro, ricoperta di teli di lino pregiato: il bisso o “lino fine” che nell’Apocalisse è il tessuto con cui è rivestita la Chiesa, sposa dell’Agnello (19,8) e di “porpora”, che nell’antichità era il colore dei vestiti indossati dai principi e dagli alti personaggi, la stessa che rivestirà Cristo durante il processo che lo condurrà alla Croce. Si tratta della tenda che ospiterà l’arca nel deserto, abbozzo al Tempio che Salomone erigerà a Gerusalemme: l'origine dell'architettura come quella del culto risale all'incontro decisivo del Sinai, laddove il Popolo ha visto Dio e non è morto, e ha ricevuto come un dono, il più grande, l'Alleanza eterna con Lui. Dopo un lungo cammino iniziato con Abramo, Dio scende sul Sinai a consegnare le Tavole dell'Alleanza, la Berit, che diviene come il sigillo nuziale di un'appartenenza e un'intimità esclusive. E' l'iniziativa di Dio a far sorgere nel Popolo il desiderio e la volontà di osservare ciascuna delle Dieci Parole che costituiscono il cuore dell'Alleanza; all'origine dell'ascolto obbediente vi è l'amore gratuito di Dio. L'agire morale dell'uomo scaturisce dall'Alleanza come da una sorgente inesauribile di libertà: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto dalla condizione di schiavitù” (Es. 20,2; Deut. 5,6). 


Per questo nel cuore della Dimora vi era l'Arca dell'Alleanza nella quale erano collocate le due tavole dove vi erano incisi comandamenti; esse erano chiamate “la Testimonianza” (‘edut), che indicava, secondo la cultura orientale, le clausole di un trattato imposto da un sovrano al suo vassallo. L’arca – chiamata “aron” = “cassa”, o anche “aron ‘edut” = “arca della testimonianza” - era una piccola cassa rettangolare di circa 1,25 metri di lunghezza e 75 cm. di altezza e larghezza. Essa era separata dal resto della Dimora da un “velo”, “paroket”, di porpora e di bisso. Il luogo dove si trovava l'Arca col suo “propiziatorio” (kapporet), la lastra d’oro sulla quale incombevano i cherubini, era chiamato il Santo dei Santi e vi poteva accedere soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno, in occasione della festa dell’Espiazione di Yom Kippur. Al di qua del velo erano posti la “tavola della presentazione” coi pani e il candelabro. Questi elementi ci aiutano a comprendere le parole di Gesù. E' Lui il nuovo Mosè che ci trasmette con autorità le Parole del Padre. E' Lui che ha inaugurato per noi una nuova via all'intimità con Dio; è Lui che ha posto la Dimora di Dio tra gli uomini, annunciando e compiendo le Parole dell'Alleanza sino all'ultimo yota. Con la sua morte ha squarciato il velo che impediva l'accesso alla santità di Dio, e il suo sangue asperso una volta per tutte sul propiziatorio della Croce ci ha ottenuto il perdono, la riconciliazione e la libertà di dimorare in Dio. E' il suo Sangue che ha sancito la nuova ed eterna Alleanza, nella quale possiamo attingere forza e vigore per ogni alleanza della nostra vita: tra gli sposi, con i colleghi e gli amici, con i fidanzati e i parenti. Sino ai nemici. La sua carne offerta in riscatto per ciascuno di noi è la chiave che apre le porte della Dimora, uniti a Lui possiamo vivere ogni istante nell'intimità divina.


"Poi Mosé prese l’olio dell’unzione, unse la Dimora e tutte le cose che vi si trovavano e così le consacrò" (Lv. 8,10). Il Signore parlò a Mosé: "Procurati balsami pregiati, mirra vergine … e un hin di olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra, un unguento composto secondo l’arte del profumiere: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno, l’arca della Testimonianza, la tavola e tutti i suoi accessori, il candelabro con i suoi accessori; l’altare del profumo, l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori… Consacrerai queste cose, le quali diventeranno santissime: quando le toccherà sarà santo" (Es. 30,22-29). L'olio dello Spirito Santo che un tempo ha consacrato la Dimora e l'Arca dell'Alleanza ha poi unto Gesù per accompagnarlo nel compimento della sua missione. Lo stesso Spirito Santo unge oggi ciascuno di noi, pervade come un profumo soave ogni aspetto della nostra vita come lo fu per ogni angolo della Dimora, consacrandoci a Dio, nell'appartenenza incorruttibile sigillata nella sua Alleanza. Come Davide quando ha introdotto la dimora a Gerusalemme, possiamo anche noi danzare ad ogni passo, nella consapevolezza di essere testimoni di un amore infinito, custodi dell'Arca e del suo prezioso contenuto. La Dimora di Dio è la nostra dimora, perchè la sua Vita è ormai la nostra vita.Nulla ci può più turbare, lo Spirito Santo ci ha fatti figli, e, come Israele, ovunque ed in ogni circostanza l'Arca dell'Alleanza ci farà più che vincitori nelle tentazioni e nei combattimenti di ogni giorno. Portiamo infatti ovunque in noi il morire di Cristo, nella sessualità, nelle parole, nei pensieri, nel lavoro, nell'amicizia, nella relazione con i genitori e nell'educazione dei figli, nella malattia e nella precarietà, in ogni nostro atto, perchè appaia in noi anche lo splendore della sua Resurrezione, la bellezza del Santo dei Santi. 


