Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 19 aprile 2015

I segni della passione sul viso rigato di sangue



La Stampa, 19 aprile 2015
di ENZO BIANCHI
Se c'è un dato storico innegabile riguardo alla Sindone è che in essa generazioni di cristiani vi hanno ravvisato una icona venerabile e capace di raccontare il santo volto di Gesù nella sua passione e morte. In quel sudario è dato di cogliere un legame inscindibile con la vicenda umana di Gesù di Nazareth ma anche con la fede in lui come Figlio di Dio, cioè con il suo essere, secondo l'antichissima definizione del Credo, «Vero Dio e vero uomo».

Del resto, gli evangelisti hanno prestato particolare attenzione al volto di Gesù nel raccontare la sua passione. Come sempre, Gesù cercava che il suo volto fosse espressione di tutta la sua vita di Figlio, e per questo Luca annota che «nel compiersi dei giorni della sua assunzione, Gesù indurì il suo volto per andare a Gerusalemme» (Lc 9,51). La sua è una decisione senza possibile ritorno e pentimento, un cammino verso una meta precisa, «l'esodo che si doveva compiere a Gerusalemme» (Le 9,31). Quel volto orientato, duro, era così visibilmente eloquente che i samaritani, comprendendo che Gesù andava a Gerusalemme, non vollero accoglierlo (cf. Lc 9,53).
Il volto di Gesù era indurito in vista della passione che lo attendeva. Ed ecco che nella passione il suo volto cade a terra (cf. Mt 26,39) quando egli è prostrato e, dalla preghiera ardente, passa a un venir meno, a non reggersi più in piedi. Inizia com la sfigurazione del suo volto e di tutta la sua persona.

Gli evangelisti sono molto precisi: tristezza, spavento, angoscia sono l'inizio della sua passione del Getsemani, l'inizio del suo incamminarsi verso la morte, vera agonia nella quale «il sudore del suo volto diventò gocce di sangue che scendevano fino a terra» (Lc 22,44): un volto sempre più difficile da sopportare, da vedere. E dopo la cattura e l'interrogatorio da parte del sommo sacerdote, conclusosi con il verdetto:"È reo di morte!" (Mt 26,66), il suo volto è coperto da un velo, schiaffeggiato, sputacchiato, percosso, per poter essere deriso: se Gesù è un profeta, saprà dire chi lo ha percosso, saprà indovinare chi gli ha sputato sul volto. Così Gesù, con il volto coperto e torturato, non ha più volto: è aprosopos, senza volto, come gli schiavi, è res, cosa, nelle mani dei violenti e dei suoi nemici.

Chi lo vedeva restava senza parole: incredibile ciò che vedeva, un evento mai raccontato, mai udito... Un uomo senza volto né bellezza, un volto che non attira i nostri sguardi, che non seduce ma anzi chiede che davanti a esso, così sfigurato, ci si copra la faccia; disprezzato, percosso, umiliato, non apre la bocca, come agnello
afono che va verso l'uccisione. Quell'uomo Gesù nella sua passione è la realizzazione, l'incarnazione dell'anonimo Servo del Signore tratteggiato dal profeta Isaia.
"Ecce homo!" (Gv19,5), dirà Pilato presentandolo alla folla, dunque dichiarando oggettivamente - al di là di ogni sua comprensione - che Gesù è l'uomo per eccellenza, l'uomo di cui Dio si compiace perché vive l'amore simultaneamente all'inimicizia e alla violenza patite, vive la non-violenza e il silenzio simultaneamente alla
bestemmia e al grido che lo portano alla morte. È l'uomo povero, senza volto, dunque schiavo, l'uomo vittima nella storia di ogni potere. «Ecce Deus!», potrebbe dire chi legge con fede la profezia di Isaia compiutasi nella passione di Gesù. Ecco il Dio che si è svuotato, «annientato», per usare il linguaggio paolino dell'inno inserito nella Lettera ai Filippesi.

