Santa Maria,

Santa Maria,
...donna del primo sguardo, donaci la grazia dello stupore.

domenica 19 aprile 2015

Cristo, l'unico cibo che non perisce .




Cristo, l'unico cibo che non perisce


αποφθεγμα Apoftegma
O Divino Maestro,
che io non cerchi tanto di essere consolato quanto di consolare.
Non di essere compreso quanto di comprendere.
Non di essere amato, quanto di amare.
Infatti: donando si riceve.
Dimenticandosi si trova comprensione.
Perdonando si è perdonati.
Morendo si risuscita alla vera Vita.
San Francesco d’Assisi
E' lunedì, inizia una settimana fitta di impegni e difficoltà, e già immaginiamo le sofferenze che ci attendono. Martedì sera riunione di condomino, mercoledì la verifica di latino, oddio il consiglio d'amministrazione, mamma alla riabilitazione, il giovedì poi, non parlarne neanche: i piccoli a scuola, poi di corsa al lavoro, neanche un panino che di corsa a riprendere i piccoli e portarli al catechismo, nel frattempo un po' di spesa perché poi vengono i parenti di mio marito a cena e guai a non far bella figura, venerdì di passione dal commercialista, e sabato, beh il sabato è sempre una battaglia campale. Oppure ci aspetta una settimana identica alle altre, vuota di solitudine e ricordi, o distesa sul letto d'ospedale. 

Insomma, un altro lunedì e ci accade come alla "folla" che aveva appena goduto della moltiplicazione dei pani e di Gesù: "abbiamo mangiato, ci siamo saziati" e ci è sembrato il Paradiso! E sì che lo era, lì, seduti finalmente, riposando da tanti inutili sforzi. Qualcuno ci aveva sfamato, di più, "saziato", ma ora sentiamo che anche quella sovrabbondanza non ci basta, tremiamo al pensiero della settimana che ci attende, le relazioni, gli impegni, la famiglia, il lavoro, la salute. Ma come è possibile digerire così in fretta i miracoli di Gesù? Sembra che non siano neanche passati al nostro cuore e alla nostra mente nutrendoli almeno per qualche giorno di autonomia... 