Per questo il Signore si manifesta ai discepoli e non al mondo, come già fu con Israele, eletto per testimoniare ad ogni generazione l'esistenza e la presenza di Dio con gli uomini. In Cristo, Dimora incarnata di Dio, i cristiani, unti (cristi) dello dello stesso Spirito, testimoniano nella propria vita, portando in sé l'Arca dell'Alleanza, l'amore infinito di Dio per tutti gli uomini, speranza e segno tangibile della sua dimora tra di loro. Sulla nostra vita vigilano i cherubini, come dinanzi alla tomba vuota del Signore, a segnare il cammino di ritorno al Paradiso già da loro sbarrato, la dimora eterna preparata da Dio in Cristo suo Figlio. E' lo Spirito Santo che rende attuale in ogni nostro giorno l'esperienza unica del Sinai, nel dono rinnovato dell'Alleanza e nel potere di ascoltare e compiere ogni comandamento.


Lo Spirito Santo è Colui che ci fa uno con Dio, che ci trasporta, per così dire, nella profondità divina per colmarci della Sua natura. Non si tratta così di sforzarci, di impegnarci, di buona volontà. Non basta. L'agape è dono che viene dal Cielo. Amare Gesù è soprattutto quella rettitudine di intenzione che si coniuga nel desiderio di Lui, nel custodire trepidanti le sue Parole di vita, come si custodisce gelosamente la cosa più cara. Amarlo perchè prenda dimora insieme con il Padre è gemere attraverso lo Spirito Santo implorando di compiere in noi quanto non siamo capaci, perchè senza di Lui non possiamo fare nulla, non siamo casti, sinceri, generosi, pazienti, mansueti, rispettosi. Senza di Lui non sappiamo amare, e così amarlo è soprattutto un desiderio ardente di poter finalmente amare. Questo dono oggi è pronto per noi, come ogni giorno. In esso è custodita la memoria della vita di Cristo e delle sue Parole, come nell'Arca era custodita l'Alleanza che faceva dimorare Dio in mezzo al Popolo; per lo Spirito Santo che ha unto la Dimora e il Signore Gesù, possiamo ricordare, credere, sperare, amare. E' il Consolatore che il Padre ci dona perchè ci ama e ci ha legati a sé, eternamente. Perchè "solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere" (Benedetto XVI, idem).




San Gregorio Magno (circa 540-604), papa, dottore della Chiesa Omelie 30, 1-10



« Lo Spirito v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto »

Sarà lo Spirito ad insegnarvi ogni cosa. Infatti vana è la parola di coloro che insegnano, se il cuore di coloro che ascoltano non viene toccato dallo Spirito. Nessuno dunque attribuisca ad un maestro umano l'intelligenza che egli ha del suo insegnamento. Se il Maestro interiore non c'è, la lingua del maestro esteriore parla al muro. Tutti voi udite la mia voce nello stesso modo ; eppure non comprendete nello stesso modo quello che udite. La parola del predicatore è inutile se essa non è capace di accendere nei cuori il fuoco dell'amore. Avevano ricevuto quel Fuoco, per bocca della Verità, coloro che dicevano : « Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le scritture ? » (Lc 24, 32). Quando si ode una omelia, il cuore si scalda, e lo spirito comincia a desiderare i beni del Regno dei cieli. L'amore autentico che lo riempie gli strappa lacrime, ma questo ardore lo riempie pure di gioia. Quanto allora siamo felici di udire questo insegnamento che viene dall'alto e diviene in noi come una fiaccola che brucia, ispirandoci parole di fuoco ! Lo Spirito Santo è il grande artefice di queste trasformazioni in noi.





Cardinale Joseph Ratzinger [Papa Benedetto XVI]

Der Gott Jesu Christi (Il Dio di Gesù Cristo)




« Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome»



A differenza delle parole “Padre” e “Figlio”, il nome dello Spirito Santo, la terza persona divina, non è l’espressione di una specificità; esso designa invece ciò che è comune a Dio. Ora proprio in questo consiste ciò che è “proprio” alla terza persona: Lei è “ciò che è in comune”, l’unità del Padre con il Figlio, l’Unità in persona. Il Padre e il Figlio sono una cosa sola nella misura in cui vanno oltre se stessi; sono una cosa sola in quella terza persona, nella fecondità del dono. Tali affermazioni non potranno mai essere altro che dei modi di avvicinarci; non possiamo riconoscere lo Spirito se non nei suoi effetti. Pertanto la Scrittura non descrive mai lo Spirito Santo in sé; parla soltanto del modo in cui egli viene verso l’uomo e in cui si distingue dagli altri spiriti...



Giuda Taddeo chiede: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi a non al mondo?” la risposta di Gesù sembra passare accanto alla richiesta: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” In verità, questa è proprio la risposta esatta alla domanda del discepolo e alla nostra domanda riguardo allo Spirito. Non si può esporre lo Spirito di Dio come una merce. Solo chi lo porta in sé, lo potrà vedere. Vedere e venire, vedere e dimorare vanno di pari passo e sono inscindibili. Lo Spirito dimora nella parola di Gesù e non si ottiene la parola mediante discorsi, bensì mediante la costanza, mediante la vita.

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