Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

martedì 7 aprile 2015

Ma chi cerchiamo davvero?


Martedì in Albis



αποφθεγμα Apoftegma

Ogni cristiano rivive l’esperienza di Maria di Magdala. 
E’ un incontro che cambia la vita: 
l’incontro con un Uomo unico, 
che ci fa sperimentare tutta la bontà e la verità di Dio, 
che ci libera dal male non in modo superficiale, momentaneo, 
ma ce ne libera radicalmente, 
ci guarisce del tutto e ci restituisce la nostra dignità. 
Ecco perché la Maddalena chiama Gesù "mia speranza": 
perché è stato Lui a farla rinascere, 
a donarle un futuro nuovo, 
un’esistenza buona, 
libera dal male. 
"Cristo mia speranza" significa che ogni mio desiderio di bene 
trova in Lui una possibilità reale: 
con Lui posso sperare che la mia vita sia buona e sia piena, eterna, 
perché è Dio stesso che si è fatto vicino 
fino ad entrare nella nostra umanità.

Benedetto XVI

L'ANNUNCIO
Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma và dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 20, 11-18)

Anche noi, con la Maddalena, cerchiamo oggi qualcosa o qualcuno. Ma chi cerchiamo davvero? Tutti abbiamo il desiderio di qualcuno nel quale trascenderci e amare. E' un "santo desiderio", il sigillo del Creatore nel cuore e nella mente della creatura. Ma occorre un cammino di purificazione. Non si tratta di cercare il Signore in un posto qualsiasi, un "altrove" della nostra vita, diverso da quello che essa è oggi. Come Maria dinanzi alla tomba vuota, siamo smarriti. Vorremmo poter piangere la disfatta, il fallimento della nostra vita, e un posto dove accarezzare il nostro dolore, legittimando lo sconforto, sdoganando la tristezza. Vorremmo riportare il Signore laddove lo abbiamo visto deporre, come per decretare a noi stessi e al mondo l'esito fallimentare di un amore, di un lavoro, di un'amicizia, della missione. Quella tomba sigillata è l'unica certezza, l'abbiamo vista, ci è quasi familiare, il luogo dove piangerci addosso, e stabilirci, prendere dimora nell'unica identità che ci sembra conveniente e adeguata per noi: quella di una persona contro la quale il destino ha puntato il dito sino a schiacciarla nell'ineluttabile fallimento. Quella tomba, come una sirena, ci chiama per sedurci e gettarci nelle braccia della depressione, spirituale prima e patologica poi. Quella tomba, guardata con gli occhi della carne, è l'altare subdolo eretto al nostro io, all'uomo vecchio che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici, che non sono solo sesso, droga e rock and roll, ma anche, più sottili e perniciose, quelle che ci spingono a piantarci al centro dell'universo come fossimo gli unici sofferenti, incompresi, rifiutati, traditi, anche in ciò che pensavamo santo, retto, puro. Anche questo è cercare il Signore per se stessi, facendo di Lui un pupazzetto di peluche a cui consegnare i nostri cuori spezzati. 

