Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

mercoledì 3 aprile 2013

Due discepoli di Gesù erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus ...


E partirono senz’indugio e fecero ritorno a ...


Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto
 ... ed-e-apparso-a-simone. da blog di costanzamiriano








Dio non è venuto a spiegare la sofferenza:
è venuto a riempirla della sua presenza


Paul Claudel












Lc 24,13-35


Nello stesso primo giorno della settimana, due discepoli di Gesù erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Èmmaus, e conversavano di tutto quello che era accaduto. 
Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.
Ed egli disse loro: “Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”.
E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”.
Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.


Il commento




Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele... La Pasqua, Cristo nostra Pasqua, giunge in questo cammino a ritroso, sui passi che ripercorrono il nostro antico andare dietro di Lui, nel ricordo che si fa ogni giorno, ogni istante di più, struggimento, delusione e rimpianto. Come quando sfogliamo le foto di qualcosa di bello che non è più, i luoghi, i sorrisi, e quel volto che ci aveva rapito il cuore, quel sorriso, quell'inconfondibile tenerezza che ci aveva scossi e mossi a fissare tutto noi stessi in Lui; pensieri, corpo, cuore in uno Shemà innamorato, totalizzante, quel tutto che aveva afferrato tutto e che ora non è più. Il cammino dei due discepoli di Emmaus è il cammino dell'amore deluso, perché la speranza è sempre frutto della felicità indomita dell'amore. E' l'amore che ha spinto Maria Maddalena ad incollarsi piangente dinanzi alla tomba del suo Signore. E' l'amore strozzato, il compimento assaporato e strappato via, che inchioda i due di Emmaus ad un ricordo colmo di nostalgia. La tristezza stampata sul loro volto, la tristezza che San Tommaso definisce come l'attesa di un bene assente. Assente Cristo, tutto diviene triste.



Scriveva la scrittrice spagnola Maria Zambrano che l’amore "trascende sempre, la sua promessa indecifrabile squalifica ogni raggiungimento, ogni realizzazione... L’azione dell’amore, il suo carattere di agente divino nell’uomo, si riconosce soprattutto da quell’affinamento dell’essere che lo patisce e lo sopporta. E anche da uno spostamento del centro di gravità dell’uomo. Perché essere uomini significa essere stabili, significa pesare, pesare su qualcosa. L’amore provoca non la diminuzione bensì la scomparsa di quella gravità… Il centro di gravità della persona si è trasferito alla prima persona amata e, nel momento in cui la passione svanisce, resterà quel movimento, il più difficile, dello stare “fuori di sé”… Vivere fuori di sé per vivere oltre se stessi. Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabile, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente" (L’uomo e il Divino). E' questa l'esperienza dei due discepoli sul cammino di Emmaus, un percorso duro, quello che conduce alla scomparsa della gravità, del fondamento umano che ci fa familiare la vita, che ci concede di gestire gli affetti, il lavoro, in un recinto che garantisca, senza sussulti, l'esistenza. L'incontro con Gesù aveva sconvolto la mappa faticosamente disegnata, nella quale ritrovare ogni cosa al suo posto, indirizzi certi dove traghettare i giorni; la chiamata di Gesù, quella che ha raggiunto i discepoli sul mare di Galilea, al banco delle imposte, quell'irresistibile sguardo d'amore, li aveva attirati in un esodo inaspettato verso la promessa indecifrabile che squalifica, rende piccola e quasi meschina ogni altra realizzazione; Gesù aveva svelato la friabilità d'ogni altra speranza, di qualunque desiderio; il suo amore aveva, irrevocabilmente, messo a nudo l'inconsistenza di tutto quanto non fosse Lui o in Lui, di ogni pensiero e affetto che non scaturisse da Lui. Quella chiamata li aveva segnati e santificati, messi a parte per un altro centro di gravità. 


E ora i due di Emmaus, immagine d'ogni discepolo, stavano patendo la purificazione decisiva, quello che passa per la scomparsa dell'amato stesso, dell'origine di quella svolta così travolgente che aveva segnato l'inizio della sequela. Era svanita la passione, si doveva compiere quel volo al di fuori di se stessi, la stessa esperienza della Maddalena sulla soglia del sepolcro. Sulla strada verso Emmaus i due discepoli, immagine della Chiesa e di ciascuno di noi, avevano intrapreso, inconsapevolmente, il movimento più difficile, quello dello stare fuori di sé, l'attitudine che volge l'uomo nella sua interezza verso l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua in chi lo sente.