Ecco Dio nell'uomo senza volto: il non volto dei non volti, un affamato, un assetato, un malato, un perseguitato, un prigioniero, uno straniero che sta davanti a noi, e noi dobbiamo decidere il rapporto con lui; e decidendo il rapporto con lui, vittima, lo decidiamo con Cristo stesso: «Avevo fame, ... avevo sete, ero malato, ... ero in carcere » (cf. Mt 25,81-46).
Questa sfiguramento è il polo contrario della trasfigurazione: là bellezza qui bruttezza, là splendore qui umiliazione, là gloria qui svuotamento.
Gesù è ormai diventato preghiera, e il suo volto insanguinato, incoronato di spine, sputacchiato, tumefatto dai colpi, ora sulla croce è pronto a emettere l'ultimo sospiro, a entrare nella morte. Volto che sarà ancora velato nella tomba dal sudario, dal lenzuolo, dalle bende, in attesa che il volto di Dio si illumini e lo faccia rialzare dalla morte...

Così il volto umano di Gesù, quel volto ricevuto da sua madre Maria e dalla potenza dello Spirito santo, quel volto contemplato fin dalla nascita a Betlemme, ora conosce anche la morte, la fine. Un volto che nessun uomo vedrà più dopo quel giorno, il 7 aprile dell'anno 30, giorno di morte e sepoltura di Gesù; volto consegnato alla terra, come avviene per ogni uomo. Ma nell'alba del terzo giorno ecco il Risorto presentarsi ancora con un volto, ma non più il volto fisico che prima tutti i testimoni avevano conosciuto. Ora è un volto di gloria, un volto spirituale, con tratti diversi, e i discepoli faticano a riconoscerlo: volto di un viandante a Emmaus (cf. Lc 24,13-35), volto di un giardiniere per la Maddalena (cf. Gv 20,11-18), volto di un pescatore sul lago di Tiberiade (cf. Gv 21,1-14). Il volto glorificato è plurale, esprime vari volti pur essendo il volto di Gesù di Nazareth e di nessun altro: come nella trasfigurazione anche nella resurrezione il suo volto «diventò altro» (Lc 9,29).