E qui Gesù ci attende attraverso i suoi angeli vestiti di risurrezione, immagine degli apostoli che giungono sino agli estremi confini della terra, alle periferie che sono la vita di ogni uomo. Nel luogo esatto dove era stato deposto il Signore, quasi a descrivere il perimetro della sua esistenza terrena ormai trasformata, seduti laddove erano la testa e i piedi di quel corpo non più preda della morte, vibrano la domanda capace di svegliarci dalla rassegnazione che ci ha rapito il desiderio di vivere e continuare a sperare rischiando noi stessi; proprio sulla soglia dell'abisso che ci sta per risucchiare nella disperazione, nelle ore grigie dove trasciniamo stancamente l'esistenza ripetendo gesti e parole svuotati d'ogni nerbo, accanto alla tomba che è divenuta la nostra vita, gli angeli ci scuotono per ridestarci alla vita vera: "donna, perché piangi?". Prendi in mano la tua vita di oggi, così com'è, e guardala bene e cerca la sorgente delle tue lacrime! Donna, che è come dire anima, perché piangi? Come Maria, come i discepoli, anche noi abbiamo camminato nella ricerca di un perché al nostro dolore. Ma la carne conosce solo i limiti della morte, ha paura del futuro perché il presente è avvelenato. La resurrezione è impensabile perché non è nel Dna della carne, che non può fornire alcun parametro per riconoscerla ed accoglierla. L'esperienza che portiamo dentro è quella del limite invalicabile che segna la morte; per questo la tomba diviene il luogo familiare dove poter piangere, l'unico luogo possibile per l'amore umano di Maria e per il nostro. Ella amava il Signore, eccome, ma il suo amore era destinato a divenire lacrime, dolore struggente di un cuore che non può andare oltre quella pietra. Il destino di ogni amore e di ogni sentimento carnale, dal più perverso al più sublime, è sempre e solo l'infrangersi contro il limite imposto dalla morte. E allora non si può far altro che piangere, raggomitolarsi nei ricordi, nelle speranze scivolate via, nei rimpianti. La domanda degli angeli risveglia il quesito più profondo, il bisogno di sapere perché oggi siamo quel che siamo, soffrendo quel che soffriamo. Come uno scrutinio, fondamentale in ogni percorso di iniziazione alla fede, risuscita in noi innanzi tutto la verità, la forza e la prepotenza del bisogno di senso e pienezza per la nostra vita. E così, come Maria, ridestati dal sonno spirituale che ci chiude gli occhi su ogni possibile prospettiva celeste, siamo ormai quasi pronti ad accogliere la novità capace di cambiare la nostra vita. Prendiamo consapevolezza di quello che ci è accaduto, ci rendiamo conto che il nostro Signore, il senso primo e ultimo della nostra vita, Colui nel quale avevamo riposto la speranza, non c'è più. Che la ragione delle nostre lacrime non è l'ingiustizia, presunta o autentica, che ci ha colpiti. Il motivo del nostro pianto è che neanche davanti alla tomba dove pensavamo di spegnere desideri e progetti nell'accidia e nel cinismo con cui attraversare il frammento di vita che ci rimane, riusciamo a riposare; soffriamo ancora e sempre di più perché neanche l'evidenza della morte e la sua presunta accettazione bastano a imbalsamare il nostro cuoreDesideriamo di più, nel cuore grida inesausto il bisogno di un al di là della fine. Piangiamo perché abbiamo fatto la stessa esperienza di Maria, come quella di Abramo sul Moria: un midrash racconta cosi l'istante in cui Abramo stava per sacrificare suo figlio: "sgorgavano lacrime dagli occhi di Abramo e le lacrime cadevano su Isacco legato". E' il dolore più grande, la speranza strappata dal cuore, il dolore per un figlio come per quel Maestro che l'aveva perdonata, il miracolo stesso di Dio nella nostra vita da dover abbandonare, sacrificare, perdere: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Ci hanno portato via la speranza e non sappiamo dove sia, perché qui, nella tomba dove l'avevamo vista discendere, non c'è più. Gesù è risorto, è vivo, e non lo sappiamo, ma è accanto a noi proprio per risvegliare il desiderio invincibile seminato in noi. La Chiesa con i suoi angeli ci attendono e ci raggiungono ogni giorno dove precipitiamo privi di speranza per prepararci all'incontro con Gesù risorto. In essa, come Maria, cominciamo a capire, lentamente, il nostro dolore. Ed è qui che Gesù aggiunge alla prima domanda degli angeli il "Chi cerchi?". Piangiamo perché cerchiamo qualcuno, e non per la disfatta che sembra la nostra vita! Le lacrime sono per Lui, ed è il primo passo per uscire da noi stessi, dall'egocentrismo che ci schiaccia. Sono lacrime d'amore, nonostante tutto ci dica il contrario; nonostante i peccati svelati e la carne che vorrebbe afferrare tutto. No, le lacrime con le quali ci accostiamo alla tomba, anche se rivestite di pura carne, celano un amore invincibile, quello deposto dal Padre nel nostro cuore, l'amore che ci ha intessuto nel seno di nostra madre, la calamita che cerca il polo opposto a cui attaccarsi, il destino della vita, Cristo, l'unico per il quale siamo nati, abbiamo vissuto e, ora, stiamo piangendo. Ecco, così comincia il cammino! Abbiamo ancora nel cuore il "mio Signore"! E' per Lui che piangiamo! Desideriamo ancora Lui! Piangiamo perché Cristo è risorto! Ecco il paradosso della nostra vita! Piangiamo di dolore senza sapere che quelle lacrime sono i distillati della gioia più pura, sono l'amore che