Con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. I discepoli si trovano ancora nel sepolcro, in quel lasso di tempo dove avviene la purificazione decisiva e la sofferenza giunta al suo apice lascia spazio alla morte, all'abbandono di ogni speranza, allo sfinimento impotente della carne. Sì, il passo decisivo doveva attraversare la delusione più cocente, doveva essere sottratto tutto, anche Lui! I due discepoli si trovano in quell'anfratto dell'esistenza che è il Sabato Santo, il sepolcro che avvolge ogni certezza acquisita, lo svuotamento di ogni umana speranza. Il sepolcro, seno fecondo dove è gestata una vita nuova, viscere benedette dove il seme dell'amore immortale purifica ogni passione, il dolore che brucia ogni residuo dell'illusione.


Paul Claudel scriveva che "tutta la sofferenza che c'è nel mondo non è la sofferenza dell’agonia, ma il dolore del parto". Il dolore acuto che percuoteva il petto dei discepoli era dunque il dolore del parto, la sofferenza di una travaglio che conduce a un amore nuovo, al compimento di quello che l'ardere del nostro cuore realmente desidera. Nel "discutere" dei discepoli di Emmaus scopriamo la nostra incapacità di dare un senso agli eventi di dolore e fallimento della nostra vita, l'impossibilità di accogliere ciò che trascende la nostra ragione, la difficoltà di definire e accogliere in esso un amore che brucia le scorie dell'egoismo, dell'autocompiacimento, della consolazione. Dietro a tante, forse a tutte, le nostre discussioni, ai nostri discorsi, alle nostre interminabili ricerche di verità e di soluzioni, dietro ai sofismi e alle indagini circa i responsabili dei mali che ci affliggono e deturpano il mondo, dietro alla quasi totalità dei nostri pensieri e delle nostre parole vi è una speranza delusa. Meglio sarebbe dire una speranza buttata. 


Come per i discepoli, è Cristo la nostra speranza, l'incontro con Lui ci ha stregati. Lo abbiamo seguito, ma non perché abbiamo visto dei segni, semplicemente perché abbiamo mangiato il pane e ci siamo saziati, riempiendo il vuoto che umilia la carne. Ma il sopraggiungere della Croce, la deposizione di quello stesso pane nel sepolcro, il suo permanere in quell'oscurità priva di vita, ha fatto saltare gli schemi, quel pane che ci aveva saziati è divenuto un pane inaccettabile, un "discorso duro" da mandar giù. Abbiamo sperato in Gesù, ma non in Gesù crocifisso. Per noi, la gloria che attendiamo e speriamo, per essere proprio quella che i nostri cuori carnali desiderano, deve eludere la croce. Cancellare i problemi. Eliminare i fallimenti, le solitudini, la maggior parte di quel che ci tocca vivere ogni giorno. E discutiamo, litighiamo, ci appassioniamo, indaghiamo, scartavetriamo ogni angolo dell'esistenza mentre gli occhi guardano e non vedono, inchiodati alla maledizione di "chi confida nell'uomo e nella carne", di colui che "quando viene il bene non lo può vedere". Viene il Signore e non lo riconosciamo, la carne desidera vedere altro, e neanche può sospettare qualcosa che non solo compia i suoi angusti desideri, ma che li superi, li trascenda e apra orizzonti vasti come l'infinito. Anche la predicazione non è sufficiente, "l'annuncio delle donne che hanno visto gli angeli e il sepolcro vuoto", troppo deboli gli indizi per chi aveva "dimenticato e non compreso le parole dei profeti e del Signore stesso", "quel parlare era rimasto oscuro". Neanche l'annuncio di Pietro e di Giovanni corsi al sepolcro erano bastati: Lui non l'hanno visto, perché la carne vuole la carne, la speranza di libertà che portiamo dentro vuole vedere realizzarsi quella, di altro non è capace, non le serve.




Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Gesù è lì, accanto ai discepoli come a noi. Ci parla, ci pone domande, ci cerca. Ma noi, dove siamo? Dove son perdute le nostre ore, tra angosce e mormorazioni? Quali speranze hanno fagocitato la nostra vita facendone un'unica, interminabile disputa con tutti e su tutto? La nostra esistenza, una campagna elettorale permanente, sulla via che fugge da Gerusalemme. Gesù ci appare come l'unico "così estraneo ai nostri pensieri da non sapere quel che è successo". Questo è quel che pensiamo di Lui, un estraneo ai nostri bisogni, alle nostre lacrime, alle nostre speranze. Certo, probabilmente non bestemmiamo, preghiamo e andiamo in Chiesa, ma il cuore è avariato, spera male ed è strozzato nella delusione.


Ma Gesù non è lontano, proprio quando non lo riconosciamo e la fede fa acqua, il suo amore infinito lo spinge sino al bordo della nostra vita, e Lui sì che ci riconosce. Lui sì che conosce quello che si agita nei nostri cuori. Lui intercetta con uno sguardo di mite misericordia i nostri occhi tristi. Gesù sa quello che gli è successo! "Stolti e tardi di cuore", non abbiamo compreso il cuore della nostra vita raggiunta da Cristo, come i due di Emmaus "non avevano compreso il senso profondo delle Scritture": gli eventi occorsi a Gerusalemme nei giorni più santi della storia, quelli che hanno infranto la loro speranza, riguardavano Lui perché riguardavano loro! Tutto era accaduto per loro! Gesù non era "così forestiero in Gerusalemme" da non sapere, era molto di più, era Lui il "profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo" ucciso sulla Croce! Era Lui che, proprio nella morte e nella discesa nel sepolcro si era fatto il più prossimo a loro, sino a discendere nell'abisso più profondo della loro speranza infranta. Era apparso lì in quell'istante con carne e parola, ma non aveva smesso un istante di essere con loro, a camminarvi accanto, il più familiare di tutti. No, Gesù non è un estraneo, Gesù è dentro ogni avvenimento della storia, nei campi di concentramento e nelle camere a gas, nei sussulti della terra terremotata e sommersa dagli tsunami, laddove si abortiscono bambini innocenti, nella terra insanguinata dalla guerra, negli ospizi della solitudine, ovunque si sopprimano vite che per il mondo non hanno più nulla da dire, laddove i bambini son violati, e donne stuprate, e ovunque la violenza e l'ingiustizia, la terribile banalità del male gonfia il mondo di dolore; Gesù è nelle nostre case, negli uffici e nelle scuole, negli ospedali e negli ingorghi. Gesù è nelle ansie e nelle difficoltà del matrimonio, nella fragilità dei figli, nel timore del fidanzamento, nella fatica del lavoro e dello studio, nella stanchezza della malattia. Gesù è al centro di ogni Gerusalemme disseminata nella storia di ogni uomo, dove "i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso", per salire al Golgota, discendere nel sepolcro e risorgere vittorioso. Gesù è con noi, con ogni uomo, sempre.


E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Come ai due di Emmaus, ci annuncia il Vangelo, ci parla della Storia d'amore di Dio con il suo popolo, ci ricorda la fedeltà, l'alleanza, le profezie. Ci apre il cuore alle Scritture, svelando il profondo del Suo proprio cuore: Lui doveva soffrire, doveva morire, non poteva far altro che amare di quell'amore assoluto, infinito, che supera le barriere della morte e della carne. L'amore sino alla fine. Speriamo male perché non capiamo di sperare il suo amore credendo di sperare altro, soluzioni, successi affettivi, lavorativi, economici, e Gesù ad esaudire, magari spruzzandoci su qualche goccia di acqua benedetta. Mentre in ogni nostra speranza è inscritto il Suo amore, basta riconoscerlo. E sapere di sperarlo.Abbiamo ricordi ma non memoria, ed essi si fanno nostalgia, laddove il memoriale, invece, aprirebbe alla speranza, come è accaduto alle donne accostatesi al sepolcro, come poi anche ai due di Emmaus, per incontrarsi con "la novità di Dio: Gesù è risorto, è il Vivente!... E i due uomini in abito sfolgorante introducono un verbo fondamentale: «Ricordatevi come vi parlò, quando era ancora in Galilea… Ed esse si ricordarono delle sue parole» (Lc 24,6.8). E’ l’invito a fare memoria dell’incontro con Gesù, delle sue parole, dei suoi gesti, della sua vita;ed è proprio questo ricordare con amore l’esperienza con il Maestro che conduce le donne a superare ogni timore e a portare l’annuncio della Risurrezione agli Apostoli e a tutti gli altri. Fare memoria di quello che Dio ha fatto e fa per me, per noi, fare memoria del cammino percorso; e questo spalanca il cuore alla speranza per il futuro. Impariamo a fare memoria di quello che Dio ha fatto nella nostra vita!" (Papa Francesco, Omelia nella Veglia Pasquale, 30 marzo 2013).