E' possibile eccome, perché nel profondo siamo avidi e avari insaziabili, che, per San Paolo, è sinonimo di idolatria. Abbiamo, infatti, fatto immediatamente un idolo di "quei pani" e di Colui che ce li aveva dati. E' successo che "non abbiamo visto i segni", e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi nei pensieri e nei desideri mondani, perdendo la nostra identità. 
Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci; è Gesù che lo dice, riferendosi ai "pani" che Lui stesso aveva moltiplicato e distribuito. I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell'essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato
Ammettiamolo, anche se adulti o anziani, siamo degli eterni capricciosi, stringiamo tra le mani il giocattolo nuovo che ci hanno regalato e guai a chi ce lo vuol togliere. Salvo, dopo qualche ora, stufarci e cercarne un altro che soddisfi i nostri nuovi bisogni. Proviamo ad analizzare i nostri rapporti, chiusi, assoluti, segnati dall'esigenza. Spesso sono corrotti e ci lasciano in eredità un'insoddisfazione inguaribile. Vorremmo sempre di più, dal fidanzato che assediamo con migliaia di messaggini; dalla moglie che non è mai come vorremmo; dagli amici che dovrebbero dare sempre prova di una fedeltà incondizionata; ci aggrappiamo alle persone che Dio ci ha donato come a una fonte incontrata nel deserto. E, stoltamente, non ci rendiamo conto che sono fontane screpolate, incapaci di saziare l'autentico bisogno del nostro cuore. 
Le cose belle e sante che ci sono donate si imputridiscono tra le mani, e scopriamo che quello che sino ad oggi sembrava averci saziati non ha più nulla da darci, non ci consola, non ci rende felici, anzi, è fonte di insoddisfazione, frustrazione, tristezza, perché non si è innescata in noi una relazione personale con Gesù; è stato bello ieri all'eucarestia, è stata bella la Pasqua, ma come quando si va a una partita e si gioisce per la vittoria di una squadra, la folla di qua, sugli spalti, e i giocatori di là, sul campo. E poi tutti a dire "abbiamo vinto!". Ma, in fondo, nessuna relazione personale capace di cambiare davvero la vita. La prossima domenica un'altra giornata, loro in campo e noi in tribuna... 
E' come accade sempre nei cosiddetti fenomeni di massa, e il cristianesimo mai riguarda le masse; anche se il Papa convoca e rispondono milioni di persone, al centro c'è sempre un rapporto personale con Cristo che si dilata nella comunione tra i fratelli. "Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie": si muove il fiume di gente, senza testa né cuore, spinto dalla carne che esige di saziarsi ancora, sempre di più; e "cerca" quell'uomo che nessuno ha visto andar via coi suoi discepoli, perché Lui resta sempre un enigma per chi non si è lasciato afferrare sino ad appartenergli. 
Come noi, che chiediamo sempre "quando" e mai "perché?". A noi non interessa capire ma sapere, perché viviamo come in un immenso gossip, fermandoci sulla foto, la chicchera bisbigliata, il post sul social. Approfondire, mai. Invece di chiedere "quando" per curiosità, avrebbero dovuto chiedere: "Signore perché te ne sei andato? Sapevi che avremmo avuto di nuovo fame, per caso ci stai dicendo qualcosa?". Gesù, infatti, non si ferma mai dopo un miracolo, ma parte, si nasconde, va in un altra città, perché tutta la sua vita è una profezia del cammino di ogni cristiano. I suoi gesti annunciano il più in là dove ci chiama a seguirlo. Anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci, pur saziando la fame di quel momento, era un tiro di fionda puntato sul Cielo. 
Se, come la "folla", non lo abbiamo visto significa che lo cerchiamo e ne seguiamo le tracce solo perché compia i nostri desideri e realizzi la nostra volontà. Ma Gesù è sempre un passo più in là, sfugge alla nostra vista come ai discepoli di Emmaus, come l'Amato del Cantico dei Cantici, per spingerci sul cammino dell'autenticità. I suoi doni, infatti, non sono altro che il suo biglietto da visita con su scritto l'invito a un appuntamento con Lui senza però né data né luogo. I segni che depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. 
Insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terraI miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo. E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. 
Comprendiamo allora che "cercare" Gesù per saziarsi di un cibo che si corrompe è la sventura più grande. Come non accorgersi di aver ricevuto un buono per acquistare senza limiti di spesa in un grande magazzino e comprare solo un chilo di pasta. Gesù è molto più di quanto immaginiamoGesù è molto più anche di quanto speriamo. Le sue parole di oggi sono molto serie, proteggono da ogni possibile idolatria gli stessi miracoli che Lui compie nella nostra vita. 
Per questo oggi ci invita a "procurarci il cibo che non si corrompe". Ma se non è il miracolo che fa presente il suo potere soprannaturale, qual'è questo cibo incorruttibile? E' Lui, il pane che sazia la vita di ogni uomo. E come posso "procurarmelo"? Cercando Gesù con un cuore purificato. Accettando che Lui non è dove io credo debba stare, e quindi accettando di camminare dietro a Lui, uscendo ogni istante da me stesso, per trovarlo nella Pasqua, nel passaggio che strappa la nostra vita alla corruzione. Gesù, infatti, non si lascia afferrare dalla carne perché si dona sui passi della storia, non nella corruzione dell'installazione e della soddisfazione degli appetiti. Sorprendendoci e lasciandoci sempre di nuovo affamati del cibo che sazia il ventre, ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l'ardente bisogno di donarsi e non di offrire a se stessi la vita, le persone e le cose. 