attende di incontrare il suo Amore, celeste, più forte della carne e del peccato. Gesù risorto, infatti, non è lo stesso di prima, per questo, la sola carne non può riconoscerlo. E' necessario un parametro nuovo che non ci appartiene; occorre un segno che possiamo riconoscere e che ci sospinga al di là dei nostri limiti; un anello che congiunga la nostra realtà alla sua realtà; una chiave che apra in noi la porta per entrare, esattamente come siamo, poveri, deboli, precari e limitati, laddove ora Egli è, il Regno celeste. Occorre un indizio che parli al cuore e dischiuda gli occhi perché riconoscano lo stesso Gesù visto e ascoltato in quella presenza nuova e sorprendente, al punto d'essere scambiata per il "custode del giardino". Occorre che Lui ci chiami a sé, in quel nuovo sé che è diventato. Un cammino attraverso la carne per superare la carne, senza dimenticare la carne. L'esperienza di Maria e dei discepoli sarà quella di essere attirati da Cristo risuscitato nel suo Mistero Pasquale, nella dinamica che lo ha fatto passare dal Venerdì, attraverso il Sabato, all'aurora della Domenica. E' il momento decisivo. Maria ha compreso la ragione delle sue lacrime, ma cerca la soluzione e la consolazione nell'unica forma che conosce: prendere Gesù morto e riportarlo nella tomba, dove poterlo piangere. Ma la voce di Gesù con dentro il suo nome - "Maria!" - era unica, perché nessun giardiniere avrebbe potuto chiamarla così. E' Lui, è il Maestro del mio cuore! E' Lui, mi ha spiegato l'amore, e ora mi insegna che è eterno! Ecco il parametro che ci fa accogliere l'impossibile: E' risorto! Solo Lui mi può chiamare così, solo Lui mi conosce così: Maria! Quel nome in quella voce era tutta la sua storia, il suo intimo, ogni centimetro, ogni secondo. Il perdono si faceva di nuovo cosa viva: in quel nome il Signore le consegnava la certezza che nessuno le aveva portato via quell'amore; non era più la tomba il luogo dove andarlo a cercare per riviverlo nel ricordo e nel dolore. Maria può riconoscere il Maestro trasformato, risorto, e così vedersi trasformata anche lei, colma di un amore che non aveva mai gustato, più grande di quello già sperimentato. In quel suo nome che scendeva dal Cielo Maria poteva contemplare la sua vita ormai ascesa con Cristo alla destra del Padre. Era risorta anche lei con Lui! Tutta la sua vita era stata trasfigurata da quell'amore che non solo l'aveva perdonata laddove tutti l'avevano disprezzata; quell'amore l'aveva esaltata nel compimento di una vita che sembrava destinata alla morte. "Maria!" ed era una sola cosa in Lui, era viva laddove viveva Lui, poteva amare come Lui. E' questa la risurrezione per Maria di Magdala, la stessa offerta anche a noi oggi. Lui infatti appare anche a noi allo stesso modo, chiamandoci per nome attraverso la sua Chiesa. Anche oggi il Signore ci ricorda la sua opera d'amore con noi, e ci dona la certezza che essa non è destinata ad esaurirsi, ma si compie ogni giorno, come un inizio che non teme quello che sarà perché non ha paura di quello che già è. La certezza che cerchiamo in un luogo e in una persona non sono in un sepolcro. Non si esaurisce l'amore perché evapora una passione o un'affezione; ogni aspetto della nostra vita, ogni esperienza, ogni dolore, tutto in noi ci conduce nel "passaggio" che trasfigura la carne, che purifica la visione dei fatti e delle persone nella nuova luce della Pasqua: Non è qui, è risorto! Ma la carne, come in Maria, la fa ancora da padrona: riconosciutolo, lo vorremmo "trattenere". Vivo sì, ma per noi, per la nostra vita, per i nostri affetti. Per questo la Pasqua è sempre un invio, un vivere seguendo il Cielo dove esso appare, giorno per giorno, senza installarci. La Pasqua è l'esodo che afferra la nostra vita, strappandola alla debolezza della carne che vorrebbe saziarsi dei segni e non di Cristo. Non è Pasqua se non ci scaraventa dai "fratelli", e poi in Galilea, correndo verso il Cielo; così dalla Pasqua sorge la missione di Maria e nostra, "annunciare" che Gesù è salito al "Padre suo e Padre nostro", cioè che non siamo più soli e che ci attende una dimora eterna in Dio.Un verso di una poesia di Antonio Machado, poeta straordinario, dice:«Si un grano del pensar arder pudiera,no en el amante, en el amor,sería la mas honda verdad la que se viera».Che, tradotto alla lettera, significa:"se un seme del pensare potesse ardere,non nell’amante, ma nell’amore,si potrebbe vedere la verità più profonda".E' l'esperienza a cui siamo chiamati, la stessa di Maria: un seme, un piccolissimo seme dei nostri pensieri, circa la storia, noi stessi, il matrimonio, il lavoro, un seme di quello che ora stiamo pensando ardere in Lui, nel suo Amore, e non nella nostra povera carne, amante sì ma inesorabilmente limitata; se un seme del nostro intimo, sofferente o felice che sia, potesse ardere in Colui che pronuncia il nostro nome, in Cristo che ci ama, potremmo vedere la verità più profonda, il fondamento eterno della nostra vita, la risurrezione che assorbe ogni istante della nostra storia, facendone un frammento di eternità. La verità più profonda è l'amore infinito che vince la morte e ci fa vivere donando noi stessi, senza riserve, a tutti.
GALLERIA ICONOGRAFICA NOLI ME TANGEREQUI MOLTI APPROFONDIMENTI SUL VANGELO DI OGGI E SUL MISTERO PASQUALE

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