Un personaggio di un film di Bergman, il sacrestano di Luci d’inverno, invita il pastore in crisi di fede a fissare la sofferenza di Cristo: «Pensi al Getsemani, signor pastore. Tutti i discepoli si erano addormentati. Non avevano capito nulla. Ma non era ancora il peggio. Quando il Cristo fu inchiodato sulla croce e vi rimase, tormentato dalle sofferenze, esclamò: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Il Cristo fu preso da un grande dubbio nei momenti che precedettero la sua morte. Dovette essere quella la più crudele delle sue sofferenze. Voglio dire il silenzio di Dio». In quel silenzio Gesù si era fatto nostro compagno di viaggio, in quella mancanza di speranza, in quella disillusione, in quell'abbandono, sulla via verso Emmaus.


Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Ed ecco si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Per questo Gesù si fa presente in Parola e carne, nella Chiesa, nella predicazione e nei sacramenti, si mostra vivo come nostro compagno di viaggio, per educarci a guardare, per insegnarci a fare memoria e cominciare a sperare. Il suo amore che scaturisce dalle sue parole ci apre gli occhi. Il suo corpo donato ci svela l'oggetto vero del desiderio nostro più profondo: saziarci di Lui, mangiare del Suo amore deposto laddove noi non vediamo amore alcuno, nell'abbandono di ogni speranza. Conoscere questo amore e in esso riposare. Il Pane spezzato diviene allora il segno che sino ad allora eravamo incapaci di decifrare, il segno luminoso nell'oscurità di ogni altro segno. E' laddove dove tutto è fallito e nulla può più saziare che quel Pane spezzato diviene segno e significato, Gesù Cristo stesso, il Pane che non perisce. Dove tutto si corrompe, l'incorruttibile Pane del Cielo diviene l'unica Verità, incontestabile perché deposta proprio laddove tutte le altre presunte verità si sono rivelate menzogne.


Così, sorge nei discepoli, al limite estremo della delusione, la memoria destata da quella sua presenza fatta parola, annuncio e poi pane. Sorge lì, nell'abisso del dolore, il desiderio autentico, e il cuore spicca il volo decisivo: "resta con noi!" Resta nella nostra notte, vogliamo il Pane capace di saziare la notte, per vivere nella notte del dolore, del nulla, della solitudine, della paura. Vogliamo il pane della Vita nella morte. E così imparare a sperare, in tutto, niente altro che Lui. E riconoscere che tutto, anche i dolori, le angosce, i fallimenti, i tradimenti, le malattie, le ingiustizie disseminate nella nostra vita e nella storia, che proprio tutto, in ogni istante, ci dona e consegna Lui, il Pane sostanza quotidiana, la volontà di Dio compiuta perché anche noi la si possa compiere. Dire Amen nel ricevere il suo Corpo significa allora accogliere, con la bandiera bianca di chi si è arreso, l'unica autentica possibilità offerta alla nostra vita: entrare con Lui nella morte che ci attende, nella volontà del Padre che è la Pasqua di liberazione, per risorgere ad una vita nuova, trasfigurata, purificata da ogni concupiscenza. "Amen", "è certo e degno di fede" il tuo amore, in questo pane è seminato l'alimento della volontà di Dio compiuta e offerta perché, cibandocene, possiamo sperimentare il mistero di un amore che supera la morte, e gustare la sua vita che assorbe la nostra nel compimento gratuito del suo mistero pasquale. In tutto Lui è entrato e ne è uscito vittorioso. Sì, ogni momento della nostra vita è pieno di Lui, del suo amore, e vivere pienamente non è altro che riconoscerlo, di fermarsi con Lui, di saziarsene.


Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture? Ecco la notizia meravigliosa del Vangelo di oggi. Il nostro cuore arde e non ce ne rendiano conto. Tutto di noi spera il Suo amore e non lo sappiamo. Per questo Lui si avvicina, cammina con noi, ci seduce con la sua Parola e ci sospinge a desiderare che resti con noi, che la predicazione che ci aveva arso il cuore si faccia qualcosa di più, diventi carne, vita nella nostra vita. Lui accende il desiderio, ed è l'opera della stoltezza della predicazione della Chiesa intrisa di Spirito Santo, della stessa presenza del Signore risorto. E Lui, dopo essersi fatto breccia nei cuori come il desiderato, si fa desiderio appagato, entra con noi nella nostra notte, e ci apre gli occhi su quello che Lui, da sempre, ha seminato in noi. Il pane spezzato dischiude i nostri occhi sul Suo volto, perchè la nostra speranza ad esso si rivolga, e non rimanga delusa. Ogni giorno. Come recita il verso del Paradiso: «Già non attendere’ io tua dimanda,/ s’io m’intuassi, come tu t’immii» (IX,80-81); Giussani commentava: «Una frase potente, strapotente, tutta quanta nata dalla frase di san Paolo: “Vivo, non io; sei Tu che vivi in me”. Questa è la grande norma… “intuarci”, renderci “tu”, così come Egli è diventato nostro, come Egli è diventato uomo, è diventato te, perché chiamandoti è diventato te… Tu accetti e desideri di amarlo: da’ te stesso per lui» (Le mie letture). La vita consegnata a Lui, vita nella Vita, pane nel Pane, in una relazione pura, celeste, dove la sua stessa assenza, il suo sparire dalla vista si traduce in uno zelo e un ardore che bruciano le distanze, la carne, e abbraccia il mondo. La sua assenza diviene così presenza ancor più intima, in un amore che spinge e urge ad annunciarlo; una conoscenza nuova, un'intimità che apre ad un amore infinito, un desiderio di salvezza che raggiunga ogni uomo, un "guai a me se non annunciassi il Vangelo" che pervade ogni istante, in un dono e una consegna di se stessi che ci fa, ogni istante, più intimi all'Amato. E' il paradosso di Emmaus, l'assenza diviene la presenza più autentica e colmante, traboccante, al punto di divenire un fiume in piena che tracima, e nutre, e feconda, e sazia il mondo. Perdere la vita è ritrovarla, perdere Cristo dalla vista carnale è ritrovarlo vivo e più intimo che mai nell'annuncio del Vangelo, nel dimenticare se stessi, nell'amore che ci ha colmati ben oltre ogni limite. Così, in Cristo, perdere lungo la vita per gli eventi, anche per gli stessi peccati, la relazione schiacciata nella sola carne con il coniuge, con i figli, il fidanzato o l'amico, è ritrovarla nuova, purificata, libera: perdere l'egoismo che fa dell'altro la mia speranza per diventare io speranza per lui, testimone e annunciatore della parola e carne risorta di Cristo cui possa consegnare la propria vita.

E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Correre, senza perdere un istante, come Maria un istante dopo aver ricevuto l'annuncio dell'angelo, verso il mondo, a deporre nel sepolcro di questa generazione il seme della Vita che non muore, Cristo risorto unica speranza. Correre senza indugio ad incontrare ogni uomo pellegrino senza meta, triste per l'attesa di un bene assente, di un bene per la propria vita che non vede da nessuna parte e che si fabbrica in illusioni moralistiche o libertine. Come diceva don Giussani al Sinodo del 1987, "Ciò che manca non è tanto la ripetizione verbale dell'annuncio quanto l'esperienza di un incontro". Solo chi, come i discepoli sulla strada di Emmaus, ha incontrato Cristo vivo e si è lasciato attrarre da Lui sino a vivere la sua stessa vita, può percorrere le strade delle infinite Emmaus deluse di questa generazione, farsi compagno di viaggio dell'infinita schiera di tristi e delusi viandanti, e innescare il fuoco della speranza nei loro cuori disperati.











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promemoria! CARLO CARRETTO IL DESERTO NELLA CITTÀ


«Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo....

Oh, Signor mio, non passare ti prego, senza fermarti da kairòs



Il canto si chiama "Abramo", riporto di seguito gli accordi...