Lui va oltre per introdurci nell'al di là che ci attende nella storia e nelle persone, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati "segno" i pani che ci ha donato moltiplicati. Noi trasformati in pane che sazia, nello stesso alimento incorruttibile di cui ci nutriamo, Cristo, e del suo amore più forte della morte e della paura. Amare come siamo amati è l'unico cibo capace di sfamarci e realizzarci. Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui. 
Il "cibo che non perisce" è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione di origine controllata e garantita di un'opera destinata all'eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso. Il "cibo che non perisce" è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Sulla volontà di Dio, infatti, non c'è data di scadenza...
Il "cibo che non perisce" è un amore casto che guarda all'altro come a un santuario dove dimora Cristo vivo; è una relazione fondata sul pudore, che non attenta all'intimità inviolabile dell'altro, che non esige di sapere tutto, di scoprire i segreti, che non brama di spogliare e spogliarsi per usare e farsi usare saziando appetiti che corrompono e gettano nel disprezzo di se stessi e nella disperazione; è un amore paziente, mansueto, conscio della propria debolezza, che fugge ogni occasione di inciampo nell'egoismo e nell'istinto sempre accovacciato alla porta del cuore; è un amore che ha crocifisso le proprie voglie e concupiscenze perché guarda oltre la carne, e intercetta in ogni persona la luce dell'eterno volto del Padre. Il "cibo che non perisce" è il dono di Dio in Cristo
Quando invece viviamo con avarizia, difendendo e bramando sempre di più dalle cose e dagli altri, sperimentiamo dolorosamente la vanità di ogni cosa, viviamo contro natura, e così nulla e nessuno ci sazia, e ci troviamo incapaci di affrontare la storia con responsabilità e maturità. Siamo invece chiamati a rispettare la dignità e l'unicità di tutti, la libertà e la santità di cui sono "segno"; saper fermarsi e non appropriarsi degli altri, ingannati da pseudo-sentimenti che sono solo egoismo infantile con conseguenze devastanti, tra sessualità perversa e degradante, gelosie, compromessi. 
Ma attenzione, nelle parole di Gesù non vi è traccia di moralismo, non esigono alcuno sforzo, anzi. Continua a dirci di aprirgli il nostro cuore e "sederci" a mensa nella comunità cristiana, lasciando che sia Lui a servirci, giorno per giorno, istante per istante, attraverso i suoi apostoli; solo così potremo accogliere il dono della sua carne e del suo sangue perché sia Lui a vivere in noi e non più il nostro uomo vecchio che si "corrompe" dietro alle passioni ingannatrici. 
Per questo, la catechesi di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao che inizia con il brano di oggi, ci introduce nel mistero dell'Eucarestia, la carne eterna di Cristo che incontra, assume e divinizza la nostra carne mortale. L'incorruttibilità che accoglie ciò che è destinato a corrompersi, il Cielo che attira a sé la terra. 
Coraggio allora, perché il Signore vuole "donarci" questo cibo, una vita libera, autentica, bella, santa, che non subisce corruzione, pur crocifissa nella precarietà e nel dolore. Donandoci Egli stesso come alimento, Gesù ci consegna, compiuta, la vita celeste, capace di consegnarsi con Lui nel Getsemani. E' questo il luogo, "dove" incontrarlo, la soglia che si schiude ogni giorno per passare alla Croce, alla morte e alla resurrezione; il Getsemani dove "vedere i segni" della volontà di Dio incastonati negli eventi e nelle persone; solo su di essa, infatti, scende lo Spirito Santo, il "sigillo di Dio", il soffio di vita eterna che rivela il "marchio di fabbrica", sulle opere fatte in Cristo. 
Per questo, dopo essersi consegnati al Padre in Cristo, ogni pensiero, parola, gesto e sofferenza offerti per amore sono immediatamente trascritti in Cielo: il "cibo che non si corrompe" è dunque ogni aspetto della nostra vita crocifissa in Cristo, destinata a risplendere per l'eternità. Anche le cose ripetute, anche quelle alla carne insignificanti e dolorose divengono il "segno" dell'incorruttibile che ha assorbito il corruttibile, perché può donare se stesso solo chi non teme di esaurire le scorte, solo chi ha vita sovrabbondante dentro.
Allora stirare quella camicia è un cibo incorruttibile! In Cielo vedrai segnato con caratteri indelebili quell'istante agli occhi della carne così banale. Ecco "quando" Cristo è passato a Cafarnao! Nell'istante in cui si è offerto per ogni uomo. Ecco questa settimana che ci attende, e quelle che verranno; ecco i milioni di "quando" che ci aspettano per andare, in segreto, a Cafarnao, attirando dietro a noi una folla disorientata e ancora schiacciata sulla carne. Stira le camice allora, studia quella materia insopportabile, sbriga quella pratica frustrante, accetta la solitudine e i limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il "cibo che non perisce" perché proprio su di esso, sulla tua storia e la Croce che vi è piantata, il Padre ha messo il "sigillo" del suo Spirito, il soffio del suo respiro eterno, la vita che non muore. Perché proprio lì, c'è Cristo che ti ha preceduto alla tua Cafarnao di oggi e di domani, sino all'ultima preparata per te in Cielo. 
Coraggio fratelli, perché le parole del Vangelo di oggi in fondo ci dicono una cosa sola: che è felice e ama solo chi ha incontrato davvero Cristo e vive tutto in Lui, alla sua presenza, per Lui e con Lui. Non si tratta dunque di "dover fare" qualcosa "per compiere chissà quali opere", ma accogliere in noi "l'opera" divina, una soltanto, che è quella di "credere"; rinnegare se stessi per "appoggiarsi" a Cristo, per seguirlo a Cafarnao, per compiere con Lui la volontà del Padre. Abbandonare cioè la nostra vita all'amore di Dio rivelato in Cristo Gesù, consegnandoci a chi si consegna a noi, perché l'unica vita che non perisce è proprio quella perduta per amore.






L'ANNUNCIO
Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».
 (Dal Vangelo secondo Giovanni 6, 22-29)





Il Vangelo del giorno. 

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