E così quel volto è tornato a essere invocato e desiderato come volto dell'amato, del Signore vivente. Non ci sono tracce del volto di Gesù di Nazareth, nessun ritratto, ma in questo desiderio di vederlo sono apparsi segni di quel volto: nel velo di una donna che, incontrando Gesù sulla via della croce e volendo asciugare il suo viso, vide su quel velo l'impronta del volto di Gesù: vera icona-Veronica, vera immagine ed effigie di Gesù; nei dipinti di ogni epoca che hanno cercato la vera imago da offrire ai cristiani per la contemplazione; e, in modo unico e umanamente enigmatico, nella Sindone, autentica testimonianza della fede di chi ogni giorno ripete:
Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto!».
Pubblicato su: La Stampa
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Al via l'Ostensione della Sindone, in attesa della visita del Papa
A cinque anni dall’ultima Ostensione, la Sindone torna ad essere esposta al pubblico nel Duomo di Torino, da oggi 19 aprile al 24 giugno prossimo, in occasione del Bicentenario della nascita di Don Bosco. “La Sindone – ha detto l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, nella Messa di stamani in Duomo per l’inizio dell’Ostensione – è ricordo della bontà di Dio manifestata nella nostra esistenza”. “L’amore più grande” è il motto dell’ostensione 2015 nel corso della quale il Papa visiterà il capoluogo piemontese, il 21 e 22 giugno.
Proprio con Papa Francesco - ha detto nella Messa mons. Nosiglia, Custode pontificio della Sindone - “comprenderemo che non siamo noi che guardiamo quel Volto ma ci sentiremo guardati e invitati a non passare oltre” a “tanta sofferenza attorno a noi e nel mondo”. Le visite al Sacro Telo cominciano nel pomeriggio, con accesso gratuito, aperto a tutti e con prenotazione obbligatoria. Già oltre un milione i visitatori finora prenotati. 
San Giovanni Paolo II definì la Sindone “specchio del Vangelo”, ma anche “provocazione per l’intelligenza”. Non a caso, questa nuova esposizione al pubblico, la terza dal 2000, del lenzuolo che secondo la tradizione fu adoperato per avvolgere il corpo di Gesù, ripropone la discussione sull’autenticità di questa reliquia. Uno strumento per l’evangelizzazione, sul quale però il dibattito scientifico resta aperto. Il commento dell’arcivescovo Cesare Nosiglia:
R. - Io vorrei richiamare a questo proposito le parole di San Giovanni Paolo II, dette  nel 1998, nel discorso che ha fatto sulla Sindone: “Non trattandosi di materia di fede la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tutte le ricerche che storici e scienziati fanno sulla Sindone. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite che diano per scontati risultati che tali non sono”. Quindi, la Chiesa su questi aspetti non pone nessun limite ma neanche li assolutizza, perché a noi quello che interessa è che questo Telo comunque corrisponde in modo così evidente ai Vangeli. E’ come se invece di leggere il Vangelo scritto, tu leggi il Vangelo e lo vedi lì presente in questa Sindone. E’ uno strumento che ti aiuta a entrare dentro il mistero grande della Passione e morte del Signore e ti accorgi allora con quanta grandezza questo amore più grande ti ha amato. Per questo la gente davanti alla Sindone a volte si commuove. L’ostensione si fa per questo, non si fa per dire: “E’ vero” o “Non è vero”… Questi sono discorsi ad extra.
Negli ultimi decenni il Magistero pontificio ha distinto chiaramente i ruoli di scienza e fede nel rapporto con la Sindone. Ma la storia delle dispute sulle origini del Sacro Telo ha avuto una svolta alla fine dell’800, come confermaGian Maria Zaccone, direttore scientifico del Museo della Sindone di Torino:
R. – La questione relativa all’autenticità è relativamente moderna. Questa esigenza così forte comincia a farsi sentire nel momento in cui un certo razionalismo e una certa critica alle reliquie comincia a farsi strada anche all’interno della Chiesa, ma sicuramente il punto critico di rottura è la fotografia del 1898, che rivelando il comportamento di negativo fotografico dell’impronta sulla Sindone, da una parte metteva in seria difficoltà alcune ipotesi di un qualcosa di costruito in epoca medievale ma, dall’altro canto, apriva una serie di interrogativi sostanzialmente ancora aperti sul capire come si possa essere formata questa impronta.
D. – Quindi studiare la storia della Sindone vuol dire ripercorrere anche la devozione, la pietà popolare verso questo oggetto?
R. – Soprattutto, la storia della Sindone è una storia di pietà e di devozione; e il fondamento della Sindone, per cui si esporrà di nuovo la Sindone, è proprio per proporre questa immagine, perché chi si pone davanti alla Sindone, si pone davanti a quella immagine e, attraverso quell’immagine, può meditare su tante cose, ma soprattutto sul mistero dell’Incarnazione e del sacrificio di Gesù, non disgiunto anche da una riflessione sulla Risurrezione. La storia e le testimonianze della gente lo hanno dimostrato: non si va con l’assillo dell’autenticità o meno; si va sulla scia di milioni di persone prima di noi, per avere questa esperienza, attraverso quell’immagine che la Provvidenza in ogni caso ha lasciato – io credo – sulla strada degli uomini, riuscire ad attraversarla e ad andare a ciò che c’è di reale dietro questa immagine, che è Gesù.
Radio Vaticana

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Se Pietro venera il Sacro Lino. I papi e l'immagine del mistero
Vatican Insider




(Giacomo Galeazzi) Il lungo e silenzioso raccoglimento degli ultimi pontefici davanti a quel volto. Francesco sarà a Torino il 21 giugno. Quando Pietro venera la Sindone. Nel 1506 fu il francescano Giulio II, mecenate di Michelangelo e Raffaello, ad autorizzarne il culto pubblico con messa e ufficio proprio. In epoca moderna la missione dei Papi incrocia il lenzuolo che avrebbe avvolto Gesù nel sepolcro dopo la deposizione dalla croce. (...)
Speciale Sindone 2015 - Vatican Insider 

fonte :Kairos

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