ABRAMO. (Gen 18, 1-5)

La- Re-
C. Faceva caldo quel giorno
Mi
quando Abramo
La-
era seduto davanti alla sua tenda.
Re-
Faceva caldo quel giorno
Mi
quando Abramo
La-
era seduto sotto la quercia di Mamre.
Sol Fa
Alzati gli occhi guardò
Mi
ed ecco tre uomini in piedi,
La-
gli stavano davanti.
Mi
Appena li vide
si inchinò fino a terra
La-
e disse:
Sol
O Signor mio
Fa
non passare ti prego
Mi
senza fermarti!


La-
A. SENZA FERMARTI!
Sol
NON PASSARE TI PREGO
Fa
SENZA FERMARTI
Mi
SENZA FERMARTI!


La- Mi
C. Vi porterò un po' d'acqua,

vi laverete i piedi
La-
e vi riposerete all'ombra.
Mi
Vi porterò un boccone,

vi rifocillerete
La-
e poi andrete oltre.
Sol Fa
Non per caso siete passati oggi
Mi
davanti a me.


La-
A. O SIGNOR MIO
Sol
NON PASSARE TI PREGO
Fa
SENZA FERMARTI
Mi
SENZA FERMARTI!
La-
SENZA FERMARTI
Sol
NON PASSARE TI PREGO
Fa
SENZA FERMARTI
Mi
SENZA FERMARTI!

* * *
Da ieri mattina abbiamo iniziato a vivere il Tempo "Ordinario", cioè il tempo (Kairòs) che dà il nome a questo blog e che significa tempo "favorevole" per convertirci a Dio, tempo di vigilanza sulla storia, su ogni singolo evento che la vita ci proporrà e che non capiterà mai a caso, perchè niente, assolutamente nulla capita "a caso", su tutti i fratelli che incontreremo, tutti gli sguardi che incroceremo, su ogni singolo atto che porremo in essere e che avrà un valore incalcolabile, potremo decidere se accogliere Dio nella nostra vita o no, tragicamente: Dio passerà tante volte accanto a noi, e noi dovremo ogni volta tremare e con Agostino pregare così: "timeo Dominum transeuntem...", ho paura del Signore che passa, tanta paura, perchè se quando Lui passerà io starò pensando ad altro... Lui passerà ed io sarò fregato (perdonatemi il lessico, ma qui ci stava proprio bene!) e dovrò aspettare che Lui ripassi..., se ripasserà per me, se avrò un altro Kairòs, un'altra possibilità...Forse sì, ne avrò tante altre... o forse no, forse non ne avrò più. (1)


Preghiamo con l'orazione delle Lodi di ieri, lunedi della prima settimana del Salterio:


"Ispira le nostre azioni, Signore, ed accompagnale con il Tuo santo aiuto: perchè ogni nostra attività abbia da Te il suo inizio e in Te il suo compimento. Per Cristo nostro Signore."

L'orazione delle Lodi di questa mattina diceva:


"Accogli con bontà, o Signore, la preghiera mattutina della Tua Chiesa e illumina con il Tuo Amore le profondità del nostro spirito, perchè siano liberi dalle suggestioni del male coloro che hai chiamati allo splendore della Tua luce. Per Cristo nostro Signore."


Immaginate: "coloro cha hai chiamati allo splendore della Tua luce", ma chi saranno mai? Siamo noi, sono io! Proprio vero quello che dice Paolo: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio..." (Rm.11,33).


La lettura breve dell'Ora Nona diceva:


"Felice l'uomo che è corretto da Dio: perciò tu non sdegnare la correzione dell'Onnipotente, perchè Egli fa la piaga e la fascia, ferisce e la Sua mano risana" (Gb.5,17-18).


Queste che ho riportato sopra sono solo alcuni esempi tratti dalla Liturgia celebrata nelle ultime ore, perchè capiamo quanto Dio ci ama. Immaginate: solo da ieri mattina alle 15.00 di oggi Dio ci ha ispiratoaccompagnatoaccoltoilluminato, liberato, corretto, piagato, fasciato, ferito, risanato. Non male, eh?


(1): Mi permetto di rimandare al post dal titolo "L'urlo" del 17 novembre 2010.

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